Cellulare acquistato evitando i canali usuali di commercializzazione: “logico” parlare di ricettazione

Condanna definitiva per una donna, beccata” in possesso di un telefonino di provenienza furtiva. Impossibile, secondo i Giudici, parlare di scarsa diligenza da parte dell’acquirente. Decisiva la constatazione che l’acquisto è stato effettuato evitando i canali ufficiali di commercializzazione.

Acquistare un cellulare evitando i canali ufficiali di commercializzazione è dato sufficiente per presumere il reato di ricettazione. Applicando questo principio è definitiva la condanna nei confronti di una donna che non è riuscita a giustificare la disponibilità di un telefonino di provenienza furtiva Cassazione, sentenza n. 25578/2020, Sezione Seconda Penale, depositata il 9 settembre . Silenzio. Sotto accusa una donna, come detto, perché trovata in possesso di un cellulare di provenienza illecita. Il quadro probatorio è ritenuto chiaro dai Giudici di merito così, prima in Tribunale e poi in Corte d’Appello, l’acquirente viene condannata perché ritenuta colpevole di ricettazione. Per il difensore, però, la decisione pronunciata in secondo grado è erronea, soprattutto per una ragione è stata fondata l’affermazione di responsabilità sulla mancata allegazione da parte della donna di fatti a sua discolpa , senza però considerare, spiega il legale, che il silenzio serbato sulle modalità di ricezione del bene non è qualificabile automaticamente come prova diretta della colpevolezza, potendo anche rispondere ad una strategia difensiva . Dolo. Nonostante le obiezioni difensive, però, dalla Cassazione confermano la linea tracciata in Appello, linea secondo cui la responsabilità della donna per il delitto di ricettazione risulta evidente alla luce della accertata, e mai convincentemente giustificata, disponibilità del telefonino di provenienza furtiva in oggetto , disponibilità acquisita fuori dai canali ordinari e legittimi di circolazione . Applicato correttamente, quindi, il principio secondo cui ai fini della configurabilità del reato di ricettazione, la prova dell’elemento soggettivo può essere raggiunta anche sulla base dell’omessa o non attendibile indicazione della provenienza della cosa ricevuta, la quale è sicuramente rivelatrice della volontà di occultamento, logicamente spiegabile con un acquisto in mala fede . Peraltro, non può essere ignorato, aggiungono i Giudici, un ulteriore principio ricorre il dolo di ricettazione nella forma eventuale quando la persona ha consapevolmente accettato il rischio che la cosa acquistata o ricevuta fosse di illecita provenienza, non limitandosi ad una semplice mancanza di diligenza nel verificare la provenienza della cosa . Per escludere il dolo è sufficiente, precisano i Giudici, soltanto fornire una attendibile spiegazione dell’origine del possesso delle cosa . Tornando alla vicenda in esame, l’acquisto di un telefono cellulare fuori dai canali ufficiali di commercializzazione è certamente sintomatico del dolo di ricettazione , concludono i Giudici della Cassazione, rendendo definitiva la condanna della donna.

Corte di Cassazione, sez. II Penale, sentenza 14 luglio – 9 settembre 2020, n. 25578 Presidente Rago – Relatore Pardo Ritenuto in fatto 1.1 Con sentenza in data 16 novembre 2018, la corte di appello di Firenze, confermava la pronuncia del tribunale di Firenze del 10-07-2014 che aveva condannato alle pene di legge La. Ve. in quanto ritenuta responsabile del delitto di ricettazione di un telefono cellulare. 1.2 Avverso detta sentenza proponeva ricorso per cassazione il difensore dell'imputata deducendo con distinti motivi - violazione dell'art. 606 lett. b e c cod. proc. pen. quanto alla valutazione delle prove poiché il giudice di appello aveva fondato l'affermazione di responsabilità sulla mancata allegazione da parte dell'imputata di fatti a sua discolpa senza però che il silenzio serbato sulle modalità di ricezione del bene potesse qualificarsi prova diretta della colpevolezza, potendo anche rispondere ad una strategia difensiva con conseguente violazione dell'art. 192 cod. proc. pen. e comunque sussistendo un ragionevole dubbio - violazione dell'art. 606 lett. b e c cod. proc. pen. per inosservanza della legge penale a seguito della mancanza di motivazione sui motivi di appello proposti con i quali si era evidenziata la difformità tra le richieste formulate dalla difesa all'udienza del 10 luglio 2014 di conclusioni del giudizio di primo grado e quanto riportato in epigrafe, con conseguente lesione del diritto di difesa - violazione dell'art. 606 lett. c cod. proc. pen. per motivazione incompleta in ordine ai motivi di appello proposti e pretermessi. Considerato in diritto 2.1 II ricorso è proposto per motivi manifestamente infondati ovvero genericamente esposti e deve, pertanto, essere dichiarato inammissibile. Quanto al primo motivo la responsabilità per il delitto di ricettazione risulta affermata tenuto conto dell'accertata, e mai convincentemente giustificata, disponibilità del telefonino di provenienza furtiva in oggetto all'evidenza acquisita fuori dai canali ordinari e legittimi di circolazione . In tal modo, la Corte di appello si è correttamente conformata - quanto alla qualificazione giuridica del fatto accertato - al consolidato orientamento di questa Corte per tutte, Sez. 2, n. 29198 del 25/05/ 2010, Rv. 248265 , per il quale, ai fini della configurabilità del reato di ricettazione, la prova dell'elemento soggettivo può essere raggiunta anche sulla base dell'omessa o non attendibile indicazione della provenienza della cosa ricevuta, la quale è sicuramente rivelatrice della volontà di occultamento, logicamente spiegabile con un acquisto in mala fede d'altro canto Sez. 2, n. 45256 del 22/11/2007, Lapertosa, Rv. 238515 , ricorre il dolo di ricettazione nella forma eventuale quando l'agente ha consapevolmente accettato il rischio che la cosa acquistata o ricevuta fosse di illecita provenienza, non limitandosi ad una semplice mancanza di diligenza nel verificare la provenienza della cosa, che invece connota l'ipotesi contravvenzionale dell'acquisto di cose di sospetta provenienza. Né si richiede all'imputato di provare la provenienza del possesso delle cose, ma soltanto di fornire una attendibile spiegazione dell'origine del possesso delle cose medesime, assolvendo non ad onere probatorio, bensì ad un onere di allegazione di elementi, che potrebbero costituire l'indicazione di un tema di prova per le parti e per i poteri officiosi del giudice, e che comunque possano essere valutati da parte del giudice di merito secondo i comuni principi del libero convincimento in tal senso, Cass. pen., Sez. un., n. 35535 del 12/07/2007, Rv. 236914 . E, nel caso di specie, l'acquisto di un telefono cellulare fuori dai canali ufficiali di commercializzazione, è certamente sintomatico del dolo quanto meno eventuale Sez. un., n. 12433 del 26/11/2009, 30/03/2010, Rv. 246324 di ricettazione. 2.2 Quanto al secondo e terzo motivo, secondo il costante orientamento di questa corte di cassazione l'omessa indicazione, in sentenza, delle conclusioni delle parti - requisito formalmente richiesto dall'art. 546 cod. proc. pen. - non ne determina la nullità, non essendo quest'ultima prevista espressamente da alcuna norma di legge, né lede in alcun modo i diritti della difesa, sicché non può farsi rientrare neanche tra le nullità di ordine generale Sez. 1, n. 39447 del 04/10/2007, Rv. 237736 l'applicazione del sopra esposto principio comporta dichiarare la manifesta non fondatezza del motivo proposto poiché la sola difformità tra le conclusioni assunte dalla difesa all'udienza di discussione della causa in primo grado e quelle riportate nella pronuncia del tribunale di Firenze non comporta alcuna nullità nell'assenza evidente di qualsiasi disposizione che tale precisa sanzione stabilisca ed in virtù del generale principio di tassatività della nullità. Palesemente generico appare il terzo motivo poiché non viene in alcun modo indicata quale precisa ragione di doglianza la corte di appello avrebbe dovuto esaminare né tanto meno quale decisività ai fini della decisione il motivo pretermesso avrebbe avuto. In conclusione, l'impugnazione deve ritenersi inammissibile a norma dell'art. 606 comma terzo cod. proc. pen. alla relativa declaratoria consegue, per il disposto dell'art. 616 cod. proc. pen., la condanna della ricorrente al pagamento delle spese processuali, nonché al versamento in favore della Cassa delle ammende di una somma che, ritenuti e valutati i profili di colpa emergenti dal ricorso, si determina equitativamente in Euro 2.000,00. P.Q.M. dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro duemila in favore della Cassa delle ammende.