È reato farsi suggerire le risposte via telefono al test della patente?

Grazie all’intervento delle forze dell’ordine, l’imputato non riesce ad ottenere la patente nonostante il coimputato gli avesse suggerito le risposte via cellulare. La Corte analizza la differenza tra il tentativo di falso per induzione in atto pubblico ed il reato racchiuso negli artt. 1 e 2 della l. n. 475/1925, specificando quale norma debba applicarsi al caso concreto.

Questo il contenuto della sentenza della Suprema Corte n. 25027/20, depositata il 3 settembre. La Corte d’Appello di Genova confermava la decisione del Giudice di primo grado, il quale aveva condannato l’imputato per tentativo di falso per induzione in atto pubblico . In particolare, la condotta contestata consiste nel fatto che l’imputato avesse suggerito, mediante collegamento via cellulare con il coimputato, le risposte che egli doveva rendere al test per la prova teorica finalizzata al conseguimento della patente di guida . Tale condotta non era, però, andata a buon fine, in quanto gli imputati non erano riusciti nell’intento di ingannare il funzionario della Motorizzazione civile e di superare la prova a causa dell’intervento delle forze dell’ordine che ne invalidava l’esito. Contro la decisione dei Giudici, propone ricorso per cassazione uno degli imputati, lamentando l’ errata qualificazione del fatto , in quanto esso doveva essere ricondotto alla fattispecie speciale rispetto al falso ideologico per induzione di cui all’art. 1, l. n. 475/1925, essendosi la sua condotta esaurita nella presentazione e predisposizione di lavori non propri. La Corte di Cassazione osserva come il reato contestato all’imputato debba effettivamente essere riqualificato, ma non in quello oggetto del ricorso, bensì nel reato contenuto nel successivo art. 2 della stessa legge. Rileva la Corte che il suddetto art. 2, prevedendo che Chiunque esegue o procura dissertazioni, studi, pubblicazioni, progetti tecnici, e in genere lavori per gli scopi di cui all’articolo precedente, è punito a norma della prima parte dell’articolo stesso. È punito a termine del capoverso del detto articolo se l’aspirante consegua l’intento , è applicabile al caso in esame. Ciò poiché la fattispecie si ritiene consumata , in quanto il conseguimento della patente di guida l’intento costituisce circostanza aggravante , non necessaria ai fini della configurazione del reato ex art. 2. I Giudici di legittimità aggiungono che il procurare lavori ”, infatti, può consistere anche nel fornire in modo verbale le risposte alle domande al candidato che debba affrontare la prova scritta, in modo tale da consentirgli di presentare una prova come sua anche se, in realtà, non gli appartiene. Ciò rilevato, la Corte affronta il problema del concorso apparente di norme tra la disciplina speciale e quella codicistica, potendo anche il falso per induzione trovare applicazione nel caso di specie, risolvendo tale concorso in base al principio di specialità , per cui trova applicazione la norma speciale, cioè l’art. 2 della l. n. 475. Per questi motivi, la Suprema Corte riqualifica il fatto ascritto al ricorrente e annulla la sentenza impugnata quanto al trattamento sanzionatorio.

Corte di Cassazione, sez. V Penale, sentenza 15 luglio – 3 settembre 2020, n. 25027 Presidente Pezzullo – Relatore Borrelli Ritenuto in fatto 1. La sentenza impugnata è stata pronunziata il 7 gennaio 2019 dalla Corte di appello di Genova, che ha confermato la decisione del Tribunale del capoluogo ligure che aveva condannato H.T. alla pena di giustizia per concorso - con il coimputato S.S.M. , non ricorrente - in un tentativo di falso per induzione in atto pubblico. Più precisamente, l’addebito convalidato dai Giudici di merito vede l’imputato responsabile di avere suggerito, in collegamento via cellulare con il coimputato, le risposte che quest’ultimo doveva rendere ai test per la prova teorica finalizzata al conseguimento della patente di guida, non essendo stato conseguito l’intento di ingannare il funzionario preposto della Motorizzazione civile e di ottenere di conseguenza il superamento della prova grazie alle forze dell’ordine, intervenute subito dopo l’espletamento della prova, invalidandone l’esito. Oltre che l’inflizione della pena ritenuta di giustizia, alla condanna era conseguita la revoca del beneficio della sospensione condizionale della pena precedentemente concesso. 2. Ricorre avverso detta sentenza l’imputato a mezzo del difensore di fiducia, affidando l’impugnativa a due motivi. 2.1. Il primo motivo di ricorso deduce violazione di legge, vizio di motivazione ed errata qualificazione giuridica del fatto, sostenendo che quest’ultimo debba essere ricondotto alla fattispecie - speciale rispetto al falso ideologico per induzione - di cui alla L. 19 aprile 1925, n. 475, art. 1 giacché la condotta addebitata al ricorrente si sarebbe esaurita nella presentazione e nella predisposizione di lavori non propri. 2.2. La sentenza - giusto quanto si legge nel secondo motivo di ricorso - sarebbe altresì affetta da violazione di legge e vizio di motivazione avuto riguardo alla disposta revoca della sospensione condizionale della pena. In virtù della riqualificazione invocata nel primo motivo, la pena dovrebbe essere rideterminata in mitius, con possibilità di nuova concessione della sospensione ex artt. 164 c.p., comma 4 e art. 163 c.p. e conseguente venir meno dei presupposti per la revoca. 3. Il Procuratore generale, nelle sue conclusioni scritte, ha ritenuto il ricorso manifestamente infondato perché la norma invocata dal ricorrente attiene a tutt’altra situazione fattuale. Considerato in diritto 1. Il reato ascritto all’imputato va riqualificato in quello di cui alla L. 19 aprile 1925, n. 475, art. 2 e la sentenza impugnata deve essere, di conseguenza, annullata con rinvio ad altra sezione della Corte di appello di Genova per la sola rideterminazione del trattamento sanzionatorio. 1. Il primo motivo di ricorso deduce violazione di legge, vizio di motivazione ed errata qualificazione giuridica del fatto, sostenendo che quest’ultimo debba essere ricondotto alla fattispecie speciale, rispetto al falso ideologico per induzione, di cui alla L. 19 aprile 1925, n. 475, art. 1. 1.1. La norma invocata recita Chiunque in esami o concorsi, prescritti o richiesti da autorità o pubbliche amministrazioni per il conferimento di lauree o di ogni altro grado o titolo scolastico o accademico, per l’abilitazione all’insegnamento ed all’esercizio di una professione, per il rilascio di diplomi o patenti, presenta, come propri, dissertazioni, studi, pubblicazioni, progetti tecnici e, in genere, lavori che siano opera di altri, è punito con la reclusione da tre mesi ad un anno. La pena della reclusione non può essere inferiore a sei mesi qualora l’intento sia conseguito . È necessario, tuttavia, considerare che esiste altra disposizione della L. n. 425 - non menzionata dall’impugnante - che appare di interesse in questa sede. Si tratta dell’art. 2, secondo cui Chiunque esegue o procura dissertazioni, studi, pubblicazioni, progetti tecnici, e in genere lavori per gli scopi di cui all’articolo precedente, è punito a norma della prima parte dell’articolo stesso. È punito a termine del capoverso del detto articolo se l’aspirante consegua l’intento . Detta disposizione è stata ritenuta applicabile, da questa Corte, anche ad un caso assolutamente sovrapponibile a quello in esame. Sez. 5, n. 26438 del 30/03/2017 imputato Pisanelli e altro, Rv. 270536 ha, infatti, ritenuto la configurabilità della fattispecie a carico del soggetto telecollegato con il candidato al superamento dell’esame teorico per il conseguimento della patente di guida, posto che - come si legge in motivazione - la norma in oggetto punisce chi procura lavori altrui e le risposte date al questionario non erano state elaborate dall’esaminando e costituivano pertanto un elaborato altrui . Tale fattispecie è stata ritenuta consumata, giacché il conseguimento dell’intento - nel caso di specie l’ottenimento della patente di guida - costituisce circostanza aggravante, non essendo neppure necessaria, per la consumazione del reato ex art. 2, la presentazione alla commissione esaminatrice della scheda d’esame. Orbene, il Collegio condivide e fa propria detta esegesi, secondo cui il procurare lavori può consistere anche nel fornire oralmente al candidato, che debba affrontare la prova scritta, la risposta alle domande, sì da consentirgli il confezionamento di una prova presentata come propria, la cui paternità, invece, non gli appartiene. 1.2. Si pone, pertanto, il paventato problema del concorso apparente di norme, tra la disciplina speciale e quella codicistica, in quanto disciplinanti la stessa materia, potendo in astratto anche il falso per induzione trovare applicazione nella specie, giacché le attività fraudolente - identificantesi nella presentazione di un lavoro altrui - erano tese ad indurre l’ignaro pubblico ufficiale deputato al rilascio delle patenti di guida ad attestare falsamente l’esistenza dei presupposti per l’abilitazione alla guida, tra cui certamente si iscrive il superamento della prova scritta che, invece, non era riferibile al candidato, ma ad un terzo. Ebbene, detto concorso può essere risolto, in ossequio all’art. 15 c.p., secondo il principio di specialità, dovendo trovare applicazione la norma speciale, da identificarsi in quella di cui alla L. n. 475, art. art. 2 nel senso della specialità, Sez. 5, n. 2740 del 04/10/2016, dep. 2017, Colella, Rv. 268862 , che tende a reprimere precipuamente il segmento di condotta attraverso il quale si attribuisce al candidato il lavoro altrui ed a tutelare l’interesse dello Stato alla genuinità dell’elaborato Sez. 6, n. 9489 del 22/02/1995, Ragusa, Rv. 202287 , evidentemente funzionale alla corretta attestazione, da parte dell’organo competente, della sussistenza dei requisiti di legge. 1.3. Occorre, quindi, riqualificare la condotta in quella di cui alla L. n. 475 del 1925, art. 2 e rinviare al Giudice di merito per la rideterminazione del trattamento sanzionatorio. La questione della sospensione condizionale della pena è assorbita. P.Q.M. riqualificato il fatto ascritto all’imputato in quello di cui alla L. 19 aprile 1925, n. 475, art. 2 annulla la sentenza impugnata limitatamente al trattamento sanzionatorio con rinvio ad altra sezione della Corte di appello di Genova per nuovo esame.