Il carattere eccezionale e derogatorio della categoria dell’abnormità del provvedimento

Non è abnorme il provvedimento con cui il giudice del dibattimento, rilevata l’invalidità della notifica dell’avviso di conclusione delle indagini di cui all’art. 415-bis c.p.p., in realtà ritualmente eseguita, dichiari erroneamente la nullità del decreto di citazione a giudizio, disponendo la trasmissione degli atti al PM.

Lo ha ribadito la Corte di Cassazione con sentenza n. 22315/20 depositata il 24 luglio. Il Procuratore della Repubblica ricorre per cassazione avverso l’ordinanza con cui il Tribunale, riscontrata l’omessa notifica agli imputati dell’avviso di conclusione delle indagini, dichiarava la nullità del decreto che disponeva il giudizio e ordinava la trasmissione degli atti allo stesso Procuratore per la rinnovazione della notifica agli indagati. Con un unico motivo di ricorso, il Procuratore lamenta l’abnormità del provvedimento adottato dal Tribunale. Nel ritenere il ricorso infondato e posto che il provvedimento con cui il Giudice dichiari la nullità del decreto di citazione a giudizio e disponga la trasmissione al PM per la rinnovazione dell’adempimento previsto a pena di nullità dall’art. 552, comma 2, c.p.p. non è avulso dal sistema processuale e, anzi, costituisce espressione dei poteri riconosciuti al giudice dell’ordinamento, la Cassazione rileva che tale provvedimento può essere soggetto a illegittimità ma, qualora risulti illegittimo, si colloca comunque al di fuori dell’area dell’abnormità. È noto che l’abnormità costituisce una forma di patologia dell’atto giudiziario priva di riconoscimento testuale in un’esplicita disposizione normativa e, a tal proposito, le Sezioni Unite ha fornito una rigorosa e puntuale delimitazione dell’area dell’abnormità , ricorribile per cassazione, la cui duplice accezione, strutturale e funzionale, ha ricondotto ad un fenomeno unitario, caratterizzato dallo sviamento della funzione giurisdizionale, inteso non tanto quale vizio dell’atto, che si aggiunge a quelli tassativamente stabiliti dall’art. 606, comma 1, c.p.p., quanto come esercizio di un potere in difformità dal modello descritto dalla legge . Dando seguito a tale linea interpretativa, la Cassazione ritiene che la categoria dell’abnormità presenta carattere eccezionale e derogatorio al principio di tassatività dei mezzi d’impugnazione , sancito dall’art. 568 c.p.p., mantenuto inalterato nel suo testo anche dopo la riforma introdotta con la l. 23 giugno 2017, n. 103, ed al numero chiuso delle nullità deducibili secondo la previsione dell’art. 177 c.p.p È, dunque, riferibile alle sole situazioni in cui l’ordinamento non appresti altri rimedi idonei per rimuovere il provvedimento giudiziale, che sia frutto di sviamento di potere e fonte di un pregiudizio altrimenti insanabile per le situazioni soggettive delle parti. La sua eccezionalità e residualità nel panorama delle forme di tutela accessibili impone di distinguerne l’ambito concettuale, da un lato dalle anomalie dell’atto irrilevanti perché innocue, dall’altro dalle situazioni di contrasto del pronunciamento giudiziale con singole norme processuali, la cui violazione sia rinforzata dalla previsione della nullità .

Corte di Cassazione, sez. I Penale, sentenza 8 – 24 luglio 2020, n. 22315 Presidente Iasillo – Relatore Boni Ritenuto in fatto 1. Il Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Venezia ricorre avverso l’ordinanza con la quale il Tribunale di Venezia nell’ambito del procedimento penale, celebrato a carico di P.D. e P.S. , all’udienza del 9 ottobre 2019, riscontrata l’omessa notificazione ai predetti imputati dell’avviso di conclusione delle indagini, dichiarava la nullità del decreto che dispone il giudizio e ordinava la trasmissione degli atti al Procuratore della Repubblica in sede. Assume il Procuratore ricorrente l’abnormità dell’ordinanza perché fondata su presupposto di fatto inesistente e comunque affetta da illogicità e da violazione di norme processuali, dal momento che il procedimento era stato iscritto inizialmente da parte della Procura della Repubblica presso il Tribunale di Padova, che aveva notificato regolare avviso ex art. 415-bis c.p.p., agli imputati prima che il Tribunale di Padova si fosse dichiarato con sentenza incompetente per territorio ed avesse trasmesso gli atti alla Procura della Repubblica di Venezia, che in seguito aveva esercitato l’azione penale nei confronti degli imputati per i medesimi reati. L’avviso di cui si è rilevata l’assenza era stato già emesso e notificato nella fase processuale precedente e conserva validità anche dopo la migrazione del procedimento ad altro giudice, per cui non doveva essere ripetuto non essendo intervenuta nessuna modifica delle imputazioni. 2. Con requisitoria scritta il Procuratore Generale presso la Corte di cassazione, Dott. E. T., ha chiesto l’annullamento senza rinvio dell’ordinanza impugnata. Considerato in diritto Il ricorso è infondato e non merita dunque accoglimento. 1. Come rilevato dal Procuratore ricorrente, la trasmissione degli atti al pubblico ministero per la rinnovazione della notifica all’indagato dell’avviso ex art. 415-bis c.p.p., in precedenza omesso, comporta la regressione del procedimento alla fase delle indagini preliminari. Non è però oggetto di contestazione la titolarità del potere in tal modo esercitato di controllo della corretta progressione del rapporto processuale, quanto la legittimità e giustificazione del suo esercizio in relazione alle risultanze processuali del caso specifico. Assume, infatti, il ricorrente che l’adempimento disposto sarebbe privo di utilità e non dovuto perché già effettuato ad iniziativa del pubblico ministero che aveva per primo esercitato l’azione penale, sicché l’atto compiuto conserva validità anche dopo la declaratoria d’incompetenza del Tribunale di Padova ed il rinnovato esercizio dell’azione penale per i medesimi reati da parte del Procuratore della Repubblica di Venezia. 2. La deduzione su cui si fonda l’impugnazione trova riscontro negli atti processuali -direttamente consultabili da parte di questo giudice di legittimità, stante la natura procedurale della questione sollevata-, ma non può comportare l’annullamento dell’ordinanza impugnata, poiché non si ritiene di poter ravvisare il denunciato profilo di abnormità nell’ordinanza impugnata. 2.1 II provvedimento con cui il giudice del dibattimento rilevata l’omessa notifica all’indagato dell’avviso di conclusione delle indagini di cui all’art. 415-bis c.p.p., in realtà ritualmente eseguita dichiari erroneamente la nullità del decreto di citazione a giudizio e disponga la trasmissione degli atti al pubblico ministero per la rinnovazione di adempimento prescritto a pena di nullità secondo la previsione dell’art. 552 c.p.p., comma 2, non è avulso dal sistema processuale, ma costituisce espressione dei poteri riconosciuti al giudice dall’ordinamento e non determina nemmeno la stasi del procedimento, potendo il pubblico ministero disporre la rinnovazione della notificazione del predetto avviso senza incorrere a sua volta nel compimento di un atto affetto da nullità o da altro vizio invalidante e senza subire gli effetti pregiudizievoli per l’ulteriore sviluppo successivo del processo. In siffatta situazione il provvedimento può essere illegittimo, e nel caso lo è perché adottato in assenza dei presupposti legittimanti la sua emissione, ma si colloca al di fuori dell’area dell’abnormità come delineata dall’interpretazione giurisprudenziale sez. 1, n. 23347 del 23/03/2017, P.M. in proc. Ebrima, rv. 270273 sez. 5, n. 1399 del 14/11/2016, dep. 2017, P.M. in proc. Chen, rv. 269080 sez. 2, n. 3738 del 13/01/2015, P.M. in proc. Besio, rv. 262374 sez. 6, n. sez. 6, n. 5159 del 14/01/2014, P.M. in proc. Morra, rv. 258569 sez. 4, n. 14579 del 25/03/2010, P.M. in proc. Gulino e altro, rv. 247030 . 2.2 L’abnormità costituisce, com’è noto, una forma di patologia dell’atto giudiziario, priva di riconoscimento testuale in un’esplicita disposizione normativa, ma frutto di elaborazione da parte della dottrina e della giurisprudenza, tramite cui si è inteso porre rimedio, attraverso l’intervento del giudice di legittimità, agli effetti pregiudizievoli derivanti da provvedimenti non previsti nominativamente come impugnabili, ma affetti da tali anomalie genetiche o funzionali, che li rendono difformi ed eccentrici rispetto al sistema processuale e con esso radicalmente incompatibili. Le Sezioni Unite, con le sentenze n. 25957 del 26/03/2009, Pm in proc. Toni, Rv. 243590 e n. 20569 del 18/01/2018, PM in proc. Ksouri, rv. 272715, hanno offerto una rigorosa e puntuale delimitazione dell’area dell’abnormità, ricorribile per cassazione, la cui duplice accezione, strutturale e funzionale, ha ricondotto ad un fenomeno unitario, caratterizzato dallo sviamento della funzione giurisdizionale, inteso non tanto quale vizio dell’atto, che si aggiunge a quelli tassativamente stabiliti dall’art. 606 c.p.p., comma 1, quanto come esercizio di un potere in difformità dal modello descritto dalla legge. Ebbene, si ritiene debba darsi seguito a questa linea interpretativa la categoria dell’abnormità così elaborata presenta carattere eccezionale e derogatorio al principio di tassatività dei mezzi d’impugnazione, sancito dall’art. 568 c.p.p., mantenuto inalterato nel suo testo anche dopo la riforma introdotta con la L. 23 giugno 2017, n. 103, ed al numero chiuso delle nullità deducibili secondo la previsione dell’art. 177 c.p.p È, dunque, riferibile alle sole situazioni in cui l’ordinamento non appresti altri rimedi idonei per rimuovere il provvedimento giudiziale, che sia frutto di sviamento di potere e fonte di un pregiudizio altrimenti insanabile per le situazioni soggettive delle parti. La sua eccezionalità e residualità nel panorama delle forme di tutela accessibili impone di distinguerne l’ambito concettuale, da un lato dalle anomalie dell’atto irrilevanti perché innocue, dall’altro dalle situazioni di contrasto del pronunciamento giudiziale con singole norme processuali, la cui violazione sia rinforzata dalla previsione della nullità. Sotto il primo profilo, è ininfluente e non riconducibile all’abnormità quell’atto, pur compiuto al di fuori degli schemi legali o per finalità diverse da quelle che legittimano l’esercizio della funzione, che sia superabile da una successiva corretta determinazione giudiziale che dia impulso al processo o dalla sopravvenienza di una situazione tale da averne annullato gli effetti, averlo privato di rilevanza ed avere eliminato l’interesse alla sua rimozione. Quanto al secondo aspetto, l’incompatibilità della decisione con una o più disposizioni di legge processuale vizia l’atto per mancata applicazione o errata interpretazione del referente normativo e ne determina l’illegittimità, che, se ciò sia prescritto, viene sanzionata in termini di nullità. 2.3 In questa situazione la violazione pur sussistente non travalica nell’abnormità se l’atto non sia totalmente avulso dal sistema processuale e non determini una stasi irrimediabile del procedimento, imponendo attività processuale ripetibile e non foriera di nessuna forma di nullità o di altra patologia. In tali termini si sono espresse anche le Sezioni Unite di questa Corte con la sentenza n. 25957 del 26/03/2009, P.m. in proc. Toni, citata, per la quale Non è abnorme il provvedimento con cui il giudice del dibattimento rilevata l’invalidità della notifica dell’avviso di conclusione delle indagini di cui all’art. 415 bis c.p.p., in realtà ritualmente eseguita dichiari erroneamente la nullità del decreto di citazione a giudizio, disponendo la trasmissione degli atti al P.M., trattandosi di provvedimento che, lungi dall’essere avulso dal sistema, costituisce espressione dei poteri riconosciuti al giudice dall’ordinamento e che non determina la stasi del procedimento, potendo il P.M. disporre la rinnovazione della notificazione del predetto avviso . Per le considerazioni svolte e per essere il provvedimento impugnato privo di qualsiasi profilo di abnormità, il ricorso va respinto. P.Q.M. Rigetta il ricorso.