Suicidio assistito in Svizzera: fu libera e consapevole la scelta di Davide Trentini

Cadono le accuse nei confronti di Marco Cappato e Mina Welby. Per i Giudici le testimonianze dei familiari di Trentini consentono di appurare che la sua decisione è stata pienamente autonoma, legata a una volontà precisa e connessa a una situazione di vita caratterizzata da enorme sofferenza e dalla dipendenza dai trattamenti sanitari e dai familiari.

Fu una scelta libera e consapevole quella presa nel 2017 da Davide Trentini, cioè rivolgersi a una struttura in Svizzera per ottenere un suicidio assistito , morire dignitosamente e porre fine alla sofferenza connessa alla inarrestabile sclerosi multipla che lo aveva colpito venti anni prima. Di conseguenza, nessun addebito è possibile nei confronti di Marco Cappato e Wihelmine Schett – nota come Mina Welby – che hanno aiutato Davide a raggiungere il suo scopo ma che non possono per questo essere ritenuti responsabili né di rafforzamento del proposito suicidario” né di agevolazione dell’esecuzione del suicidio”. Corte d’Assise di Massa, sentenza n. 1/20, depositata il 2 settembre . L’origine del caso giudiziario risale all’aprile del 2017, quando Davide Trentini, 53 anni di età, affetto da 20 anni dalla sclerosi multipla , riesce a mettere in atto il proprio progetto e in una clinica in Svizzera porta a compimento il proprio suicidio. A rendere possibile questa azione è anche il contributo offerto da Marco Cappato e Mina Welby, che finiscono per questo sotto processo. Fondamentale per evitare la loro condanna è l’istruttoria che, grazie a diverse testimonianze, consente di appurare che in maniera autonoma e consapevole Davide Trentini ha deciso di porre fine alle proprie sofferenze, a una vita in perenne dipendenza dai farmaci e da altre persone. Esemplare, in questa ottica, il racconto fatto dalla madre di Davide Trentini. La signora spiega che il figlio era affetto da sclerosi multipla, insorta circa venticinque anni prima , cioè dal 1993, e che mentre nella fase iniziale del decorso della patologia, era riuscito abbastanza a fare una vita normale, riuscendo anche a svolgere un’attività lavorativa , successivamente, in una seconda fase, la malattia aveva avuto un decorso sempre più rapido ed aggressivo, progredendo in maniera assai accentuata e peggiorando sempre più le condizioni del figlio. Di conseguenza, negli ultimi anni della sua vita , il Trentini non poteva fare niente della vita quotidiana non riusciva ultimamente più a mangiare da solo perché prendeva in mano il cucchiaio e cadeva per riuscire ad alzarsi dal letto, per fare la doccia e per fare altri movimenti, era costretto a ricorrere al sostegno fisico di altre persone la madre o anche i vicini di casa per muoversi doveva necessariamente utilizzare una sedia a rotelle o un deambulatore ma ciononostante spesso finiva col cadere in terra perché le gambe a un certo punto non reggevano. Soffriva di dolori fortissimi, che lo affliggevano anche quando stava seduto e fermo aveva dei dolori per tutto il corpo, era soggetto a spasmi continui che lo costringevano ad irrigidirsi alle volte sembrava un marmo . Inizialmente, i suoi dolori erano stati trattati e tenuti sotto controllo con il ricorso a farmaci ed antidolorifici . Poi però i dolori erano andati via via progressivamente aumentando e anche la somministrazione di detti farmaci era stata sempre maggiore si era fatto ricorso alla terapia del dolore, utilizzando farmaci e trattamenti sempre più potenti ed invasivi, come i cerotti con l’oppio, la marijuana terapeutica e il metadone. Soprattutto il ricorso alla marijuana terapeutica, ma anche al metadone, erano riusciti, inizialmente, a ridurre fortemente ed a contenere le sofferenze fisiche del Trentini, ma negli ultimi anni, racconta la madre, la terapia del dolore non riusciva più ad alleviare i dolori del figlio. Così, non riuscendo più a sopportare quella condizione era ridotto che lui diceva che non era più un uomo” , il Trentini aveva iniziato a pensare al suicidio , racconta ancora la madre, aggiungendo che a lei aveva detto che avrebbe voluto suicidarsi anche gettandosi dalla finestra della sua abitazione . Successivamente, consultando diversi siti internet, aveva scoperto che vi erano delle strutture sanitarie che operavano legalmente in Svizzera e che potevano aiutarlo a porre fine senza dolore alla sua esistenza e aveva quindi preso contatto con varie strutture, prima di riuscire, anche tramite Cappato e Welby, a trovare il posto giusto, sempre in Svizzera, per programmare e realizzare il proprio suicidio, messo in atto nell’aprile del 2017, coll’ultimo viaggio verso la terra elvetica, viaggio cominciato col saluto di addio alla mamma Stai tranquilla perché io vado a stare bene”. Per i giudici le testimonianze raccolte – non solo quella della mamma di Trentini, ma anche quella della sorella e quella della compagna – consentono di affermare che il proposito di suicidio era sorto nel Trentini indipendentemente da qualsiasi intervento da parte di Cappato e Welby. Non a caso, la struttura svizzera era stata già individuata autonomamente dallo stesso Trentini che però l’aveva abbandonata pensando di poter attuare più celermente il suo proposito ricorrendo a un’altra struttura poi chiusa dalle autorità della Svizzera , e ciò significa che il successivo intervento di Cappato e Welby si era limitato a permettere al Trentini di riallacciare quel contatto con la struttura senza ulteriori ritardi . In sostanza, le due persone sotto accusa non hanno influito sul processo volitivo che ha condotto il Trentini a decidere di suicidarsi . E difatti, la decisione di porre fine alla propria vita era stata presa dal Trentini parecchi mesi prima di contattare Cappato e Welby . Per quanto concerne, invece, l’ipotesi accusatoria relativa a una presunta condotta di agevolazione all’esecuzione del suicidio , i giudici ritengono vada applicata la prospettiva tracciata dalla Corte Costituzionale che ha creato una nuova causa di giustificazione in presenza della quale l’agevolazione all’esecuzione del suicidio non è punibile , prevedendo requisiti precisi, ossia 1 deve essere stato accertato da un medico che la patologia era irreversibile, 2 deve essere stato verificato da un medico che il malato pativa una grave sofferenza fisica o psicologica, 3 deve essere stato oggetto di verifica in ambito medico che il paziente dipendeva da trattamenti di sostegno vitale, 4 un medico deve avere accertato che il malato era capace di prendere decisioni libere e consapevoli, 5 la volontà dell’interessato deve essere stata manifestata in modo chiaro e univoco, compatibilmente con quanto è consentito dalle sue condizioni, 6 il paziente deve essere stato adeguatamente informato sia in ordine alle sue condizioni, sia in ordine alle possibili soluzioni alternative, segnatamente con riguardo all’accesso alle cure palliative . In questo caso, osservano i giudici, vi sono tutti i predetti requisiti, considerata nei dettagli la storia di Davide Trentini, che, tra l’altro, era affetto da una patologia irreversibile e pativa una grossa sofferenza fisica , dipendeva da trattamenti di sostegno vitale , intesi come qualsiasi trattamento sanitario la cui interruzione provocherebbe la morte del malato, anche in maniera non rapida , ed era ridotto in una condizione di oggettiva ed assoluta dipendenza da un’altra persona e tale dipendenza concerneva i suoi bisogni vitali come mangiare, muoversi, andare in bagno . Da non dimenticare, poi, la chiara ed univoca volontà del Trentini di suicidarsi , chiosano i giudici. Tutti gli elementi a disposizione, quindi, consentono di far cadere le accuse nei confronti di Cappato e Welby, poiché manca qualsiasi prova del fatto che vi sia stata una condotta di rafforzamento del proposito di suicidio del Trentini che, invece, si era autonomamente e liberamente determinato al suicidio .

Corte d’Assise di Massa, sentenza 27 luglio – 2 settembre 2020, n. 1 Presidente/Relatore De Mattia Fatto e diritto 1. Con decreto di giudizio immediato ritualmente notificato, Ca. Ma. e Sc. Wi. nota anche come Mi. We. sono stati tratti a giudizio dinanzi a questa Corte per rispondere del reato loro ascritto in epigrafe. Al dibattimento, svoltosi in presenza degli imputati, è stata acquisita la documentazione prodotta e si è proceduto all'esame dei testi Ma. An. Ma., Tr. Ka. e Go. Ro., all'esame del CT della difesa Ri. Mario ed all'esame di entrambi gli imputati. L'imputato Ca. ha anche reso spontanee dichiarazioni. E’ stata, infine, respinta la richiesta del P.M. di disporre ai sensi dell'art. 507 c.p.p. una perizia medica o in subordine di assumere altre testimonianze richiesta rigettata per le motivazioni esposte nell'ordinanza letta in udienza a cui si rinvia, oltre che per quelle desumibili dalla presente sentenza nella parte in cui si evidenzia la non decisività delle dichiarazioni del dr. Ri. . Al termine dell'istruttoria, si è proceduto alla discussione, all'esito della quale, il P.M. ed i difensori degli imputati hanno formulato le richieste trascritte a verbale. Alla luce delle risultanze processuali, il Collegio ritiene che gli imputati debbano essere assolti dal reato loro ascritto perché il fatto non sussiste quanto alla condotta di rafforzamento del proposito di suicidio e perché il fatto non costituisce reato quanto alla condotta di agevolazione dell'esecuzione del suicidio. Ed invero, dall'istruttoria espletata è emerso quanto qui di seguito si espone. 2. La teste Ma. madre del defunto Tr. Da. ha dichiarato che, nel 2016-17, suo figlio Tr. Da. era affetto da sclerosi multipla insorta circa venticinque anni prima. Nella fase iniziale del decorso della patologia, il Tr. era riuscito abbastanza a fare una vita normale , riuscendo anche a svolgere un'attività lavorativa. Ma successivamente, in una seconda fase, la malattia aveva avuto un decorso sempre più rapido ed aggressivo, progredendo in maniera assai accentuata e peggiorando sempre più le condizioni del Tr. sempre peggio, sempre peggio la malattia era divenuta progressiva e non remittente. Di conseguenza, negli ultimi anni della sua vita, il Tr. non poteva fare niente della vita quotidiana non riusciva ultimamente più a mangiare da solo perché prendeva in mano il cucchiaio e cadeva per riuscire ad alzarsi dal letto, per fare la doccia e per fare altri movimenti, era costretto a ricorrere al sostegno fisico di altre persone la madre o anche i vicini di casa per muoversi doveva necessariamente utilizzare una sedia a rotelle o un deambulatore ma ciononostante spesso moltissime volte finiva col cadere in terra perché le gambe a un certo punto non reggevano . Soffriva di dolori fortissimi, che lo affliggevano anche quando stava seduto e fermo aveva dei dolori per tutto il corpo , era soggetto a spasmi continui che lo costringevano ad irrigidirsi alle volte sembrava un marmo . Inizialmente, i suoi dolori erano stati trattati e tenuti sotto controllo con il ricorso a farmaci ed antidolorifici. Siccome poi i dolori erano andati via via progressivamente aumentando, anche la somministrazione di detti farmaci era stata sempre maggiore si era fatto ricorso alla terapia del dolore, utilizzando farmaci e trattamenti sempre più potenti ed invasivi, come i cerotti con l'oppio, la marijuana terapeutica e il metadone. Soprattutto il ricorso alla marijuana terapeutica, ma anche al metadone, erano riusciti, inizialmente, a ridurre fortemente ed a contenere le sofferenze fisiche del Tr Ma, negli ultimi anni, la terapia del dolore non riusciva più ad alleviare i dolori del Tr Il Tr. chiedeva disperatamente ai medici qualcosa di più forte . Di fronte a quelle richieste, sempre più pressanti, una volta un medico, che già gli aveva prescritto il massimo dei cerotti con il Fe. , gli aveva risposto io più di questo non posso darti, non esiste più di quello che ti do . Il medesimo medico, rendendosi conto delle indescrivibili sofferenze che affliggevano il povero Tr., aveva osservato tu sei ridotto a un punto che se ti copri col lenzuolo senti dolore . Il Tr., infatti, aveva dei dolori per tutto il corpo , aveva frequenti spasmi e contrazioni che portavano il suo corpo ad irrigidirsi che alle volte sembrava di marmo . Inoltre, era costretto ad andare molto spesso al bagno perché la malattia gli provocava lo stimolo cerebrale di urinare anche quando non aveva tale bisogno doveva sempre andare in bagno , perché la malattia lo portava come se se la dovesse fare sotto , stava sul gabinetto proprio le ore, ore e ore . Non riuscendo più a sopportare quella condizione era ridotto che lui diceva che non era più un uomo, la malattia era andata avanti e non ce la faceva più , non ce la faceva più dai dolori , il Tr. aveva iniziato a pensare al suicidio. Ciò era avvenuto per la prima volta nel 2015 la teste ha datato il momento in cui il figlio aveva iniziato ad esprimere la sua volontà di togliersi la vita fissandolo in un paio d'anni prima del decesso avvenuto nell'aprile 2017 . Più volte aveva detto alla madre che avrebbe voluto suicidarsi anche gettandosi dalla finestra della sua abitazione ma che, a causa dell'indebolimento dovuto alla sua patologia, non aveva la forza fisica per scavalcare la finestra e temeva che, se si fosse gettato dalla finestra della sua abitazione, non avrebbe potuto avere la sicurezza di morire in quanto il suo appartamento era al secondo piano, con la conseguenza che avrebbe rischiato ulteriori ancor più gravi sofferenze il Tr. diceva alla madre se ce la facessi mi butterei, però non ce la faccio, non ce la posso fare a scavalcare il balcone , poi siamo al secondo piano, se casco e non mi succede, dopo soffro ancora di più . Consultando allora i siti Internet, aveva scoperto che vi erano delle strutture sanitarie che operavano legalmente in Svizzera e che potevano aiutarlo a porre fine senza dolore alla sua esistenza. Aveva quindi preso contatto con un ente denominato Exit il quale lo aveva messo in contatto con una struttura svizzera che si occupava di questo tipo di operazioni. Aveva poi momentaneamente lasciato cadere quei contatti in quanto riteneva troppo lunghi i tempi che gli erano stati prospettati, voleva farlo più presto e temeva che, dovendo recarsi fino a Zurigo, avrebbe dovuto fare un viaggio troppo lungo e lui credeva di non farcela . Aveva, perciò, contattato un'altra struttura, sempre in Svizzera, che gli aveva garantito dei tempi più rapidi e che era ubicata in una località più vicina. Ma anche quella soluzione era stata poi da lui abbandonata perché successivamente quella struttura era stata chiusa dalle autorità svizzere . A quel punto, si era rivolto all'associazione di cui facevano parte gli imputati Ca. e Sc. per essere aiutato ad andare in Svizzera. I contatti con gli imputati erano stati tenuti sia via email che mediante telefonate, sia da parte del Tr. che da parte di sua madre. Quindi, tramite l'associazione di cui facevano parte gli imputati, il Tr. era nuovamente entrato in contatto con la Lifecircle. L'imputata Sc. aveva personalmente telefonato alla dr.ssa Pr. della Lifecircle chiedendo ed ottenendo di velocizzare i tempi. Siccome per quell'operazione il Tr. doveva corrispondere la somma di 8mila Euro alla Lifecircle e siccome era riuscito insieme alla madre a racimolare solo 5mila Euro mettendoli da parte a poco a poco risparmiandoli dalle rispettive pensioni , aveva chiesto al Ca. anche un aiuto economico. L'imputato gli aveva dato 1200 Euro. Il Ca. era anche venuto a Massa allo scopo di conoscere personalmente il Tr. e vedere le sue vere intenzioni . In questo modo, si era arrivati ad organizzare il viaggio in Svizzera. Il Tr. era partito la mattina del 12/4/17. Al momento di partire, aveva salutato la madre dicendole mamma però stai tranquilla perché io vado a stare bene . Il viaggio era avvenuto a bordo dell'ambulanza della Croce Bianca alla quale non era stato comunicato il vero motivo del viaggio . Sull'ambulanza era salita anche l'imputata Sc Quest'ultima, una volta giunti a destinazione, aveva contribuito all'attuazione dell'operazione anche fungendo da traduttrice dal tedesco all'italiano e viceversa degli atti e dei colloqui tra il Tr. ed i medici, oltre che da testimone ai fini dell'attestazione delle generalità del Tr La predetta teste Ma. ha anche precisato che il figlio aveva iniziato a pensare al suicidio intorno al 2015 ed aveva definitivamente maturato tale decisione nel 2016 che, pur essendo gravemente malato, il figlio era perfettamente consapevole di quello che faceva mio figlio era malato, era messo male, ma era perfettamente capace che nessuno aveva determinato la sua decisione di togliersi la vita né aveva influito su di essa era proprio lui, era capace di intendere e di volere nel vero senso della parola che, infatti, era fermamente convinto di volersi togliere la vita era la cosa più bella che per lui potesse arrivare , quando mi ha salutato mi ha detto mamma, però stai tranquilla perché io vado a stare bene che, quando aveva appreso dai mass media che Fa. An. noto anche come DJ Fa. , malato affetto da tetraplegia e cecità era deceduto a seguito di eutanasia in Svizzera nel febbraio del 2017 , aveva commentato dicendo beato lui, lui ce l'ha fatta, beato lui che anche i fratelli e le sorelle del Tr. avevano cercato, senza riuscirvi, di dissuaderlo dal mettere in atto quel proposito aveva risposto alla sorella, che gli diceva che non voleva perderlo sei egoista, tu pensi a te, ma tu pensa a me, al mio dolore ma non vi era stato alcun modo di fargli cambiare idea nessuno gli poteva far cambiare idea, nessuno, nessuno al mondo . 3. La teste Tr. Ka. sorella del defunto Tr. Da. ha dichiarato che, negli ultimi anni della sua vita, suo fratello pativa delle fortissime sofferenze fisiche soffriva molto, molto, molto . A causa delle sofferenze fisiche, non riusciva neanche a dormire. Non poteva muoversi senza l'ausilio di un deambulatore. Per alzarsi dal letto, doveva essere necessariamente aiutato da un'altra persona e spesso, nel muoversi, finiva col cadere in terra. Per alleviare i dolori, utilizzava dei medicinali molto potenti , compresa la marijuana terapeutica, ma negli ultimi anni non facevano tanto effetto . Per questo motivo, all'incirca nel 2014, aveva iniziato a pensare al suicidio. Nel 2015, aveva poi definitivamente maturato la decisione di porre fine alla sua vita. Ai familiari diceva che avrebbe voluto gettarsi dal balcone di casa ma che non aveva la forza fisica di scavalcare il balcone e aveva paura che magari non moriva . Nel 2016 aveva deciso di attuare il suo proposito suicidiario recandosi in una struttura in Svizzera. Sia la teste che gli altri fratelli, i parenti e gli amici avevano cercato di dissuaderlo da tale decisione ma il Tr. era fermamente ed irremovibilmente convinto di voler attuare quel proposito era decisissimo , era stradeciso . Ai familiari che cercavano di convincerlo a ripensarci, diceva che non ne poteva più , che la sua vita era sempre e solo dolore , che non potevano capire quanto soffriva e che sarebbe stato sempre peggio il suo dolore , che soffriva talmente tanto che non voleva più vivere , che non aveva via di uscita . Perciò non erano riusciti a dissuaderlo. Però non gli avevano dato l'aiuto economico che chiedeva loro per potersi recare in Svizzera per l'eutanasia. 4. La teste Go. ha dichiarato di essere stata compagna del defunto Tr. Da. nel periodo dal 1997 al 2013. Si erano conosciuti quando il Tr. era già malato di sclerosi multipla da quattro anni. In quel periodo, però, la malattia non limitava minimante la sua vita quotidiana a vederlo avresti detto che non aveva nessun tipo di malattia e l'unico farmaco che il Tr. assumeva era il cortisone, peraltro solo in quei momenti in cui la malattia aveva una ricaduta . Successivamente, pur essendovi stato un peggioramento, la patologia veniva comunque tenuta sotto controllo con il ricorso all'interferone. In tale periodo, quando si verificavano delle ricadute, assumeva l'interferone ed in tal modo riusciva ancora a recuperare. Tuttavia, siccome la patologia aveva continuato a lentamente progredire, nel 2005, anche l'interferone era divenuto inefficace. Essendovi stato questo peggioramento, nel 2006 quando il Tr. e la Go. avevano deciso di iniziare a convivere il Tr. aveva consultato diversi medici e gli era stato diagnosticato che la malattia era evoluta da remittente recidivante a secondariamente progressiva , cioè una forma che progredisce lentamente e non recuperi più quello che perdi nel tempo . Per far fronte a quella situazione, aveva iniziato ad assumere farmaci più forti . Aveva anche iniziato un ciclo di chemioterapia. In particolare, aveva assunto farmaci chemioterapici dal 2007 al 2011. In quegli anni, erano iniziati i problemi nella deambulazione ed in generale nei movimenti del corpo aveva difficoltà nel muovere la mano sinistra, aveva difficoltà nel camminare, aveva problemi enormi di equilibrio, cadeva in continuazione, cadeva spessissimo . Contemporaneamente, aveva dovuto assumere anche altri farmaci per far fronte agli effetti collaterali dei farmaci chemioterapici. Ma la malattia aveva continuato a peggiorare. Nel 2011 aveva dovuto interrompere i chemioterapici perché aveva raggiunto il limite di tempo massimo di possibile somministrazione. Aveva assunto, come antidolorifico, anche la cannabis terapeutica fornitagli dalla ASL perché aveva degli spasmi muscolari terrificanti . Nel 2013, la Go. ed il Tr. si erano lasciati e dal 2014 il Tr. era definitivamente tornato ad abitare a casa di sua madre. Ma la Go. ed il Tr. erano rimasti in contatto come amici. Nel 2014-2015, il Tr. era veramente peggiorato . Siccome provava sofferenze fisiche e dolori sempre maggiori, aveva iniziato la terapia del dolore. Avvertiva dei fortissimi dolori alla schiena che gli impedivano di rimanere sdraiato. Avendo problemi neurologici, avvertiva lo stimolo di urinare anche quando non aveva effettivamente quel bisogno e quindi passava intere giornate al bagno . Aveva perciò iniziato ad assumere antidolorifici molto forti , farmaci contro il dolore sempre più forti e a dosaggi sempre più alti . Nel 2015-2016, poteva muoversi solo con l'aiuto di una sedia a rotelle o di un deambulatore. In quel periodo, non era più in grado di prepararsi da mangiare da solo ma, già nel 2014, per farsi il pranzo poteva passarci un pomeriggio perché stava un po' al lavandino, poi doveva sedersi, poi si rimetteva li . A causa dei problemi nella deambulazione, all'inizio del 2016 era caduto e si era fratturato le costole e la clavicola. La prima volta in cui il Tr. aveva parlato alla Go. della sua volontà di suicidarsi era stato alla fine del 2015. Quella volta, la Go. aveva preso quel discorso come uno sfogo momentaneo e passeggero di una persona esasperata dai dolori. Ma, all'inizio del 2016, quando la Go. si era recata in ospedale dove il Tr. era ricoverato a seguito della caduta che gli aveva procurato la frattura delle costole e della clavicola, il Tr. le aveva detto molto seriamente che aveva l'intenzione di suicidarsi e che aveva iniziato a documentarsi su quali potevano essere le associazioni per aiutarlo , facendo delle ricerche in tal senso su internet. II Tr. era decisissimo ad attuare quel proposito. La Go. aveva cercato di dissuaderlo ma non vi era riuscita. Aveva cercato di convincerlo dicendogli che in futuro si sarebbero potute scoprire delle cure nuove ma il Tr. le aveva spiegato che non ce la faceva più perché lui stava male ora , non riusciva più a vivere perché avvertiva dei dolori fisici che erano intollerabili e che erano costanti, da quando era sveglio fino a quando non si addormentava. Aveva anche affermato che avrebbe voluto suicidarsi gettandosi dal balcone ma non lo faceva anche perché aveva paura di soffrire ancora di più qualora fosse rimasto in vita. Ed aveva aggiunto e poi perché devo infliggermi una morte così terrificante e dolorosa? Che ho fatto di male? Io voglio una morte dignitosa e, se è possibile, non voglio sentire dolore in quell'occasione, visto che ne sento già tantissimo . Il Tr. aveva, quindi, fatto diverse ricerche in internet ed aveva in tal modo instaurato vari contatti finalizzati ad attuare il suo proposito. In particolare, aveva contattato prima una struttura svizzera denominata Lifecircle e poi una associazione italiana denominata Exit Italia. Quest'ultima lo aveva, a sua volta, messo in contatto con un'altra struttura svizzera. Aveva inviato in Svizzera a quest'altra struttura tutta la documentazione sanitaria necessaria ed aveva atteso la valutazione. Quindi, all'inizio del 2017, aveva ricevuto luce verde , essendo stata accolta la sua richiesta ed essendo stato fissato un appuntamento. Dal momento in cui lui aveva avuto luce verde lui non vedeva l'ora che arrivasse questo appuntamento . Tuttavia, nell'imminenza di quell'appuntamento, era stato contattato da quella struttura svizzera, la quale, rappresentando di aver avuto dei problemi a seguito di controlli operati dalle autorità svizzere, aveva rinviato di una settimana l'appuntamento. Erano seguiti ulteriori rinvii di settimana in settimana il Tr. parlava al telefono con una persona di nome Isabel che lo informava dei rinvii , fino a quando, a febbraio del 2017, il Tr. aveva perso la pazienza, aveva litigato con i responsabili di quella struttura ed aveva chiesto ed ottenuto la restituzione della somma che aveva a loro inviato. A quel punto, il Tr. si era rivolto all'associazione di cui facevano parte gli imputati Ca. e Sc. per chiedere loro di aiutarlo. Il contatto con la predetta associazione non aveva in alcun modo rafforzato il proposito suicidiario del Tr., che aveva già maturato quell'intenzione in precedenza il Tr. si era rivolto a quell'associazione solo perché cercava il modo per arrivare alla Svizzera e sapeva che lui da solo non avrebbe potuto non ci sarebbe riuscito . Quindi, l'associazione, ed in particolare il Ca., avevano fornito al Tr. la somma che gli mancava circa mille Euro per raggiungere la cifra di cui necessitava per pagare la Lifecircle. La Sc., inoltre, aveva nuovamente contattato la Lifecircle e così era stata fissata una nuova data per eseguire l'operazione in Svizzera. La Sc. aveva anche aiutato il Tr. ad ottenere dall'anagrafe di Roma il certificato di nascita richiesto dalla Lifecircle. La mattina del 12/4/17 il Tr. era partito per la Svizzera. Aveva effettuato il viaggio a bordo di un'ambulanza insieme all'imputata Sc La Go. aveva seguito l'ambulanza alla guida della propria autovettura. Giunto a destinazione, il Tr. aveva effettuato due lunghi colloqui con i medici svizzeri uno il giorno dell'arrivo e l'altro il giorno dopo. In quei colloqui, che erano stati anche filmati, era stato accertato, tramite le risposte date dal Tr. alle insistenti domande dei medici, che il Tr. era convinto di quello che stava facendo , che era pienamente consapevole di quello che stava facendo e che era fermamente deciso veramente convinto di porre fine alla sua vita. I colloqui erano avvenuti anche con l'aiuto della Sc. che fungeva da interprete dal tedesco all'italiano. La Go. aveva anche più volte detto al Tr. che, se avesse avuto dei ripensamenti, poteva tornare con lei in auto. Ma il Tr. non aveva mai avuto alcun tipo di ripensamento, nemmeno un momento, mai . La notte tra il 12 ed il 13/4/17, il Tr. e la Go. erano rimasti a parlare quasi tutta la notte e la Go. aveva notato che il Tr. era particolarmente sereno non lo avevo visto così sereno e rilassato da anni, era veramente sereno, cioè io ho avuto l'impressione che fosse il posto proprio dove lui voleva essere in quel momento . Quindi, il 13/4/17 gli era stata applicata la flebo necessaria per far assumere il farmaco che doveva provocare la morte. Il Tr. aveva personalmente azionato il meccanismo che gli aveva insufflato il farmaco che in pochi secondi aveva determinato il decesso. L'azione del Tr. era stata filmata ed il filmato era poi stato acquisito dalla Polizia nel rispetto della procedura prevista dalla normativa svizzera per quel tipo di operazioni. 5. Dalla documentazione sanitaria acquisita è emerso quanto qui di seguito viene riportato. In particolare, dal certificato del 16/1/14 del reparto di Neurologia dell'Ospedale Careggi è risultato che Tr. Da. era affetto da sclerosi multipla, malattia demielizzante del sistema nervoso centrale a decorso cronico progressivo. La malattia era esordita nel 1993 poi con un iniziale recupero. Era proseguita con decorso recidivante remittente ad elevata frequenza di riacutizzazioni cliniche e con scarsa risposta alla terapia steroidea ed accumulo di disabilità. Dal 2005 la patologia aveva assunto un decorso secondariamente progressivo. Quanto alla terapia, dal 2000 al 2005 aveva assunto una terapia a base di immunomodulanti, prima con interferone a basso dosaggio e poi con interferone ad alto dosaggio. Aveva poi fatto una terapia con immunosoppressori dal 2007 al 2010 ciclofosfamide1 e dal 2010 al 2011 mitoxantrone2. Nel 2011-2012, era stata tentata terapia con azatioprina3, interrotta per epigastralgia. Nel 2013, si era verificato un ulteriore peggioramento del disequilibrio e della paraparesi4 , con necessità di ricorrere all'appoggio monolaterale costante per la deambulazione . Al 16/1/14, l'esame obiettivo neurologico aveva evidenziato, tra l'altro, marcia marcatamente atassica5, possibile solo con appoggio monolaterale , parola scandita ed aumento diffuso di riflessi osteotendinei . Vi era, inoltre, urgenza minzionale e spiccata faticabilità. Il giudizio finale era quello che l'insieme dei disturbi neurologici determinava una importante limitazione funzionale del paziente nella marcia e nelle comuni attività della vita quotidiana , per lo svolgimento delle quali era indispensabile una assistenza continua . Con verbale di accertamento di invalidità civile in data 1/4/14 era stato attestato che il Tr. presentava passaggi posturali e deambulazione condotti con evidente difficoltà, deambulazione atassica, forza prensile delle mani fortemente ridotta, dolori diffusi. Era stato richiamato il contenuto del predetto certificato del 16/1/14 ed era stata formulata diagnosi di paziente affetto da sclerosi multipla a decorso secondariamente progressivo con evidente deficit statico e dinamico e discopatie multiple nel tratto cervico dorsale. Si era concluso con un giudizio secondo cui il Tr. doveva essere considerato invalido con totale e permanente inabilità lavorativa al 100% e con necessità di assistenza continua non essendo in grado di compiere gli atti quotidiani . Dal certificato del 30/6/14 è emerso che, in quella data, il Tr., affetto da sclerosi multipla secondariamente progressiva , aveva riferito ai medici che dal dicembre 2013 vi era stato un ulteriore peggioramento con ulteriore riduzione dell'autonomia di marcia e aumento dei dolori ai quattro arti . Stava assumendo il farmaco Sativex6 che in quel momento aveva ridotto, senza eliminarli, gli spasmi dolorosi. Era stata constatata marcia atassica e paraparetica con autonomia per meno di 100 metri, marcata atassia ai quattro arti, disartria7 con parola scandita. Dal certificato del 18/12/15 è risultato che il Tr. in precedenza aveva effettuato anche cicli di fisioterapia. Alla data del 18/12/15, la deambulazione del Tr. era atassica e paraparetica, senza ausili in ambiente domestico ma con deambulatore in ambiente extradomestico. Risultava aumentato il ROT riflesso osteo-tendineo agli arti inferiori e presentava disartria. Con l'assunzione di marijuana riusciva a ridurre gli spasmi muscolari agli arti inferiori. Dal certificato del 3/11/16 è risultato che il Tr. era, a quella data, affetto da sclerosi multipla diagnosticata per la prima volta più di 20 anni prima. In quel momento, la patologia era molto disabilitante . Il paziente era pienamente cosciente della propria condizione clinica ed era informato in merito a natura e prognosi della patologia . Seguiva regolarmente le terapie prescrittegli. In conseguenza di quella malattia, aveva sviluppato anche una sindrome depressiva reattiva e distrofie cutanee da decubito. 6. L'imputato Ca., esaminato al dibattimento, ha dichiarato che aveva costituito, insieme all'imputata Sc. ed a Fraticelli Gustavo, l'associazione denominata Soccorso Civile. L'associazione aiutava le persone che volevano andare all'estero per ottenere l'assistenza alla morte volontaria. In particolare, l'associazione dava informazioni alle predette persone e le metteva in contatto con organizzazioni, come Lifercircle e Dignitas, che si occupavano di assistenza alla morte volontaria. Peraltro, le informazioni ed i contatti che venivano dati potevano comunque essere facilmente reperiti da chiunque navigando in internet. Nell'arco di circa tre anni, l'associazione era stata contattata da circa 650 persone che volevano aiuto per l'eutanasia all'estero. Ogni volta che veniva contattato da persone che chiedevano di essere aiutate a morire, il Ca. immediatamente cercava di convincerle a rivolgersi ad uno psicologo o ad uno psichiatra per un sostegno alla loro condizione di sofferenza. Solo dopo un contatto più approfondito, il Ca. forniva le informazioni, peraltro pubbliche perché reperibili in internet, per mettersi in contatto con strutture, come Dignitas o Lifecircle, che operavano all'estero e che aiutavano le persone a morire. Peraltro, in pochi casi, se veniva chiesto, il Ca. forniva anche un aiuto consistente in consigli giuridici o nell'accompagnare le persone all'estero o nell'aiutare economicamente le persone per il viaggio all'estero e per il pagamento dell'operazione. In tale contesto, il Ca. era entrato in contatto col Tr. per la prima volta nell'agosto del 2016. Il Ca. aveva ricevuto una mail proveniente dalla madre del Tr. che gli aveva raccontato la condizione di estrema sofferenza del figlio e gli aveva chiesto informazioni per poter aiutare il figlio che voleva andare in Svizzera per morire volontariamente. In quel momento, il Tr. aveva già maturato da alcuni mesi la sua volontà di porre fine alla sua vita. A quel contatto, erano poi seguiti numerosi altri contatti, sia via email che con telefonate, tra il Ca. ed il Tr., nel corso dei quali l'imputato aveva approfondito la conoscenza del Tr. ed aveva appreso che il Tr. era malato di sclerosi multipla ormai da 25 anni e pativa sofferenze continue divenute col tempo insopportabili. Nel corso di quelle comunicazioni e di quei colloqui, il Tr. non aveva mai manifestato il minimo tentennamento circa la sua scelta di porre fine alla sua esistenza non ho mai sentito nulla da parte sua che non fosse una ripetizione costante di questa sua esigenza, di questa sua volontà e soprattutto dell'urgenza di questa volontà quella di volersi togliere la vita era una decisione irremovibile, una volontà, ferma, assoluta e irremovibile , un'ossessione per subito , già dalle conversazione iniziali ma ancora più drammaticamente da dicembre in poi. Il racconto che era stato fatto al Ca. era quello di una persona che si era già sottoposta a lunghissimi anni di terapie, di ogni terapia che gli fosse stata prospettata, fino ad arrivare in una situazione di irreversibilità, progressività e dolore ormai del tutto insopportabile , così giungendo a maturare, ormai da almeno uno o due anni, la decisione di interrompere quella sofferenza ponendo fine alla propria vita. Inizialmente, nel corso dei primi contatti, il Ca. aveva dato al Tr. delle informazioni, peraltro da chiunque comunque reperibili su internet, con cui aveva indicato alcune strutture, quelle che lui riteneva essere le più serie ed affidabili, che operavano in Svizzera. Peraltro, il Tr. aveva già autonomamente individuato e contattato quelle ed altre strutture che aiutavano alla morte volontaria. Sempre inizialmente, il Tr. non aveva seguito le indicazioni fornitegli dal Ca. ma aveva scelto di rivolgersi ad una struttura che operava in Svizzera e che il Ca. gli aveva sconsigliato ritenendola non idonea e scarsamente affidabile. Infatti, il Ca. aveva informato il Tr. che, in merito alla struttura che il Tr. aveva scelto, aveva raccolto notizie che dimostravano che la stessa non garantiva il minimo di professionalità necessaria. Tuttavia, il Tr. aveva voluto procedere comunque con quell'organizzazione perché non riusciva più a sopportare le sue sofferenze fisiche, voleva fare il più presto possibile Da. aveva un problema di tempi, cioè di non sopportazione direi assoluta , non era disponibile ad aspettare tempi che avrebbero potuto essere più lunghi con organizzazioni più consolidate e l'organizzazione che aveva individuato era quella che gli assicurava i tempi più rapidi non essendo il Tr. disposto ad attendere neanche solo due mesi . Quindi, il Tr. aveva autonomamente tenuto i contatti con quell'organizzazione svizzera di cui il Ca. non ricordava il nome, ricordando soltanto che il Tr., per contattare quella struttura, era solito parlare con una persona di nome Isabel fino ad arrivare al punto che gli era stato dato un appuntamento in cui si sarebbe dovuto recare in Svizzera. Per pagare l'operazione, il Tr. disponeva solo di una parte di quanto richiesto dall'organizzazione svizzera e quindi il Ca. aveva anche promosso una raccolta pubblica di fondi mediante la quale era riuscito a reperire la somma di 1200 Euro, che aveva consegnato al Tr. nel febbraio 2017 e che quest'ultimo aveva utilizzato insieme ai soldi che lui aveva per pagare la predetta organizzazione. Tuttavia, in un secondo momento, le autorità svizzere avevano ordinato la sospensione dell'attività di quella struttura, sicché il Tr. non aveva potuto portare a termine il suo progetto. A quel punto, il Tr. si era nuovamente rivolto al Ca. chiedendogli di aiutarlo a realizzare il suo proposito ricorrendo ad una qualche altra struttura svizzera. Contemporaneamente, il Tr. aveva anche manifestato la sua seria intenzione di togliersi la vita da solo gettandosi dalla finestra se non fosse riuscito a trovare in tempi rapidi un'altra struttura svizzera che lo aiutasse ad attuare il suo intento suicidiario. Il Ca. si era prodigato nell'insistere affinchè il Tr. si prendesse il tempo per seguire una strada con tutte le garanzie , rivolgendosi ad un'organizzazione che rispettasse per filo e per segno le procedure previste dalla legge svizzera che, tra l'altro, prevedevano visite mediche, colloqui con i medici, verifica del consenso informato e assoluta possibilità di ripensamento fino all'ultimo momento. Il Ca. e la Sc. avevano allora contattato la Lifercircle alla quale peraltro lo stesso Tr. si era già in precedenza autonomamente rivolto, poi abbandonando quel contatto perché erano stati prospettati tempi da lui ritenuti troppo lunghi ed erano riusciti ad accelerare i tempi, in particolare, riuscendo ad evitare di dover ricominciare d'accapo la procedura, in quanto la Sc. già conosceva personalmente Pr. Er., responsabile della predetta organizzazione. Il Tr. era riuscito a farsi restituire i soldi che aveva dato alla prima organizzazione e li aveva usati per pagare la Lifercircle. Il Ca. aveva anche verificato che il Tr. trasmettesse alla Lifercircle tutta la documentazione sanitaria richiesta. La Sc. aveva procurato al Tr. la documentazione anagrafica necessaria per l'operazione. Il 7/4/17 il Ca. si era anche recato a Massa a casa del Tr., così facendo la sua conoscenza. Nel colloquio che vi era stato in quell'occasione tra il Ca. ed il Tr., quest'ultimo aveva manifestato la sua gratitudine e serenità che aveva conquistato grazie all'avere la certezza che quelle sofferenze sarebbero terminate . Il Ca. aveva verificato che anche la madre del Tr. era d'accordo con la decisione del figlio, ritenendo, anche lei, che non vi era altra possibilità o altro tentativo da compiere e questo atteggiamento della madre era stato molto importante nel contribuire a rassicurare ulteriormente il Ca. in merito alla gravità delle sofferenze patite dal Tr. ed in merito alla serietà della sua scelta di porre termine alla propria vita. Il 12/4/17 il Tr. era partito per la Svizzera accompagnato dalla Sc Quest'ultima lo aveva poi aiutato anche come interprete per la traduzione dei colloqui tra il Tr. ed i medici e gli operatori della struttura svizzera. Il 13/4/17 il Tr. era deceduto presso la sede della Lifercircle. L'imputato Ca. ha, inoltre, dichiarato anche che, nei suoi colloqui col Tr., aveva potuto constatare che il Tr. aveva dei continui spasmi di dolore, spasmi che lo costringevano ad interrompersi nel parlare, gli trasfiguravano il volto dal dolore e raccontava che trascorreva ormai praticamente l'intera giornata al bagno, seduto al bagno, perché sentiva continuamente lo stimolo, non sapendo però se era uno stimolo vero o no che il Tr. gli raccontava che aveva delle scariche di dolore insopportabili e continue che non gli consentivano di fare nulla che il Tr. aveva gravi problemi di mobilità non potendo spostarsi senza l'aiuto di altre persone e senza l'uso di un deambulatore ed infatti non usciva più di casa e, per alimentarsi, aveva bisogno di una persona che gli preparasse il cibo e che talvolta lo imboccasse che comunque, per rimanere in vita, non era costretto a collegamenti con macchinari per l'alimentazione o per le terapie che aveva insistito col Tr. affinchè si rivolgesse ad una struttura svizzera affidabile perché riteneva importante che venissero rispettate tutte le procedure previste dalla legge in Svizzera, procedure che prevedevano che dei medici dovessero valutare la documentazione sanitaria prodotta, che dovessero essere eseguite due visite mediche da parte di due medici diversi che dovevano verificare la congruenza della documentazione sanitaria prodotta con le condizioni fisiche della persona e la sua reale volontà scevra da manipolazioni altrui di porre termine alla vita che, nei suoi colloqui col Tr., il Ca. aveva anche cercato di verificare se le sofferenze del Tr. non potessero essere alleviate con dosi maggiori di cannabis terapeutica o con ulteriori rimedi sul piano della terapia del dolore ma aveva constatato che non vi erano alternative che, durante i mesi in cui era stato in contatto col Tr., il Ca. aveva anche cercato di far abbandonare al Tr. i suoi propositi suicidiari, tentando di distoglierlo dal pensiero ossessivo del proprio dolore e dalla volontà di suicidarsi, stimolando in lui nuovi interessi, ad es. coinvolgendolo in iniziative politiche volte ad estendere a tutte le regioni il ricorso alla cannabis terapeutica utilizzata solo dalle strutture sanitarie di alcune regioni ma non da tutte o relative a progetti di leggi sul fine-vita che, tuttavia, il Tr. non prendeva minimante in considerazione la possibilità di non suicidarsi conosceva bene i dati della malattia con la quale conviveva da decenni e sapeva quello che i medici gli avevano detto sulla condizione di irreversibilità, sui danni collaterali delle terapie che lui di volta in volta faceva , come l'interferone, la chemioterapia, come questo provochi comunque dei danni al corpo , era consapevole che era destinato a peggiorare e che la malattia era arrivata ad un momento esponenziale, un momento di sempre maggiore dolore e di sempre maggior incapacità e disabilità , per lui era semplicemente insopportabile ogni giorno di più, ogni ora di più , per lui non c'era un domani , ripeteva, come messaggio martellante , parole come non ce la faccio più, non ce la faccio più, non posso stare più così, non ce la faccio più e descriveva la sua condizione e le sue sensazioni in termini di impazzimento e di insopportabilità assoluta. 7. L'imputata Sc., esaminata al dibattimento, per spiegare le motivazioni che l'avevano indotta ad aiutare il Tr. a morire in Svizzera, ha narrato la vicenda che aveva coinvolto suo marito. La Sc., infatti, era stata sposata con We. Piergiorgio, col quale aveva vissuto dal 1978 al 2006, anno della sua morte. Il marito era affetto da distrofia muscolare progressiva. I primi anni era riuscito a vivere abbastanza bene . Nel 1997, tuttavia, si era verificata una grave insufficienza respiratoria a seguito della quale, per decisione dei medici e nonostante i litigi della Sc. con i medici, il We. era stato tracheostomizzato. Da quel momento, aveva per sempre continuato a vivere in quella condizione. La Sc. aveva in quegli anni preso parte ad iniziative politiche sul tema di possibili leggi in materia di eutanasia, rivolgendosi anche al Presidente della Repubblica. Le condizioni del marito erano poi via via peggiorate fino al momento della sua morte. La morte era avvenuta perché, a seguito di richiesta del We., il medico aveva, previa sedazione, staccato il collegamento col macchinario indispensabile per la respirazione artificiale. Ma il medico che lo aveva fatto era stato poi denunciato per il reato di omicidio del consenziente e, sottoposto a procedimento penale, era stato prosciolto nel 2007. La sua vicenda personale aveva quindi originato l'impegno della Sc. nell'associazione Soccorso Civile e nelle iniziative politiche e solidaristiche in tema di fine-vita e di eutanasia per i malati irreversibili. In tale contesto, nel 2017, la Sc. aveva conosciuto il Tr I primi contatti erano avvenuti tramite una comunicazione via email che il Ca. aveva ricevuto dal Tr. e che aveva a sua volta girato alla Sc In quella comunicazione, il Tr. chiedeva di essere aiutato per andare in Svizzera per il suicidio assistito , riferendo che in precedenza aveva contattato la Lifercircle, aveva poi temporaneamente abbandonato quel contatto, si era rivolto ad una diversa struttura che aveva sede a Lugano e assicurava tempi più rapidi, ma questa struttura era stata poi chiusa dalle autorità svizzere e, per questo motivo, ora il Tr. voleva riprendere i contatti con la Lifecircle. La Sc., sfruttando il fatto che già conosceva da qualche anno la dr.ssa Pr., responsabile della Lifecircle, si era messa in contatto con quest'ultima, venendo a sapere che la Lifecircle aveva già esaminato la posizione e la documentazione sanitaria del Tr. perché quest'ultimo, nei mesi precedenti, aveva già autonomamente contattato quell'organizzazione dando luce verde all'effettuazione dell'operazione, ma tale operazione si era interrotta perché il Tr. non si era fatto più vivo . La Pr., quindi, si era mostrata disponibile a dare seguito alle richieste del Tr La Pr. aveva indicato, come date possibili in cui effettuare l'operazione, quella del 13/4/17 o quella del 27/4/17. Il Tr., informato di quelle due possibilità, aveva immediatamente chiesto di eseguire l'operazione il 13/4/17 chiedendo per favore il 13 . La Sc., inoltre, aveva aiutato il Tr. anche recandosi all'anagrafe di Roma per ottenere il certificato di nascita del Tr. nato a omissis . necessario per eseguire l'operazione in Svizzera. La Sc. aveva poi conosciuto personalmente il Tr. per la prima volta solo il giorno precedente la partenza per la Svizzera. In quell'occasione, il Tr. era nella sua abitazione e si muoveva a scatti, faceva degli scatti pazzeschi, il viso si contorceva per il dolore . Il Tr. aveva raccontato alla Sc. la sua vita e le sue sofferenze. Le aveva, tra l'altro, riferito che aveva fatto anche dei cicli di chemioterapia e che aveva assunto sia la cannabis che la morfina per alleviare il dolore. La Sc., vedendolo a scatti ed anche il modo di parlare a scatti, i contorcimenti del viso , si era resa conto del dolore continuo e della grande sofferenza che lo affliggeva. In particolare, osservando i suoi contorcimenti , gli scatti causati dal dolore, il corpo che non era mai fermo , il fatto che con le mani non riusciva e prendere una cosa con sicurezza e quindi, vedendolo in questa terribile sofferenza , si era ricordata della sofferenza che aveva patito suo marito negli ultimi anni di vita. Sia la Sc. che la sorella del Tr. avevano cercato di convincerlo a desistere dal suo proposito suicidiario. La Sc. gli aveva detto che forse vi era la possibilità di trovare altre sostanze che potevano alleviare i dolori. Ma il Tr. aveva risposto, con decisione, che tutte le possibili sostanze erano state già provate sul suo corpo. Aveva anche detto alla Sc. che era disperato e che aveva pensato di buttarsi dalla finestra ma non lo aveva fatto perché temeva di non morire e di venirsi a trovare in una condizione fisica ancora peggiore di quella in cui era. La mattina dopo erano quindi partiti per la Svizzera. Peraltro, anche quella mattina, prima di partire, la Sc. aveva fatto un ultimo tentativo di convincere il Tr. a non attuare il suo proposito di morire ma il Tr. era rimasto irremovibile. Il viaggio era stato fatto a bordo di un'auto medica della Misericordia, a bordo della quale avevano viaggiato, oltre a due infermieri ed al Tr., anche la stessa Sc L'auto era stata seguita da quella guidata dalla ex fidanzata del Tr. la Go. . Durante il viaggio, si erano dovuti spesso fermare perché il Tr. a causa della malattia avvertiva continuamente lo stimolo di urinare. Per riuscire a scendere dall'auto, il Tr. doveva ogni volta essere aiutato e sorretto dagli infermieri, non essendo in grado di compiere da solo quel movimento. Erano giunti a Basilea dove era ubicata la sede della Lifecircle verso le ore 19 00 del 12/4/17. Una volta arrivati, il Tr. appariva fiducioso e contento , era più sereno quando è arrivato in Svizzera perché sentiva veramente ormai il morire che lo poteva salvare . Erano stati ricevuti dalla dr.ssa Pr. e da un medico. I due avevano avuto un colloquio col Tr. nel corso del quale gli avevano fatto delle domande in merito alla malattia ed ai motivi del suicidio assistito. Il Tr. aveva detto che voleva morire a causa della grande sofferenza che provava ed aveva spiegato che non ce la faceva più, che per lui la vita in questo modo non aveva più senso . I medici avevano cercato di convincere il Tr. a desistere dal suo proposito, anche prospettandogli la possibilità che altri medici avrebbero potuto dargli un aiuto diverso sul piano della terapia del dolore. Ma il Tr., anche riferendo che aveva già provato cannabis e morfina, aveva affermato categoricamente che non esistevano altre sostanze che avrebbero potuto alleviare i suoi dolori. Aveva ripetuto io sono stanco, sono stanco, io voglio morire e basta . Il colloquio, durato più di un'ora, era stato in parte tradotto dalla Sc. che conosceva il tedesco e che aveva tradotto quella parte di dichiarazioni che il medico svizzero non capiva perché parlava solo in parte l'italiano . La mattina seguente vi era stato un secondo colloquio tra il Tr. ed i medici. In quell'occasione, i medici avevano nuovamente insistito nel cercare di convincere il Tr. a desistere dal suo intento suicidiario. Ma il Tr. aveva mantenuto fermo il suo proposito. In entrambi i colloqui, il Tr. appariva sollevato ed assolutamente determinato. Era stata quindi spiegata al Tr. la procedura meccanica che doveva seguire la valvola che doveva azionare per attivare il meccanismo che avrebbe condotto alla morte. Il Tr. non poteva darsi la morte bevendo qualcosa da un bicchiere perché le capacità prensili della mano non glielo permettevano. Era stata di conseguenza utilizzata una flebo che si azionava con un movimento della mano del Tr. e, quando, al momento di effettuare una prova preliminare, il Tr. era riuscito ad aprire la valvola, la Sc. aveva notato la soddisfazione sul volto del Tr Subito dopo, si era attivato il meccanismo ed il Tr. era deceduto addormentandosi. Dopo il decesso, era intervenuta in applicazione della procedura prevista dalla legislazione svizzera la Polizia e la Sc. aveva come testimone contribuito all'identificazione del cadavere. L'imputata ha, infine, spiegato che, per lei, l'aver aiutato il Tr. era stato come risarcire il dolore che aveva provato il marito. Quest'ultimo, infatti, già tre giorni prima di morire, aveva chiesto di interrompere la propria vita. Ma non era stato accontentato dalla Sc., la quale aveva continuato ad insistere perché continuasse a resistere. Tuttavia, quando dopo la morte era stata eseguita l'autopsia, la Sc. aveva saputo che il marito aveva patito dei dolori veramente lancinanti . Di conseguenza, lei si era sentita in qualche modo responsabile di non averlo aiutato a morire prima, per cui, nel caso del Tr., era stata mossa dall'intento di cercare di aiutare altri a non avere quella fine . 8. Il consulente tecnico della difesa, dott. Ri., ha esposto si fa riferimento sia alle dichiarazioni rese in udienza sia a quanto esposto nella relazione scritta del consulente che Tr. Da. aveva iniziato a manifestare i primi sintomi della sclerosi multipla nel 1993. Si trattava di una patologia che comportava una degenerazione del sistema neurologico con andamento cronico progressivo invalidante, tale da provocare la perdita nel tempo del controllo della motilità muscolare dovuta ad una progressiva incapacità di trasmettere impulsi lungo le vie nervose. Una malattia, quindi, che poteva soltanto peggiorare o, al massimo, rallentare il suo decorso . I sintomi più frequenti di tale malattia erano, oltre alla predetta paralisi muscolare, anche spasmi e dolori generalizzati, accompagnati dalla comparsa di una sorta di scosse elettriche lungo il decorso dei nervi che pervadono tutto il corpo, oltre ad incapacità alla minzione ed alla defecazione. La lucidità mentale restava conservata. Il Tr. era seguito da diversi centri medici ed aveva seguito regolarmente la terapia prescrittagli ma, nonostante questo, negli ultimi anni, le sue condizioni di salute si erano notevolmente deteriorate. I dolori e gli spasmi muscolari erano diventati generalizzati e di difficile controllo farmacologico nonostante assumesse un'importante terapia antidolorifica ed antispastica. Inoltre, aveva sviluppato anche un grave stato ipertensivo che lo rendeva dipendente da un farmaco antipertensivo Carvedilolo . La terapia a cui era sottoposto, oltre a contenere l'ipertensione, era una terapia sintomatica, cioè non finalizzata a curare la malattia, ma ad attenuare la sintomatologia della malattia. Per controllare il dolore e gli spasmi muscolari, il Tr. assumeva la seguente terapia Sativex cannabinoide per ridurre il dolore e la spasticità muscolare, Lioresal baclofen per ridurre la contrattura/spasticità della muscolatura secondaria alla malattia, Lyrica pregabalin per ridurre il dolore dei nervi periferici. Nonostante le predette terapie, il Tr., non riuscendo a sopportare i forti dolori, nell'ultimo anno, si era rivolto anche al dr. Mo., medico terapista del dolore. Questi gli aveva prescritto, in aggiunta ai predetti farmaci, anche il farmaco Fentanil in cerotto , consistente in un analgesico oppioide di sintesi che rilascia un composto cento volte più potente della morfina. Si trattava dell' ultima linea possibile di farmaco , anche perché l'oppiaceo Fentanil unito al cannabinoide Sativex rappresentava un'associazione particolarmente aggressiva dal punto di vista terapeutico, al limite della tollerabilità. Inoltre, nel 2016, a seguito di una caduta dovuta al mancato controllo della motilità, tipico della sclerosi multipla, il Tr. si era fratturato alcune coste ed era stato quindi ricoverato in ospedale. A partire da quel momento, era stato costretto a rimanere per sempre a letto. Infatti, dopo le dimissioni dall'ospedale, non era più possibile per lui muoversi e perciò gli era stato fornito un letto ortopedico ospedaliero sul quale doveva rimanere durante la giornata e che gli permetteva di cambiare posizione e di mangiare rimanendo allettato. Il dr. Mo., a causa dei forti dolori lamentati dal paziente, aveva poi incrementato il dosaggio dei cerotti di Fentanil fino a giungere a un dosaggio di due cerotti giornalieri , quindi con un dosaggio quasi quadruplo di quello normale . Ciononostante, il Tr. aveva chiesto al dr. Mo. di aumentare ulteriormente il dosaggio ed il medico gli aveva risposto io non posso somministrarti più Fentanil perché rischio di mandarti in arresto respiratorio, cioè tu muori per arresto respiratorio , cioè si sarebbe verificata la morte quale conseguenza di una overdose del farmaco. Vi era, quindi, una dipendenza del Tr. dalla terapia farmacologica pressoché totale . La riduzione dei farmaci antispastici e antidolorifici avrebbe comportato non solo una condizione di sofferenza intollerabile ma avrebbe determinato un peggioramento dell'insufficienza respiratoria che avrebbe accelerato il processo del morire . Se, invece, d'altro canto, fosse stata incrementata la terapia morfinica a base di Fentanil, ciò avrebbe determinato il decesso del paziente per arresto respiratorio. Inoltre, anche l'interruzione del farmaco cardiologico Dilatrend Carvedilolo , a cui pure il Tr. era sottoposto come terapia antipertensiva, avrebbe determinato dei picchi pressori elevati non più controllabili e lo avrebbe condotto in una condizione di scompenso cardiaco. Tutto ciò dimostrava che la sopravvivenza del Tr. dipendeva da un sottile equilibrio del dosaggio dei farmaci una riduzione avrebbe determinato una situazione di sofferenza e di scompenso cardiaco che ne avrebbe accelerato il decorso clinico fino alla morte, un incremento, in particolare del dosaggio di Fentanil, ne avrebbe causato il decesso in tempi brevi se non immediati . A questo si aggiungeva un'ulteriore forma di dipendenza riguardante la funzione della defecazione. Il Tr., infatti, presentava un ulteriore grave sintomo consistente nella progressiva paralisi della muscolatura intestinale che rendeva sempre più difficile l'evacuazione delle feci stipsi cronica . Negli ultimi anni, la defecazione era divenuta sempre più difficoltosa. Nell'ultimo anno, era necessario sottoporlo ad evacuazioni manuali per prevenire la formazione di fecalomi, causati dalla persistenza delle feci nel tratto finale dell'apparato digerente colon-retto , con conseguente occlusione intestinale meccanica. La paralisi della muscolatura intestinale comportava l'accumulo delle feci, per cui, per evitarlo, si rendeva necessaria l'evacuazione manuale. L'operazione inizialmente veniva eseguita da operatori sanitari, in un secondo momento, imparata la tecnica di svuotamento dell'intestino, era la madre del Tr. che eseguiva settimanalmente l'operazione. Se non si fosse provveduto manualmente, la situazione poteva arrivare ad un punto tale da determinare l'occlusione intestinale meccanica, per cui l'intestino sarebbe arrivato a gonfiarsi determinando due conseguenze letali prima l'ischemia intestinale dovuta alla pressione del fecaloma sulle pareti e infine la conseguente rottura da scoppio del colon favorita dalla mancata fuoriuscita dei gas intestinali. E l'ischemia intestinale e la perforazione intestinale erano incompatibili con la sopravvivenza. Il CT ha, quindi, concluso che il Tr., negli ultimi anni di vita, dipendeva da due forme di sostegno vitale farmacologico e meccanico. L'eventuale interruzione della terapia farmacologica avrebbe comportato uno scompenso cardio-circolatorio e un aggravamento della sintomatologia invalidante ed algica, l'insieme del decadimento delle due componenti ne avrebbe compromesso la sopravvivenza, con probabile decesso per infarto o ictus cerebrale. Inoltre, nell'ultimo anno di vita, il Tr. era dipendente anche dalla funzione meccanica manuale evacuativa delle feci, senza la quale si sarebbe giunti ad un quadro occlusivo meccanico con conseguente morte del paziente. Il CT ha anche precisato che tutte le possibili alternative terapeutiche erano state percorse che, infatti, posto che l'unica terapia possibile era una terapia di contenimento della sintomatologia, quella seguita era una terapia estremamente robusta rispetto alla quale non vi erano alternative che i farmaci utilizzati facevano parte della cosiddetta terapia del dolore, alcuni mirati al punto di arrivo altri al punto di partenza del dolore che il Tr. era sostanzialmente già entrato in un percorso di cure palliative in quanto preso in carico dal dr. Mo., terapista del dolore, ed in quanto usava farmaci, come il Fentanil, che era un oppiaceo, che avevano una forte valenza nella cura del dolore come cura palliativa che, nelle procedure relative alle operazioni di eutanasia che si svolgono in Svizzera, la legislazione di quel Paese prevedeva che i medici dovevano accertare, non solo la gravità e irreversibilità della patologia, ma anche l'effettiva ed autonoma volontà del paziente che deve essere capace di intendere e di volere ed il fatto che il paziente sia stato informato circa tutte le possibili alternative terapeutiche e circa le alternative palliative. 9. Infine, l'imputato Ca. ha reso spontanee dichiarazioni all'ultima udienza. In tale sede, ha precisato che non aveva prospettato a Tr. Da. la possibilità di procedere con la sedazione profonda fino al decesso, in quanto, all'epoca dei fatti, ancora non era stata approvata la legge sul testamento biologico e non era riuscito a reperire tre medici anestesisti disposti a seguire il Tr. con la sedazione profonda fino al decesso come invece era riuscito a fare nel caso di Fa. An. a cui aveva prospettato quella concreta possibilità . Aveva aiutato il Tr. ad interrompere la propria vita perché riteneva quella azione un dovere morale. Riteneva, infatti, inaccettabile che la possibilità di porre fine volontariamente alla propria esistenza senza patire dolore dovesse dipendere dalle disponibilità economiche del malato o dalla sua trasportabilità anziché solo dall'irreversibilità della malattia. Si era assunto la responsabilità di aiutare il Tr. ad andare in Svizzera perché reputava la Svizzera un Paese civile in cui vigeva una normativa adeguata che, tra l'altro, prevedeva dei rigorosi controlli da parte dei medici, i quali, non solo dovevano verificare l'esistenza della patologia, ma dovevano svolgere dei colloqui con il malato senza la presenza di altre persone per accertare la sua capacità di intendere e di volere e la sua effettiva volontà. 10. Quelle sopra esposte sono le principali risultanze emerse dall'istruttoria dibattimentale. Tanto premesso in fatto, il Collegio ritiene che gli imputati debbano essere assolti dal reato loro ascritto perché il fatto non sussiste quanto alla condotta di rafforzamento del proposito suicidiario di Tr. Da. e perché il fatto non costituisce reato quanto alla condotta di agevolazione dell'esecuzione del suicidio del Tr Infatti, nell'imputazione, sono contestate due diverse condotte delittuose quella di rafforzamento del proposito di suicidio e quella di agevolazione dell'esecuzione del suicidio. Rispetto alla prima, risulta provata l'insussistenza dell'elemento materiale del reato e, quindi, gli imputati vanno assolti ai sensi del comma 1 dell'art. 530 c.p.p. con la formula perché il fatto non sussiste. Rispetto alla seconda, vi è un concreto dubbio in merito alla sussistenza di una scriminante e, quindi, va pronunciata sentenza di assoluzione ai sensi dei commi 2 e 3 dell'art. 530 cit. con la formula perché il fatto non costituisce reato. 11. Per quanto concerne la condotta di rafforzamento del proposito di suicidio del Tr., manca qualsiasi prova del fatto che una simile condotta sia stata posta in essere dagli imputati. Risulta provato, invece, che il Tr. si era autonomamente e liberamente determinato al suicidio e che, sulla formazione e sul rafforzamento della sua volontà suicidiaria, non avevano in alcun modo influito gli imputati. Ciò risulta provato dalle suesposte testimonianze delle testi Ma., Go. e Tr. Ka La teste Ma. madre di Tr. Da. ha, infatti, riferito che il figlio aveva iniziato a pensare al suicidio intorno al 2015 ed aveva definitivamente maturato tale decisione nel 2016. Più volte aveva detto alla madre che avrebbe voluto suicidarsi anche gettandosi dalla finestra della sua abitazione ma che, a causa dell'indebolimento dovuto alla sua patologia, non aveva la forza fisica per scavalcare la finestra e temeva che, se ci fosse riuscito e si fosse gettato dalla sua abitazione, non avrebbe potuto avere la sicurezza di morire in quanto il suo appartamento era al secondo piano, con la conseguenza che avrebbe rischiato ulteriori ancor più gravi sofferenze. Aveva allora consultato dei siti Internet, aveva scoperto che vi erano delle strutture sanitarie che operavano legalmente in Svizzera e che potevano aiutarlo a porre fine senza dolore alla sua esistenza. Aveva quindi preso contatto con un ente denominato Exit il quale lo aveva messo in contatto con una struttura svizzera. Il contatto, però, non era andato a buon fine, per cui, solo a quel punto, si era rivolto all'associazione di cui facevano parte gli imputati Ca. e Sc. per essere aiutato ad andare in Svizzera. Analogamente, la teste Tr. Ka. sorella di Tr. Da. ha riferito che Tr. Da. nel 2014 aveva iniziato a pensare al suicidio e che nel 2015 aveva definitivamente maturato la decisione di porre fine alla propria vita. Allo stesso modo, la teste Go. ex compagna del Tr. ha raccontato come il Tr., già nel 2016, senza alcun intervento da parte degli imputati, avesse instaurato tutta una scric di contatti con una struttura svizzera, dove doveva recarsi per porre fine alla sua vita, ma, air ultimo, non aveva potuto attuare quel progetto perché quella struttura era stata chiusa dalle autorità elvetiche. In particolare, la teste Go. ha raccontata che. all'inizio del 2016, quando si era recata in ospedale dove il Tr. era ricoverato a seguito della caduta che gli aveva procuralo la frattura delle costole e della clavicola, il Tr. le aveva detto molto seriamente che aveva l'intenzione di suicidarsi e che aveva iniziato a documentarsi su quali potevano essere le associazioni per aiutarlo , facendo delle ricerche in tal senso su internet. Il Tr. era decisissimo ad attuare quei proposito. La Go. aveva cercato di dissuaderlo ma non vi era riuscita. 11 Tr. aveva, quindi, fatto diverse ricerche in internet ed aveva in tal modo instaurato vari contatti finalizzati ad aiutare il suo proposito. In particolare, aveva contattato prima una struttura svizzera denominata Lifecircle e poi una associazione italiana denominata Exit Italia. Quest'ultima lo aveva, a sua volta, messo in contatto con un'altra struttura svizzera. Il Tr. aveva inviato in Svizzera la documentazione sanitaria necessaria ed aveva atteso la valutazione. Quindi, all'inizio del 2017, aveva ricevuto luce verde ed aveva atteso la chiamata per parure per la Svizzera. Vi erano stati, però, diversi rinvii su decisione di quella struttura svizzera, fino a quando, a febbraio del 2017, il Tr. aveva perso la pazienza. aveva litigato con i responsabili di quella struttura ed aveva chiesto ed ottenuto la restituzione della somma che aveva a loro inviato. A quel punto, si era rivolto all'associazione di cui facevano parte gli imputati Ca. e Sc. per chiedere loro di aiutarlo. Da queste testimonianze, dunque, risulta provato, non solo che il proposito di suicidio era sorto nel Tr. indipendentemente da qualsiasi intervento degli imputati, ma anche che a tale proposito il Tr. aveva dato concreta attuazione prendendo contatto con una struttura svizzera e provvedendo a pagarla per eseguire la relativa operazione. Solo dopo che il progetto del Tr. era inaspettatamente sfumato a causa dell'intervento delle autorità elvetiche, egli si era rivolto agli imputati che lo avevano poi aiutato ad attuare il suo proposito ricorrendo ad un'altra struttura svizzera. Peraltro, si trattava, anche questa, di una struttura svizzera, la Lifecircle, che, in precedenza, cioè prima di contattare il Ca., era stata già individuata autonomamente dallo stesso Tr. che però l'aveva abbandonata pensando di poter attuare più celermente il suo proposito ricorrendo a quell'altra struttura poi chiusa dalle autorità della Svizzera . Perciò, il successivo intervento degli imputati si era limitato a permettere al Tr. di riallacciare quel contatto con la Lifecircle senza ulteriori ritardi. Tutto ciò rende evidente che gli imputati non hanno influito sul processo volitivo che ha condotto il Tr. a decidere di suicidarsi. Infatti, non solo la decisione di porre fine alla propria vita era stata presa dal Tr. parecchi mesi prima di contattare il Ca. e la Sc., ma il Tr. era talmente deciso e determinato a porre fine alla sua vita che aveva autonomamente reperito, senza ricevere alcun aiuto da parte degli imputati, una struttura svizzera che doveva eseguire l'operazione e che aveva anche provveduto a retribuire per tale prestazione tuttavia, in un secondo momento, quella struttura era stata chiusa dalle autorità elvetiche, il che aveva impedito al Tr. di attuare il suo suicidio nei termini in cui lo aveva progettato autonomamente . Il fatto che il proposito di suicidio era stato anche attuato dal Tr. senza alcun intervento degli imputati, arrivando anche a pagare la relativa prestazione senza alcun loro aiuto, dimostra che il predetto proposito non solo era sorto ma si era anche rafforzato e definitivamente consolidato senza alcun intervento degli imputati. Il fatto che l'intento suicidiario del Tr., non solo era nato autonomamente da qualunque intervento degli imputati, ma era stato anche messo in esecuzione, arrivando anche al pagamento dell'operazione senza alcun contributo materiale o morale da parte degli imputati, sono circostanze che dimostrano che il Ca. e la Sc., non solo non avevano determinato il predetto proposito ma non lo avevano neanche rafforzato, essendosi infatti consolidato autonomamente fino a pervenire alla sua attuazione senza alcun loro contributo. Risulta, in definitiva, provato che l'intenzione del Tr. di suicidarsi è nata, si è rafforzata e si è consolidata senza alcun intervento da parte degli imputati. Pertanto, costoro devono essere assolti ai sensi del comma 1 dell'art. 530 c.p.p. perché il fatto non sussiste. 12. Per quanto concerne la condotta di agevolazione all'esecuzione del suicidio, gli imputati devono essere assolti essendo configurabile la sussistenza, o quanto meno il dubbio in merito alla sussistenza, della scriminante introdotta dalla Corte Costituzionale con la sentenza n. 242/2019. La Corte Costituzionale, con sentenza n. 242 del 25/9/2019, ha dichiarato l'illegittimità costituzionale dell'art. 580 c.p. nella parte in cui non esclude la punibilità di chi, con le modalità previste dagli artt. 1 e 2 della legge 22 dicembre 2017 n. 219 Norme in materia di consenso informato e di disposizioni anticipate di trattamento , agevola l'esecuzione del proposito di suicidio, autonomamente e liberamente formatosi, di una persona tenuta in vita da trattamenti di sostegno vitale e affetta da una patologia irreversibile, fonte di sofferenze fisiche o psicologiche che ella reputa intollerabili, ma pienamente capace di prendere decisioni libere e consapevoli, sempre che tali condizioni e le modalità di esecuzione siano state verificate da una struttura pubblica del servizio sanitario nazionale, previo parere del comitato etico territorialmente competente. La Consulta ha, inoltre, precisato che, riguardo ai fatti anteriori, la non punibilità dell'aiuto al suicidio rimarrà subordinata, in specie, al fatto che l'agevolazione sia stata prestata con modalità anche diverse da quelle indicate, ma idonee comunque sia a offrire garanzie sostanzialmente equivalenti. Occorrerà dunque che le condizioni del richiedente che valgono a rendere lecita la prestazione dell'aiuto - patologia irreversibile, grave sofferenza fisica o psicologica, dipendenza da trattamenti di sostegno vitale e capacità di prendere decisioni libere e consapevoli - abbiano formato oggetto di verifica in ambito medico che la volontà dell'interessato sia stata manifestata in modo chiaro e univoco, compatibilmente con quanto è consentito dalle sue condizioni che il paziente sia stato adeguatamente informato sia in ordine a queste ultime, sia in ordine alle possibili soluzioni alternative, segnatamente con riguardo all'accesso alle cure palliative ed, eventualmente, alla sedazione profonda continua. Requisiti tutti la cui sussistenza dovrà essere verificata dal giudice nel caso concreto . Quindi, con la predetta sentenza, la Corte Costituzionale ha creato una nuova causa di giustificazione in presenza della quale l'agevolazione all'esecuzione del suicidio non è punibile. Schematicamente, i requisiti della nuova scriminante che rendono non punibile il reato sono i seguenti 1 deve essere stato accertato da un medico che la patologia era irreversibile, 2 deve essere stato verificato da un medico che il malato pativa una grave sofferenza fisica o psicologica, 3 deve essere stato oggetto di verifica in ambito medico che il paziente dipendeva da trattamenti di sostegno vitale, 4 un medico deve avere accertato che il malato era capace di prendere decisioni libere e consapevoli, 5 la volontà dell'interessato deve essere stata manifestata in modo chiaro e univoco, compatibilmente con quanto è consentito dalle sue condizioni, 6 il paziente deve essere stato adeguatamente informato sia in ordine alle sue condizioni, sia in ordine alle possibili soluzioni alternative, segnatamente con riguardo all'accesso alle cure palliative. Nel caso in esame, sussistono tutti i predetti requisiti o, quanto meno, vi è un dubbio in merito alla loro sussistenza. 13. Ed invero, risulta provato, innanzitutto, che era stato oggetto di verifica in ambito medico che il Tr. era affetto da una patologia irreversibile. Infatti, con il certificato medico del dott. Angelotti del 3/11/16, era stato attestato che il Tr. era affetto da sclerosi multipla . Analogamente, dal certificato medico della prof.ssa Am. del 16/1/14 risulta che il Tr. era affetto da sclerosi multipla, malattia demielizzante del sistema nervoso centrale a decorso cronico progressivo . Allo stesso modo, anche dal certificato dell'ospedale Careggi del 30/6/14 risulta che il Tr. era affetto da sclerosi multipla secondariamente progressiva . Orbene, è notorio che la sclerosi multipla è una malattia irreversibile. Peraltro, tale caratteristica della predetta patologia è stata confermata anche dal CT della difesa, dr. Ri., che ha spiegato la patologia come è noto comporta degenerazione del sistema neurologico con andamento cronico progressivo invalidante , precisando ulteriormente che si tratta di una malattia che può soltanto peggiorare . Pertanto, nessun dubbio può esservi in merito al predetto requisito della scriminante in questione. 14. Ricorre anche il secondo requisito, in quanto era stato accertato in ambito medico che, a causa della predetta patologia, il Tr. pativa una grave sofferenza fisica. In tal senso, va, innanzitutto, richiamato il certificato dell'ospedale Careggi del 30/6/14 in cui si dava atto di un aumento dei dolori ai quattro arti . Lo stesso certificato dà atto anche del fatto che il Tr. stava già assumendo il farmaco Sativex, farmaco che come precisato dal CT della difesa è un cannabinoide utilizzato per ridurre il dolore. Va, in secondo luogo, richiamata la testimonianza della Go., la quale ha riferito che, nel corso degli anni, il Tr. era stato in cura presso diversi medici e che, in tale ambito, dal 2014-15 aveva iniziato ad assumere antidolorifici molto forti , farmaci contro il dolore sempre più forti e a dosaggi sempre più alti . Se, nell'ambito di terapie mediche, erano stati prescritti al Tr. il Sativex ed altri antidolorifici molto forti , farmaci contro il dolore sempre più forti e a dosaggi sempre più alti , evidentemente i medici avevano accertato che il Tr. aveva delle sofferenze fisiche che senza quelle terapie sarebbero state per lui intollerabili. Anche dalla testimonianza di Tr. Ka. sorella risulta che a suo fratello erano stati prescritti medicinali molto potenti contro il dolore, compresa la marijuana terapeutica, ma negli ultimi anni non facevano tanto effetto , il che conferma che, avendo prescritto i predetti medicinali, evidentemente i medici avevano accertato che il Tr. aveva delle sofferenze fisiche intollerabili. Nello stesso senso, anche la teste Ma. madre del Tr. ha riferito che il Tr. aveva fatto ricorso alla terapia del dolore, utilizzando farmaci e trattamenti sempre più potenti ed invasivi, come i cerotti con l'oppio, la marijuana terapeutica e il metadone. In tal modo, inizialmente, era riuscito a ridurre fortemente ed a contenere le sofferenze fisiche ma, negli ultimi anni, la terapia del dolore non riusciva più ad alleviare i dolori sempre più forti. Anche queste dichiarazioni, quindi, indirettamente confermano che i medici che avevano prescritto i predetti farmaci e trattamenti evidentemente avevano accertato le sofferenze fisiche del Tr. per lui intollerabili. Anche il CT Ri. ha riferito sulla base di quello che gli ha detto la madre del Tr. che il Tr. seguiva la terapia del dolore e che, in particolare, negli ultimi due anni, assumeva, per cercare di ridurre il dolore, oltre al farmaco Lyrica, sia un farmaco cannabinoide Sativex che un farmaco oppioide Fentanil e che il dosaggio del Fentanil era quadruplo rispetto a quello ordinario è evidente che questa massiccia assunzione di farmaci antidolorifici implica l'avvenuto accertamento in ambito medico delle gravi sofferenze fisiche che il Tr. doveva sopportare. Ciò risulta definitivamente confermato dalla testimonianza della Ma. nella parte in cui da essa è emerso che, negli ultimi anni di vita, il Tr. chiedeva disperatamente ai medici qualcosa di più forte e che, di fronte a quelle richieste, sempre più pressanti, una volta un medico gli aveva risposto io più di questo non posso darti, non esiste più di quello che ti do . Il medesimo medico, rendendosi conto delle gravi sofferenze che affliggevano il Tr., gli aveva detto tu sei ridotto a un punto che se ti copri col lenzuolo senti dolore . Questa affermazione da parte di un medico evidentemente implica l'avvenuto accertamento in ambito medico delle gravi sofferenze a cui il Tr. era sottoposto, il che vale a definitivamente confermare la sussistenza del requisito in esame. 15. Sussiste anche il requisito della dipendenza da trattamenti di sostegno vitale o, quanto meno, il dubbio circa la sua sussistenza. A questa conclusione si perviene, innanzitutto, facendo riferimento alle informazioni emerse dalla consulenza del dr. Ri. ed alle valutazioni da lui operate. Ma, alla medesima conclusione, si deve comunque pervenire anche sulla base di altre motivazioni, che non tengono conto di quanto esposto dal predetto consulente. In altri termini, il requisito in parola sussiste sulla base di due ordini di motivazioni, ognuno indipendente dall'altro, le prime basate su quanto evidenziato dal CT dr. Ri. e le seconde fondate su quanto emerso dalle testimonianze e dalla documentazione medica acquisita. 15.1. Quanto al primo ordine di motivi, occorre premettere che le dichiarazioni e conclusioni del CT dr. Ri. sono pienamente utilizzabili per la decisione, peraltro con la precisazione che le stesse sono, in parte, utilizzabili anche come forma di testimonianza indiretta. E vero che il P.M. ha evidenziato che, pur avendo il CT riferito alcune informazioni che aveva ricevuto dalla Ma. in sede di consulenza , le dichiarazioni del dr. Ri. non trovano piena corrispondenza nelle dichiarazioni precedentemente rese in sede di testimonianza dalla teste Ma Tuttavia, si tratta di osservazione che, in teoria ed in astratto, potrebbe avere rilevanza sul piano della attendibilità delle dichiarazioni del CT ma non su quello della loro utilizzabilità. In relazione a quest'ultimo profilo, è noto che, poiché le norme contenute nell'art. 230 c.p.p. non esauriscono l'ambito di operatività consentito al consulente di parte, questi legittimamente può svolgere, al di fuori delle vere e proprie operazioni peritali, degli accertamenti e riferirne mediante memoria scritta al giudice, al quale spetta il compito di riconoscere, o non, all'attività svolta dal consulente valore probatorio. Ed invero, al fine di esercitare il diritto alla prova di cui all'art. 190 c.p.p., le parti possono svolgere attività integrativa di indagine, così come previsto dall'art. 391 bis c.p.p., sicché i pareri espressi dai consulenti di parte a mezzo di relazione scritta, ritualmente formulata e acquisita agli atti del processo, possono ben essere utilizzati ai fini della decisione cfr. Cass. 7252/1999 Cass. 14863/2004 . Inoltre, per il consulente tecnico della difesa, non sussiste alcuna incompatibilità con l'ufficio di testimone, posto che - così come per il consulente del P.M., il quale non è incompatibile a testimoniare, non rivestendo la qualità di ausiliario dell'organo inquirente, in quanto è tale solo l'ausiliario in senso tecnico che appartiene al personale della segreteria o della cancelleria dell'ufficio giudiziario e non invece un soggetto estraneo all'amministrazione giudiziaria cfr. Cass. 32045/2014 Cass. 17951/2020 - solitamente non si tratta del soggetto che procede alla verbalizzazione delle dichiarazioni e informazioni assunte ai sensi dell'art. 391ter c.p.p. e, quindi, non ricorre l'ipotesi di incompatibilità a testimoniare prevista dall'art. 197 lett. d c.p.p. Pertanto, le dichiarazioni del CT della difesa possono essere utilizzate per la decisione sia nella parte in cui contengono accertamenti, pareri e valutazioni tecniche, rientrando nell'attività integrativa di indagine compiuta dalla difesa nell'esercizio del diritto alla prova, sia nella parte in cui riportano le dichiarazioni e le informazioni raccolte da altre persone, trattandosi di testimonianza de relato e non sussistendo incompatibilità del CT di parte con l'ufficio di testimone. Spostandosi quindi la questione sotto il profilo non dell'utilizzabilità bensì dell'attendibilità delle dichiarazioni del consulente e della loro efficacia probatoria, va osservato che, benché le dichiarazioni del dr. Ri. non siano del tutto coincidenti con quelle della teste Ma., le prime non appaiono incompatibili con le seconde, avendo il CT riferito circostanze ulteriori da lui raccolte parlando con la Ma. dopo la sua testimonianza che si vanno ad aggiungere senza smentirle a quelle esposte dalla predetta teste al momento della sua precedente testimonianza. Non vi sono motivi per non ritenere attendibili le dichiarazioni del dr. Ri., considerato che le dichiarazioni de relato del Ri. integrano senza smentirle quelle rese dalla Ma. in sede di testimonianza e che la rilevata parziale divergenza può essere spiegata con la probabile maggiore accuratezza e specificità delle domande dal CT rivolte alla Ma In particolare, è vero che il dr. Ri. ha riferito che, nell'ultimo anno di vita, il Tr., a causa della progressiva paralisi della muscolatura intestinale, non era più in grado di defecare autonomamente ma doveva sottoporsi, settimanalmente, ad operazioni di evacuazione manuale per prevenire la formazione di fecalomi. In particolare, ha specificato che l'operazione inizialmente veniva eseguita da operatori sanitari in un secondo momento, era stata la madre del Tr. che, imparata la tecnica di svuotamento dell'intestino, la eseguiva settimanalmente. Ed è vero che tale specifica circostanza non è stata riferita dalla Ma. nel corso della sua testimonianza. Tuttavia, il fatto che il Tr. avesse problemi di evacuazione urinaria è stato riferito sia dalla teste Go. che dalla teste Ma Inoltre, da un lato, entrambe le predette testi hanno riferito dei gravi problemi di movimento che aveva il Tr. dovuti al progressivo ed inarrestabile indebolimento della muscolatura. Dall'altro, i problemi intestinali riferiti dal dr. Ri. dipendevano proprio dalla progressiva paralisi della muscolatura intestinale. A ciò si aggiunga che, per quanto riguarda le domande che sono state fatte alla Ma. nel corso della sua testimonianza, nessuna domanda ha riguardato specificamente eventuali problemi di defecazione del Tr. e la necessità di eseguire particolari manovre nell'ultimo anno di vita. Peraltro, la teste ha comunque affermato sia pure genericamente che il Tr. andava in bagno e non faceva niente e quindi stava sul gabinetto proprio le ore, ore e ore . Si ritiene, pertanto, di poter spiegare la divergenza tra le dichiarazioni de relato del dr. Ri. relative a quanto gli era stato detto dalla Ma. e le dichiarazioni testimoniali della Ma. con la probabile maggiore accuratezza e specificità delle domande dal CT rivolte alla Ma. e, quindi, di poter ritenere attendibili le predette dichiarazioni del Ri. anche perché le stesse non sono in contrasto insanabile con quelle della Ma., in quanto le une non smentiscono le altre, ma quelle del Ri. integrano quelle rese dalla Ma. in sede di testimonianza. Del resto, dopo che era stato esaminato il dr. Ri., nessuna delle parti processuali ha chiesto ex art. 195 co. 1 c.p.p. di chiamare la Ma. nuovamente a deporre, e questo Collegio ha ritenuto di non disporre d'ufficio la predetta testimonianza proprio perché, anche alla luce delle predette considerazioni, non vi erano motivi per dubitare dell'attendibilità delle dichiarazioni del Ri 15.2. Fatta questa premessa in merito all'utilizzabilità ed attendibilità delle dichiarazioni del dr. Ri., si deve, sempre in via preliminare, precisare anche cosa deve intendersi per trattamenti di sostegno vitale la dipendenza dai quali integra il requisito in esame. Ed invero, la dipendenza da trattamenti di sostegno vitale non significa necessariamente ed esclusivamente dipendenza da una macchina . Nell'interpretare cosa debba intendersi per trattamenti di sostegno vitale , non si deve confondere il caso concreto da cui è originata la pronuncia della Corte Costituzionale con la regula iuris che la Consulta ha codificato. Il caso concreto riguardava una persona Fa. An. tetraplegica ed affetta da cecità permanente che era tenuta in vita grazie al collegamento a delle macchine che le permettevano di respirare con l'ausilio di un respiratore e di alimentarsi con la nutrizione intraparietale. Partendo da quel caso concreto, la Corte Costituzionale è arrivata a configurare una nuova causa di giustificazione che esclude la punibilità in presenza di determinate condizioni, condizioni che la Corte è pervenuta ad enucleare prendendo, come principale punto di riferimento, la legge 219/17 e la procedura da essa prevista. La Corte Costituzionale, infatti, ha richiamato le previsioni della predetta legge, evidenziando che la stessa riconosce ad ogni persona capace di agire il diritto di rifiutare o interrompere qualsiasi trattamento sanitario, ancorché necessario alla propria sopravvivenza, comprendendo espressamente nella relativa nozione anche i trattamenti di idratazione e nutrizione artificiale. Ha evidenziato che la legge in questione prevede anche che la richiesta di sospensione dei trattamenti sanitari possa essere associata alla terapia del dolore ed alle cure palliative art. 2 e che il comma 2 dell'art. 2 stabilisce che il medico può, con il consenso del paziente, ricorrere alla sedazione palliativa profonda continua in associazione con la terapia del dolore per fronteggiare sofferenze refrattarie ai trattamenti sanitari. Ed ha osservato che tale disposizione non può non riferirsi anche alle sofferenze provocate al paziente dal suo legittimo rifiuto di trattamenti di sostegno vitale, quali la ventilazione, l'idratazione o l'alimentazione artificiali scelta che innesca un processo di indebolimento delle funzioni organiche il cui esito - non necessariamente rapido - è la morte . Ha, quindi, ritenuto che se il cardinale rilievo del valore della vita non esclude l'obbligo di rispettare la decisione del malato di porre fine alla propria esistenza tramite l'interruzione dei trattamenti sanitari - anche quando ciò richieda una condotta attiva, almeno sul piano naturalistico, da parte di terzi quale il distacco o lo spegnimento di un macchinario, accompagnato dalla somministrazione di una sedazione profonda continua e di una terapia del dolore - non vi è ragione per la quale il medesimo valore debba tradursi in un ostacolo assoluto, penalmente presidiato, all'accoglimento della richiesta del malato di un aiuto che valga a sottrarlo al decorso più lento - apprezzato come contrario alla propria idea di morte dignitosa - conseguente all'anzidetta interruzione dei presidi di sostegno vitale. Ha poi concluso che, se chi è mantenuto in vita da un trattamento di sostegno artificiale, è considerato dall'ordinamento in grado, a certe condizioni, di prendere la decisione di porre termine alla propria esistenza tramite l'interruzione di tale trattamento, non si vede perché il medesimo soggetto debba essere ritenuto viceversa bisognoso di una ferrea e indiscriminata protezione contro la propria volontà quando si discuta della decisione di concludere la propria esistenza con l'aiuto di altri, quale alternativa reputata maggiormente dignitosa alla predetta interruzione . Da queste motivazioni appare evidente che il requisito in esame quello della dipendenza del malato da trattamenti di sostegno vitale è stato enucleato dalla Corte Costituzionale prendendo, come punto di riferimento, la legge 217/19 ed, in particolare, i trattamenti sanitari che detta legge consente al malato di rifiutare. Il riferimento, quindi, è da intendersi fatto a qualsiasi tipo di trattamento sanitario, sia esso realizzato con terapie farmaceutiche o con l'assistenza di personale medico o paramedico o con l'ausilio di macchinari medici. La predetta legge ricomprende poi, nel novero dei trattamenti sanitari, anche la nutrizione artificiale e l'idratazione artificiale . Pertanto, ciò che ha rilevanza sono tutti quei trattamenti sanitari - sia di tipo farmaceutico, sia di tipo assistenziale medico o paramedico, sia, infine, con l'utilizzo di macchinari, compresi la nutrizione artificiale e l'idratazione artificiale - senza i quali si viene ad innescare nel malato un processo di indebolimento delle funzioni organiche il cui esito - non necessariamente rapido - è la morte . Quindi, in definitiva, per trattamento di sostegno vitale, deve intendersi qualsiasi trattamento sanitario interrompendo il quale si verificherebbe la morte del malato anche in maniera non rapida. 15.3. Tenuto conto dell'utilizzabilità ed attendibilità delle dichiarazioni del dr. Ri. e posto che dipendenza da trattamenti di sostegno vitale non significa esclusivamente dipendenza da una macchina ma comprende anche la dipendenza da qualsiasi trattamento sanitario senza il quale si verificherebbe la morte del malato, appare evidente, proprio alla luce delle dichiarazioni e valutazioni del dr. Ri., la sussistenza nel caso in esame del requisito in questione. Infatti, il dr. Ri. ha evidenziato che il Tr. era sottoposto ad un complesso trattamento farmacologico il cui equilibrio era estremamente delicato e precario. L'eventuale riduzione dei farmaci antispastici e antidolorifici avrebbe determinato un peggioramento dell'insufficienza respiratoria che avrebbe accelerato il processo del morire . L'eventuale incremento della terapia morfinica a base di Fentanil avrebbe determinato il decesso del paziente per arresto respiratorio. L'eventuale interruzione del farmaco cardiologico Dilatrend Carvedilolo avrebbe provocato dei picchi pressori elevati non più controllabili e lo avrebbe condotto in una condizione di scompenso cardiaco. La sopravvivenza del Tr. dipendeva da un sottile equilibrio del dosaggio dei farmaci una riduzione avrebbe determinato una situazione di sofferenza e di scompenso cardiaco che ne avrebbe accelerato il decorso clinico fino alla morte, un incremento, in particolare del dosaggio di Fentanil, ne avrebbe causato il decesso in tempi brevi se non immediati . E, dunque, evidente, alla luce di queste considerazioni del dr. Ri., da ritenersi attendibili anche perché immuni da vizi logici, che il Tr. dipendeva da un trattamento di sostegno vitale, in particolare da un trattamento sanitario di tipo farmacologico la cui eventuale interruzione avrebbe potuto determinarne la morte, anche se in tempi non rapidi. Pertanto, sussiste il requisito della dipendenza da trattamenti di sostegno vitale. Peraltro, tale requisito risulta provato anche sulla base di altre informazioni e valutazioni anch'esse esposte dal CT dr. Ri Infatti, il CT Ri. ha evidenziato che il Tr., nell'ultimo anno di vita, dipendeva anche dalla funzione meccanica manuale evacuativa delle feci. Il CT Ri. ha, in particolare, riferito che, a causa della progressiva paralisi della muscolatura intestinale che rendeva sempre più difficile l'evacuazione delle feci, il Tr., nell'ultimo anno, doveva essere sottoposto ad evacuazioni manuali per prevenire la formazione di fecalomi. Infatti, la paralisi della muscolatura intestinale comportava l'accumulo delle feci, per cui, per evitarlo, si rendeva necessaria l'evacuazione manuale. In un primo periodo, vi erano degli operatori sanitari che eseguivano l'operazione in un secondo momento, la madre del Tr. aveva imparato la tecnica di svuotamento dell'intestino e la eseguiva personalmente con cadenza settimanale. Il dr. Ri. ha, inoltre, precisato che, se non fosse stata eseguita la predetta operazione manuale, la situazione sarebbe potuta arrivare ad un punto tale da determinare l'occlusione intestinale meccanica, per cui l'intestino sarebbe arrivato a gonfiarsi determinando due conseguenze letali prima l'ischemia intestinale dovuta alla pressione del fecaloma sulle pareti e infine la conseguente rottura da scoppio del colon favorita dalla mancata fuoriuscita dei gas intestinali. Sono stati già esposti i motivi per cui queste dichiarazioni del dr. Ri. devono essere ritenute non solo utilizzabili per la decisione ma anche attendibili. E’ stato, in particolare, già evidenziato che si tratta di dichiarazioni che, nella parte valutativa, sono utilizzabili in quanto rientranti nell'attività integrativa di indagine compiuta dalla difesa nell'esercizio del diritto alla prova e che, nella parte in cui riportano informazioni provenienti da dichiarazioni della madre del Tr., sono utilizzabili come testimonianza de relato. Sono stati, inoltre, già evidenziati i motivi per cui dette dichiarazioni, pur non del tutto coincidenti con quelle della Ma., devono comunque essere considerate attendibili in quanto integrano ma non smentiscono quelle della Ma Orbene, sulla base delle dichiarazioni del dr. Ri., appare evidente che il Tr. dipendeva anche da un ulteriore trattamento di sostegno vitale oltre quello di tipo farmacologico di cui si è già detto , in particolare da un trattamento sanitario di tipo assistenziale consistente nell'operazione manuale di ausilio all'evacuazione delle feci in mancanza della quale si sarebbe venuto a trovare in una condizione incompatibile con la sopravvivenza. E’ evidente, infatti, che l'impossibilità, dipendente dalla paralisi della muscolatura intestinale, di svolgere normalmente la funzione defecatoria determina una condizione patologica che, sia pure non in tempi rapidi, è incompatibile con la permanenza in vita. Quindi, il Tr. dipendeva anche da quel trattamento sanitario assistenziale che consisteva nell'aiuto manuale alla defecazione, il che integra un'ulteriore forma di dipendenza da un trattamento di sostegno vitale e vale, quindi, a confermare la sussistenza del requisito in esame. 15.4. Peraltro, come si è già accennato, il requisito in esame deve ritenersi sussistente anche sulla base di altre motivazioni che prescindono dalle informazioni acquisite dal CT Ri. e dalle sue valutazioni. Va tenuto presente che il requisito in questione è uno degli elementi costitutivi che integrano la scriminante configurata dalla Corte Costituzionale. E' noto che, in materia penale, il divieto di analogia concerne solo l'interpretazione delle norme penali sfavorevoli al reo, non riguarda l'analogia il cui risultato sia quello di estendere le norme favorevoli al reo è vietata l'analogia in malam partem ma non anche l'analogia in bonam partem. Tale principio comporta la possibilità di applicare in via analogica le norme che prevedono le scriminanti. Infatti, escluso che le scriminanti possano essere inquadrate nella categoria delle norme eccezionali rispetto alle quali pure è vietata l'analogia - in quanto le norme sulle cause di giustificazione sono norme che contribuiscono a determinare i presupposti generali di applicazione delle norme incriminatrici, manca la necessaria unità di materia tra norme incriminatrici e norme scriminanti e queste ultime sono espressione di principi generali - è evidente che esse possono essere applicate in via analogica proprio in quanto norme di favore per il reo. Del resto, la Costituzione non prevede un divieto assoluto di analogia in materia penale ma solo un divieto relativo, tale per cui solo le norme incriminatrici non possono essere applicate analogicamente. L'art. 25 co. 2 Cost. non mira a garantire la certezza del comando penale bensì la libertà del cittadino, che non può essere punito senza una legge penale sanzionatoria in vigore al momento del fatto. L'interpretazione analogica che abbia come obiettivo di estendere la portata di norme più favorevoli al reo è compatibile con la predetta norma costituzionale proprio perché tale norma si basa sul presupposto che la libertà dei cittadini è la regola e la sua limitazione è l'eccezione. Del resto, il principio secondo cui in materia penale è ammissibile l'analogia in bonam partem è ormai da tempo consolidato nella giurisprudenza di legittimità per esempi di analogia in bonam partem si vedano Cass. 10054/80 Cass. 30256/06 Cass.4128/97 Cass. 3625/97 Cass. 561/67 Cass. 11476/18 Cass. 22398/04 . Quindi, posto che in materia penale è consentita l'applicazione analogica delle norme favorevoli al reo, tra le quali rientrano le norme che prevedono delle scriminanti, ne consegue che, nel caso in esame, anche il requisito della dipendenza da trattamenti di sostegno vitale, in quanto requisito di una fattispecie normativa che configura una scriminante, deve ritenersi applicabile in via analogica a situazioni ad esso simili. L'interpretazione analogica permette di arrivare a ravvisare la sussistenza del requisito in esame facendo riferimento alle condizioni in cui viveva il Tr. quali risultano dalla testimonianza della Ma. e dalla documentazione medica acquisita e quindi a prescindere dalle dichiarazioni del dr. Ri. . In particolare, risulta attestato dal certificato medico della prof.ssa Am. Del 16/1/14 che il Tr. necessitava di assistenza continua nelle comuni attività della vita quotidiana . La teste Ma. ha riferito che il Tr. non poteva fare niente della vita quotidiana non riusciva ultimamente più a mangiare da solo perché prendeva in mano il cucchiaio e cadeva per riuscire ad alzarsi dal letto, per fare la doccia e per fare altri movimenti, era costretto a ricorrere al sostegno fisico di altre persone la madre o anche i vicini di casa per muoversi doveva necessariamente utilizzare una sedia a rotelle o un deambulatore ma ciononostante moltissime volte finiva col cadere in terra perché le gambe non reggevano . Quindi, dalle dichiarazioni della Ma. risulta che il Tr. poteva muoversi dal letto soltanto con l'aiuto di altre persone e su di una sedia a rotelle e che il Tr. poteva alimentarsi solamente con l'aiuto di altre persone. Risulta, pertanto, provato, sulla base della citata documentazione e della predetta testimonianza, che la condizione del Tr. era quella di una persona che necessitava di assistenza continua , senza la quale non si sarebbe potuto alimentare, non avrebbe potuto espletare i propri bisogni fisiologici, sarebbe dovuto rimanere immobile a letto. In altre parole, il Tr. era ridotto in una condizione di oggettiva ed assoluta dipendenza da un'altra persona e tale dipendenza concerneva i suoi bisogni vitali, segnatamente l'alimentazione, i minimi indispensabili movimenti, la defecazione e la minzione senza un minimo movimento, non avrebbe potuto defecare né urinare . In poche parole, senza l'aiuto di altre persone, il Tr. non poteva soddisfare i propri bisogni vitali. Orbene, ricostruita in questi termini la condizione del Tr., appare evidente la similitudine tra la sua situazione e quella di un malato che dipenda da trattamenti di sostegno vitale. Ed invero, si è visto che i trattamenti di sostegno vitale si caratterizzano per essere trattamenti sanitari farmacologici o assistenziali o con dispositivi medici senza i quali non è possibile la sopravvivenza. Analogamente, nel caso del Tr., vi era una dipendenza da una persona senza il cui aiuto il Tr. non poteva sopravvivere. Nel caso dei trattamenti di sostegno vitale, la possibilità per il malato di continuare a vivere dipende dalla prosecuzione della terapia farmacologica o dell'assistenza sanitaria o del funzionamento di un determinato macchinario medico. Allo stesso modo, la situazione del Tr. era quella di una persona che, per continuare a vivere, dipendeva da un'altra persona che provvedeva ad aiutarlo nel mangiare e nel muoversi anche per andare al bagno o comunque per l'evacuazione delle feci e la minzione posto che l'evacuazione e la minzione richiedono un anche minimo movimento . Ed il mangiare ed il muoversi anche per l'evacuazione delle feci e la minzione sono evidentemente attività senza le quali non è possibile la vita. L'identità di situazione è evidente nella misura in cui, in entrambi i casi, il malato non è autonomo nei suoi bisogni vitali. In entrambe le situazioni, la sopravvivenza del malato dipende direttamente da altri. In entrambi i casi, la vita non potrebbe proseguire senza il sostegno di altri. In sostanza, da un lato, l'essenza del requisito della dipendenza da trattamenti di sostegno vitale è data dalla presenza di due condizioni in primo luogo, la condizione di dipendenza del malato dai farmaci o dall'assistenza sanitaria o dai dispositivi medici in secondo luogo, l'essere tale dipendenza direttamente funzionale alla sopravvivenza del malato. Dall'altro, anche nella situazione del Tr. erano presenti le medesime due condizioni in primo luogo, la dipendenza del Tr. da un'altra persona che gli permetteva di mangiare e di muoversi anche per la defecazione e la minzione in secondo luogo, il fatto che la predetta dipendenza era direttamente funzionale alla sopravvivenza, posto che, senza mangiare e senza muoversi anche per defecare ed urinare, evidentemente il Tr. non poteva vivere. In definitiva, il punctum crucis della questione è rappresentato dalla dipendenza della persona da altri siano essi cose o persone per il soddisfacimento di bisogni vitali. Siccome sia nel caso della dipendenza da trattamenti di sostegno vitale sia nella situazione del Tr. negli ultimi anni di vita è, in definitiva e nella sostanza, riscontrabile una condizione di dipendenza della persona da altri per il soddisfacimento di bisogni vitali, siccome, in entrambi i casi, l'individuo è dipendente da un qualcosa una persona o una cosa indispensabile ad una funzione vitale, appare evidente l'estrema similitudine delle due situazioni, l'eadem ratio che consente di ritenere il requisito in questione quello di cui al punto 3 sussistente anche nel caso in esame in virtù di un'operazione di interpretazione analogica. 16. Sussiste anche il requisito dell'avvenuto accertamento in ambito medico del fatto che il malato era capace di prendere decisioni libere e consapevoli. Sul punto, va, innanzitutto, richiamata la testimonianza della Ma. nella parte in cui ha dichiarato mio figlio era malato, era messo male, ma era perfettamente capace . La predetta teste ha anche precisato che nessuno aveva indotto nel Tr. la decisione di togliersi la vita, né altre persone avevano influito su tale decisione, essendosi trattato di una sua autonoma e consapevole scelta era proprio lui, era capace di intendere e di volere nel vero senso della parola . Sia la teste Ma. che le testi Go. e Tr. Ka. hanno riferito che Tr. Da. più volte aveva detto che avrebbe voluto suicidarsi anche gettandosi dalla finestra della sua abitazione ma che, a causa dell'indebolimento dovuto alla sua patologia, non aveva la forza fisica per scavalcare la finestra e temeva che, se si fosse gettato dalla sua abitazione, non avrebbe avuto la sicurezza di morire in quanto il suo appartamento era al secondo piano, con la conseguenza che avrebbe rischiato ulteriori ancor più gravi sofferenze il Tr. diceva alla madre se ce la facessi mi butterei, però non ce la faccio, non ce la posso fare a scavalcare il balcone , poi siamo al secondo piano, se casco e non mi succede, dopo soffro ancora di più . Perciò, abbandonata l'ipotesi di suicidarsi buttandosi dalla finestra di casa, aveva intrapreso delle ricerche sui siti Internet e così aveva scoperto che vi erano delle strutture sanitarie che operavano legalmente in Svizzera e che potevano aiutarlo a porre fine senza dolore alla sua esistenza. Tutto ciò vale ad evidenziare che il Tr. era perfettamente consapevole della sua condizione e che era in grado di compiere scelte motivate e razionali, valutando e scegliendo, tra più opzioni, quella effettivamente praticabile e quella meno dolorosa. Questa capacità del Tr. di prendere decisioni libere e consapevoli era stata anche oggetto di verifica in ambito medico. Infatti, il CT dr. Ri. ha riferito che, per le procedure di fine vita che si svolgono in Svizzera, la legge prevede l'obbligo per i medici di effettuare dei colloqui con il malato specificamente finalizzati anche a verificare l'effettiva volontà della persona che vuole porre fine alla sua vita ed il fatto che la stessa sia capace di intendere e di volere. Tali dichiarazioni del CT Ri. trovano riscontro nella testimonianza della Go., la quale ha riferito che, sia il giorno della sua morte sia il giorno precedente, il Tr. aveva effettuato i predetti colloqui con i medici svizzeri finalizzati alle predette verifiche. La Go. aveva assistito alla fase iniziale della visita e poi il Tr. le aveva raccontato quello che gli avevano chiesto i medici quando lei non era presente in quanto il colloquio con i medici doveva svolgersi in assenza di altre persone che potessero influire sulle dichiarazioni del malato . Perciò la Go. è stata in grado testimoniare che i medici svizzeri avevano fatto al Tr. ripetute domande finalizzate ad appurare se era convinto di quello che stava facendo, se era consapevole di quello che stava facendo e che i predetti medici avevano chiesto più volte la sera prima e il giorno stesso al Tr. quale fosse la sua volontà per verificare che fosse veramente convinto di quello che stava facendo . Deve, pertanto, presumersi che, in ottemperanza agli obblighi di legge previsti dall'ordinamento svizzero, i medici della Lifecircle avevano verificato che il Tr. era capace di intendere e di volere e che la sua era una scelta libera e consapevole, anche perché i colloqui tra i medici svizzeri ed il Tr. ed i relativi accertamenti dei medici erano stati filmati come riferito dalla teste Go. ed il filmato era stato consegnato alla polizia svizzera che doveva verificare il rispetto della procedura prevista dalla legislazione elvetica . 17. Sussiste anche il requisito della volontà dell'interessato manifestata in modo chiaro e univoco, compatibilmente con quanto consentito dalle sue condizioni. Sul punto, vanno richiamate le testimonianze della Ma., della Go. e di Tr. Ka. nella parte in cui hanno narrato che il Tr. aveva ripetutamente dichiarato di volersi gettare dalla finestra per suicidarsi ma non ce la faceva per mancanza di forza fisica e temeva che non avrebbe potuto avere la sicurezza di morire in quanto il suo appartamento era al secondo piano, con la conseguenza che avrebbe rischiato ulteriori ancor più gravi sofferenze. Perciò il Tr. aveva preso l'iniziativa di fare ricerche su internet per trovare una struttura che lo potesse aiutare a porre fine alla sua vita senza soffrire ulteriormente. Ciò evidenzia la chiara ed univoca volontà del Tr. di suicidarsi. La manifestazione della volontà chiara ed inequivoca del Tr. di porre fine alla sua vita risulta anche da altre dichiarazioni della Go Infatti, la Go. ha anche riferito che, all'inizio del 2016, il Tr. le aveva detto molto seriamente che aveva l'intenzione di suicidarsi e che aveva iniziato a documentarsi su quali potevano essere le associazioni per aiutarlo , facendo delle ricerche in tal senso su internet che dal momento in cui lui aveva avuto luce verde lui non vedeva l'ora che arrivasse questo appuntamento che il Tr. non aveva mai avuto alcun tipo di ripensamento, nemmeno un momento, mai che, nella notte tra il 12 ed il 13/4/17, il Tr. e la Go. erano rimasti a parlare quasi tutta la notte e la Go. aveva notato che il Tr. era particolarmente sereno non lo avevo visto così sereno e rilassato da anni, era veramente sereno, cioè io ho avuto l'impressione che fosse il posto proprio dove lui voleva essere in quel momento . La volontà incontrovertibile del Tr. di suicidarsi risulta provata anche dalla testimonianza della Ma. nella parte in cui ha narrato che, al momento di partire per la Svizzera, il figlio l'aveva salutata dicendole mamma, però stai tranquilla perché io vado a stare bene . La teste ha anche riferito che, per il figlio, quella di porre fine alla sua esistenza era la cosa più bella che per lui potesse arrivare che il figlio, quando aveva appreso dai mass media che Fa. An. noto anche come DJ Fa. , malato affetto da tetraplegia e cecità era deceduto a seguito di eutanasia in Svizzera nel febbraio del 2017 , aveva commentato dicendo beato lui, lui ce l'ha fatta, beato lui che anche i fratelli e le sorelle del Tr. avevano cercato di dissuaderlo dal mettere in atto quel proposito ma non erano minimamente riusciti ad intaccare la sua volontà di suicidarsi, tanto che il Tr. aveva risposto alla sorella, che gli diceva che non voleva perderlo sei egoista, tu pensi a te, ma tu pensa a me, al mio dolore e che non vi era stato alcun modo di fargli cambiare idea perché nessuno gli poteva far cambiare idea, nessuno, nessuno al mondo . Anche dalla testimonianza di Tr. Ka. risulta confermata la volontà chiara ed univoca del Tr. di suicidarsi. Infatti, la teste ha riferito che sia lei che gli altri fratelli, i parenti e gli amici avevano cercato di dissuadere il Tr. dalla decisione di morire ma lui era fermamente ed irremovibilmente convinto di voler attuare quel proposito era decisissimo , era stradeciso . Ai familiari che cercavano di convincerlo a ripensarci, diceva che non ne poteva più , che la sua vita era sempre e solo dolore , che non potevano capire quanto soffriva e che sarebbe stato sempre peggio il suo dolore , che soffriva talmente tanto che non voleva più vivere , che non aveva via di uscita . Perciò, non erano riusciti a dissuaderlo. Si consideri, infine, che è stato lo stesso Tr. che ha personalmente azionato la manopola che ha attivato il meccanismo che ha condotto al decesso come riferito dalla teste Go. . In definitiva, dalle suesposte testimonianze risulta provato che il Tr. aveva manifestato, in modo chiaro e univoco, la sua volontà di suicidarsi. 18. Sussiste anche il requisito dell'essere stato il malato informato sia in ordine alle sue condizioni, sia in ordine alle possibili soluzioni alternative, compreso l'accesso alle cure palliative. La prova di tale requisito si ricava, innanzitutto, dal certificato medico del dott. Angelotti del 3/11/16, in cui risulta attestato che il Tr. era cosciente della propria condizione clinica e conosce natura e prognosi della patologia , dal che si evince che il Tr. era stato adeguatamente informato dal medico in ordine alle sue condizioni di malato di sclerosi multipla, in ordine alle caratteristiche di tale patologia ed in ordine al prevedibile decorso che la stessa avrebbe avuto. In secondo luogo, viene in considerazione la testimonianza della Ma. nella parte in cui ha riferito che era accaduto che un medico aveva detto al Tr. che non esisteva altra terapia per il dolore oltre quella già prescritta io più di questo non posso darti, non esiste più di quello che ti do , dal che si evince che il Tr. era stato informato ed aveva percorso tutte le possibili alternative terapeutiche. Analoghe dichiarazioni sono state fatte dal CT Ri., il quale ha riferito che la Ma. gli aveva detto che il dr. Mo., a fronte delle sempre più gravi sofferenze del Tr., gli aveva spiegato che, se avesse aumentato le dosi di Fentanil, ciò avrebbe comportato un'overdose da farmaco con conseguente arresto respiratorio e morte probabilmente il medico di cui ha parlato la Ma. nella sua testimonianza è il dr. Mo. da lei citato parlando col CT Ri. , il che conferma che il Tr. era stato informato ed aveva effettivamente intrapreso tutte le possibili terapie. Anche la teste Go. ha riferito che il Tr. aveva consultato diversi medici e aveva fatto diverse terapie per il dolore nel corso degli anni. In particolare, il Tr. aveva consultato diversi medici e gii era stato diagnosticato che la malattia era evoluta da remittente recidivante a secondariamente progressiva , cioè una forma che progredisce lentamente e non recuperi più quello che perdi nel tempo ciò vale a confermare che il Tr. era stato adeguatamente informato in merito al tipo di patologia che aveva, alle sue caratteristiche ed al suo prevedibile decorso. Inoltre, la teste ha riferito anche che, per far fronte alla sua condizione patologica, il Tr. aveva iniziato ad assumere farmaci più forti aveva intrapreso anche un ciclo di chemioterapia assumendo farmaci chemioterapici dal 2007 al 2011 nel 2011 aveva dovuto interrompere i chemioterapici perché aveva raggiunto il limite di sopportabilità della loro somministrazione era quindi passato alla cannabis terapeutica fornitagli dalla ASL nel 2014-2015, era veramente peggiorato e, siccome provava sofferenze fisiche e dolori sempre maggiori, aveva iniziato la terapia del dolore, assumendo antidolorifici molto forti , farmaci contro il dolore sempre più forti e a dosaggi sempre più alti . Da queste dichiarazioni testimoniali si deduce che il Tr. era stato informato su tutte le alternative terapeutiche e che tutte le possibili terapie erano state da lui concretamente intraprese. Nello stesso senso va ricordato che anche il CT Ri. ha confermato che dalle informazioni da lui assunte risultava che il Tr. aveva seguito tutte le possibili terapie, anche perché, non esistendo per la sclerosi una terapia risolutiva, solo si poteva contenere la relativa sintomatologia mediante farmaci che attenuavano il dolore, così come aveva fatto il Tr Il CT Ri. ha anche riferito che i farmaci utilizzati dal Tr. facevano parte della cosiddetta terapia del dolore e che il Tr. era sostanzialmente già entrato in un percorso di cure palliative in quanto preso in carico dal dr. Mo., terapista del dolore specialista in cure palliative, ed in quanto usava farmaci, come il Fentanil, che era un oppiaceo, che avevano una forte valenza nella cura del dolore come cura palliativa. Se si considera che la patologia del Tr. era un tipo di patologia a carattere cronico, che non può essere curata, che è soggetta ad un'evoluzione inarrestabile ed irreversibile e che solo può essere contenuta nella sua sintomatologia soprattutto mediante farmaci antidolorifici e se a ciò si aggiunge che il Tr. aveva intrapreso tutte le possibili terapie antidolorifiche, anche mediante dosaggi estremamente forti, e che si era rivolto ad un terapista del dolore il dr. Mo. , da tutto ciò si evince che era sostanzialmente entrato in un percorso di cure palliative o, quanto meno, che era stato sicuramente informato circa tale tipologia di trattamento. Il Tr., quindi, era stato presumibilmente informato delle possibili terapie antidolorifiche e di quelle cosìddette palliative tanto che aveva intrapreso tutte le possibili terapie antidolore sostanzialmente iniziando un percorso di cure palliative. Del resto, la Corte Costituzionale ha individuato il requisito in esame traendo spunto dall'art. 2 legge 219/17, che prevede che debba essere sempre garantita un'appropriata terapia del dolore, osservando anche che l'accesso alle cure palliative, ove idonee ad eliminare la sofferenza, spesso si presta a rimuovere le cause della volontà del paziente di congedarsi dalla vita . Nel caso in esame, il Tr. aveva intrapreso tutte le possibili terapie contro il dolore ma, proprio perché, nonostante i potenti farmaci antidolorifici che assumeva, era ridotto in una condizione per cui non riusciva più a vivere perché avvertiva dei dolori fisici intollerabili e costanti, da quando era sveglio fino a quando non si addormentava cfr. testimonianza Go. , per cui la sua vita era sempre e solo dolore cfr. testimonianza Tr. Ka. , aveva deciso di porre fine alla propria vita. Tutto ciò dimostra che, nel caso del Tr., tutte le possibili soluzioni terapeutiche, soprattutto sul piano della terapia del dolore, erano state comunicate al malato ed erano state da lui effettivamente intraprese, ma il dolore era rimasto a livelli elevatissimi e continuava a peggiorare, per cui non vi erano spazi ulteriori per altre possibili terapie che potessero attenuare le sofferenze ed eventualmente condurlo ad un ripensamento. Pertanto, è evidente che sussiste anche l'ultimo dei requisiti dell'esimente in esame. 19. In conclusione, sussistono tutti i requisiti della scriminante configurata dalla Sent. Cost. 242/2019 o, quanto meno, tenuto conto di quanto osservato a proposito del requisito n. 3 , sussiste un dubbio in merito alla configurabilità nel caso in esame di tale esimente, il che conduce alla assoluzione degli imputati ai sensi dei commi 3 e 2 dell'art. 530 c.p.p. dal reato di agevolazione dell'esecuzione del suicidio con la formula perché il fatto non costituisce reato formula così individuata tenuto conto di quanto precisato da Cass. S.U. 40049/2008 . Ai sensi dell'art. 544 co. 3 c.p.p., si indica in 45 giorni il termine per il deposito della motivazione. P.Q.M. Visto l'art. 530 commi 1 e 2 c.p.p., assolve Ca. Ma. e Sc. Wi. dal reato loro ascritto perché il fatto non sussiste quanto alla condotta di rafforzamento del proposito di suicidio e perché il fatto non costituisce reato quanto alla condotta di agevolazione dell'esecuzione del suicidio. Giorni 45 per il deposito della motivazione.