Sulla consapevolezza della provenienza delittuosa di un blocchetto di assegni in bianco

Ricevere moduli di assegni in bianco, in violazione delle norme che regolano la circolazione dei titoli di credito, rappresenta un elemento logico circa la consapevolezza della provenienza delittuosa dell’assegno poiché si tratta di un documento che, per sua natura e destinazione, è in possesso esclusivo del titolare del conto corrente o della persona dallo stesso delegata.

Lo ha ribadito la Corte di Cassazione con sentenza n. 25975/20 depositata il 14 settembre. La Corte d’Appello riformava in parte la sentenza del Tribunale e rideterminava la pena inflitta all’imputato confermando la sua responsabilità in ordine al delitto di ricettazione di un assegno . Avverso tale decisione, l’imputato ricorre per cassazione lamentando l’omessa motivazione in relazione al profilo della consapevolezza circa la provenienza delittuosa dell’assegno, oltre che l’omessa considerazione dell’ipotesi della ricezione in buona fede del titolo di credito, tra l’altro mai denunciato come rubato al momento del suo utilizzo. Procedendo alla trattazione del ricorso con le modalità di cui all’art. 83, comma 12- ter , d.l. n. 18/2020 come convertito con modificazioni dalla l. n. 27/2020, la Cassazione dichiara il ricorso infondato. Posto che l’imputato aveva utilizzato l’assegno per pagare la merce, accreditandosi falsamente come congiunto di una cliente della vittima e compilando l’assegno prelevato dal blocchetto completo senza esibire alcun documento d’identità, rilevato che la sentenza della Corte d’Appello espone tutti i dati di fatto indicativi della consapevolezza dell’imputato circa la provenienza delittuosa del titolo di credito, la S.C. ha ritenuto l’apparato argomentativo coerente con i dati probatori. Sul tema, la Cassazione ha anche ricordato che costituisce principio ormai consolidato quello secondo cui la ricezione di moduli di assegni in bianco, in violazione delle norme che regolano la circolazione dei titoli di credito, rappresenta elemento logico circa la consapevolezza della provenienza delittuosa dell’assegno trattandosi di documento che, per sua natura e destinazione, è in possesso esclusivo del titolare del conto corrente o di persona dallo stesso delegata .

Corte di Cassazione, sez. II Penale, sentenza 10 luglio – 14 settembre 2020, n. 25975 Presidente Diotallevi – Relatore Di Paola Ritenuto in fatto 1. La Corte d’appello di Perugia, con sentenza del 22 ottobre 2018, in parziale riforma della sentenza pronunciata nei confronti di C.F. , dal Tribunale di Terni il 25 febbraio 2016, rideterminava la pena inflitta confermando il giudizio di responsabilità in ordine al delitto di ricettazione di un assegno. 2.1. Propone ricorso per cassazione la difesa dell’imputato deducendo, con il primo motivo, violazione di legge, ai sensi dell’art. 606 c.p.p., lett. B , con riferimento all’art. 648 c.p. la sentenza non aveva motivato in relazione al profilo della consapevolezza circa la provenienza delittuosa dell’assegno utilizzato dall’imputato, omettendo di prendere in -considerazione l’ipotesi della ricezione in buona fede del titolo di credito, tenuto conto che l’assegno non era stato denunciato come rubato al momento del suo utilizzo e che il mancato pagamento del titolo era avvenuto per l’assenza di fondi. 2.2. Con il secondo motivo si deduce il vizio della motivazione della sentenza impugnata, in riferimento all’art. 606 c.p.p., lett. E la Corte d’appello non aveva fornito alcuna motivazione in grado di smentire l’ipotesi della ricezione in buona fede dell’assegno. 3. La Corte ha proceduto alla trattazione del ricorso con le modalità di cui al D.L. 17 marzo 2020, n. 18, art. 83, comma 12 ter, convertito con modificazioni dalla L. 24 aprile 2020, n. 27. Considerato in diritto 1. Entrambi i motivi di ricorso, che concernono il medesimo dato fattuale, sotto il differente profilo della violazione di legge e del vizio di motivazione, sono manifestamente infondati. La sentenza impugnata si è fatta carico di esporre i dati di fatto indicativi della consapevolezza dell’imputato circa la provenienza delittuosa del titolo di credito, che era stato utilizzato per pagare il corrispettivo dell’acquisto di merce, operazione effettuata dall’imputato accreditandosi falsamente come congiunto di una cliente della vittima e compilando l’assegno prelevato dal blocchetto completo, senza esibire alcun documento di identità adducendo di non averlo con sé e, in ogni caso, omettendo di fornire in giudizio alcuna giustificazione in ordine alla provenienza del titolo di credito utilizzato essendo rimasta del tutto assertiva la deduzione sulla buona fede del ricorrente, ipotizzata con riguardo alla ricezione dell’assegno per effetto di un non meglio chiarito rapporto obbligatorio . L’apparato argomentativo risulta coerente con i dati probatori, logicamente corretto nella deduzione della consapevolezza della provenienza delittuosa avendo, altresì, rimarcato l’assenza di rapporti di conoscenza tra l’imputato e la titolare del conto corrente per il quale era stato rilasciato il carnet va, infatti, ricordato che in più occasioni è stato affermato il principio a mente del quale la ricezione di moduli di assegni in bianco, in violazione delle norme che regolano la circolazione dei titoli di credito, rappresenta elemento logico circa la consapevolezza della provenienza delittuosa dell’assegno trattandosi di documento che, per sua natura e destinazione, è in possesso esclusivo del titolare del conto corrente o di persona dallo stesso delegata Sez. 2, n. 34522 del 13/06/2019, _nammiss, Rv. 276428 Sez. 2, n. 22120 del 07/02/2013, Mercuri, Rv. 255929 Sez. 2, n. 22555 del 09/06/2006, Rinaidi, Rv. 234654 . 2. All’inammissibilità del ricorso consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali, nonché, ai sensi dell’art. 616 c.p.p., valutati i profili di colpa nella determinazione della causa di _nammissibilità’ emergenti dal ricorso Corte Cost. 13 giugno 2000, n. 186 , al versamento della somma, che si ritiene equa, di Euro tremila a favore della Cassa delle ammende. P.Q.M. Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro tremila in favore della Cassa delle ammende. Motivazione semplificata.