Arresti domiciliari: quando i familiari non vogliono mantenere l’indagato…

La Suprema Corte ribadisce che in tema di arresti domiciliari, la situazione economica dei familiari dell’indagato non è presa in considerazione dalla legge, né sussiste alcun obbligo di mantenimento del sottoposto alla misura cautelare a carico degli stessi tranne quello alimentare .

Così si esprime la Corte di Cassazione con la sentenza n. 26507/20, depositata il 22 settembre. In sede di riesame, il Tribunale di Genova confermava il provvedimento emesso dal GIP che applicava la misura cautelare della custodia in carcere agli attuali ricorrenti per concorso in tentata estorsione pluriaggravata. Gli stessi impugnano la suddetta decisione, chiedendone l’annullamento per la manifesta illogicità della motivazione circa la valutazione dell’applicazione della misura degli arresti domiciliari . Nello specifico, il Tribunale aveva dato rilevanza alle dichiarazioni di disponibilità all’accoglimento dei ricorrenti nelle abitazioni dei suoceri e delle rispettive mogli, le quali non erano accompagnate dalla disponibilità anche al loro mantenimento . La Suprema Corte dichiara i ricorsi fondati , richiamando l’orientamento giurisprudenziale in base al quale, in materia di arresti domiciliari, la condizione economica dei familiari non è presa in considerazione dalla legge né sussiste alcun obbligo di mantenimento del sottoposto agli arresti domiciliari a carico dei componenti la famiglia, al di fuori di quello strettamente alimentare, il quale peraltro presuppone una incapacità del congiunto di procurarsi autonomamente un reddito che potrebbe essere risolta dal provvedimento di autorizzazione al lavoro ex art. 284, comma 1, c.p.p Ciò posto, avendo il Giudice confermato l’idoneità della misura cautelare dando rilevanza solo alla circostanza contestata dai ricorrenti, la Corte di Cassazione annulla la pronuncia impugnata e rinvia per un nuovo giudizio al Tribunale di Genova.

Corte di Cassazione, sez. II Penale, sentenza 22 luglio – 22 settembre 2020, n. 26507 Presidente Verga – Relatore Messini D’Agostini Ritenuto in fatto 1. Con ordinanza del 12/2/2020 il Tribunale di Genova, in sede di riesame, confermava il provvedimento in data 24/1/2020 con il quale il G.i.p. del Tribunale di Genova aveva applicato la misura cautelare della custodia in carcere a C.V. , C.G. e Ca.Ge. per concorso in una tentata estorsione pluriaggravata. 2. Hanno proposto ricorso C.V. , C.G. e Ca.Ge. , a mezzo del proprio difensore, chiedendo l’annullamento dell’ordinanza impugnata per manifesta illogicità della motivazione in ordine alla valutazione circa l’applicazione della misura degli arresti domiciliari. Affermata l’astratta idoneità della misura a prevenire il pericolo di recidiva specifica, il Tribunale osservava che le dichiarazioni di disponibilità all’accoglimento degli indagati nelle abitazioni dei suoceri per C.V. e delle rispettive mogli per G. e Ca.Ge. non erano accompagnate dalla disponibilità anche al mantenimento dei prevenuti e da apposita documentazione in grado di comprovare la capacità economica dei soggetti che dovrebbero farsi carico delle esigenze personali ed economiche dei tre indagati . Sostiene la difesa che detta valutazione sia ultronea rispetto al dettato normativo, che preclude l’applicazione della misura degli arresti domiciliari quando sia prevedibile che il soggetto non osservi le connesse prescrizioni ovvero in mancanza di un luogo idoneo art. 284 c.p.p., comma 1 e non già in relazione alle condizioni economiche dei soggetti ospitanti, a carico dei quali non sussiste un obbligo di sostenere gli oneri di mantenimento dei congiunti sottoposti alla misura restrittiva. Considerato in diritto 1. I ricorsi sono fondati. 2. Secondo la costante giurisprudenza di questa Corte, in tema di disciplina degli arresti domiciliari, la situazione economica dei familiari non è presa in considerazione dalla legge nè sussiste alcun obbligo di mantenimento del sottoposto agli arresti domiciliari a carico dei componenti la famiglia, al di fuori di quello strettamente alimentare, il quale peraltro presuppone una incapacità del congiunto di procurarsi autonomamente un reddito che potrebbe essere risolta dal provvedimento di autorizzazione al lavoro , ai sensi dell’art. 284 c.p.p., comma 1, così Sez. 6, n. 32574 del 03/06/2005, Politanò, Rv. 231869 in senso conforme v. Sez. 1, n. 123 del 29/10/2002, dep. 2003, Organista, nonché, più di recente, Sez. 2, n. 8276 del 30/01/2018, Sortino, e Sez. 6, n. 3635 del 28/12/2016, dep. 2017, Cataldo, non massimate . Il Tribunale, invece, nel confermare l’idoneità della sola misura di massimo grado, ha dato valore decisivo alla circostanza sopra richiamata, in contrasto con il ricordato principio, condiviso dal Collegio. 3. L’ordinanza impugnata, pertanto, va annullata in ordine al punto oggetto del ricorso applicazione degli arresti domiciliari , sul quale il Tribunale dovrà decidere attenendosi al suddetto principio di diritto. Poiché dalla presente decisione non consegue la rimessione in libertà dei ricorrenti, deve disporsi, ai sensi dell’art. 94 norme di attuazione c.p.p., comma 1 ter, che copia della stessa sia trasmessa al direttore dell’istituto penitenziario in cui gli indagati si trovano ristretti, perché provveda a quanto stabilito dal citato art. 94, comma 1 bis. P.Q.M. Annulla l’ordinanza impugnata e rinvia per nuovo giudizio al Tribunale di Genova competente ai sensi dell’art. 309 c.p.p., comma 7. Manda alla Cancelleria per gli adempimenti di cui all’art. 94 disp. att. c.p.p., comma 1 - ter.ù