Costante rivalutazione delle scarcerazioni legate al COVID-19: la Consulta restituisce gli atti al giudice a quo

Va disposta la restituzione degli atti al Magistrato di sorveglianza di Spoleto per un nuovo esame della non manifesta infondatezza delle questioni di costituzionalità dell’art. 2 d.l. 10 maggio 2020 n. 29, nella parte in cui prevede che il Magistrato di sorveglianza proceda a rivalutazione del provvedimento di ammissione alla detenzione domiciliare o di differimento della pena per motivi connessi all’emergenza sanitaria da COVID-19, alla luce del mutato quadro normativo determinatosi per effetto dello ius superveniens di cui alla legge n. 70/2020.

Così la Corte Costituzionale, ordinanza n. 185/20, depositata il 30 luglio 2020. A distanza di soli 8 giorni dalla deliberazione della decisione, la Consulta deposita le motivazioni – ampiamente anticipate nel comunicato stampa del 22 luglio – e restituisce gli atti al Magistrato di sorveglianza di Spoleto per rivalutare la non manifesta infondatezza della questione e verificare se i ravvisati dubbi di legittimità costituzionale siano stati nelle more superati dal novum dell’intervenuta legge n. 70 del 2020. L’esito era prevedibile già dalla rapida fissazione dell’udienza dopo un mese dal suo sollevamento, avvenuto il 26 maggio 2020 alla luce delle modifiche apportate al d.l. 29 dalla legge di conversione. Ovviamente resta al giudice a quo la valutazione dell’eventuale persistenza di zone di possibile incostituzionalità, anche dopo il modificato quadro normativo. Zone che sembrano residuare. I pregressi dubbi di costituzionalità. Il giudice di sorveglianza aveva ravvisato il possibile contrasto con gli artt. 3, 24 e 111 Cost. – sulla quale Alla Consulta il neo decreto sulla costante rivalutazione delle scarcerazioni legate al Covid-19 violato il diritto di difesa e non solo – delle norme del decreto legge n. 29 del 2020 nella parte in cui prevedono che qualora alcune categorie di condannati abbiano avuto concessa la detenzione domiciliare o usufruiscono del differimento della pena per motivi connessi all’emergenza sanitaria da covid-19, il magistrato di sorveglianza o il tribunale di sorveglianza che ha adottato il provvedimento, acquisito il parere della DDA e, nel solo caso di ristretti al 41- bis , della DNA, valuta la permanenza dei motivi legati all’emergenza sanitaria entro il termine di quindici giorni dall’adozione del provvedimento e, successivamente, con cadenza mensile. Evidente lesione del diritto di difesa. Il Magistrato di sorveglianza di Spoleto ha ritenuto che la procedura di monitoraggio introdotta dalla decretazione d’urgenza violi l’art. 24 Cost. perché si svolge senza adeguato coinvolgimento della difesa e senza il necessario contraddittorio delle parti in condizioni di parità. Risultano assenti spazi difensivi legati alla mancata informazione dell’apertura del procedimento di revoca della misura alternativa e alla mancata visione degli atti, non conoscendo la posizione del proprio contraddittore, restando all’oscuro degli elementi essenziali acquisiti mediante l’istruttoria. Lo ius superveniens. Il d.l. 29 è stato formalmente abrogato dalla legge di conversione n. 70 del 2020 ma in sostanza trasfuso nell’art. 2- bis del d.l. 28. Alla disposizione censurata è stata aggiunto il comma 4, a norma del quale integra prevedendo, al comma 4, che quando il magistrato di sorveglianza ha disposto in via provvisoria la revoca della detenzione domiciliare o del differimento della pena per motivi connessi all’emergenza sanitaria da COVID-19, il tribunale di sorveglianza è oggi tenuto a pronunciarsi sull’istanza di scarcerazione entro il termine perentorio di trenta giorni dalla ricezione del predetto provvedimento di revoca, all’esito di un procedimento disciplinato nelle forme dell’incidente di esecuzione art. 666 c.p.p., richiamato dall’art. 678, comma 1, c.p.p. , e dunque di un procedimento in cui la difesa ha pieno accesso agli atti e ha la possibilità di interloquire in condizioni di parità nell’udienza all’uopo fissata. Inoltre, tale disciplina, secondo quando previsto ora dall’art. 2- bis , comma 5, del d.l. 28, come convertito nella legge n. 70/2020, è applicabile a tutti i provvedimenti di revoca della detenzione domiciliare o del differimento della pena già adottati dal magistrato di sorveglianza alla data di entrata in vigore della legge di conversione e a partire dal 23 febbraio 2020. La palla ripassa al giudice a quo questione immutata ma da rivalutare. I Giudici delle leggi ritengono che la quaestio di legittimità costituzionale resta immutata anche dopo l’evoluzione del quadro normativo prodottasi per effetto della legge di conversione, stante il perdurante obbligo per il giudice a quo di perfezionare il procedimento di rivalutazione” del provvedimento di concessione della detenzione domiciliare o di differimento della pena per motivi connessi all’emergenza sanitaria da COVID-19 adottato in data successiva al 23 febbraio 2020. Tuttavia – per i giudici delle leggi – occorre valutare se le modifiche alla disposizione censurata introdotte dalla legge n. 70 del 2020 che mirano a una più intensa tutela del diritto di difesa del condannato, cui è ora garantita una piena partecipazione al procedimento avanti il tribunale di sorveglianza nel termine perentorio di trenta giorni decorrenti dal provvedimento di revoca bastino per colmare le violazioni al diritto di difesa. I dubbi di legittimità rimangono non basta il contraddittorio differito” Sempre restando confinati al possibile contrasto con il diritto di difesa, il modello di contraddittorio posticipato per la revoca delle misure alternative alla detenzione continua a far permanere fondati dubbi di contrasto anche dello ius superveniens con l’art. 24 Cost Lo stesso giudice a quo nell’ordinanza di rimessione del 26 maggio scorso ha ricordato che l’ambito della revoca delle misure alternative è proprio quello in cui la pienezza del contraddittorio, come confermato, in una prospettiva naufragata de iure condendo che oggi si auspica, in attesa della pronuncia della Consulta, de iure condito della legge delega Orlando n. 103/2017, che all’art. 85 comma 1, escludeva la revoca delle misure alternative dal novero della semplificazione delle procedure di sorveglianza. a fortiori in materia di salute. Tale posticipazione del contraddittorio è ancor più intollerabile se si considera che è in gioco il fondamentale diritto di salute di cui altre ordinanze di rimessione hanno sollevato la questione di legittimità costituzionale anche con riferimento alla violazione dell’art. 32 Cost. e a non subire trattamenti contrari al senso di umanità, di cui all’art. 27 comma 3 Cost. e 3 CEDU Mag. Sorv. Avellino, 4 giugno 2020 Trib. Sorv. Sassari, 9 giugno 2020 . Quest’ultimo in particolare ha ricordato che la preminenza del diritto di salute sulla esecuzione della pena, nei casi in cui questa collida in maniera irriducibile con il primo, non è derogabile nemmeno nel caso di assoggettamento al regime differenziato del 41-bis. La tutela dell’integrità psico-fisica delle persone detenute non si affievolisce di fronte alle legittime esigenze repressive dello Stato e prescinde dal livello di rieducazione raggiunta dal detenuto e dai suoi progressi trattamentali. L’endiadi salute-difesa. Nonostante le cogenti prescrizioni in ordine alle prestazioni sanitarie erogabili all’interno degli istituti penitenziari, accade che, quando la patologia sia tale da avere importanti ripercussioni sulla vita e sulla dignità della persona detenuta, ad essere incompatibile con la tutela del diritto di salute è lo stesso mantenimento della condizione detentiva, che esporrebbe il detenuto ad un trattamento inumano e degradante, in violazione dell’art. 27 comma 3 Cost. e 3 CEDU sempre Trib. Sorv. Sassari, 9 giugno 2020 . L’endiadi tra la tutela della salute del detenuto e il diritto di difesa a cui va certamente aggiunto nella fase dell’emergenza sanitaria, sull’altro piatto della bilancia della sicurezza pubblica, quella legata al rischio di contagio dovrebbe portare a riproporre la quaestio alla Consulta. Endiadi che peraltro la stessa Consulta di recente, sotto l’affine e meno grave profilo della rieducazione, ha sottolineato nel garantire un diritto di difesa effettivo ai provvedimenti in materia di permessi premio sentenza n. 113/2020 entrambi diritto di difesa e funzione rieducativa minacciati” da tempi di impugnazione troppo brevi. La possibile violazione del principio di legalità. Bisogna altresì considerare il profilo dell’applicazione di norme di carattere sostanziale retroattive in peius , perché – come affermato con forza dalla storica sentenza n. 32 del 2020 della Consulta – tra il fuori e il dentro la differenza è radicale su cui si sono allineate, sempre in tema di modifiche peggiorative della disciplina penitenziaria, le recenti e coeve decisioni nn. 183, 184 e 193 del 2020 . Sotto tale profilo, anche se non ancora sollevata, occorre rilevare anche la tensione con l’art. 25 Cost. con particolare riferimento all’irretroattività della legge penale più sfavorevole in quanto le nuove norme si applicano ‘a ritroso’ alle scarcerazioni disposte dal 23 febbraio 2020. La logica ‘tra il dentro e il fuori’ vale anche, a fortiori, per la fase esecutiva. Occorre compiere questo ulteriore passaggio di garanzia il legislatore non può cambiare le carte in tavola in caso di norme di contenuto ‘sostanziale’ che dispongano la scarcerazione le norme introdotte varranno solo per le scarcerazioni” successive. Il corollario della legalità penale della irretroattività vale proprio per salvaguardare l’individuo dagli abusi dello stesso potere legislativo. Rimane la ritenuta violazione dell’art. 3 Cost. perimetro soggettivo incostituzionale. La legge di conversione n. 70/2020 ha lasciato inalterata la platea dei destinatari della farraginosa procedura di nuovo conio che resta dunque più ristretta dai condannati 4-bis . Tale selezione di destinatari aveva fatto dubitare il giudice a quo della ragionevolezza dell’art. 2 d.l. 29/2020 in un procedimento meno garantito e fortemente orientato verso il ripristino della detenzione, attribuendo alla presunzione di speciale pericolosità derivante dalla commissione di un certo reato in ambito che peraltro non concerne il trattamento, ma la tutela del diritto fondamentale di salute ex art. 32 Cost. e alla umanità delle pene ex art. 27 comma 3 una portata che finisce per travalicare il giudizio in concreto già compiuto sul punto, in modo individualizzato, nel provvedimento provvisorio emesso dal magistrato di sorveglianza . Anche sotto tale profilo, restano intatti i profili di tensione con l’art. 3 Cost. che, almeno in parte qua, dovrebbero indurre a ‘ripassare la palla’ alla Corte costituzionale.

Corte Costituzionale, ordinanza 22 – 30 luglio 2020, n. 185 Presidente Cartabia - Redattore Rilevato in fatto e in diritto Ritenuto che con ordinanza del 26 maggio 2020 il Magistrato di sorveglianza di Spoleto, ha sollevato, in riferimento agli artt. 3, 24, secondo comma e 111, secondo comma, della Costituzione, questioni di legittimità costituzionale dell’art. 2 del decreto-legge 10 maggio 2020, n. 29 Misure urgenti in materia di detenzione domiciliare o differimento dell’esecuzione della pena, nonché in materia di sostituzione della custodia cautelare in carcere con la misura degli arresti domiciliari, per motivi connessi all’emergenza sanitaria da COVID-19, di persone detenute o internate per delitti di criminalità organizzata di tipo terroristico o mafioso, o per delitti di associazione a delinquere legati al traffico di sostanze stupefacenti o per delitti commessi avvalendosi delle condizioni o al fine di agevolare l’associazione mafiosa o con finalità di terrorismo, nonché di detenuti e internati sottoposti al regime previsto dall’articolo 41-bis della legge 26 luglio 1975, n. 354, nonché, infine, in materia di colloqui con i congiunti o con altre persone cui hanno diritto i condannati, gli internati e gli imputati che il giudice rimettente riferisce di aver disposto provvisoriamente, il 21 marzo 2020, la detenzione domiciliare di cui all’art. 47-ter, comma 1-ter, della legge 26 luglio 1975, n. 354 Norme sull’ordinamento penitenziario e sulla esecuzione delle misure privative e limitative della libertà , surrogatoria del rinvio facoltativo dell’esecuzione della pena per grave infermità fisica di cui all’art. 147 del codice penale, in favore di un condannato per il delitto di associazione di tipo mafioso affetto da gravi patologie, che lo avrebbero particolarmente esposto a rischio per la salute in caso di contagio da COVID-19 che l’11 maggio 2020 è entrata in vigore la disposizione censurata, la quale prevede l’obbligo a carico del magistrato di sorveglianza di valutare entro il termine di quindici giorni dall’adozione del provvedimento, e successivamente con cadenza mensile, la permanenza dei motivi legati all’emergenza sanitaria sulla base dei quali è stato concessa la misura della detenzione domiciliare, acquisito il parere del Procuratore distrettuale antimafia del luogo in cui è stato commesso il reato e del Procuratore nazionale antimafia e antiterrorismo per i condannati ed internati già sottoposti al regime di cui all’art. 41-bis ordin. penit. nonché una serie di informazioni da parte del Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria e dell’autorità sanitaria regionale che, sulla scorta anche dell’art. 5 del predetto decreto-legge a tenore del quale la disposizione censurata si applica ai provvedimenti già emessi alla data della sua entrata in vigore, purché successivamente al 23 febbraio 2020, il termine di quindici giorni decorrendo in tale ipotesi dalla medesima data di entrata in vigore del decreto-legge , il rimettente espone di avere provveduto a instaurare il predetto procedimento di rivalutazione, mediante l’acquisizione dei pareri e delle informazioni prescritte che, tuttavia, il giudice a quo ritiene che la disciplina della rivalutazione periodica della misura alternativa in essere nei confronti del condannato, che egli dovrebbe a questo punto compiere in forza della disposizione censurata, sia incompatibile con gli artt. 3, 24, secondo comma, e 111, secondo comma, Cost. che tali questioni sarebbero anzitutto rilevanti, essendo scaduto il giorno dell’ordinanza di rimessione il termine quindicinale fissato dalla legge per la prima rivalutazione che la disciplina in parola violerebbe anzitutto gli artt. 24, secondo comma, Cost. e 111, secondo comma, Cost., prevedendo un procedimento senza spazi di adeguato formale coinvolgimento della difesa tecnica dell’interessato, senza alcuna comunicazione formale dell’apertura del procedimento e con una conseguente carenza assoluta di contraddittorio, rispetto alla parte pubblica, qui rappresentata in modo inedito dal Procuratore Distrettuale antimafia individuato in relazione al luogo del commesso reato, che deve fornire un obbligatorio, seppur non vincolante, parere sulla permanenza dei presupposti di concessione della misura che l’assenza di qualsiasi formale coinvolgimento della difesa nel procedimento apparirebbe irragionevole, anche in considerazione del fatto che dalla decisione del magistrato di sorveglianza può derivare il rientro in carcere di un condannato affetto da rilevanti patologie che, più in particolare, la disposizione censurata non contemplerebbe alcuna comunicazione al condannato dell’instaurazione del procedimento, e potrebbe altresì dubitarsi che questi sia legittimato a produrre memorie o documentazioni che, anche ove tale quesito sia sciolto in senso affermativo, la difesa resterebbe comunque all’oscuro degli elementi essenziali, acquisiti mediante l’istruttoria, e sui quali verterà il giudizio , ciò che le renderebbe impossibile confrontarsi con i contenuti delle note pervenute che una procedura caratterizzata da una così marcata impossibilità di interlocuzione da parte della difesa del condannato non avrebbe eguali nel pur variegato panorama di modelli procedimentali, più o meno semplificati, previsti dinanzi alla magistratura di sorveglianza , che il rimettente passa analiticamente in rassegna, sulla scorta della giurisprudenza comune e costituzionale formatasi relativamente ai medesimi che il difetto di coinvolgimento della difesa sarebbe problematico specialmente ove si consideri, da un lato, che l’eventuale provvedimento di revoca è espressamente dichiarato immediatamente esecutivo dalla disposizione censurata, e dall’altro che in altri procedimenti in cui il magistrato di sorveglianza è chiamato a una decisione de plano sarebbe comunque previsto – a differenza di quanto avviene in questo caso – uno stringente termine acceleratorio per la valutazione, nel pieno contraddittorio delle parti, dinnanzi al Tribunale di sorveglianza, il cui mancato rispetto comporta la perdita di efficacia del provvedimento di sospensione emesso , termine in questo caso non previsto dalla disposizione che la segnalata criticità sarebbe aggravata dalla considerazione che il procedimento di rivalutazione introdotto dalla disposizione censurata, funzionale alla possibile revoca della misura in precedenza già concessa in via provvisoria dallo stesso magistrato, si innesta in una sequenza che ha già attraversato una fase interinale del procedimento [] e che avrebbe trovato il suo naturale sbocco nella successiva fase, a contraddittorio pieno, dinanzi al tribunale di sorveglianza , per di più potendo determinare l’effetto dirompente di ricondurre in vinculis il condannato, che era stato ammesso alla misura extramuraria che, osserva il rimettente, anche a voler estendere a tale revoca la garanzia di un passaggio obbligatorio dinanzi al Tribunale di sorveglianza, in analogia con quanto previsto per la pronuncia emessa ex articolo 684 cod. proc. pen., ciò avviene in un tempo lungo sessanta giorni, ove applicabile il termine richiamato dagli articoli 47-ter, comma 1-quater e 47 comma 4 ord. penit. e senza che il provvedimento che ha inciso la libertà personale subisca alcuna inefficacia, ove tale tempistica non sia rispettata che la disposizione censurata contrasterebbe, inoltre, con l’art. 3 Cost., in quanto il condannato ammesso alla detenzione domiciliare surrogatoria subisce il procedimento di frequentissima rivalutazione con rito a contraddittorio pieno, oppure senza alcuna possibilità di replica sui contenuti istruttori per sé e per la sua difesa, soltanto in base al dato del tutto casuale che rispetto alla pronuncia interinale del magistrato di sorveglianza sia già intervenuta la decisione in via definitiva dinanzi al tribunale di sorveglianza, oppure la stessa risulti già calendarizzata in tempi successivi, in connessione ad esempio con ruoli di udienza particolarmente gravati che un ulteriore profilo di violazione dell’art. 3 Cost. discenderebbe dalla necessità di una frequente rivalutazione, con le carenze di contraddittorio sin qui evidenziate e sino a che il tribunale di sorveglianza non si sia pronunciato in via definitiva sull’originaria richiesta della misura alternativa, dei soli provvedimenti di concessione della detenzione domiciliare connessi all’emergenza da COVID-19, allorché riferiti ai soli condannati per alcune tipologie di delitti, il cui elenco peraltro non coincide con quello di cui all’art. 4-bis ordin. penit. che è intervenuto in giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che le questioni sollevate siano dichiarate inammissibili e, comunque, infondate che, ad avviso dell’interveniente, con l’art. 2 del d.l. n. 29 del 2020 il legislatore ha inteso mitigare gli effetti sul sistema carcerario derivanti dall’emergenza epidemiologica da COVID-19, nell’ottica del contemperamento di contrapposte esigenze, quali quelle del diritto alla salute dei detenuti e della sicurezza pubblica, prevedendo, per determinate categorie di detenuti ed internati, beneficiari di provvedimento di differimento della pena o di detenzione domiciliare per motivi connessi all’emergenza COVID-19, una periodica e frequente rivalutazione della permanenza delle condizioni poste a base di tali provvedimenti che non si configurerebbe alcuna violazione del diritto di difesa e del diritto alla parità delle armi, in quanto la procedura resterebbe pur sempre quella del contraddittorio differito prevista dall’art. 47-ter, commi 1-ter e 1-quater, ordin. penit. e dagli artt. 666 e 678 del codice di procedura penale, nel cui ambito si inserisce, per alcune categorie di detenuti ed internati, una rivalutazione più frequente delle condizioni legittimanti l’applicazione alternativa, previa acquisizione di informazioni e pareri delle autorità competenti a fornirli che tale rivalutazione si giustificherebbe con l’esigenza di far rientrare i soggetti beneficiari della detenzione domiciliare per ragioni connesse all’emergenza COVID-19 nel circuito detentivo non appena il mutato contesto sanitario lo consenta, ferma restando la successiva verifica, in contraddittorio pieno, da parte del tribunale di sorveglianza che, inoltre, quanto al profilo delle categorie soggettive interessate dalla più frequente rivalutazione, ad avviso dell’Avvocatura generale dello Stato, deve ritenersi che si versi nell’ambito di una non irragionevole scelta discrezionale del potere legislativo che, in quanto tale, si sottrae al sindacato di legittimità costituzionale che il trattamento differenziato si spiegherebbe, infatti, in ragione della maggiore caratura criminale di soggetti individuati dal legislatore, e che questo profilo giustificherebbe una più frequente rivalutazione in vista del loro possibile rientro in carcere, una volta cessate le ragioni dell’emergenza dovuta al COVID-19 che, con memoria depositata in data 10 luglio 2020, l’Avvocatura generale dello Stato ha chiesto a questa Corte di valutare altresì la ricorrenza dei presupposti per rimettere la questione di costituzionalità al giudice a quo per un ulteriore sindacato sulla rilevanza e non manifesta infondatezza in relazione allo ius superveniens che, deduce l’Avvocatura generale dello Stato, la disposizione censurata è stata abrogata dall’art. 1, comma 3, della legge 25 giugno 2020, n. 70 Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 30 aprile 2020, n. 28, recante misure urgenti per la funzionalità dei sistemi di intercettazioni di conversazioni e comunicazioni, ulteriori misure urgenti in materia di ordinamento penitenziario, nonché disposizioni integrative e di coordinamento in materia di giustizia civile, amministrativa e contabile e misure urgenti per l’introduzione del sistema di allerta Covid-19 , ed il suo contenuto è stato trasfuso nell’art. 2-bis del d.l. n. 28 del 2020, come convertito nella medesima legge n. 70 del 2020 che il nuovo art. 2-bis del d.l n. 28 del 2020 avrebbe però introdotto rilevanti novità in ordine al procedimento relativo alla periodica rivalutazione delle decisioni di concessione della detenzione domiciliare o al differimento della pena legate all’emergenza COVID-19 che, in particolare, il legislatore avrebbe ora definito una procedura di raccordo tra il magistrato e il tribunale di sorveglianza, in modo da assicurare un approfondito controllo successivo delle determinazioni adottate dal primo anche attraverso il pieno coinvolgimento della difesa del soggetto interessato che inoltre, ad avviso dell’Avvocatura generale dello Stato, le questioni sollevate dal rimettente non sarebbero rilevanti, atteso che dall’ordinanza di rimessione non sarebbe dato cogliere come la eventuale pronuncia di accoglimento della questione potrebbe produrre effetti nel procedimento a quo, tenuto conto che nella predetta ordinanza non si fa riferimento alcuno all’avvenuto [positivo] riscontro delle condizioni per il ripristino della misura detentiva in carcere che, quanto al merito, rileva infine l’Avvocatura generale dello Stato che il dettato costituzionale non impone che il contraddittorio si esplichi con le medesime modalità in ogni tipo di procedimento e, soprattutto, che debba essere sempre collocato nella fase iniziale del procedimento stesso. Considerato che il Magistrato di sorveglianza di Spoleto, con ordinanza del 26 maggio 2020, ha sollevato, in riferimento agli artt. 3, 24, secondo comma, e 111, secondo comma, della Costituzione, questioni di legittimità costituzionale dell’art. 2, del decreto-legge 10 maggio 2020, n. 29 Misure urgenti in materia di detenzione domiciliare o differimento dell’esecuzione della pena, nonché in materia di sostituzione della custodia cautelare in carcere con la misura degli arresti domiciliari, per motivi connessi all’emergenza sanitaria da COVID-19, di persone detenute o internate per delitti di criminalità organizzata di tipo terroristico o mafioso, o per delitti di associazione a delinquere legati al traffico di sostanze stupefacenti o per delitti commessi avvalendosi delle condizioni o al fine di agevolare l’associazione mafiosa o con finalità di terrorismo, nonché di detenuti e internati sottoposti al regime previsto dall’articolo 41-bis della legge 26 luglio 1975, n. 354, nonché, infine, in materia di colloqui con i congiunti o con altre persone cui hanno diritto i condannati, gli internati e gli imputati che la disposizione censurata prevede che il magistrato o il tribunale di sorveglianza, quando abbiano ammesso alla detenzione domiciliare o al differimento della pena per motivi legati all’emergenza sanitaria da COVID-19 i condannati e gli internati per una serie di gravi reati, debbano procedere alla valutazione della permanenza di tali motivi entro il termine di quindici giorni dall’adozione del provvedimento, e successivamente a cadenza mensile, acquisito il parere del Procuratore distrettuale antimafia del luogo in cui è stato commesso il reato e del Procuratore nazionale antimafia e antiterrorismo per i condannati ed internati già sottoposti al regime di cui all’art. 41-bis ordin. penit. nonché una serie di informazioni da parte del Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria e dell’autorità sanitaria regionale che tale valutazione deve peraltro essere compiuta immediatamente, anche prima della decorrenza dei termini sopra indicati, nel caso in cui il Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria comunica la disponibilità di strutture penitenziarie o di reparti di medicina protetta adeguati alle condizioni di salute del detenuto o dell’internato ammesso alla detenzione domiciliare o ad usufruire del differimento della pena che la medesima disposizione prevede altresì, al comma 3, che in esito alla valutazione relativa alla permanenza dei motivi che hanno giustificato l’adozione del provvedimento, e valutata la disponibilità di altre strutture penitenziarie o di reparti di medicina protetti idonei ad evitare il pregiudizio per la salute del detenuto o dell’internato, il giudice possa revocare la misura già concessa, con provvedimento immediatamente esecutivo che l’articolo 1, comma 3, della legge 25 giugno 2020, n. 70 Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 30 aprile 2020, n. 28, recante misure urgenti per la funzionalità dei sistemi di intercettazioni di conversazioni e comunicazioni, ulteriori misure urgenti in materia di ordinamento penitenziario, nonché disposizioni integrative e di coordinamento in materia di giustizia civile, amministrativa e contabile e misure urgenti per l’introduzione del sistema di allerta Covid-19 ha abrogato l’art. 2 del d.l. n. 29 del 2020, ferma restando la validità degli atti e dei provvedimenti adottati e fatti salvi gli effetti prodottisi e i rapporti giuridici sorti sulla base del medesimo decreto-legge che il contenuto della disposizione censurata è stato trasfuso nell’art. 2-bis del d.l. n. 28 del 2020, come convertito nella medesima legge n. 70 del 2020 che il nuovo art. 2-bis del d.l. n. 28 del 2020 riproduce la disciplina dell’abrogato art. 2 del d.l. n. 29 del 2020, in questa sede censurato, e la integra prevedendo, al comma 4, che [q]uando il magistrato di sorveglianza procede alla valutazione del provvedimento provvisorio di ammissione alla detenzione domiciliare o di differimento della pena, i pareri e le informazioni acquisiti ai sensi dei commi 1 e 2 e i provvedimenti adottati all’esito della valutazione sono trasmessi immediatamente al tribunale di sorveglianza, per unirli a quelli già inviati ai sensi degli articoli 684, comma 2, del codice di procedura penale e 47-ter, comma 1-quater, della legge 26 luglio 1975, n. 354. Nel caso in cui il magistrato di sorveglianza abbia disposto la revoca della detenzione domiciliare o del differimento della pena adottati in via provvisoria, il tribunale di sorveglianza decide sull’ammissione alla detenzione domiciliare o sul differimento della pena entro trenta giorni dalla ricezione del provvedimento di revoca, anche in deroga al termine previsto dall’articolo 47, comma 4, della legge 26 luglio 1975, n. 354. Se la decisione del tribunale non interviene nel termine prescritto, il provvedimento di revoca perde efficacia che, secondo quando previsto ora dall’art. 2-bis, comma 5, del d.l. 28 del 2020, come convertito nella legge n. 70 del 2020, la predetta disciplina è applicabile a tutti i provvedimenti di revoca della detenzione domiciliare o del differimento della pena già adottati dal magistrato di sorveglianza alla data di entrata in vigore della legge di conversione e a partire dal 23 febbraio 2020 che pertanto, per effetto della legge di conversione, quando il magistrato di sorveglianza ha disposto in via provvisoria la revoca della detenzione domiciliare o del differimento della pena per motivi connessi all’emergenza sanitaria da COVID-19, il tribunale di sorveglianza è oggi tenuto a pronunciarsi sull’istanza di scarcerazione entro il termine perentorio di trenta giorni dalla ricezione del predetto provvedimento di revoca, all’esito di un procedimento disciplinato nelle forme dell’incidente di esecuzione art. 666 cod. proc. pen., richiamato dall’art. 678, comma 1, cod. proc. pen. , e dunque di un procedimento in cui la difesa ha pieno accesso agli atti e ha la possibilità di interloquire in condizioni di parità nell’udienza all’uopo fissata che, in linea generale, questa Corte ha affermato che non ogni nuova disposizione che modifichi, integri o comunque possa incidere su quella oggetto del giudizio incidentale di costituzionalità richiede una nuova valutazione della perdurante sussistenza dei presupposti di ammissibilità della questione e segnatamente della sua rilevanza e della non manifesta infondatezza dei dubbi di legittimità costituzionale espressi dal giudice rimettente , ben potendo questa Corte ritenere essa stessa che la nuova disposizione non alteri affatto la norma censurata quanto alla parte oggetto delle censure di legittimità costituzionale, oppure che la modifichi in aspetti marginali o in misura non significativa, sì che permangono le valutazioni del giudice rimettente in termini di rilevanza e non manifesta infondatezza della questione sentenza n. 125 del 2018 che laddove invece la nuova disposizione abbia un impatto maggiore in termini di incidenza sulla portata normativa della disposizione censurata, sì da integrarla, modificarla o finanche abrogarla, in tutto o in parte, si impone la restituzione degli atti al giudice rimettente perché rivaluti i presupposti dell’incidente di costituzionalità ancora, sentenza n. 125 del 2018 che, nella specie, l’evoluzione del quadro normativo prodottasi per effetto della legge di conversione lascia invero immutata la rilevanza della questione, stante il perdurante obbligo per il giudice a quo di perfezionare il procedimento di rivalutazione” del provvedimento di concessione della detenzione domiciliare o di differimento della pena per motivi connessi all’emergenza sanitaria da COVID-19 adottato in data successiva al 23 febbraio 2020 che, tuttavia, le modifiche alla disposizione censurata introdotte dalla legge n. 70 del 2020 mirano a una più intensa tutela del diritto di difesa del condannato, cui è ora garantita una piena partecipazione al procedimento avanti il tribunale di sorveglianza nel termine perentorio di trenta giorni decorrenti dal provvedimento di revoca che tali modifiche appaiono dunque orientate nella stessa direzione dell’ordinanza di rimessione sentenza n. 125 del 2018 , con un effetto che potrebbe essere ritenuto suscettibile di ridimensionare, o al limite di emendare, i vizi denunciati dal rimettente che non può che spettare al giudice rimettente la responsabilità di valutare in concreto l’incidenza di tali modifiche in riferimento alla non manifesta infondatezza delle questioni di legittimità costituzionale sollevate ex plurimis, ordinanze n. 182 del 2019 e n. 154 del 2018 che, pertanto, deve essere disposta la restituzione degli atti al giudice a quo per un nuovo esame della non manifesta infondatezza delle questioni, alla luce del mutato quadro normativo determinatosi per effetto dello ius superveniens di cui alla legge n. 70 del 2020. Per Questi Motivi La Corte Costituzionale ordina la restituzione degli atti al Magistrato di sorveglianza di Spoleto.