Accesso al rito abbreviato precluso per i reati puniti con l'ergastolo: la questione alla Consulta

Non è manifestamente infondata ed è rilevante nel giudizio a quo la questione di legittimità costituzionale – per contrasto con i principi di uguaglianza, di presunzione di non colpevolezza e di ragionevole durata del processo - relativa alla novella legislativa che impedisce l'accesso al rito abbreviato nei processi aventi ad oggetto reati puniti con la pena dell'ergastolo.

Così ha stabilito il Tribunale di Piacenza, con ordinanza del 16 luglio 2020. No all'abbreviato per i delitti puniti con l'ergastolo la scelta rigorista per soddisfare l'opinione pubblica. Mai come in questi tempi il diritto penale si è prestato a placare gli umori delle folle, specialmente se le richieste afurordi popolo sono a base di severità-intransigenza-rigore punitivo. Sulla scia di questo filone, poco più di un anno fa si è pensato bene di porre uno sbarramento all'accesso al rito abbreviato qualora l'imputazione formulata dal P.M. contenga un reato punito con la pena dell'ergastolo. Una certa parte dell'elettorato, più o meno amplificata nei media, ha dimostrato tutto il proprio disappunto nell'accettare l'idea che, nei processi per i delitti più efferati, l'imputato potesse sfuggire alla pena perpetua semplicemente scegliendo il rito abbreviato. Il legislatore ha assecondato questa istanza, et voilà richiesta di rito a prova contratta inammissibile se il tenore dell'imputazione prevedeedittalmentela pena del carcere a vita. C'è, poi, un contorto sistema di recupero della riduzione premiale se – successivamente – ci si dovesse avvedere che, in realtà, il fatto contestato non era correttamente inquadrato nella norma incriminatrice inizialmente individuata. Ad un attento esame, la disciplina introdotta per placare gli animi degli scontenti dalla troppa mitezza del nostro sistema sanzionatorio ha generato più di un dubbio, così come si desume dalla censura di costituzionalità già sollevata a novembre 2019 dal GUPdi LaSpezia, tutt'ora in attesa di decisione. A questa si aggiunge l'odierna questione di costituzionalità, sollevata dal GUP presso il Tribunale di Piacenza. Precludere l'accesso al rito abbreviato contrasta con la presunzione di non colpevolezza. Alla base della modifica normativa, secondo il giudice remittente, vi è un equivoco di fondo al legislatore della novella deve essere sfuggito che la richiesta del rito abbreviato si può giustificare non soltanto sulla consapevolezza dell'imminenza di una decisione di condanna, ma anche sulla percezione esattamente opposta della consistenza del materiale investigativo. In altritemini, si va incontro all'abbreviato sia quando si è sicuri di essere condannati – e ci si vuole accaparrare il premio” in termini di riduzione della pena – sia quando si è consapevoli che le lacune investigative non potranno mai essere colmate e, conseguentemente, ci si attende un verdetto assolutorio. Ciò premesso, impedire l'accesso al rito abbreviato se il reato contestato prevede la pena perpetua equivale ad escludere – secondo il giudice a quo - che l'imputato per i reati che la contemplano si presuma innocente. La violazione del principio della ragionevole durata del processo. Questa possibile violazione del richiamato principio costituzionale è molto più intuitiva della precedente il rito a prova contratta, oltre al beneficio premiale sul piano sanzionatorio, persegue lo scopo deflattivo attraverso la riduzione dei tempi processuali. Ciò ancor di più nei processi per gravissimi delitti che, normalmente, richiedono la competenza della Corte d'Assise nell'ordinanza di rimessione si pone l'accento anche sul rilievo che nei piccoli centri giudiziari le sezioni di Corte di Assise non sono previste, e vanno allestite ad hoc . La possibile lesione del principio di uguaglianza e ragionevolezza. A fare la differenza, in termini di percorribilità della strada del rito abbreviato è, per lo più, il gioco delle aggravanti l'omicidio aggravato dall'essere stato commesso in danno del coniuge prevede l'ergastolo – si cita questo esempio nell'ordinanza, che viene emessa proprio nel contesto di un procedimento per questo reato – mentre se l'aggravante si rivelasse non correttamente contestata perchè, sempre nell'ordinanza, si dovesse scoprire che imputato e vittima erano, in realtà, divorziati si dovrebbe attivare, all'esito del dibattimento, il complicato meccanismo del recupero” dello sconto di pena previsto per il rito abbreviato al quale non si è potuto accedere nei tempi processualmente previsti. Ecco che, a questo proposito, la scelta legislativa di affidare al P.M. il potere assoluto di condizionare la scelta del rito, secondo il giudice a quo, appare del tutto irragionevole. La parola, adesso, passa alla Consulta vedremo se la discrezionalità del legislatore, certamente sacraedinviolabile anche quando è tesa a soddisfare le istanze di una precisa fetta dell'elettorato, è stata correttamente esercitata. Oppure se nel diritto penale moderno debbano essere privilegiate, rispetto alle componenti afflittive della pena, quelle rieducative dagarantisiattraverso l'effettività di un trattamento penale congruo ma intensamente diretto al recupero sociale del reo. Fonte ilpenalista.it

Tribunale di Piacenza, Ufficio del GIP, ordinanza 16 luglio 2020 Giudice Milani Fatto e diritto 1. Premessa Si procede nei confronti di Fo. Ab., rinviato a giudizio per la violazione degli artt. 575, 577 comma 1 n. 1 c.p., come descritta all'interno del seguente capo di imputazione perché dopo una colluttazione, colpiva ripetutamente la moglie convivente El As. Da. con un coltello da cucina provocandole plurime ferite, una delle quali risultata mortale la colpiva infatti al collo nella regione antero-laterocervicale sinistra in modo tale da trapassarlo quasi completamente da parte a parte così procurandole rapidamente la morte per emorragia e asfissia. Con la aggravante di aver commesso il fatto ai danni del coniuge. Fatto commesso il Borgonovo Val Tidone Piacenza , in data 6 maggio 2019. Con la recidiva generica All'udienza odierna l'imputato ha chiesto di essere giudicato con il rito abbreviato, invocando un'interpretazione costituzionalmente orientata dell'art. 438, comma 1 bis, c.p.p., nella parte in cui esclude la possibilità di accedere al giudizio abbreviato quando si procede per reati puniti con la pena dell'ergastolo. In seguito alla dichiarazione di inammissibilità di tale richiesta ad opera di questo G.u.p., la difesa ha eccepito l'illegittimità costituzionale del suddetto art. 438, comma 1 bis, c.p.p., nonché dell'art. 3 L. 12 aprile 2019, n. 33 il quale aveva abrogato il secondo e il terzo periodo del comma 2 dell'art. 442 c.p.p. in relazione a una serie di parametri costituzionali, in precedenza menzionati. La questione risulta rilevante e non manifestamente infondata. 2. La rilevanza della questione Come noto, la L. 12 aprile 2019, n. 33, entrata in vigore il successivo 20 aprile 2019, all'art. 1 ha previsto l'inserimento, nel testo dell'art. 438 c.p.p., del comma 1 bis, con il quale viene stabilito che non è ammesso il giudizio abbreviato per i delitti puniti con la pena dell'ergastolo . Come conseguenza di tale statuizione, l'art. 3 della stessa legge ha disposto l'abrogazione del secondo e terzo periodo del comma 2 dell'art. 442 c.p.p., i quali disciplinavano le modalità di computo delle riduzioni sanzionatorie nelle ipotesi di condanna all'esito di giudizio abbreviato per delitti puniti con la pena dell'ergastolo. Le modifiche normative appena descritte risultano applicabili al caso di specie, anzitutto in quanto la contestazione del reato di omicidio volontario riguarda un fatto avvenuto il 6 maggio 2019, quindi successivamente all'entrata in vigore della L.n. 33 del 2019, inoltre perché il richiamo della circostanza aggravante di cui all'art. 577, comma 1, n. 1 c.p. rende il reato per il quale si procede punibile con la sanzione dell'ergastolo. Ciò premesso, l'accertamento della legittimità costituzionale del comma 1 bis dell'art. 438 c.p.p. assume rilevanza nel procedimento in corso in quanto la vigenza di tale disposizione impedisce all'imputato di accedere al giudizio abbreviato. In proposito, non sono possibili letture alternative in grado di superare la preclusione in discorso, ad esempio sostenendo che, tecnicamente, il delitto per cui si procede è sanzionato con la pena dell'ergastolo solo per effetto della contestazione dell'aggravante speciale sopra richiamata e che, dunque, sarebbe possibile ammettere il giudizio abbreviato per l'accertamento del reato di omicidio volontario, indipendentemente dalle ricadute sanzionatorie derivanti dal computo di eventuali aggravanti speciali. L'opzione interpretativa suggerita in tal senso dalla difesa, richiamando distinzioni tra delitti circostanziati e non circostanziati che sono state operate in altri interventi legislativi tra i quali quello in tema di messa alla prova , con L. 28 aprile 2014, n. 67 , non si ritiene percorribile nel caso di specie. L'intervento normativo attuato con la L. n. 33 del 2019, infatti, come si avrà modo di precisare in seguito, non è stato volto ad escludere dal novero delle ipotesi nelle quali si possa procedere con il rito abbreviato una determinata categoria di reati, ma ha proprio perseguito il chiaro scopo di evitare che la peculiare premialità sanzionatoria associata a questo procedimento speciale, per il caso di condanna, possa di fatto stemperare la gravità di fatti percepiti come di estremo allarme sociale. Da questo punto di vista, nell'ottica del legislatore del 2019, l'attenzione è stata evidentemente focalizzata sull'esigenza di impedire la realizzazione di un certo tipo di risultato finale, ritenuto non coerente con la tenuta del sistema e stridente con la sensibilità dell'opinione pubblica , piuttosto che disciplinare a priori un catalogo di illeciti - circostanziati o non circostanziati - per i quali escludere l'accesso al rito abbreviato. Del resto, come correttamente sottolineato dalla difesa dell'imputato, la volontà legislativa, tendente a porre in rilievo gli effetti sul piano sanzionatorio di determinate contestazioni più che la loro riconducibilità a un certo novero di fattispecie, si percepisce nitidamente nell'inserimento, avvenuto sempre con L. n. 33 del 2019, del nuovo comma 1 bis dell'art. 441 bis c.p.p., il quale prevede che se, a seguito delle contestazioni, si procede per delitti puniti con la pena dell'ergastolo, il giudice revoca, anche d'ufficio, l'ordinanza con cui era stato disposto il giudizio abbreviato e fissa l'udienza preliminare o la sua eventuale prosecuzione”. Nel concetto di nuove contestazioni, infatti, deve ritenersi compresa anche quella di una circostanza aggravante ad effetto speciale, capace di influire sulla punibilità del fatto con la pena dell'ergastolo, che comporta, secondo quanto previsto dalla nuova norma, la revoca dell'ammissione del giudizio abbreviato e il ritorno alla fase dell'udienza preliminare. Fatta questa premessa circa l'impossibilità di pervenire a interpretazioni costituzionalmente orientate della normativa impugnata, si conferma il profilo della rilevanza della questione, in quanto appare pacifico che il procedimento nel quale è stata proposta l'eccezione di incostituzionalità dell'art. 438, comma 1, bis c.p.p., a seguito della declaratoria di inammissibilità dell'istanza di giudizio abbreviato formulata dalla difesa, non è suscettibile di proseguire senza che la norma oggetto sia sottoposta a scrutinio di legittimità costituzionale. In particolare, per l'imputato Fo. non sussistono altre strade se non quella del processo ordinario, connotato, nell'ipotesi di emissione di decreto di rinvio a giudizio, dalla celebrazione del dibattimento di fronte alla Corte di Assise. Nel caso di emissione di sentenza di non luogo a procedere ai sensi dell'art. 425 c.p.p., poi, l'imputato resterebbe comunque a rischio di una possibile revoca del provvedimento conclusivo della fase processuale, alle condizioni previste dagli artt. 434 ss. c.p.p. Entrambe le prospettive appena enunciate, alle quali si aggiungono ulteriori conseguenze pregiudizievoli - pensando ad esempio al prolungamento del periodo di custodia cautelare durante il dibattimento - rendono fondata l'aspirazione difensiva alla definizione del processo con rito abbreviato, rispetto alla quale unico strumento di tutela resta la proposizione di incidente di costituzionalità. Si aggiunga, infine, una chiosa relativa alle ricadute della nuova disciplina sul tema dell'esecuzione della pena in caso di condanna, in relazione al quale, non potendo più contare sulle sostituzioni sanzionatorie previste dall'art. 442, comma 2, c.p.p. nel testo precedente all'avvenuta abrogazione, il condannato all'ergastolo vedrebbe restringersi notevolmente la possibilità di fruire, in termini di tempo e di opportunità, di una serie di benefici penitenziari. Sulla base di simili considerazioni va affermata la rilevanza della questione che si inoltra alla Corte costituzionale. 3. La non manifesta infondatezza Tenuto conto delle argomentazioni illustrate dalla difesa dell'imputato all'udienza odierna e all'interno di apposita memoria depositata agli atti, questo Giudice reputa la questione di legittimità costituzionale delle norme oggetto non manifestamente infondata unicamente in relazione ai parametri rappresentati dagli artt. 3, 27, comma 2 e 111, comma 2, Cost. Non si condivide, invece, la prospettazione difensiva in ordine alla presunta illegittimità costituzionale delle disposizioni impugnate in relazione all'artt. 27, comma 3, e all'art. 111, comma 5, Cost. Conviene partire dall'illustrazione del presunto contrasto tra il nuovo testo dell'art. 438, comma l bis, c.p.p. e l'art. 27, comma 2, Cost., espressione della presunzione di non colpevolezza in materia penale. Al riguardo, si richiama il contenuto della relazione accompagnatoria della proposta di legge n. 392 del 27 marzo 2018, nella parte in cui riporta le seguenti osservazioni a sostegno dell'iniziativa legislativa assunta Se, infatti, consentire la scelta del giudizio abbreviato risulta giustificabile in via generale per motivi legati a esigenze deflative, ciò non sembra accettabile per reati che, in ragione della loro gravità, il codice penale punisce tanto severamente e che creano un grave allarme sociale nell'opinione pubblica. Desta sconcerto l'applicazione, molte volte, di pene notevolmente ridotte rispetto alla pena perpetua inizialmente prevista dal codice penale . Ebbene, come già accennato in precedenza, appare evidente che la scelta normativa di escludere l'accesso al rito abbreviato sia stata attuata al precipuo scopo di evitare che il meccanismo delle riduzioni sanzionatorie operante in caso di condanna possa provocare effetti in contrasto con la percezione della gravità di certi episodi delittuosi da parte dell'opinione pubblica. L'opzione seguita risulta espressione della discrezionalità del legislatore e, come detto, risponde all'esigenza di soddisfare le istanze punitive provenienti da una parte dell'elettorato sennonché, la disciplina volta al perseguimento di tale scopo appare chiaramente in contrasto con la presunzione di non colpevolezza. In altri termini, nell'impedire a un imputato rinviato a giudizio per reati astrattamente puniti con la pena dell'ergastolo di accedere al rito abbreviato solo ed esclusivamente per evitare il rischio che, in caso di condanna, la pena possa risultare troppo mite rispetto al comune sentire, il legislatore ha implicitamente anticipato un'affermazione di colpevolezza dell'accusato, precludendo allo stesso di fruire di una modalità procedurale di accertamento dei fatti e delle responsabilità che non necessariamente deve concludersi con una sentenza di condanna. Ancorché nei lavori preparatori dell'attuale Codice di procedura penale il giudizio abbreviato fosse stato definito patteggiamento sul rito con innegabile attribuzione di valore specifico alla premialità dell'istituto per l'ipotesi di condanna, non si può negare che la consistente riduzione di pena prevista in favore del condannato sia controbilanciata dall'accettazione di un giudizio allo stato degli atti senza possibilità per il richiedente -quanto meno nelle forme dell'abbreviato semplice - di beneficiare del metodo del contraddittorio nella formazione della prova. In questo senso, tuttavia, l'accettazione del processo celebrato sulla sola base delle risultanze investigative non può essere collegala univocamente alla convinzione dell'imputato di essere condannato, ma può ben essere sostenuta dall'intenzione di ottenere una pronuncia di proscioglimento nel merito proprio fondata su lacune o incertezze degli esiti delle indagini, non suscettibili di ulteriore sbocco probatorio nella fase dibattimentale. Alla luce di queste considerazioni, è evidente che lo sbarramento all'accesso al rito abbreviato, disciplinato unicamente attraverso il riferimento alla tipologia di pena irrogabile in caso di condanna, comporta un'illegittima violazione del principio di cui all'art. 27, comma 2, Cost., impedendo all'imputato - presunto non colpevole - di poter contare su una procedura più snella e celere rispetto a quella dibattimentale per giungere all'accertamento della sua eventuale responsabilità, ma anche al suo proscioglimento. A questo tema si lega la compressione del principio della ragionevole durata del processo, salvaguardato dall'art. 111, comma 2, Cost. Il valore appena menzionato rappresenta, all'interno del dettato costituzionale, una garanzia della giurisdizione, ma non può essere sottaciuta la sua diretta assonanza con il canone enunciato nel par. 1 dell'art. 6 C.e.d.u. tra i diritti soggettivi dell'accusato, norma da ritenersi di rango costituzionale, visto il meccanismo di richiamo dei principi sovranazionali assicurato dall'art. 117 Cost. La limitazione dell'accesso al giudizio abbreviato per colui che risulta imputato di un delitto astrattamente punito con la pena dell'ergastolo influisce indubbiamente sulle prospettive di celerità di un processo che, in assenza di alternative, deve essere necessariamente celebrato secondo il rito ordinario. Valutando come, per la previsione di cui all'art. 5 c.p.p., la competenza a giudicare i delitti sanzionati con la pena dell'ergastolo spetti alla Corte di Assise, si devono prendere in considerazione una serie di fattori che inevitabilmente incidono sulla durata della fase processuale, per ragioni che possono essere ricondotte alla fisiologia del sistema e ad alcune situazioni patologiche. In prima battuta, è chiaro che lo svolgimento di udienze dibattimentali dedicate all'assunzione di prove orali - tra le quali vanno ricomprese non solo le testimonianze ma anche l'esame di periti e consulenti tecnici - così come l'impossibilità di fruire, se non con il consenso delle parti, di contributi probatori già confezionati al termine delle indagini quali ad esempio le trascrizioni sommarie delle conversazioni intercettate , costituiscono elementi di sicura rilevanza nella valorizzazione dei tempi processuali. A ciò si aggiungano, come fattore di rischio di allungamento dei tempi del processo, le probabilità di mutamento in corso di causa della composizione di un collegio formato, come quello della Corte di Assise, da otto giudici, con un rischio concreto di ripetizione dell'istruttoria dibattimentale ben più tangibile rispetto a quanto potrebbe verificarsi nel corso di un giudizio allo stato degli atti celebrato di fronte a un giudice monocratico. Oltre a tali aspetti, come detto, non può ignorarsi l'incidenza di disfunzioni patologiche del sistema, le quali non sono state oggetto di intervento normativo contestualmente alla modifica legislativa oggi oggetto di impugnazione. Ci si riferisce, in proposito, alle note difficoltà di organizzazione di processi di competenza della Corte di Assise in realtà di uffici giudiziari medio-piccoli come Piacenza , dove non è generalmente prevista l'istituzione di sezioni appositamente dedicate a simili incombenze, con il problema della calendarizzazione di udienze eccezionali rispetto al regime ordinario delle trattazioni assegnate ai giudici togati in servizio presso il Tribunale. I profili appena delineati rendono palese come la scelta di ridurre le possibilità di accesso al giudizio abbreviato, escludendo simile modalità di accertamento dei fatti per determinati illeciti, comporti una illegittima compressione sia dell'aspettativa dell'imputato alla celebrazione di un processo in tempi congrui - tanto più allorché, come nel caso di Fo., lo stesso si trovi in stato di custodia cautelare - sia del principio della ragionevole durata del processo quale garanzia della giurisdizione e valvola di equilibrato funzionamento del sistema. Richiamate tutte le osservazioni appena svolte, si conclude l'illustrazione della questione di legittimità costituzionale delle specifiche previsioni introdotte con L. n. 33 del 2019 concentrandosi sulla violazione dell'art. 3 Cost., sotto il profilo dell'eguaglianza e della ragionevolezza. In proposito, giova rilevare come le disposizioni impugnate abbiano inteso delimitare l'ambito di operatività del giudizio abbreviato, identificando un'importante eccezione rispetto alla regola generale che consente l'accesso a tale rito speciale per tutte le tipologie di reato. La preclusione in discorso risulta fondata sulla previsione in astratto della punibilità con l'ergastolo del delitto per il quale si procede. Si tratta di una scelta frutto della discrezionalità del legislatore che, in linea di principio, può sicuramente operare nell'individuazione delle tipologie di reato per le quali non consentire la celebrazione del processo attraverso riti diversi da quello ordinario così Corte cost., ord. n. 455 del 28 dicembre 2006 in tema di patteggiamento . Il limite di tale discrezionalità, tuttavia, viene individuato dalla giurisprudenza costituzionale appena citata nell'arbitrarietà delle scelte legislative, che si pongano in contrasto con criteri di ragionevolezza. Da questo punto di vista, non può negarsi che la nuova norma di cui all'art. 438, comma 1 bis, c.p.p., nell'impedire la trattazione del processo allo stato degli atti per l'imputato accusato di reati punti con la pena dell'ergastolo, realizzi un'irragionevole disparità di trattamento tra situazioni omogenee e, contemporaneamente, parifichi ingiustificatamente situazioni assolutamente eterogenee, come peraltro evidenziato dalla difesa di Fo. Ab Questo soggetto è stato rinviato a giudizio per l'omicidio volontario della moglie orbene, a causa dell'imputazione formulata a suo carico, che contempla la contestazione dell'aggravante di cui all'art. 577, comma 1, n. 1 c.p., egli non può ottenere di essere giudicato con le forme del rito abbreviato, mentre tale opportunità non gli sarebbe stata preclusa se lui e la vittima fossero stati divorziati oppure legati da relazione affettiva ormai cessata, alla luce del disposto dell'art. 577, ult. comma, c.p. In altri termini, il disvalore penale del fatto, che in caso di accertamento con sentenza definitiva comporta legittimamente conseguenze sanzionatorie diverse per le situazioni appena menzionate assume rilievo determinante nel condizionare, prima ancora di giungere all'applicazione della pena, le modalità di svolgimento del processo. Un processo nel quale colui che è accusato di aver ucciso il coniuge, così come il presunto autore di ogni altro omicidio, potrebbe avere l'intenzione di essere giudicato con il rito abbreviato anche per arrivare più celermente alla propria assoluzione, non solo per ottenere uno sconto di pena in caso di condanna. La normativa attualmente in vigore, come si è visto, preclude categoricamente una simile scelta, salva la possibilità di recupero della riduzione sanzionatoria qualora, all'esito del dibattimento, il giudice dovesse riconoscere che sussistevano le condizioni per la celebrazione del rito abbreviato, ai sensi del novellato art. 438, comma 6 ter, c.p.p. Proprio ragionando sulla portata di quest'ultima previsione normativa, si coglie un ulteriore profilo di irragionevolezza tra situazioni omogenee, che rende la nuova disciplina insanabilmente in contrasto con l'art. 3 Cost. Si pensi all'ipotesi in cui, proprio in tema di omicidio volontario, l'imputato venisse rinviato a giudizio ad esempio con la contestazione dell'aggravante della premeditazione, ex art. 577, comma 1, n. 3 c.p.p. Ebbene, qualora all'esito del processo ordinario, celebrato innanzi alla Corte di Assise la predetta circostanza aggravante dovesse essere esclusa, vi sarebbe la possibilità, per l'imputato che in udienza preliminare aveva sentito dichiarare inammissibile la propria richiesta di giudizio abbreviato, di godere della riduzione di un terzo della pena irroganda. Un beneficio non fruibile, invece, allorché l'aggravante ad effetto speciale fosse bilanciata con eventuali circostanze attenuanti, in grado di incidere in senso favorevole sul computo dell'eventuale pena applicabile, ma senza dar luogo alle diminuzioni previste dall'art. 442 c.p.p. In simili situazioni, a prescindere dall'operatività o meno della riduzione sanzionatoria, non può sfuggire l'illogicità dell'attribuzione al Pubblico Ministero del potere di condizionare in maniera irreversibile, attraverso la contestazione di una circostanza aggravante la cui fondatezza possa essere accertata solo all'esito del dibattimento, la modalità di svolgimento del processo, precludendo all'imputato ab origine la scelta del giudizio abbreviato, come ai tempi in cui, prima dell'entrata in vigore della L. 16 dicembre 1999, n. 479, l'organo della pubblica accusa era tenuto a esprimere il proprio consenso sulla richiesta di tale rito speciale. Si tratta, a ben vedere, di un'ulteriore dimostrazione della violazione del principio di eguaglianza, da intendersi come irragionevolezza della disciplina regolatrice di fattispecie analoghe. L'incongruenza della scelta legislativa si percepisce anche nell'aver destinato a una stessa preclusione processuale situazioni eterogenee, creando un'illogica parità di trattamento tra le stesse. Basti pensare, al riguardo, che il catalogo dei reati punibili con la pena dell'ergastolo ricomprende al suo interno fattispecie completamente diverse tra di loro, sia per bene giuridico tutelato evidenti le differenze tra il delitto di strage e quello di sequestro di persona a scopo di estorsione , sia per la tipologia di comportamento delittuoso sanzionato. Il minimo comun denominatore rappresentato dalla punibilità con l'ergastolo, inoltre. finisce per raggruppare delitti che il legislatore del 2019 definisce nelle proprie intenzioni come di grave allarme sociale , ma che non trovano corrispondenza nei cataloghi di illeciti già qualificati in tal modo per altri fini. Solo a titolo di esempio, si pensi all'elenco dei reati di cui all'art. 51, comma 3 bis, c.p.p., rispetto ai quali si giustifica l'impiego di particolari strumenti di indagine oppure ai delitti per i quali, ai sensi dell'art. 275, comma 3, c.p.p. opera la presunzione di adeguatezza della custodia cautelare in carcere. Altro significativo riferimento alla conclamata gravità dei reati si coglie nella disciplina di cui all'art. 4 bis L. 26 luglio 1975, n. 354, il quale impedisce ai relativi responsabili di godere di determinati benefici penitenziari. In altri termini, nella delimitazione dell'ambito operativo del giudizio abbreviato sono stati ricompresi una serie di delitti, accomunati esclusivamente dalla previsione sanzionatoria della pena dell'ergastolo, senza che sia ravvisabile, a livello di politica criminale, un tentativo di coordinamento con altre elencazioni di delitti definibili come di particolare gravità. A ben vedere, a difettare di coerenza sistematica è proprio la ragione giustificatrice stessa dell'intervento normativo attuato con L. n. 33 del 2019, nella parte in cui ha introdotto il comma 1 bis dell'art. 438 c.p.p., abrogando contestualmente il secondo e il terzo periodo del comma 2 dell'art. 442 c.p.p. Come si è sottolineato in precedenza, infatti, il principio ispiratore della novella legislativa è stato rappresentato dall'esigenza di evitare gli effetti sconcertanti derivanti dall'operatività del meccanismo delle riduzioni sanzionatorie nelle ipotesi di delitti puniti con la pena dell'ergastolo. Ebbene, pur nel rispetto della discrezionalità del legislatore, la scelta di limitare l'accesso al giudizio abbreviato nelle ipotesi in cui sia contestato un reato punito con la pena dell'ergastolo finisce per dar luogo a irragionevoli disparità di trattamento e alle violazioni sopra enunciate di importanti valori costituzionali. E una simile opzione appare tanto più irragionevole, quanto più si pensi che la determinazione della pena in concreto e la sua proporzionalità rispetto alla gravità dei fatti da accertare dipende in larga misura dall'operatività di altri e diversi istituti, dal meccanismo di bilanciamento delle circostanze alla valorizzazione dei criteri di cui agli artt. 132 e 133 c.p. Alla luce di tali considerazioni, si reputa non manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale proposta in relazione ai parametri di cui agli artt. 3, 27, comma 2, 111, comma 2, Cost. 4. Le censure manifestamente infondate Rispetto ai rilievi mossi dalla difesa dell'imputato, non si ritiene di condividere la valutazione di non manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale con riguardo ai parametri di cui all'art. 27, comma 3, Cost. e 111, comma 5, Cost. Si reputa infatti che la normativa impugnata non abbia direttamente inciso in maniera illegittima sulla tendenza alla rieducazione del trattamento sanzionatorio applicabile all'imputato cui risulti preclusa la scelta del giudizio abbreviato, proprio perché, come sottolineato dalla difesa di Fo., la giurisprudenza costituzionale ha ormai da tempo escluso che vi sia contrasto tra l'affermazione del principio rieducativo della pena nel testo costituzionale e l'istituto dell'ergastolo. Dunque, una modifica normativa che possa, a livello statistico, comportare un ipotetico aumento di condanne alla pena dell'ergastolo - vista la restrizione delle ipotesi di accesso al rito abbreviato e di conseguente sostituzione, in caso di condanna, della pena della reclusione a quella perpetua, secondo la normativa oggi abrogata - non può ritenersi di per sé illegittima per violazione dell'art. 27, comma 3, Cost. Anche in relazione al tema della contrarietà della normativa introdotta dalla L. n. 33 del 2019 con l'art. 111, comma 5, Cost., non si ravvisano dubbi di illegittimità costituzionale, che rendano necessaria la proposizione di apposito incidente di costituzionalità. Pur apprezzando, al riguardo, le argomentazioni esposte dalla difesa di Fo., non ci si può esimere dal sottolineare che la previsione del comma 5 dell'art. 111 Cost. si limiti ad affermare il principio per il quale eventuali eccezioni alla regola del contraddittorio nella formazione della prova, fondate sulla valorizzazione del consenso dell'imputato, debbano essere appositamente disciplinate dalla legge. Benché in un noto precedente la giurisprudenza costituzionale sentenza n. 184 del 26 giugno 2009 avesse avuto modo di sottolineare che il contraddittorio nel momento genetico della prova rappresenti precipuamente uno strumento di salvaguardia del rispetto delle prerogative dell'imputato, resta fermo il fatto che l'ambito di operatività di tale consenso deve essere circoscritto dal legislatore ordinario, cosa che, in ultima analisi, è avvenuta nel contesto della L. n. 33 del 2019. E' possibile - anzi doveroso - interrogarsi sulla ragionevolezza, anche in chiave sistematica, di tale intervento normativo, ma lo stesso non può definirsi in sospetto contrasto con il dettato costituzionale per il solo fatto di aver ristretto il ventaglio delle possibili espressioni del consenso dell'imputato nell'accesso ai riti speciali, inteso come eccezione alla regola del contraddittorio nella formazione della prova. Da questo punto di vista, infatti, il principio della riserva di legge espresso dall'art. 111, comma 5, Cost. può dirsi rispettato. 5. Le questioni già proposte Si evidenzia, infine, come con ordinanza datata 6 novembre 2019 il G.u.p. presso il Tribunale di La Spezia abbia sollevato questione di legittimità costituzionale dell'art. 438, comma 1 bis, c.p.p., con riferimento agli artt. 3 e 111, comma 2, Cost., nonché dell'art. 5 L. n. 33 del 2019 in rapporto agli artt. 117 Cost. e 7 C.e.du. Il provvedimento è stato iscritto al n. 1/2020 del Registro delle questioni di legittimità costituzionale attualmente pendenti Va inoltre segnalato che, con ordinanza del 26 novembre 2019, la Corte di Assise di Torino ha dichiarato non manifestamente infondata, sebbene rilevante nel giudizio a quo, analoga questione di costituzionalità, sollevata dalla difesa di imputato che aveva proposto istanza di ammissione al giudizio abbreviato dichiarata inammissibile perché tardiva. Un'ultimissima considerazione nel segnalare all'Ill.ma Corte costituzionale che il presente procedimento riguarda un imputato sottoposto alla misura della custodia cautelare in carcere, per la quale la difesa ha prestato il consenso alla sospensione dei termini massimi ai sensi dell'art. 304, comma 4, c.p.p. in relazione all'art. 304, comma 1, lett. a c.p.p con termine massimo ex art. 304. comma 6, c.p.p. in scadenza il 7 maggio 2021. P.Q.M. Visto l'art. 23 L. 11 marzo 1953, n. 87 Solleva questione di legittimità costituzionale - dell'art. 438, comma 1 bis, c.p.p., come inserito dall'art. 1 L. 12 aprile 2019, n. 33 - dell'art. 3 L. n. 33 del 2019, nella parte in cui ha abrogato l'art. 442, comma 2, secondo e terzo periodo, c.p.p. con riferimento agli artt. 3, 27, comma 2, 111, comma 2, Cost. Sospende il giudizio in corso sino all'esito del giudizio incidentale di legittimità costituzionale. Dispone che, a cura della Cancelleria, gli atti siano immediatamente trasmessi alla Corte costituzionale e che la presente ordinanza sia notificata al Presidente del Consiglio dei ministri, nonché ai Presidenti delle due Camere del Parlamento. Dà atto che la presente ordinanza è stata letta in udienza e che, pertanto, essa deve intendersi notificata a coloro che sono o devono considerarsi presenti, ai sensi dell'art. 148, comma 5, c.p.p.