Elemento soggettivo del delitto di commercio di sostanze dopanti: la S.C. solleva questione di legittimità costituzionale

La Suprema Corte ai sensi dell’art. 23 l. 11 marzo 1953, n. 87, ritiene di sollevare questione di legittimità costituzionale dell’art. 586- bis , comma 7, c.p., introdotto dall’art. 2, comma 1, lett. d , d.lgs. 1 marzo 2018, n. 21, nella parte in cui – sostituendo l’art. 9, comma 7, l. 14 dicembre 2000, n. 376, abrogato dall’art. 7, comma 1, lett. n del medesimo d.lgs. n. 21/2018 – prevede il ‘fine di alterare le prestazioni agonistiche degli atleti’ reputa, infatti, il collegio che il governo abbia fatto un uso scorretto della delega conferita dall’art. 1, comma 85, lett. q , l. n. 103/2017, in quanto, nel trasferire nel codice penale, rubricato al comma 7 dell’art. 586-bis, la figura delittuosa già oggetto di incriminazione da parte dell’art. 9, comma 7, l. n. 376/2000 ha operato, mediante l’aggiunta del dolo specifico, una parziale abolitio criminis .

Così l’ordinanza n. 26326/20, depositata dalla III Sezione Penale il 21 settembre. La Corte d’Appello di Lecce confermava la responsabilità dell’imputato – già accertata dal G.U.P. del Tribunale di Brindisi in sede di giudizio abbreviato – per i reati di cui agli artt. 81 c.p., 9 comma 7, l. n. 376/2000, nonché per i reati previsti dagli artt. 110, 476 e 482 c.p., per avere commercializzato, mediante consegna a numerosi soggetti praticanti l’attività del culturismo che frequentavano la palestra di cui era titolare – due dei quali partecipanti a gare pubbliche di body building –, specialità medicinali ad azione anabolizzante attraverso canali non ufficiali e ottenute mediante la predisposizione di ricette mediche falsificate . L’imputato proponeva, dunque, ricorso per Cassazione, articolato sulla base di quattro diversi motivi. Con il primo motivo, lamentava la violazione dell’art. 292 c.p.p., affermando che la Corte territoriale avrebbe rigettato il motivo di appello con cui si deduceva la mancanza di un’autonoma valutazione degli elementi di prova, in quanto il G.U.P. si sarebbe limitato a parafrasare l’ordinanza cautelare. Con il secondo motivo, la difesa deduceva la violazione e/o erronea applicazione della legge penale nonché la mancanza, contraddittorietà o manifesta illogicità della motivazione con riferimento all’art. 9, comma 7, l. n. 367/2000 , perché la stessa Corte territoriale avrebbe erroneamente ravvisato la fattispecie relativa alla commercializzazione di prodotti anabolizzanti, essendo, invece, al più ravvisabile la meno grave fattispecie di reato previsto dall’art. 9, comma 1, l. n. 376/2000. Con il terzo motivo si deduceva la violazione dell’art. 606, comma 1, lett. b ed e c.p.p. in relazione agli artt. 476 e 82 c.p., poiché la Corte territoriale avrebbe desunto la responsabilità penale in ordine al secondo capo d’imputazione sulla base delle dichiarazioni di un coimputato prive di elementi di riscontro. Con il quarto ed ultimo motivo, l’imputato deduceva la violazione dell’art. 606, comma 1, lett. b ed e c.p.p. in relazione agli artt. 62- bis e 133 c.p. sostenendo che la Corte territoriale non avrebbe concesso – sulla base di un presupposto errato – le attenuanti generiche perché l’imputato non avrebbe ammesso le proprie responsabilità, quando, invece, egli aveva affermato di assumere sostanze dopanti, negando solo di averle commerciate e di avere compilato false ricette mediche. La Suprema Corte, dopo avere rilevato la manifesta infondatezza del primo motivo di ricorso – per la non pertinenza del parametro normativo di cui si lamentava la violazione – e l’inammissibilità del terzo motivo di ricorso perché fattuale, esaminava il secondo motivo di ricorso rilevando la possibile illegittimità costituzionale , per eccesso di delega, dell’art. 586- bis , comma 7, c.p., disposizione che – come noto – ha sostituito il reato previsto dall’art. 9, comma 7, l. n. 376/2000 e che appare applicabile retroattivamente in quanto norma più favorevole. I Giudici di Piazza Cavour evidenziavano come il Governo avrebbe disposto, con decreto legislativo, una parziale abolitio criminis non autorizzata dal legislatore delegante mediante l’aggiunta, nella nuova norma incriminatrice, dell’elemento soggettivo del dolo specifico consistente nel fine di alterare le prestazioni agonistiche degli atleti . Il quarto motivo di ricorso non è stato vagliato in quanto la soluzione della questione di legittimità costituzionale risulta pregiudiziale rispetto al suo esame. La Suprema Corte, dichiarando la questione di legittimità costituzionale rilevante e non manifestamente infondata, disponeva la trasmissione degli atti alla Consulta per la decisione sulla costituzionalità dell’art. 586-bis c.p. nella parte in cui è previsto il fine di alterare le prestazioni agonistiche degli atleti”. La Corte di Cassazione ha anzitutto proceduto ad effettuare un raffronto tra le fattispecie incriminatrici previste, rispettivamente, dall’art. 9, comma 1, e dall’art. 9, comma 7, l. n. 376/2000 ed ha altresì esaminato la successione di leggi realizzatasi in attuazione del principio della riserva di codice” con il d.lgs. n. 21/2018, il quale ha abrogato le predette fattispecie trasferendole all’art. 586- bis c.p., rispettivamente, al comma 1 e al comma 7. Per quanto riguarda le due fattispecie abrogate, la Suprema Corte sottolineava, da una parte, l’identità dell’oggetto del reato – consistente nelle c.d. sostanze dopanti” – e, dall’altra, la differenza tra le due fattispecie riguardante sia la condotta nella fattispecie prevista dall’art. 9, comma 1, il somministrare, assumere, o favorire l’utilizzo” nella fattispecie prevista dall’art. 9, comma 7, il commercio , sia l’elemento del dolo specifico, richiesto nella sola ipotesi prevista dall’art. 9, comma 1. In seguito all’abrogazione di tali fattispecie ed al loro inserimento nel corpus del codice penale, è stata compiuta una modifica alla fattispecie del commercio di sostanze dopanti , per la quale – attualmente – è richiesto che la condotta venga posta in essere con il fine specifico di alterare le prestazioni agonistiche degli atleti. Tale nuova previsione ha comportato, quindi, l’ abolitio criminis del fatto commesso in assenza di tale specifica intenzione, con la conseguenza che trova applicazione retroattiva, in quanto più favorevole, la norma incriminatrice prevista dall’art. 586- bis , comma 7, c.p. e non quella prevista dall’abrogato art. 9, comma 7, l. n. 376/2000. Tuttavia la Corte territoriale, non avvedendosi della modifica legislativa, non avrebbe verificato la sussistenza del dolo specifico , che – anzi – risulta assente secondo le pronunce di condanna emesse tanto dal G.U.P. quanto dalla Corte d’Appello, ragion per cui l’imputato dovrebbe essere mandato assolto. Sennonché, la Suprema Corte ha altresì rilevato come la previsione del dolo specifico nella fattispecie contemplata dall’art. 586- bis ponga problemi di legittimità costituzionale . Ciò ha spinto i Giudici della Legittimità a sollevare apposita questione. Dal punto di vista dall’ ammissibilità , la Cassazione ha rilevato – tra le eccezioni al principio che prevede l’inammissibilità delle questioni di legittimità delle norme che abrogano una previgente norma incriminatrice – che la Consulta possa essere adita qualora un decreto legislativo abbia disposto l’ abolitio criminis , non autorizzata dalla legge delega, di una norma penale. In tal caso, invero, la reviviscenza di tale disposizione deriverebbe dal fatto di non essere mai stata validamente abrogata e non sarebbe dunque in contrasto con l’art. 25, comma 2, Cost Per quanto riguarda la rilevanza della questione, la Suprema Corte sottolinea che, se dovesse essere applicato l’art. 586-bis c.p., l’imputato dovrebbe essere assolto per difetto dell’elemento soggettivo mentre ove dovesse essere applicato l’art. 9, comma 7, l. n. 376/2000, il motivo di ricorso non potrebbe trovare accoglimento. Infine, per quanto riguarda la non manifesta infondatezza della questione, rileva la Suprema Corte – innanzitutto – come dal testo della legge delega emerga chiaramente l’intenzione del legislatore, il quale avrebbe inteso autorizzare il Governo esclusivamente ad una traslazione delle figure criminose, previste da disposizioni di legge, all’interno del Codice penale, in attuazione del principio della riserva di codice”. In secondo luogo, lo stesso Collegio ravvisa altresì il contrasto tra la ratio della legge delega e l’intervento del Governo. A ben vedere, il legislatore ha inteso contribuire – tra l’altro – alla tutela della salute, assicurando una migliore conoscenza delle norme e delle sanzioni dirette a preservarla. Pertanto, l’ abolitio criminis operata dal Governo appare in contrasto con la predetta finalità, rendendo lecito il commercio di sostanze dopanti agli sportivi che non gareggiano in competizioni agonistiche. Ritenendo, allora, che il Governo abbia fatto un uso scorretto della delega conferitagli dall’art. 1, comma 85, lett. q , l. n. 103/2017, operando una parziale abolitio criminis della figura delittuosa prevista dall’art. 9, comma 7, l. n. 376/2000 – nell’ambito del suo trasferimento all’art. 586-bis, comma 7, c.p. – la Suprema Corte ha disposto la trasmissione degli atti alla Corte Costituzionale affinché sia vagliata la legittimità della predetta norma nella parte in cui è previsto il fine di alterare le prestazioni agonistiche degli atleti”.

Corte di Cassazione, sez. III Penale, ordinanza 21 luglio – 21 settembre 2020, n. 26326 Presidente Di Nicola – Relatore Corbetta Ritenuto in fatto 1. Con l’impugnata sentenza, la Corte di appello di Lecce confermava la decisione resa dal G.u.p. del Tribunale di Brindisi all’esito del giudizio abbreviato e appellata dall’imputato, la quale, ritenuta la continuazione, aveva condannato B.G. alla pena di un anno e dieci mesi di reclusione e 6.000 Euro di multa perché ritenuto responsabile dei reati di cui all’art. 81 c.p., L. n. 376 del 2000, art. 9, comma 7, capo 1 e artt. 110, 476, 482 c.p. capo 2 , a lui ascritti per avere commercializzato, mediante consegna a numerosi soggetti praticanti l’attività del culturismo che frequentavano la palestra di cui era titolare - due dei quali partecipanti a gare pubbliche di body building -, specialità medicinali ad azione anabolizzante attraverso canali non ufficiali e ottenute mediante la predisposizione di ricette mediche falsificate. 2. Avverso l’indicata sentenza, l’imputato, per il tramite del difensore di fiducia, propone ricorso per cassazione, affidato a quattro motivi. 2.1. Con il primo motivo si deduce la violazione dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b in relazione all’art. 546 c.p.p., comma 1, lett. e . Assume il ricorrente che la Corte territoriale avrebbe erroneamente rigettato il motivo di appello incentrato sulla sostanziale carenza di autonoma valutazione degli elementi di prova, essendosi il G.u.p. limitato a una parafrasi dell’ordinanza cautelare, ciò che integra, ad avviso del ricorrente, il vizio di difetto di motivazione. 2.2. Con il secondo motivo si eccepisce la violazione dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b ed e in relazione alla L. n. 376 del 2000, art. 9, comma 7. Secondo il ricorrente, la Corte territoriale avrebbe erroneamente ravvisato l’ipotesi di commercializzazione di prodotti anabolizzanti sulla base delle intercettazioni telefoniche, che, da sole, non potrebbero costituire prova di penale responsabilità, e senza considerare che 1 non è emerso alcun rapporto con il coimputato M. 2 i rapporti con il P. erano esclusivamente finalizzati all’acquisto di materiale lecito, quali proteine, berrette proteiche, ecc. 3 il Bo. forniva al B. solamente integratori alimentari. La Corte territoriale, inoltre, non avrebbe correttamente valutato le dichiarazioni dell’imputato, il quale ha sì ammesso di aver detenuto e utilizzato prodotti anabolizzanti ma per uso personale in ogni caso, sarebbe al più configurabile la meno grave ipoitesi di cui al alla L. n. 376 del 2000, art. 9, comma 1 non essendo ravvisabile l’esercizio abituale dell’attività illecita. 2.3. Con il terzo motivo si censura la violazione dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b ed e in relazione agli artt. 476 e 82 c.p. Lamenta il ricorrente che la Corte territoriale avrebbe desunto la prova della penale responsabilità del reato di cui al capo 2 unicamente dal contenuto delle dichiarazioni del coimputato Ma. , le quali sarebbero sprovviste di elementi di riscontro. 2.3. Con il quarto motivo si eccepisce la violazione dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b ed e in relazione agli artt. 62-bis e 133 c.p. Sostiene il ricorrente che la Corte erritoriale avrebbe negato l’applicazione delle circostanze attenuanti generiche sulla base di un presupposto errato, ossia che il B. non abbia ammesso le proprie responsabilità, in quanto l’imputato ha confessato di essere assuntore di sostanze dopanti, negando solamente di averne fatto commercio e di aver compilato ricette false. Considerato in diritto 1. Il primo motivo è manifestamente infondato. 2. Come correttamente ritenuto dalla Corte d’appello, il richiamo alla violazione dell’art. 292 c.p.p., che indica i requisiti dell’ordinanza applicativa di una misura cautela e, è del tutto eccentrico rispetto alla sentenza, che è invece disciplinata, quanto a forma e a contenuto, dall’art. 546 c.p.p., alla cui stregua devono per ciò essere valutate e dedotte eventuali nullità. 3. Peraltro, a conferma della non pertinenza del parametro normativo che si assume violato va evidenziato non solo il diverso atteggiarsi del principio del contraddittorio nella fase procedimentale rispetto a quella processuale, anche quando l’imputato - come nel caso in esame - acceda a un rito alternativo, ma anche e soprattutto il diverso standard probatorio richiesto per l’emissione di una misura cautelare personale, che, ai sensi dell’art. 273 c.p.p., comma 1, esige la sussistenza di gravi indizi di colpevolezza , e per l’affermazione della penale responsabilità, che, come emerge dall’art. 533 c.p.p., comma 1, va provata oltre ogni ragionevole dubbio. 4. Il terzo motivo è inammissibile perché fattuale, essendo diretto a contestare la valutazione delle prove operata dai giudici di merito, e, comunque, perché generico. 5. Il ricorrente non si confronta con la motivazione della Corte territoriale, la quale ha desunto il giudizio di penale responsabilità per il reato di cui al capo 2 dalle dichiarazioni del computato Ma.Ni. - il quale ha riferito della richiesta del B. , da lui adempiuta, di realizzare, tramite siti web, ricette mediche false, compilandole con i dati anagrafici fornitigli da B. , relative a prescrizioni di farmaci anabolizzanti -, riscontrate dai seguenti elementi 1 le numerose ricette acquisite presso il servizio farmaceutico dell’Asl di Brindisi, relative a farmaci dopanti, falsamante sottoscritte da una serie di medici, che, appunto, hanno disconosciuto la firma 2 le false ricette rinvenute presso le farmacie OMISSIS e OMISSIS , ricollegabili all’attività del B. , perché presso la sua abitazione fu rinvenuto uno scontrino di acquisto della prima e perché sono emersi i contatti telefonici tra il ricorrente e il titolare della seconda 3 il fatto che Mo.Gi. , socio del B. , sia stato riconosciuto dal farmacista A.L. come colui che aveva spedito presso la sua farmacia ricette poi rivelatisi false, contenenti richieste per l’acquisto di farmaci anabolizzanti 4 il contenuto di talune intercettazioni telefoniche, in cui B. e Ma. parlano di rifare le fotocopie con indicazione di due pezzi o dei nomi da correggere con la sostituzione di consonanti tel. n. 1776 del 15/07/2001, n. 1916 del 22/07/2011 e n. 3214 dl 05/09/2011 . Si tratta di una motivazione adeguata che, essendo immune da illogicità manifeste, supera il vaglio di legittimità. 7. In ordine al secondo motivo, si osserva quanto segue. 8. la L. n. 376 del 2000, art. 9, comma 7, puniva, con la reclusione da due a sei anni e con la multa da 5.164 a 77.468 Euro, chiunque commercia i farmaci e le sostanze farmacologicamente p biologicamente attive ricompresi nelle classi di cui all’art. 2, comma 1, attraverso canali diversi dalle farmacie aperte al pubblico, dalle farmacie ospedaliere, dai dispensari aperti al pubblico e dalle altre strutture che detengono farmaci direttamente, destinati alla utilizzazione sul paziente . L’art. 9, comma 1 prevedeva una fattispecie meno grave, punita con la reclusione da tre mesi a tre anni e con la multa da Euro 2.582 a Euro 51.645, nei confronti di chiunque procura ad altri, somministra, assume o favorisce comunque l’utilizzo di farmaci o di sostanze biologicamente o farmacologicamente attive, ricompresi nelle classi previste all’art. 2, comma 1, che non siano giustificati da condizioni patologiche e siano idonei a modificare le condizioni psicofisiche o biologiche dell’organismo, al fine di alterare le prestazioni agonistiche degli atleti, ovvero siano diretti a modificare i risultati dei controlli sull’uso di tali farmaci o sostanze la fattispecie, peraltro, poteva trovare applicazione salvo che il fatto costituisca più grave reato . Ferma restando l’identità dell’oggetto del reato, ossia le cd. sostanze dopanti , le due ipotesi delittuose si differenziavano sia per la condotta - il commercio in un caso, il procurare ad altri, somministrare, assumere o favorire nell’altro -, sia per la presenza, nella sola ipotesi del comma 1, del dolo specifico, incarnato nel fine di alterare le prestazioni agonistiche degli atleti . 9. la L. n. 376 del 2000, art. 9 è stato abrogato dal D.Lgs. 1 marzo 2018, n. 21, art. 7, comma 1, lett. n parallelamente, in applicazione del principio della riserva di codice , ora enunciato nell’art. 3-bis c.p., il D.Lgs. n. 21 del 2018, art. 2, comma 1, lett. d ha trasferito nel codice penale le disposizioni già contenute nell’indicato art. 7 l’art. 586-bis c.p., infatti, incrimina l’utilizzo o somministrazione di farmaci o di altre sostanze al fine di alterare le prestazioni agonistiche degli atleti . In particolare, ai fini che qui interessano, l’art. 586-bis c.p., comma 7 commina la reclusione da due a sei anni e la multa da 5.164 a 77.468 Euro nei confronti di chiunque commercia i farmaci e le sostanze farmacologicamente o biologicamente attive ricompresi nelle classi indicate dalla legge, che siano idonei a modificare le condizioni psicofisiche o biologiche dell’organismo, al fine di alterare le prestazioni agonistiche degli atleti ovvero idonei a modificare i risultati dei controlli sull’uso di tali farmaci o sostanze, attraverso canali diversi dalle farmacie aperte al pubblico, dalle farmacie ospedaliere, dai dispensari aperti al pubblico e dalle altre strutture che detengono farmaci direttamente destinati alla utilizzazione sul paziente . Il comma 1, invece, salvo che il fatto costituisca più grave reato , punisce con la reclusione da tre mesi a tre anni e con la multa da 2.582 a 51.645 Euro chiunque procura ad altri, somministra, assume o favorisce comunque l’utilizzo di farmaci o di sostanze biologicamente o farmacologicamente attive, ricompresi nelle classi previste dalla legge, che non siano giustificati da condizioni patologiche e siano idonei a modificare le condizioni psicofisiche o biologiche dell’organismo, al fine di alterare le prestazioni agonistiche degli atleti, ovvero siano diretti a modificare i risultati dei controlli sull’uso di tali farmaci o sostanze . 10. Orbene, per quanto qui rileva, con riferimento alla condotta di commercio di sostanze dopanti si osserva che non vi è piena coincidenza tra la fattispecie di cui all’abrogato L. n. 376 del 2000, art. 9, comma 7, e quella oggetto di incriminazione da parte del vigente art. 586-bis c.p., comma 7, che, a differenza della precedente figura delittuosa, contempla il dolo specifico del fine di alterare le prestazioni agonistiche degli atleti , prevedendo, in alternativa ipotesi che qui non rileva , la condotta di commercio di sostanze idonee a modificare i risultati dei controlli anti-doping, che vengono assimilati alle sostanze dopanti. 11. Non vi è dubbio che la previsione, nella nuova figura delittuosa considerata dall’art. 586-bis c.p., comma 7 del dolo specifico rappresenta un filtro selettivo della penale rilevanza della condotta, che è ora punita solo ove l’agente abbia agito con il fine indicato dalla norma, non essendo ovviamente richiesto, come ogni reato a dolo specifico, che quel fine sia effettivamente conseguito. In alti termini, la fattispecie contemplata dall’art. 586-bis c.p., comma 7, non incrimina più la commercializzazione tout court di sostanze dopanti, come avveniva in relazione all’abrogato L. n. 376 del 2000, art. 9, comma 7, ma solo quella in cui l’agente si prefigge lo scopo di alterare le prestazioni agonistiche degli atleti , indipendentemente dall’effettivo conseguimento di tale finalità. Per effetto della previsione dell’indicato dolo specifico, si è perciò realizzata una parziale abolitio criminis, non essendo più punito il commercio di sostanze dopanti commesso in assenza del fine di alterare le prestazioni agonistiche degli atleti in caso del genere, nemmeno può trovare applicazione la fattispecie del comma 1, la quale pure esige il medesimo dolo specifico. 12. Venendo al caso in esame, con motivazione esente da illogicità manifeste, sulla base degli esiti sia delle conversazioni telefoniche intercettate puntualmente indicate a p. 12-3 della sentenza impugnata , sia della perquisizione domiciliare che ha consentito il rinvenimento, oltre che di numerosi farmaci anabolizzanti, anche di un’agenda su cui erano appuntati nomi e somme di denaro, a dimostrazione di una rudimentale contabilità , nonché delle dichiarazioni di R.S. , il quale ha riferito di aver ceduto prodotti anabolizzanti al B. , che costui utilizzava anche per rifornire gli atleti da lui preparati, la Corte territoriale ha ravvisato un fatto di commercio di sostanze dopanti, facendo corretta applicazione del principio secondo cui la condotta di commercio clandestino di sostanze c.d. anabolizzanti deve avere i caratteri di un’attività continuativa, supportata da una elementare struttura organizzativa Sez. 6, n. 17322 del 20/02/2003, Frisinghelli, Rv. 224957 . 13. Nondimeno, non avvedendosi dell’intervenuta modifica legislativa, la Corte territoriale non ha verificato, in capo al B. , anche la sussistenza del dolo specifico, consistente nel fine di alterare le prestazioni agonistiche degli atleti , ora contemplato dalla fattispecie di cui all’art. 586-bis c.p., comma 7, che, in quanto norma più favorevole, proprio perché restringe il perimetro della punibilità, trova applicazione retroattiva. Dalla sentenza impugnata e da quella di primo grado emerge peraltro il difetto di tale dolo specifico, in quinto, come si desume dalla decisione emessa dal G.u.p. p. 80 , il B. oltre a predisporre le diete ed i programmi di allenamento per i body builders, consigliava agli atleti l’assunzione di sostanze anabolizzanti, che egli stesso provvedeva a consegnare, dopo averle a sua volta recuperate dai suoi fornitori o dopo essersele procurate presentando false ricette mediche . Trattasi di condotta, peraltro, che non richiede il dolo specifico, come si desume dalla lettera della legge . In applicazione della nuova fattispecie incriminatrice, in quanto più favorevole, l’imputato dovrebbe perciò essere mandato assolto per difetto dell’elemento soggettivo. 14. Ritiene tuttavia il Collegio di sollevare questione di legittimità costituzionale, in riferimento all’art. 76 Cost., dell’art. 586 c.p., comma 7, come introdotto dal D.Lgs. 1 marzo 2018, n. 21, art. 2, comma 1, lett. d , nella parte in cui - sostituendo la L. 14 dicembre 2000, n. 376, art. 9, comma 7, abrogato dal medesimo D.Lgs. n. 21 del 2018, art. 7, comma 1, lett. n - prevede il fine di alterare le prestazioni agonistiche degli atleti . 15. In via preliminare, si osserva che la questione risulta ammissibile. 15.1. In linea di principio, sono inammissibili le questioni di legittimità costituzionale che concernano disposizioni abrogative di una previgente incriminazione, e che mirino al ripristino nell’ordinamento della norma incriminatrice abrogata, a ciò ostandovi il principio consacrato nell’art. 25 Cost., comma 2, che riserva al solo legislatore la definizione dell’area di ciò che è penalmente rilevante. Questa regola però non è assoluta perché patisce alcune eccezioni. Tra queste, ai fini che qui interessano, va segnalata l’ipotesi in cui sia censurato lo scorretto esercizio del potere legislativo da parte del Governo, che abbia abrogato mediante decreto legislativo una disposizione penale, senza a ciò essere autorizzato dalla legge delega in tal caso, come recentemente affermato dalla Corte costituzionale, qualora la disposizione dichiarata incostituzionale sia una disposizione che semplicemente abrogava una norma incriminatrice preesistente la dichiarazione di illegittimità costituzionale della prima non potrà che comportare il ripristino della seconda, in effetti mai validamente abrogata sentenza n. 37 del 2019 . Più in particolare, come ribadito in una più recente decisione sentenza n. 189 del 2019 , sono ammissibili le questioni di legittimità costituzionale che censurano una disposizione abrogativa contenuta in un decreto legislativo, e la contestuale introduzione di una nuova disposizione incriminatrice, la cui area applicativa si assume non estendersi - in asserito contrasto con il criterio di delega - a tutte le ipotesi già coperte dalla previgente incriminazione con conseguente illegittimo effetto modificativo delle scelte di penalizzazione compiute dal Parlamento. 15.2. Alla luce delle considerazioni che precedono, la questione deve ritenersi perciò ammissibile, in quanto oggetto di censura è, appunto, lo scorretto esercizio del potere legislativo da parte del Governo, che ha parzialmente abrogato mediante decreto legislativo una disposizione penale, senza a ciò essere autorizzato dalla legge delega, come si avrà modo di esporre. 16. La questione appare anche rilevante. Come si è anticipato, in applicazione della vigente in quanto più favorevole disposizione di cui all’art. 586 c. p., comma 7, l’imputato dovrebbe essere assolto per difetto del dolo specifico per contro, il motivo dovrebbe essere respinto, ove si applicasse la fattispecie contemplata dall’abrogato L. 14 dicembre 2000, n. 376, art. 9, comma 7, che, come detto, non prevedeva il dolo specifico. 17. A parere del Collegio, la questione appare non manifestamente infondata, in quanto la parziale abolitio criminis della fattispecie oggetto di incriminazione da parte dell’abrogato L. 14 dicembre 2000, n. 376, art. 9, comma 7, nei termini dinanzi precisati, non trova riscontro nella delega conferita al Governo dalla L. 23 giugno 2017, n. 103, art. 1, comma 85, lett. q . Invero, tale disposizione autorizzava l’attuazione, sia pure tendenziale, del principio della riserva di codice nella materia penale, al fine di una migliore conoscenza dei precetti e delle sanzioni e quindi dell’effettività della funzione rieducativa della pena, presupposto indispensabile perché l’intero ordinamento penitenziario sia pienamente conforme ai principi costituzionali, attraverso l’inserimento nel codice penale di tutte le fattispecie criminose previste da disposizioni di legge in vigore che abbiano a diretto oggetto di tutela beni di rilevanza costituzionale, in partipolare i valori della persona umana, e tra questi il principio di uguaglianza, di non discriminazione e di divieto assoluto di ogni forma di sfruttamento a fini di profitto della persona medesima, e i beni della salute, individuale e collettiva, della sicurezza pubblica e dell’ordine pubblico, della salubrità e integrità ambientale, dell’integrità del territorio, della correttezza e trasparenza del sistema economico di mercato . Il tenore della delega appare chiaro il Governo era autorizzato semplicemente a trasferire all’interno del codice penale, in attuazione del principio della cd. riserva di codice , talune figure criminose già contemplate da disposizioni di legge, tra cui, ai fini che qui rilevano, quelle ad oggetto la tutela della salute . E difatti all’abrogazione dell’art. 9 L. n. 376 del 2000 ha fatto seguito l’introduzione, nel codice penale, dell’art. 586, fattispecie che, appunto, è inserita nel Capo I, Titolo II, Lib o II, che raggruppa i delitti conto la vita e l’incolumità individuale . Che l’intenzione del legislatore fosse quella di una mera traslazione della fattispecie di cui alla L. n. 376 del 2000, art. 9 all’interno del codice penale è confermata sia dall’identità della pena comminata, sia dal disposto del D.Lgs. n. 21 del 2018, art. 8 il quale stabilisce che dalla data di entrata in vigore del presente decreto, i richiami alle disposizioni abrogate dall’art. 7, ovunque presenti, si intendono riferiti alle corrispondenti disposizioni del codice penale come indicato dalla tabella A allegata al presente decreto nell’indicata tabella, il riferimento alla L. 14 dicembre 2000, n. 376, art. 9 trova corrispondenza nell’art. 586-bis c.p., a conferma l’assenza di qualsivoglia intento abrogativo della previgente norma incriminatrice. 18. Nondimeno, come si è più volte evidenziato, non vi è piena corrispondenza tra la fattispecie di cui all’abrogato art. 9, comma 7, L. n. 376 del 2000 e quella, ad essa corrispondente, contemplata dal vigente art. 586-bis c.p., comma 7, la quale prevede, in aggiunta, il dolo specifico del fine di alterare le prestazioni agonistiche degli atleti , senza che ciò trovi legittimazione nella legge delega. In altri termini, reputa il Collegio che il Governo abbia fatto un uso scorretto della delega conferita dalla L. n. 103 del 2017, art. 1, comma 85, lett. q , in quanto, nel trasferire nel codice penale, rubricato all’art. 586-bis, comma 7 la figura delittuosa già oggetto di incriminazione da parte della L. n. 376 del 2000, art. 9, comma 7, ha operato, mediante l’aggiunta del dolo specifico, una parziale abolitio criminis. 19. Del resto, a parere del Collegio, l’indicata abolitio criminis risulta anche in contrasto con la ratio della legge delega. È di intuitiva evidenza, infatti, che il bene salute, oggetto di tutela da parte dell’art. 586-bis c.p., è messo in pericolo dalla mera assunzione di sostanze dopanti e ciò indipendentemente dal fine di alterare le competizioni agonistiche degli atleti . In altri termini, la norma censurata rende lecito il commercio di sostanze dopanti destinato alla cerchia degli sportivi che non gareggino in competizioni agonistiche, la cui salute verrebbe comunque posta in pericolo, senza che tale scelta di politica criminale, gravida di conseguenze in relazione alla tutela del bene che si vuole proteggere - la salute pubblica, appunto -, trovi una fonte di legittimazione nella legge delega conferita al Governo, la quale risultava escluvivamente finalizzata all’esercizio di un’attività materiale di mera traslazione all’interno del codice penale delle fattispecie di reato già contemplate da norme extracodicistiche. Viceversa, al momento della sua attuazione, il potere esecutivo è intervenuto sulla portata del precetto di cui alla L. n. 376 del 2000, art. 9, comma 7, limitandone l’ambito di applicazione, sia pure con riferimento al solo elemento soggettivo, così determinando una parziale aboliti criminis delle condotte di commercio clandestino di sostanze dopanti già sorrette da dolo, ma non finalizzate all’alterazione delle prestazioni agonistiche degli atleti. Tanto si è verificato malgrado l’assenza di qualsivoglia principio e criterio direttivo espressamente contenuto nella legge di delega, ciò che ha peraltro compromesso la sua dichiarata finalità di contribuire alla tutela della salute umana, assicurando una migliore conoscenza dei precetti e delle sanzioni penali diretti a preservarla. 20. La soluzione della questione di legittimità costituzionale è pregiudiziale rispetto allo scrutinio del quarto motivo di ricorso. 21. Per le ragioni sin qui esposte, il Collegio, ai sensi della L. 11 marzo 1953, n. 87, art. 23 ritiene di sollevare questione di legittimità costituzionale dell’art. 586-bis c.p., comma 7, introdotto dal D.Lgs. 1 marzo 2018, n. 21, art. 2, comma 1, lett. d , nella parte in cui - sostituendo l’art. 9, comma 7, L. 14 dicembre 2000, n. 376, abrogato dal medesimo D.Lgs. n. 21 del 2018, art. 7, comma 1, lett. n - prevede il fine di alterare le prestazioni agonistiche degli atleti . Il processo deve essere per l’effetto sospeso e gli atti trasmessi alla Corte costituzionale. P.Q.M. dichiara rilevante e non manifestamente infondata, in riferimento all’art. 76 Cost., la questione di legittimità costituzionale dell’art. 586-bis c.p., comma 7, introdotto dal D.Lgs. 1 marzo 2018, n. 21, art. 2, comma 1, lett. d , nella parte in cui - sostituendo l’art. 9, comma 7, L. 14 dicembre 2000, n. 376, abrogato dal medesimo D.Lgs. n. 21 del 2018, art. 7, comma 1, lett. n - prevede il fine di alterare le prestazioni agonistiche degli atleti . Dispone l’immediata trasmissione degli atti alla Corte costituzionale e sospende il giudizio in corso. Ordina che, a cura della cancelleria, la presente ordinanza sia notificata al ricorrente, al Procuratore Generale presso la Corte di cassazione e al Presidente del Consiglio dei Ministri, e sia Comunicata ai Presidenti delle due Camere del Parlamento.