Inammissibile il ricorso per cassazione presentato a mezzo PEC durante l’emergenza COVID-19

La Cassazione ha chiarito che la modalità telematica di proposizione del ricorso di legittimità non è ammessa nemmeno a tenore della legislazione emanata per fronteggiare l’emergenza sanitaria da COVID-19, in quanto l’art. 83, comma 11, d.l. n. 18/2020, come convertito dalla l. n. 27/2020, circoscrive tale possibilità ai soli ricorsi civili.

Con sentenza n. 25792/20, depositata il 10 settembre, la Suprema Corte, decidendo sul ricorso per cassazione presentato a mezzo PEC - inviato dal difensore dell’imputato alle ore 18.49 del 16 marzo 2020 all’indirizzo del Tribunale del riesame e depositato in cancelleria il giorno seguente -, ha affermato che tale modalità di proposizione del ricorso di legittimità non è ammessa, nemmeno a tenore della legislazione emanata per fronteggiare l’ emergenza sanitaria in corso, in quanto il d.l. 17 marzo 2020, n. 18 , art. 83, comma 11, come convertito dalla l. 24 aprile 2020, n. 27, circoscrive tale possibilità ai ricorsi civili . Il Collegio di legittimità ricorda anche che è orientamento ormai consolidato quello secondo cui nel processo penale la parte privata non può avvalersi della posta elettronica certificata per la trasmissione dei propri atti alle altre parti e per il deposito presso gli uffici . La modalità telematica è infatti riservata alla sola cancelleria, per le comunicazioni richieste dal PM ai sensi dell’art. 151 c.p.p. e per le notificazioni ai difensori disposte dall’Autorità giudiziaria, mentre la previsione dell’art. 64 disp. att. c.p.p., che consente il ricorso ai mezzi idonei di cui agli artt. 149 e 150 c.p.p., tra i quali la PEC, riguarda unicamente la comunicazione degli atti del giudice e non la trasmissione di un atto di parte, quale l’impugnazione . Più specificamente, conclude la Cassazione, è inammissibile l’impugnazione cautelare proposta dall’indagato mediante l’uso della PE C, in quanto le modalità di presentazione e di spedizione dell’impugnazione, disciplinate dall’art. 583 c.p.p. sono tassative e non ammettono equipollenti, stabilendo soltanto la possibilità di spedizione dell’atto mediante lettera raccomandata o telegramma, al fine di garantire l’autenticità della provenienza e la ricezione dell’atto, mentre nessuna norma prevede la trasmissione mediante l’uso della PEC .

Corte di Cassazione, sez. I Penale, sentenza 25 giugno – 10 settembre 2020, n. 25792 Presidente Casa – Relatore Cappuccio Ritenuto in fatto 1. Con ordinanza del 5 marzo 2020 il Tribunale del riesame di Caltanissetta, procedendo ai sensi dell’art. 310 c.p.p., ha rigettato l’appello proposto da P.G. avvero l’ordinanza con cui la Corte di appello di Caltanissetta, il 27 gennaio 2020, aveva rigettato l’istanza di sostituzione della misura cautelare della custodia in carcere con quella degli arresti domiciliari. 2. P. , tratto a giudizio per il delitto di tentato omicidio in danno di D.N.R. e per i connessi reati in materia di armi, è stato condannato, in appello, alla pena, concordata ai sensi dell’art. 599-bis c.p.p., di sei anni di reclusione. Avendo egli subito un periodo di restrizione cautelare carceraria di due anni e cinque mesi, la sua difesa ha proposto istanza ex art. 299 c.p.p., che la Corte di appello ha rigettato in ragione della carenza di elementi di novità rilevanti in chiave cautelare e della persistente pregnanza delle esigenze specialpreventive, desumibili anche dal riconoscimento della recidiva. Il Tribunale del riesame, investito dell’appello avverso l’ordinanza del giudice procedente, ne ha condiviso la valutazione sul rilievo che il periodo cautelare sofferto è inferiore alla metà della pena irrogata, la cui riduzione in secondo grado è conseguita all’accordo tra le parti sui motivi di impugnazione e non alla rivalutazione della gravità del reato o della capacità a delinquere, e che non è dato apprezzare la sussistenza di circostanze dimostrative dell’avere la restrizione sin qui patita determinazione l’elisione o l’attenuazione del pericolo di reiterazione della condotta criminosa. 3. P.G. propone, con l’assistenza dell’avv. Carmelo Tuccio, ricorso per cassazione affidato ad un unico motivo, con il quale deduce violazione della legge processuale penale e vizio di motivazione per avere il Tribunale del riesame omesso di spiegare per quale ragione le residue esigenze cautelari non potrebbero essere salvaguardate dalla misura degli arresti domiciliari, assistita dall’adozione di strumenti elettronici di controllo. Lamenta, ulteriormente, che sia stato illogicamente escluso l’affievolimento delle esigenze cautelari, pure a fronte della sottoposizione a misura cautelare per un periodo pari a circa metà della pena inflitta e con riferimento a condotta delittuosa risalente ad epoca ormai remota. 4. Il Procuratore generale, con requisitoria scritta del 2 giugno 2020, presentata ai sensi del D.L. 17 marzo 2020, n. 18, art. 83, comma 12-ter, come convertito dalla L. 24 aprile 2020, n. 27, ha chiesto l’annullamento con rinvio del provvedimento impugnato. Considerato in diritto 1. Il ricorso per cassazione è stato presentato a mezzo messaggio di posta elettronica certificata, inviato dal difensore di P.G. alle ore 18,49 del 16 marzo 2020 all’indirizzo del Tribunale del riesame di Caltanissetta e depositato in cancelleria il giorno seguente. La prescelta modalità di proposizione del ricorso di legittimità non è ammessa, nemmeno a tenore della legislazione emanata per fronteggiare l’emergenza sanitaria in corso, in quanto il D.L. 17 marzo 2020, n. 18, art. 83, comma 11, come convertito dalla L. 24 aprile 2020, n. 27, circoscrive tale possibilità ai ricorsi civili. In giurisprudenza, è consolidato l’orientamento secondo cui nel processo penale la parte privata non può avvalersi della posta elettronica certificata per la trasmissione dei propri atti alle altre parti e per il deposito presso gli uffici Sez. 5, n. 12949 del 05/03/2020, Torti, Rv. 279072 Sez. 1, n. 2020 del 15/11/2019, dep. 20/01/2020, Turturo, Rv. 278163 Sez. 6, n. 41283 del 11/09/2019, Di Nolfo, Rv. 277369 . L’utilizzo del mezzo telematico è, infatti, riservato - ai sensi del D.L. 18 ottobre 2012, n. 179, art. 16, comma 4, convertito con modificazioni dalla L. 17 dicembre 2012, n. 221 - alla sola cancelleria per le comunicazioni richieste dal pubblico ministero ex art. 151 c.p.p. e per le notificazioni ai difensori disposte dall’autorità giudiziaria, mentre la previsione dell’art. 64 disp. att. c.p.p., che consente il ricorso ai mezzi idonei di cui agli artt. 149 e 150 c.p.p., tra i quali la PEC, riguarda unicamente la comunicazione degli atti del giudice e non la trasmissione di un atto di parte, quale l’impugnazione. Più specificamente, la giurisprudenza di legittimità ha chiarito che È inammissibile l’impugnazione cautelare proposta dall’indagato mediante l’uso della posta elettronica certificata c.d. PEC , in quanto le modalità di presentazione e di spedizione dell’impugnazione, disciplinate dall’art. 583 c.p.p. - espressamente richiamato dall’art. 309 c.p.p., comma 4, che, a sua volta, è richiamato dall’art. 310 c.p.p., comma 2, - sono tassative e non ammettono equipollenti, stabilendo soltanto la possibilità di spedizione dell’atto mediante lettera raccomandata o telegramma, al fine di garantire l’autenticità della provenienza e la ricezione dell’atto, mentre nessuna norma prevede la trasmissione mediante l’uso della PEC. In motivazione la Corte ha evidenziato che tali previsioni processuali costituiscono le specifiche disposizioni normative che rendono inapplicabile il D.P.R. 11 febbraio 2005, n. 68, regolamento per l’utilizzo della posta elettronica certificata, ai sensi dell’art. 16 del medesimo decreto Sez. 3, n. 38411 del 13/04/2018, B., Rv. 276698 . 2. Sulla base delle considerazioni che precedono il ricorso deve essere, pertanto, dichiarato inammissibile. Alla luce della sentenza 13 giugno 2000, n. 186, della Corte costituzionale, rilevato che, nella, fattispecie, non sussistono elementi per ritenere che la parte abbia proposto il ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità , alla declaratoria dell’inammissibilità medesima consegue, a norma dell’art. 616 c.p.p., l’onere delle spese del procedimento nonché quello del versamento della somma, in favore della Cassa delle Ammende, equitativamente fissata in 3.000,00 Euro. P.Q.M. Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro tremila in favore della Cassa delle Ammende. Manda alla Cancelleria per gli adempimenti di cui all’art. 94 disp. att. c.p.p., comma 1-ter.