Fornisce la propria auto ad un commando: deve rispondere di concorso in omicidio?

Anche un contributo limitato alla sola fase preparatoria è sufficiente affinché un soggetto debba rispondere di concorso in omicidio volontario, purché la condotta del concorrente sia sorretta dalla consapevolezza - o dalla accettazione del rischio - che la propria condotta sia inserita in un programma criminoso finalizzato a commettere quello specifico tipo di reato.

Così ha stabilito la Corte di Cassazione, Sezione Quinta Penale, con la sentenza n. 25221, depositata il 7 settembre 2020. La preparazione di un omicidio. La vicenda che oggi ci occupa trae origine da un processo per concorso in omicidio volontario. La storia del giudizio è caratterizzata da una doppia conforme in relazione ad alcune delle imputazioni elevate ad uno dei suoi protagonisti, tra le quali il concorso in omicidio per avere fornito l'autovettura utilizzata per commettere il delitto. Dopo un primo annullamento con rinvio della sentenza d'appello, altra sezione della corte di assise confermava il proprio giudizio di colpevolezza ponendo alla base del convincimento alcune intercettazioni ambientali dalle quali si desumerebbe la consapevole partecipazione al programma criminale. L'imputato proponeva, a questo punto, un secondo ricorso per cassazione. E questa volta gli Ermellini gli danno ragione, annullando nuovamente con rinvio la decisione sul punto della consapevole partecipazione all'omicidio perpetrato da altri. La questione è sempre la stessa fornire l'autovettura ad un gruppo di fuoco che commetterà un omicidio costituisce partecipazione concorsuale in quel delitto? E, in caso positivo, a quali condizioni? Il punto nodale è la prova dell'elemento soggettivo il dolo di partecipazione. A fronte della corposità della motivazione della sentenza che oggi commentiamo, possiamo senz'altro dire che il nocciolo della stessa è di una linearità davvero indiscutibile possono alcune intercettazioni ambientali successive al delitto bastare a dimostrare che l'imputato, quando fornì l'autovettura agli assassini incaricati di commettere il delitto, era consapevole di ciò che sarebbe successo? Il processo terminato con la sentenza impugnata era un processo indiziario non vi era prova diretta della partecipazione concorsuale al delitto, ma erano stati raccolti e messi in fila una serie di indizi costituiti per lo più, come dicevamo, da materiale captativo. Non vi era una chiara presa di distanza dal fatto di sangue, ma nemmeno la prova di una adesione ad esso. E in più, l'autovettura prestata” al commando era intestata proprio all'imputato. La Cassazione, dopo aver ricordato l'autonomia del Giudice del rinvio nella valutazione degli elementi probatori ed indiziari già oggetto di precedente giudizio, ritiene di dover focalizzare la propria attenzione sul punto dell'elemento soggettivo concorsuale. Ed invero, sotto questo profilo, viene ricordato che, affinché possa perfezionarsi la fattispecie di concorso in un delitto, oltre all'elemento materiale - e cioè il contributo causalmente collegato e diretto alla commissione di uno specifico fatto di reato - è necessario che sussista la prova del fatto che l'azione del concorrente sia stata sorretta da una adesione psichica, non necessariamente sconfinante nel previo accordo, all'evento delittuoso. Il dolo concorsuale diretto ed indiretto. La manifestazione del dolo concorsuale può essere di diversa tipologia, spiega la Corte. Oltre alla forma più chiara e diretta, consistente nella piena adesione contributiva al verificarsi di una azione illecita, concretamente tradottasi in un atto anche soltanto agevolativo un recente orientamento del 2019 sostiene questa tesi , può palesarsi anche nelle forme del dolo eventuale. In questo caso, secondo i Supremi Giudici, dovrà ricavarsi dal materiale in atti la prova dell'accettazione del rischio che il contributo dell'agente fosse comunque diretto alla commissione di un delitto. Come sappiamo, la prova di un atteggiamento psichico del genere non è affatto facile da ottenere. Lo scopo del percorso probatorio deve essere quello di fornire la dimostrazione – attraverso un ragionamento controfattuale – che se l'agente avesse saputo ogni dettaglio dell'azione criminosa da compiere, non si sarebbe astenuto dal fornire il proprio contributo. Nel caso che ci occupa, quindi, andava fornita la prova della consapevolezza che l'autovettura prestata ai killer sarebbe stata utilizzata per la commissione di un omicidio, e non di un reato qualsiasi. Come sempre avviene in questi casi, la prova dell'elemento soggettivo dovrà essere ricavata da una serie di indici rivelatori che la corte elenca senza pretesa di completezza personalità dell'agente, pregresse esperienze criminose, comportamento successivo al fatto, eccetera sono tutti elementi in grado di guidare il giudizio sulla sussistenza o sulla esclusione dell'elemento soggettivo del reato. Ecco perché, nel caso che ci occupa, la soluzione non poteva che essere un nuovo annullamento con rinvio dovranno riesaminarsi gli indizi raccolti per dimostrare o per escludere la consapevolezza del ricorrente in ordine alla sua partecipazione all'omicidio. Vedremo cosa succederà nell'ennesimo giudizio di merito.

Corte di Cassazione, sez. V Penale, sentenza 14 luglio 7 settembre 2020, n. 25221 Presidente De Gregorio Relatore Guardiano Fatto e diritto 1. Con la sentenza di cui in epigrafe la corte di assise di appello di Napoli, in parziale riforma della sentenza con cui il giudice per le indagini preliminari presso il tribunale di Napoli, in data 22.1.2014, decidendo in sede di giudizio abbreviato, aveva condannato C.A. alla pena dell'ergastolo in relazione ai delitti di omicidio premeditato in danno di N.N. capo A di lesioni volontarie personali aggravate in danno di Ca.Lu. capo B e di simulazione di reato aggravata capo D , condannava l'imputato, accogliendo l'appello del pubblico ministero sul punto, anche per il reato in materia di armi contestato nel capo C dell'imputazione, dal quale il C. era stato assolto in primo grado, rideterminando, tuttavia, l'entità del trattamento sanzionatorio in senso più favorevole al reo, attraverso la concessione delle circostanze attenuanti generiche, con giudizio di prevalenza sulla contestata circostanza aggravante della premeditazione, giungendo, in tal modo, alla pena finale di anni venti di reclusione e confermando nel resto la sentenza impugnata. 1.1. La corte territoriale assumeva tale decisione, ai sensi dell'art. 627 c.p.p., quale giudice del rinvio dopo che la Prima sezione penale della Corte di Cassazione, in data 21.12.2016, aveva annullato la sentenza con cui altra sezione della corte di assise di appello di Napoli, in data 16.9.3.2015, aveva confermato la decisione di primo grado, condannando, inoltre, il C. anche per l'indicato delitto di cui al capo C . Evidenziava al riguardo la Suprema Corte, limitando la sua indagine ai soli delitti contestati nei capi A B e C , essendosi formato il giudicato sul delitto ex art. 367 c.p., di cui al capo D , per mancata impugnazione sul punto, una carenza di motivazione ed una manifesta illogicità del percorso motivazionale, sotto un duplice profilo. Premesso che il materiale probatorio sul quale si fonda l'affermazione di responsabilità del C. è costituito prevalentemente dagli esiti delle intercettazioni ambientali aventi ad oggetto i colloqui intercorsi in carcere tra l'imputato ed i suoi familiari, dopo la perpetrazione dell'agguato criminoso in cui perse la vita il N. raggiunto da colpi d'arma da fuoco al posto della vittima designata, A.C. e venne gravemente ferita Ca.Lu., che si trovava in compagnia di quest'ultimo, la Corte di Cassazione ha sottolineato come sia stata incompleta la valutazione operata dalla corte territoriale. Quest'ultima ha tratto il convincimento della consapevole partecipazione del C. all'omicidio, con il precipuo compito di avere fornito al gruppo di fuoco incaricato dell'agguato l'autovettura di sua proprietà, utilizzata dal commando omicida per recarsi sul luogo del delitto circostanza oggettivamente accertata e non contestata dal ricorrente, in quanto l'imputato effettivamente mise la sua autovettura a disposizione dei killers, per i loro spostamenti sul territorio alla ricerca della vittima, il giorno stesso dell'agguato, pur negando decisamente di essere a conoscenza dell'uso che ne avrebbero fatto anche dalla circostanza, ritenuta decisiva dal giudice di secondo grado, che il C., nei colloqui captati, non aveva mai lamentato l'impiego della vettura per fini diversi da quelli concordati, nè aveva adoperato espressioni di astio nei confronti di coloro che, suo malgrado, lo avevano coinvolto in una vicenda delittuosa così grave . Tale assunto, tuttavia, rileva il Supremo Collegio, non considera come lo stesso imputato, nel corso di una delle conversazioni intercettate, abbia, in certa misura, affermato la sua estraneità ai fatti , attraverso l'espressione mi trovo coinvolto in una cosa che lo non so niente , il cui significato la corte territoriale aveva l'obbligo di approfondire in maniera adeguata, spiegando perchè la frase enucleata ed indicata non valesse a fungere da protesta d'estraneità , non essendo sufficiente a colmare l'evidenziato vuoto motivazionale nè il giudizio sulla natura generica di tale affermazione formulato dal giudice di appello, nè il riferimento operato ad altra espressione utilizzata dai componenti del commando omicida in attesa della vettura loro promessa dal C. noi abbiamo tutto quanto adesso, come dobbiamo fare? , perchè, rileva la Suprema Corte, si tratta di un'espressione che dimostra, ancora una volta, ciò che era gia emerso e, cioè, che gli esecutori erano in attesa di ricevere il veicolo e che il C. avrebbe dovuto procurarlo . Tale espressione, piuttosto, non sembra espliciti altro o che sia tale da indurre a ritenere la conclusione che il C. fosse al corrente dell'uso della vettura che di lì a poco sarebbe stato operato. Nè la Corte di merito sul punto ha offerto spiegazioni ulteriori che potessero indurre a supportare una lettura diversa . D'altro canto , rileva il giudice di legittimità, la corte territoriale avrebbe dovuto offrire una spiegazione razionale sull'intera operazione e sulla scelta da parte dell'imputato di mettere a disposizione degli esecutori del delitto proprio la vettura che risultava intestata a sè. E' massima di esperienza comune, infatti, che giammai si sarebbe prestato il proprio veicolo, sapendo che di esso gli aventi causa ne avrebbero fatto quel tipo di uso e lo avrebbero impiegato nella fase commissiva di un omicidio. Ciò perchè sarebbe stato immediatamente individuabile il soggetto al quale l'auto era intestata . Si tratta di una massima di esperienza, osserva la Suprema Corte, che non può essere superata dal rilievo della corte territoriale, secondo cui il C., una volta venuta meno la possibilità di procurare al gruppo di fuoco l'autovettura originariamente promessa, fu costretto a fornire la propria automobile in considerazione della delicatezza dell'incarico, al quale non poteva sottrarsi, e dell'operazione da compiere. Nè, tantomeno, dall'incendio dell'autovettura, appiccato dopo l'esecuzione dell'agguato, in quanto, come rileva la Corte di cassazione, non appare sostenibile, sul piano della coerenza logica, che a tanto i killers si determinassero per cancellare una prova del collegamento del C. stesso con l'episodio criminoso . Invero la scelta di bruciare la vettura non avrebbe cancellato il collegamento del C. con il fatto delittuoso, collegamento che si sarebbe mantenuto inalterato ed in termini di esatta persistenza, avendo le telecamere ripreso l'auto ed il numero di targa sul luogo del delitto. D'altro canto, su quel collegamento alcun dubbio si sarebbe potuto avanzare alla luce della palese falsità della denuncia di furto cui si era indotto il C., dopo i fatti ed in considerazione delle spiegazioni incongrue, smentite dai plurimi accertamenti che in immediato aveva posto in essere la polizia giudiziaria . 1.2. Con la sentenza oggetto dell'odierno ricorso la corte territoriale, con un'articolata motivazione, confermava il nucleo essenziale della sentenza di condanna secondo un percorso logico giuridico, che si snoda attraverso i seguenti passaggi, volti a dimostrare come il C. fosse assolutamente consapevole dell'uso che i componenti del commando omicida avrebbero fatto dell'autovettura da lui messa a loro disposizione 1 risultano ampiamente dimostrati gli stretti legami criminali nel settore del commercio delle sostanze stupefacenti, che uniscono il C. alla famiglia camorristica dei S., nota anche come i campagnoli , di cui fa parte S.S., il cui ferimento in una rissa rappresentò il motivo della ritorsione ordinata per colpire A.C., esponente di altro gruppo camorristico, che si contendeva con i S. il controllo del territorio 2 accertata ed ammessa anche dal C. è la sua attività di compravendita di autovetture, prevalentemente di provenienza delittuosa, che dimostra come non sia stata casuale la scelta di rivolgersi a lui da parte dei S. allo scopo di ottenere un'autovettura affidabile da utilizzare per l'agguato programmato per colpire il rivale A. 3 indubbio è l'atteggiamento di omertà che il prevenuto ha manifestato nel precedente giudizio di appello, tacendo del tutto il suo collegamento con i S., in uno con l'inconsistenza delle giustificazioni fornite in ordine alla consegna del veicolo ed al mendacio che impronta le dichiarazioni relative alla falsa denuncia di furto dell'autovettura 4 dall'esame del contenuto delle conversazioni intercettate, emerge il reiterato atteggiamento del C., volto a sottolineare con i genitori l'assenza di elementi raccolti a suo carico dagli investigatori, piuttosto che una sua estraneità alla vicenda. In questo contesto, caratterizzato dalla impossibilità per il C. di sottrarsi alla richiesta dei campagnuoli , il cui sostegno era per lui indispensabile al fine di continuare l'attività di vendita di sostanze stupefacenti, cui era dedito nel territorio controllato dalla suddetta organizzazione criminale, l'espressione noi abbiamo tutto quanto adesso, come dobbiamo fare? , va interpretata nel senso che egli fu messo a parte della compiuta organizzazione dell'agguato, essendo significativo, al riguardo, non solo che nel corso delle conversazioni in carcere i genitori non gli abbiano mai chiesto chiarimenti sul punto, ma anche la circostanza che il C. abbia falsamente affermato che tale espressione doveva intendersi riferita alla somma predisposta dall'acquirente. Allo stesso modo l'espressione mi trovo in una cosa che lo non so niente , se collegata all'oggetto della conversazione con i genitori, da cui è stata estrapolata, conversazione avente ad oggetto l'arresto dell'imputato e le indagini svolte dalla Direzione Investigativa Antimafia, non è affatto esplicativa di un'estraneità all'omicidio, apparendo, piuttosto, indicazione che di tale indagine l'imputato non ha formale conoscenza 5 risulta evidente che il C., trovandosi improvvisamente sfornito del veicolo che si era impegnato a procurare, in ragione del rapporto che lo legava ai campagnuoli , non poteva sottrarsi all'impegno preso, per cui fu costretto a fornire la sua autovettura al gruppo di fuoco, tentando poi di allontanare i sospetti da sè presentendo una falsa denuncia di furto, la cui evidente inverosimiglianza dimostra solo una mancanza di sagacia da parte del ricorrente, che, tuttavia, è inidonea ad incidere sulla sussistenza della condotta, posto che la banalità del male non ne esclude l'efficacia 6 nè va taciuto che il C. ha ammesso indirettamente il suo coinvolgimento nell'omicidio minacciando un presunto corteggiatore della moglie di fargli fare la stessa fine della persona che è stata fatta con la mia macchina , nonchè facendo riferimento al suo coinvolgimento nell'agguato in una conversazione con la moglie, in cui afferma di non avere avuto l'assoluzione dal sacerdote incontrato in carcere, trattandosi di un peccato mortale 7 del tutto irrilevanti, infine, appaiono le dichiarazioni del vero destinatario dell'agguato, l' A., che sono state smentite nella parte in cui egli ha riferito di avere appreso da terzi che l'autovettura utilizzata dal gruppo di fuoco era stata rubata al C., per fargli una cattiveria . 2. Avverso la decisione della corte territoriale, di cui chiede l'annullamento, ha proposto tempestivo ricorso per cassazione, l'imputato, con un unico atto di impugnazione, articolando tre motivi di ricorso 2.1. Con il primo motivo, il ricorrente lamenta violazione di legge e vizio di motivazione, con riferimento al disposto dell'art. 627 c.p.p., comma 3, in quanto il giudice di rinvio non si è uniformato ai principi affermati nella pronuncia di annullamento della Prima Sezione penale di questa Corte, non avendo fornito la corte territoriale una motivazione in grado di superare la criticità evidenziata dalla Suprema Corte, secondo cui, come si è detto, è massima di esperienza comune che giammai si sarebbe prestato il proprio veicolo, sapendo che di esso gli aventi causa ne avrebbero fatto quel tipo di uso e lo avrebbero impiegato nella fase commissiva di un omicidio. Con il secondo motivo, il ricorrente eccepisce violazione di legge, con riferimento al disposto dell'art. 110, c.p., non essendo stato dimostrato che il C. abbia concorso nei delitti innanzi indicati, sulla base di una consapevole rappresentazione della volontà di cooperare con gli altri soggetti coinvolti nell'agguato alla realizzazione della condotta criminosa. Rileva l'imputato che non risulta dimostrato in alcun modo, nemmeno nella prospettiva del dolo eventuale, che egli sia stato consapevole dell'utilizzo che sarebbe stato fatto della sua autovettura al momento della messa a disposizione del veicolo, dovendosi ritenere ogni acquisizione successiva di notizie e di dati su tale impiego del tutto ininfluente ai fini del giudizio nel merito dell'imputazione. In particolare, osserva il ricorrente, la suddetta consapevolezza non può desumersi dalla duplice circostanza che il C., nei colloqui in carcere, non si è mai professato completamente estraneo alla vicenda, rammaricandosi di essersi fidato del fornitore e di non avere rimandato la consegna dell'autovettura. Come non può desumersi dalla estrema vicinanza alla famiglia S., ulteriormente evidenziata dalla circostanza che, dopo avere presentato la falsa denuncia di smarrimento ai CC., il C. si sia recato da un componente di tale famiglia, trattandosi di eventi suscettibili di plausibili interpretazioni alternative. Con il terzo motivo il ricorrente denuncia anche la manifesta illogicità della motivazione, con riferimento alla pretesa di desumere la sussistenza del dolo del C. sia da una conversazione in cui egli non condivide la critica del padre sulla mancata consegna dell'autovettura di quest'ultimo al posto di quella dell'imputato, perchè, ove si fosse comportato in tal modo, avrebbe coinvolto il genitore nelle indagini, trattandosi di una riflessione che dimostra solo come i due avessero conoscenza dell'agguato al tempo della detenzione in carcere, sia dalle dichiarazioni spontanee rese dall'imputato nel giudizio di appello, che rappresentano una mera scelta difensiva compiuta dal C. a distanza di anni dal verificarsi dei fatti. 2.1. Con memoria pervenuta in cancelleria il 24.6.2020 a firma del difensore di fiducia, avv. Rodolfo Viserta, le costituite parti civili chiedono che il ricorso dell'imputato venga dichiarato inammissibile o rigettato. 3. Il ricorso va accolto, essendo fondati il primo ed il secondo motivo di ricorso, in essi assorbite le ulteriori censure articolate dal ricorrente. Ritiene il Collegio che il giudice di rinvio, nonostante lo sforzo profuso, sia incorso nella violazione del principio di cui all'art. 627 c.p.p., comma 3, reiterando l'incompletezza motivazionale stigmatizzata dalla Suprema Corte nella menzionata sentenza di annullamento con rinvio. Ed invero, come affermato dall'orientamento dominante nella giurisprudenza di legittimità, ove l'annullamento di una sentenza sia avvenuto, come nel caso in esame, per vizio di motivazione, il giudice del rinvio, pur mantenendo piena autonomia di giudizio nella ricostruzione del fatto e nella valutazione delle prove, nonchè il potere di desumere anche sulla base di elementi probatori prima trascurati il proprio libero convincimento, colmando in tal modo i vuoti motivazionali e le incongruenze rilevate, non può, comunque, fondare la nuova decisione sugli stessi argomenti ritenuti illogici o carenti dalla Corte di Cassazione, gravando, inoltre, su di lui l'obbligo di conformarsi all'interpretazione offerta dalla Corte di legittimità alle questioni di diritto e di fornire adeguata motivazione sui punti della decisione sottoposti al suo esame cfr., ex plurimis, Cass., sez. V. 19.6.2014, n. 42814, rv. 261760 Cass., sez. II, 22.5.2014, n. 27116, rv. 259811 Cass., sez. II, 25.9.2013, n. 47060, rv. 257490 . Orbene non può non rilevarsi come il percorso argomentativo seguito dal giudice del rinvio risulti carente in relazione ad uno dei due punti nodali, ritenuti decisivi dalla Corte di Cassazione nella sentenza di annullamento, i cui rilievi critici non hanno ottenuto esaustiva ed integrale risposta. Il thema decidendum ha per oggetto la dimostrazione della consapevolezza da parte del C. dell'uso che sarebbe stato fatto della sua autovettura nel momento in cui quest'ultimo decise di metterla a disposizione dei componenti del gruppo di fuoco incaricato di eseguire l'omicidio della vittima designata A.C Non si discute, dunque, sull'efficacia causale della condotta posta in essere dal C. a titolo di concorso materiale nella condotta degli esecutori materiali dell'agguato in cui perse la vita N.N. e venne ferita Ca.Lu., insita nell'avere fornito ai componenti del commando omicida l'autovettura utilizzata per gli spostamenti sul territorio alla ricerca della vittima designata cfr., in questo senso, Cass., Sez. I, n. 27825 del 22/05/2013, rv. 256339, secondo cui configura concorso materiale nell'esecuzione del delitto di omicidio volontario la condotta di chi mette a disposizione il proprio alloggio come base di partenza per consentire agli esecutori materiali di procedere alla ricerca della vittima . Si discute, invece, della prova dell'elemento soggettivo del reato concorsuale, posto che, come da tempo affermato dalla giurisprudenza di legittimità, poichè per la sussistenza del concorso di persone nel reato occorre un rapporto di causalità materiale tra la condotta dell'agente e l'evento nonchè una preventiva adesione psichica del compartecipe alla commissione del reato, la responsabilità penale del predetto può essere affermata solo qualora egli, nell'ordinario svolgersi e concatenarsi dei fatti, sia stato in grado di prevedere in concreto l'evento, mostrando piena adesione psichica e fornendo un contributo causale efficiente al suo verificarsi cfr. Cass., Sez. I, n. 11970 del 31/10/1995, rv. 203227 . La responsabilità di chi coopera alla realizzazione di un fatto criminoso, dunque, presuppone che il suo apporto sia stato prestato con consapevole volontà di contribuire, anche solo agevolandola, alla verificazione del fatto criminoso cfr. Cass., Sez. I, n. 15860 del 09/12/2014, rv. 263089 . Come è stato ribadito da un recente e condivisibile arresto di questa Corte di Cassazione in tema di concorso di persone nel reato, ai fini della sussistenza del dolo del reato concorsuale, che richiede la consapevole contribuzione, anche solo agevolativa, dell'agente alla realizzazione del reato, è necessario l'accertamento della conoscenza, anche unilaterale, della condotta altrui da parte del concorrente cfr. Cass., Sez. II, n. 44859 del 17/10/2019, rv. 277773 . Peraltro non necessariamente il dolo nel reato concorsuale di evento si configura come dolo diretto, potendosi atteggiare anche in termini di dolo indiretto indeterminato, alternativo od eventuale , in cui l'evento sia stato considerato come possibile conseguenza ulteriore o diversa della condotta criminosa concordata cfr., ex plurimis, Cass., Sez. II, n. 48330 del 26/11/2015, rv. 265479 . Ed invero, come è stato correttamente rilevato, perchè il concorrente risponda di un reato di evento, non è necessario, come per l'esecutore materiale, che l'evento sia stato da lui voluto con dolo diretto, ma è sufficiente che sia stato voluto con dolo eventuale e, pertanto, egli deve aver concorso all'azione dell'esecutore materiale non soltanto prevedendo in concreto l'evento come possibile conseguenza dell'azione concordata, ma addirittura accettandone il rischio di accadimento, pur di realizzare l'azione concordata e sempre che l'evento rientri, in modo diretto e conseguenziale, nello schema esecutivo di tale azione cfr. Cass., Sez. II, n. 20793 del 15/04/2016, rv. 267038 . In altri termini sussiste il dolo eventuale quando l'agente si sia rappresentato la significativa possibilità di verificazione dell'evento e si sia determinato ad agire comunque, anche a costo di cagionarlo come sviluppo collaterale o accidentale, ma comunque preventivamente accettato, della propria azione, in modo tale che, sul piano del giudizio controfattuale, possa concludersi che egli non si sarebbe trattenuto dal porre in essere la condotta illecita, neppure se avesse avuto contezza della sicura verificazione dell'evento medesimo cfr. Cass., Sez. I, n. 18220 del 11/03/2015, rv. 263856 . Per la configurabilità del dolo eventuale, dunque, occorre la rigorosa dimostrazione che l'agente si sia confrontato con la specifica categoria di evento che si è verificata nella fattispecie concreta aderendo psicologicamente ad essa e a tal fine l'indagine giudiziaria, volta a ricostruire l' iter e l'esito del processo decisionale, può fondarsi su una serie di indicatori, quali la personalità e le pregresse esperienze dell'agente la durata e la ripetizione dell'azione il comportamento successivo al fatto il fine della condotta e la compatibilità con esso delle conseguenze collaterali la probabilità di verificazione dell'evento le conseguenze negative anche per l'autore in caso di sua verificazione il contesto lecito o illecito in cui si è svolta l'azione nonchè la possibilità di ritenere, alla stregua delle concrete acquisizioni probatorie, che l'agente non si sarebbe trattenuto dalla condotta illecita neppure se avesse avuto contezza della sicura verificazione dell'evento cfr. Cass., Sez. U. n. 38343 del 24/04/2014, rv. 261105 Cass., Sez, V, n. 23992, del 23/02/2015, rv. 265306 . Può, pertanto, concludersi nel senso che ai fini del concorso in omicidio volontario, è sufficiente un contributo limitato alla sola fase preparatoria e di organizzazione logistica del reato materialmente commesso da altri concorrenti, non essendo necessario che il concorrente sia informato sull'identità di chi agirà, sulle modalità esecutive della condotta e sull'identità della vittima, purchè vi sia la consapevolezza da parte sua che la propria azione si iscriva in un progetto delittuoso finalizzato alla realizzazione di un omicidio, la cui ideazione ed esecuzione è affidata ad altri cfr., in questo senso, Cass., Sez. I, n. 25846 del 30/11/2015, rv. 267297 ovvero, in alternativa, in un piano delittuoso lo sbocco del quale, rappresentato dall'evento letale, sia solo una eventuale e possibile conseguenza dell'azione concordata, il cui verificarsi, tuttavia, è accettato dal concorrente come un rischio possibile, che non gli impedisce di fornire il suo contributo materiale alla realizzazione del progetto. Ciò posto, la motivazione della decisione oggetto di ricorso non fornisce, come si è detto, una completa risposta al rilievo formulato dalla Corte di Cassazione nella citata sentenza di annullamento, il cui centro gravitazionale , intorno al quale si aggregano i singoli punti critici indicati dal giudice di legittimità, è rappresentato proprio dalla prova della consapevolezza in capo al . C. dell'impiego che si sarebbe operato della vettura cfr. p. 8 . Prova non raggiunta completamente, secondo la Suprema Corte, in quanto, come pure si è ricordato, il primo giudice di appello, da un lato, non aveva spiegato in modo convincente perchè l'espressione mi trovo coinvolto in una cosa che lo non so niente , emersa dalle intercettazioni ambientali delle conversazioni in carcere tra l'imputato ed i suoi genitori, non dimostrasse l'estraneità del C. alla vicenda criminosa di cui si discute, dall'altro, non era riuscito ad offrire una spiegazione razionale sull'intera operazione e sulla scelta da parte dell'imputato di mettere a disposizione degli esecutori del delitto proprio la vettura che risultava intestata a sè , essendo massima di esperienza comune, non superata dal riferimento operato alla delicatezza dell'incarico ed alla necessità di compiere il delitto , che giammai si sarebbe prestato il proprio veicolo, sapendo che di esso gli aventi causa ne avrebbero fatto quel tipo di uso e lo avrebbero impiegato nella fase commissiva di un omicidio. Ciò perchè sarebbe stato immediatamente individuabile come effettivamente avvenne, giova notare il soggetto al quale l'auto era intestata cfr. pp. 8-9 della menzionata sentenza di annullamento . Orbene, il primo rilievo risulta superato dal giudice del rinvio con motivazione certo non illogica o incompleta, perchè fornisce una spiegazione razionale alla frase del C., innanzi indicata, interpretandola non come una protesta di estraneità ai fatti, ma come una semplice presa d'atto di non avere ancora ricevuto notizia formale dell'esistenza di indagini nei confronti suoi e degli altri soggetti per l'omicidio del N. ed il ferimento della Ca Ciò emerge, come rileva la corte territoriale con motivazione dotata di intrinseca coerenza logica, dalla circostanza che, nella conversazione oggetto di captazione di cui si discute, appare evidente la preoccupazione dei genitori del C. che si stia indagando nei confronti di quest'ultimo, a prescindere da una comunicazione formale da parte dell'autorità procedente, proprio per l'agguato in danno del N. e della Ca. apri gli occhi perchè qua si tratta di un omicidio , lo incalza, ad un certo punto, la madre , laddove l'imputato insiste nel ribadire non tanto la sua estraneità ai fatti, quanto, piuttosto, la circostanza di non essere stato ancora formalmente indagato però non siamo, non siamo indagati noi, non ci sta, lo non sono indagato .altrimenti mi doveva arrivare una carta dove dice tu sei indagato per questo allora ti metti l'avvocato, lo non posso mettere nemmeno l'avvocato ancora cfr. pp. 27-28 della sentenza oggetto di ricorso . Lo stesso non può dirsi, invece, per il secondo rilievo, in relazione al quale il giudice del rinvio ha reiterato il deficit motivazionale censurato dalla Prima Sezione penale di questa Corte. A ben vedere, infatti, la prova del dolo del C. viene ancora una volta desunta da una valutazione complessiva della sua condotta, imperniata su di una serie di indizi, che, tuttavia, ritiene il Collegio, non possono essere interpretati come dotati di valenza univoca nel rappresentare la consapevolezza da parte dell'imputato della utilizzazione che sarebbe stata fatta della sua automobile dai componenti del commando omicida. Gli elementi indiziari valorizzati dalla corte territoriale, come sintetizzati nelle pagine iniziali della presente motivazione si vedano, in particolare, i punti contrassegnati dai numeri da 1 a 7 , corrispondono in linea di principio al percorso, che, secondo la giurisprudenza di legittimità, l'indagine giudiziaria deve seguire per dimostrare la sussistenza del dolo, anche nella forma del dolo eventuale, nei reati di evento. La valutazione dei giudici di merito, infatti, ha senza ombra di dubbio investito una serie significativa di indicatori, come la personalità e le pregresse esperienze criminali dell'agente la durata dell'azione il comportamento, anche processuale, successivo al fatto il contesto illecito in cui si è svolta l'azione, ma tali indicatori, a tutto voler concedere, consentono di affermare con rassicurante certezza solo la consapevolezza da parte del C. di una possibile destinazione illecita della propria autovettura. Depone in questo senso, al di là di ogni ulteriore considerazione, pur rilevante, svolta dalla corte territoriale, soprattutto la condotta serbata dall'imputato il giorno stesso dell'agguato in cui perse la vita il N Il C., infatti, pur essendo conscio della possibilità che si giungesse a lui partendo dalla intestazione della proprietà dell'autovettura, non esitò a consegnare la sua automobile a coloro ai quali non poteva, evidentemente, opporre un rifiuto e nemmeno un semplice rinvio dell'impegno preso in precedenza, proprio in considerazione dei comuni interessi criminali e della impellente necessità di una richiesta, che doveva essere soddisfatta il giorno stesso, recandosi, significativamente, subito dopo ad effettuare una falsa denuncia di furto presso i Carabinieri all'evidente scopo di allontanare da sè il sospetto di un coinvolgimento nell'attività illecita che sarebbe stata perpetrata dai soggetti ai quali aveva consegnato l'autovettura, perchè, come si è detto, era consapevole che sarebbe stato facile identificarlo, in quanto proprietario del veicolo. Tuttavia il percorso logico-giuridico seguito dalla corte di assise di appello non è giunto, come avrebbe dovuto, alla sua naturale conclusione, vale a dire, riprendendo il contenuto essenziale degli orientamenti giurisprudenziali in precedenza richiamati, alla dimostrazione che il C. si sia confrontato con la specifica categoria di evento che si è verificata nella fattispecie concreta, aderendo psicologicamente ad essa, ed abbia, dunque, agito non solo nella piena e diretta consapevolezza che la sua autovettura sarebbe stata utilizzata proprio per gli spostamenti sul territorio di un gruppo di fuoco, incaricato di commettere un omicidio, ma, quanto meno, accettando il rischio del verificarsi dell'evento letale, la cui possibilità non avrebbe costituito una controspinta efficace alla sua volizione criminosa. Sotto questo profilo non sembra che la corte territoriale abbia fatto buon governo dei principi elaborati dalla giurisprudenza di legittimità in tema di valutazione della prova indiziaria. Come è noto, infatti, gli indizi devono corrispondere a dati di fatto certi e, pertanto, non consistenti in mere ipotesi, congetture o giudizi di verosimiglianza e devono, ex art. 192 c.p.p., comma 2, essere gravi cioè in grado di esprimere elevata probabilità di derivazione dal fatto noto di quello ignoto precisi cioè non equivoci e concordanti, cioè convergenti verso l'identico risultato. Requisiti tutti che devono rivestire il carattere della concorrenza, nel senso che in mancanza anche di uno solo di essi gli indizi non possono assurgere al rango di prova idonea a fondare la responsabilità penale. Inoltre, il procedimento della loro valutazione si articola in due distinti momenti il primo diretto ad accertare il maggiore o minore livello di gravità e di precisione di ciascuno di essi, isolatamente considerato, il secondo costituito dall'esame globale e unitario tendente a dissolverne la relativa ambiguità. Il giudice di legittimità deve verificare l'esatta applicazione dei criteri legali dettati dall'art. 192 c.p.p., comma 2, e la corretta applicazione delle regole della logica nell'interpretazione dei risultati probatori cfr., ex plurimis, Cass., sez. V, 10.12.2013, N. 4663, rv. 258721 . In tema di valutazione della prova indiziaria, dunque, il metodo di lettura unitaria e complessiva dell'intero compendio probatorio non si esaurisce in una mera sommatoria degli indizi e non può perciò prescindere dalla operazione propedeutica che consiste nel valutare ogni prova indiziaria singolarmente, ciascuna nella propria valenza qualitativa e nel grado di precisione e gravità, per poi valorizzarla, ove ne ricorrano i presupposti, in una prospettiva globale e unitaria, tendente a porne in luce i collegamenti e la confluenza in un medesimo contesto dimostrativo cfr. Cass., sez. VI, 19.9. 2013, n. 42482, rv. 256967 . Orbene gli evidenziati profili, che rendono lacunosa la motivazione della sentenza impugnata, non consentono di affermare che la corte territoriale abbia ricostruito con il necessario rigore la valenza qualitativa, in termini di gravità e di precisione dei singoli indizi esaminati. Nè tale omissione può essere sanata dalla pretesa confessione extragiudiziale dell'imputato, che, secondo la corte territoriale, sarebbe contenuta nelle conversazioni indicate nelle pagine precedenti sub n. 6 , perchè dalle affermazioni peraltro parziali e non contestualizzate del C. estrapolate da tali conversazioni non è possibile ricavare un chiaro riconoscimento della sua consapevole partecipazione all'agguato criminoso più volte indicato, quanto piuttosto la consapevolezza di essere stato coinvolto oggettivamente in un grave fatto di sangue, le cui conseguenze sono destinate ad incidere comunque sulla sua vita. 5. Sulla base delle svolte considerazioni la sentenza impugnata va, di conseguenza, annullata con rinvio ad altra sezione della corte di assise di appello di Napoli, per un nuovo esame, che andrà condotto alla luce dei principi di diritto innanzi indicati in tema di dolo, anche nella prospettiva di una eventuale configurabilità del concorso cosiddetto anomalo di cui all'art. 116 c.p., secondo cui l'evento diverso non deve essere voluto da uno dei concorrenti nel reato neppure sotto il profilo del dolo alternativo o eventuale cfr., ex plurimis, Cass., Sez. I, n. 44579 del 11.9.2018, rv. 273977 , e di valutazione della prova indiziaria, senza fondare la nuova decisione sugli stessi argomenti ritenuti carenti da questo Collegio. P.Q.M. Annulla la sentenza impugnata con rinvio per nuovo esame ad altra sezione della corte di assise di appello di Napoli.