La Cassazione sulle ricadute della giurisprudenza costituzionale sullo spaccio di sostanze stupefacenti

La Suprema Corte torna ad occuparsi di un indirizzo pretorio particolarmente fertile, relativo al perimetro entro il quale debba svolgersi l’incidente di esecuzione finalizzato a rendere costituzionalmente legittimo il trattamento sanzionatorio imposto, prima dell’intervento della Consulta, per il delitto di cui agli artt. 73, comma 1, e 80, d.P.R. n. 309/1990.

Lo fa, rispetto ad una pena in concreto frutto dell’approvazione dell’accordo intervenuto tra le parti al processo. Con l’occasione, gli Ermellini fotografano lo stato dell’arte in subiecta materia, modificata più volte nell’arco degli ultimi dieci anni, anche ad opera del legislatore. Il caso. Il procedimento riguardava la richiesta avanzata dal patteggiante che, per ricalcolare la sanzione sulla scorta della pronuncia costituzionale, aveva sottoposto al Pubblico Ministero una nuova ipotesi, con cui, preso atto delle diminuzioni già operate in precedenza, avviava il computo del periodo di reclusione dalla soglia più mite individuata dal Giudice delle Leggi. L’Accusa, tuttavia, negava il consenso e, pertanto, il Tribunale di Milano procedeva autonomamente all’incombente, pervenendo allo stesso risultato della fase di cognizione anni cinque di reclusione ed euro 20.000 di multa pur partendo da un’inferiore pena base, infatti, il Giudice ambrosiano riteneva di non applicare nella massima estensione le riduzioni per le circostanze attenuanti generiche – rispettando la proporzione data in sentenza – e per la scelta del rito – diversamente da quanto accaduto in cognizione – a causa dell’assenza di elementi valorizzabili in quest’ottica, posto il significativo dato ponderale della sostanza detenuta a fini di spaccio 31,2 kg di cocaina . Ricorre per l’annullamento dell’ordinanza, tramite il difensore di fiducia, l’interessato, lamentando, con unico motivo, violazione di legge e carenze motivazionali, poiché il provvedimento per un verso, non spiegherebbe adeguatamente la correlazione tra la valutazione dei parametri di riferimento ed il principio espresso dalla Corte per l’altro, verrebbe meno senza averne i poteri alla previsione, già passata in giudicato, riguardante l’effetto delle circostanze ex art. 62 bis c.p. – meno favorevole, stante la più bassa sanzione iniziale – e, sul versante processuale, le conseguenze premiali della rinuncia al dibattimento. La sentenza. La Sezione I – su parere difforme del Procuratore generale, che aveva insistito per il rigetto dell’impugnazione – accoglie il ricorso, annullando l’ordinanza e disponendo giudizio di rinvio, che dovrà conformarsi al principio per cui il giudice dell’esecuzione , nel rideterminare la pena inflitta con condanna anteriormente divenuta irrevocabile per conformarla alla sentenza della Corte costituzionale n. 40 del 23 gennaio 2019, non ha il potere di modificare la misura della diminuzione di pena eseguita in fase di cognizione in applicazione dell’art. 444 c.p.p.”. Il Collegio, dopo aver passato in rassegna i precedenti relativi all’ampiezza dell’intervento esecutivo, si concentra sullo schema procedurale dell’art. 188 d.a. c.p.p., reputandolo il luogo processuale più vicino alle peculiarità della procedura a quo. Per poter correttamente inquadrare l’obiettivo di tale apprezzamento, però, premette alcune note ricostruttive del diritto vivente formatosi in ordine al precetto in discussione. La giurisprudenza costituzionale. Nel 2014, invero, la norma era già stata modificata, riportando a due anni di reclusione il minimo edittale per le condotte di spaccio delle cc.dd. droghe leggere cfr. sentenza Corte costituzionale, 12/2/2014, n. 32 il Massimo Consesso nomofilattico, poi, aveva decretato l’illegalità della pena commisurata nell’ambito di una forbice incostituzionale, anche quando rimanga entro la soglia dettata dall’applicazione della Carta vd., ex plurimis, cfr. Cass., SS. UU. Pen., 26/2/2015, n. 37107, RV. 264858 . Lo scorso anno, poi, è mutato il compasso edittale della più grave ipotesi delittuosa, di cui permane il massimo ma viene ridotto il minimo a sei anni di reclusione anziché otto cfr. sentenza Corte costituzionale, 23/1/2019, n. 40 . Il quadro normativo vigente, dunque, produce l’esigenza di ristabilire il principio di legalità violato da precedenti giudicati. I poteri del giudice dell’esecuzione in relazione al patteggiamento divenuto irrevocabile. Ulteriore connotato della fattispecie in esame si lega alla sua provenienza da rito speciale, irrogando una pena su richiesta delle parti. Secondo la Cassazione, deve trovare qui applicazione il paradigma prescritto per quando si chieda di far operare il vincolo della continuazione dinanzi a più sentenze irrevocabili di cc. dd. patteggiamento qualora le parti trovino nuova intesa che contempli tutti i reati autonomamente definiti, potrà essere omologata, sostituendo le precedenti, previa valutazione di correttezza e congruità in difetto, si potrà comunque, con lo stesso filtro, accogliere la richiesta del condannato vd. la già citata Cass., SS. UU. Pen., 26/2/2015 . Il perimetro della sede esecutiva, tuttavia, rimane ben chiaro posto che si dovrà svolgere un nuovo giudizio commisurativo, il Giudice potrà confermare la pena irrogata senza ridurla solo quando fosse già quantificata in misura prossima al massimo edittale, tutt’ora inalterato e, così, non integrasse l’irragionevole sproporzione censurata dalla Consulta rimangono preclusi, invece, l’attribuzione di un diverso effetto agli elementi circostanziali, un loro differente bilanciamento criteri già espressi con Cass., Sez. I Pen., 8/11/2019, n. 49106 o un’inedita diminuzione connessa alle scelte processuali dell’imputato rimessa peraltro, in applicazione pena, alla discrezionalità delle parti , poiché si tratta di statuizioni che non sono attinte neppure indirettamente dalla decisione di incostituzionalità e, perciò, rimangono irrevocabili. Conclusioni. La decisione in esame governa in modo appropriato un difficile bilanciamento tra la necessità di attribuire un ruolo non puramente delibativo al giudice dell’esecuzione e, non di meno, quella di assicurare un’adeguata protezione al giudicato formatosi su taluni aspetti, in ottica di certezza del diritto e generale economia processuale . Riesce nell’intento, scegliendo uno stile d’esposizione chiaro ed organico, che aiuterà il giurista pratico nell’inquadrare rapidamente, in circostanze analoghe, i possibili esiti di un’istanza esecutiva.

Corte di Cassazione, sez. I Penale, sentenza 7 – 21 luglio 2020, n. 21815 Presidente Santalucia – Relatore Aliffi Ritenuto in fatto 1. Con il provvedimento impugnato, il Tribunale di Milano, in funzione di giudice dell’esecuzione, preso atto del dissenso espresso dal Pubblico ministero sulla richiesta avanzata da S.M. alla luce della sentenza della Corte Costituzionale n. 40 del 23 gennaio 2019, ha rideterminato il trattamento sanzionatorio inflitto per il reato di cui al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73, comma 1 e art. 80 con sentenza di applicazione pena pronunciata dallo stesso Tribunale in data 3 luglio 2017 pervenendo allo stesso risultato finale di anni cinque di reclusione ed Euro 20.000,00 di multa, così calcolato pena base ridotta da dieci a nove anni di reclusione, diminuita per le circostanze attenuanti generiche, ritenute in sede di cognizione prevalenti sulla circostanza aggravante dell’ingente quantità, a sette anni, ulteriormente ridotti a cinque anni ex art. 444 cod. proc. pen Secondo il Tribunale, ferma la legalità della pena pecuniaria, alla luce del mutamento dei parametri normativi di riferimento, conseguenti alla pronuncia del giudice costituzionale, era congruo, in applicazione dei criteri di cui agli artt. 133 e 133 bis c.p., ridurre la pena base senza però effettuare una diminuzione nella massima estensione per le circostanze attenuanti generiche e per la scelta del rito, in ragione dell’assenza specifici elementi valorizzabili a tal fine tenuto conto del dato ponderale della sostanza stupefacente 31,2 chilogrammi di cocaina e della personalità del condannato. 2. Ricorre S.M. , a mezzo del difensore avv. Gianfranco Brancato, che chiede l’annullamento dell’ordinanza impugnata, denunciando la violazione di legge e il vizio della motivazione per mancanza di correlazione tra il trattamento sanzionatorio e quello derivante dalla sentenza della Corte Costituzionale n. 40 del 2019. Il giudice dell’esecuzione, pur riducendo di un anno la pena base determinata in sede cognitiva, avrebbe, comunque, determinato un trattamento sanzionatorio illegale calcolando in termini peggiorativi la misura delle riduzione applicata sia per il riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche sia per la scelta del rito, l’una e l’altra, infatti, non sono state applicate nella misura massima così come statuito nella sentenza irrevocabile. Considerato in diritto 1. Il ricorso è fondato nei limiti chiariti nel prosieguo. 2. La normativa sugli stupefacenti, in particolare la disciplina sanzionatoria della fattispecie di cui al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73 è stata oggetto di plurimi interventi, del legislatore e della Corte Costituzionale che, da ultimo, con la sentenza n. 40 del 23 gennaio 2019, ha dichiarato l’illegittimità costituzionale del D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73, comma 1, - nel testo ante L. n. 49 del 2006 dichiarata incostituzionale in parte qua - nella parte in cui prevede un minimo edittale di otto anziché sei anni di reclusione. La dichiarazione di incostituzionalità della norma, attinente il trattamento sanzionatorio, applicata dalla sentenza di condanna divenuta irrevocabile produce i suol effetti anche sul giudicato il giudice dell’esecuzione, nel caso in cui la pena inflitta non sia stata interamente espiata, in applicazione del disposto di cui alla L. n. 87 del 1953, art. 30 ha l’obbligo di non applicare le norme dichiarate incostituzionali e, per converso, di procedere, attraverso la procedura del così detto incidente di esecuzione, alla rideterminazione della pena secondo la più favorevole normativa risultante dalla declaratoria di incostituzionalità così da rimuovere dall’universo giuridico tutti gli effetti pregiudizievoli derivanti da una sentenza penale di condanna fondata, sia pure in parte, sulla norma dichiarata incostituzionale salvo quelli irreversibili perché già compiuti e del tutto consumati. Sez. Un., n. 18821 del 18.10.2013 dep. 2014, Ercolano Sez. Un. 29.5.2014, Gatto . Coerentemente con gli esposti principi anche a seguito della pronuncia della sentenza n. 40/2019 della Corte costituzionale - che ha indicato come conforme ai principi costituzionali il minimo edittale della fattispecie incriminatrice prevista dal D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73 riguardanti le droghe così dette pesanti di anni sei di reclusione anziché di anni otto - è divenuta necessaria la rideterminazione della pena inflitta, e non ancora interamente espiata, con sentenze, divenute irrevocabili, che avevano applicato la norma dichiarata incostituzionale. D’altra parte, la giurisprudenza di legittimità, occupandosi degli effetti prodotti dalla sentenza n. 32 del 2014 con cui la Corte costituzionale, dichiarando l’illegittimità costituzionale di alcune norme di legge, aveva modificato in melius il trattamento sanzionatorio dei reati concernenti le così dette droghe leggere, il cui minimo edittale da anni sei di reclusione era tornato ad anni due, ha affermato il principio generale della illegalità della pena commisurata sulla base di una cornice edittale incostituzionale, a prescindere dal fatto che la pena sia stata determinata in termini conformi alla cornice edittale costituzionale Sez. Un. 26.2.2015, Marcon Sez. Un. 26.2.2015, Jazouli Sez. Un. 26.2.2015, Sebbar . La commisurazione della pena è, infatti, finalizzata ad individuare, nell’ambito che il legislatore ha rimesso alla discrezionalità del giudice, la pena giusta in relazione ai parametri di cui all’art. 133 c.p., condizione necessaria per assicurare il rispetto del principio della personalità della responsabilità penale. La più recente pronuncia costituzionale, pur lasciando inalterato il massimo edittale anni venti di reclusione , ha operato un intervento innovativo sul minimo edittale, che è stato ritenuto costituzionale in misura ridotta di quasi un terzo sei anni invece di otto ed in tal modo ha dichiarato la incostituzionalità di un parametro legale il minimo edittale di anni otto di reclusione , individuandone un altro anni sei di reclusione , diverso e più favorevole, conforme ai principi costituzionali. Tanto basta per rendere necessaria la rideterminazione in melius della pena inflitta, da parte del giudice dell’esecuzione, tutte le volte in cui il giudice della cognizione ha commisurato la pena in misura prossima a quel minimo edittale, poi dichiarato incostituzionale. In tali casi è evidente che il giudizio compiuto in sede di cognizione, parametrato su un dato normativo incostituzionale, non assicura la necessaria proporzione tra gravità del fatto e profilo soggettivo del reo, da una parte, e misura della pena, dall’altra. 3. Quanto alla natura del giudizio riservato al giudice dell’esecuzione chiamato alla rideterminazione del trattamento sanzionatorio per adeguarlo alla cornice editale risultante dalla pronuncia di incostituzionalità, va precisato che non si tratta di una operazione di mera trasposizione matematica di quel giudizio formulato in sede di cognizione entro la nuova cornice edittale, bensì di un nuovo giudizio commisurativo, da operare alla stregua dei principi di cui agli artt. 132 e 133 c.p Il giudice dell’esecuzione non può esaurire il proprio compito delibativo confermando la pena già inflitta, perché rientrante nell’ambito sia della forbice punitiva della norma precedente sia di quella attualmente vigente, ma deve, al contrario, procedere ad una vera e propria rinnovazione in concreto della valutazione sanzionatoria secondo i criteri di cui agli artt. 132 e 133 c.p. con necessaria riduzione della pena, anche se non in misura predeterminata cfr. Sez. 1, n. 2036 del 11/12/2019, dep. 2020, Selistha Bledar, Rv. 278198 Sez. 1, n. 51959 del 30/10/2019, Haziraj Armend, Rv. 277735 . Nel rideterminare la pena inflitta non ha, comunque, il potere di modificare statuizioni coperte dal giudicato quali quelle afferenti al riconoscimento di elementi circostanziali attenuanti non attinti dalla decisione di legittimità, all’eventuale giudizio di bilanciamento ed alla misura delle relative diminuzioni di pena eseguite in fase di cognizione Sez. 1, n. 49106 del 08/11/2019, Cuomo, Rv. 278076 . Può invece, in esito al nuovo giudizio sanzionatorio, confermare la pena già irrogata senza ridurla solo se la sentenza definitiva l’aveva quantificata in misura superiore al valore medio e prossimo al massimo rispetto alla cornice edittale previgente, giacché, in tal caso, tenuto conto del mantenimento inalterato del massimo edittale, non sussiste quella condizione di sproporzione e di inadeguatezza della pena, rilevabile nei casi puniti con la reclusione nel minimo edittale pari ad otto anni, che ne impone un adeguamento al nuovo limite. 4. I medesimi principi sono applicabili ove la pena sia stata infitta con sentenza emessa ai sensi dell’art. 444 c.p.p. con le precisazioni che seguono. Al fine di conseguire dal giudice dell’esecuzione la rinnovata commisurazione della pena inflitta con la sentenza irrevocabile di patteggiamento in adeguamento alla diversa previsione sanzionatoria per il delitto di cui al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73, comma 1, divenuta vigente a seguito della pronuncia della Corte costituzionale n. 40 del 23/01/2019, le parti devono fare ricorso allo schema procedurale stabilito dallo art. 188 disp. att. c.p.p In tal senso depongono le indicazioni ermeneutiche offerte dalle Sezioni Unite di questa Corte con la sentenza n. 37107 del 26/2/2015, Marcon, Rv. 264858, con la quale si è stabilito che, fermo restando il giudizio di responsabilità e di accertamento e comparazione delle circostanze, la pena applicata su richiesta delle parti per i delitti previsti dal D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73 in relazione alle droghe c.d. leggere, ossia incluse nelle tabelle II e IV del predetto decreto, con pronuncia divenuta irrevocabile prima della sentenza della Corte Costituzionale n. 32 del 2014, deve essere necessariamente rideterminata in sede di esecuzione mediante la rinegoziazione dell’accordo tra le parti, ratificato dal giudice dell’esecuzione, che viene investito di incidente di esecuzione, attivato dal condannato o dal pubblico ministero soltanto in caso di mancato accordo, detto giudice dovrà provvedere di sua iniziativa ad individuare la pena congrua in riferimento ai ripristinati limiti edittali di pena, facendo ricorso ai criteri di cui agli artt. 132 e 133 cod. pen La soluzione così formulata valorizza la natura irrevocabile della definizione pattizia del procedimento sulla irreversibilità dell’accordo ex art. 444 c.p.p., comma 1, sez. 5, n. 44456 del 27/06/2012, Bernardini, rv. 254058 e preserva la volontà delle parti che hanno proceduto di loro comune iniziativa all’individuazione del trattamento punitivo, ritenuto congruo dal giudice della cognizione a norma dell’art. 444 c.p.p., comma 2 mantiene dunque inalterata la natura negoziata dell’accordo e demanda alle parti di rinnovarlo alla luce del mutato quadro normativo di riferimento, prevedendo un intervento decisorio del giudice dell’esecuzione di verifica della congruità e correttezza del calcolo, in analogia con gli stessi poteri conferitigli in sede di cognizione, e di autonoma determinazione soltanto in via suppletiva, a fronte d’insuperabile dissenso tra le parti. In altri termini, si è individuato nella previsione dell’art. 188 disp. att. c.p.p. il modello di procedimento adattabile al diverso tema della riconduzione a legalità della pena detentiva per conformarla allo stato della legislazione penale, risultante da pronuncia di incostituzionalità della disposizione costituente il parametro normativo di commisurazione della pena in base al quale era stata commisurata la pena già definitiva, ma non ancora espiata. Il giudice richiesto di recepire il rinnovato negoziato proveniente dalle parti può esprimere un motivato dissenso sull’esito di tale pattuizione e procedere in via autonoma all’individuazione della nuova e più favorevole pena per il reato. Lo strumento processuale di cui all’art. 188 disp. att. c.p.p. consente, in primo luogo, di intervenire sulla pena illegale della sentenza di patteggiamento irrevocabile assicurando alle parti la possibilità di rinnovare l’accordo, rispettando l’essenza stessa dell’istituto dell’applicazione della pena su richiesta. Infatti, seguendo le regole procedurali dell’art. 188 disp. att. c.p.p. - in quanto compatibili - il condannato e il pubblico ministero possono sottoporre al giudice dell’esecuzione un nuovo accordo sulla pena, quantificata in base ai criteri edittali operanti a seguito della sentenza costituzionale n. 40 del 2019 la rideterminazione della pena presuppone necessariamente una richiesta, proposta, normalmente, dal condannato e a cui il pubblico ministero può o meno aderire, ma non è escluso che l’iniziativa parta dal pubblico ministero, anch’egli interessato all’eliminazione di una pena illegale in ragione delle sue funzioni istituzionali, come riconosciuto dalle Sezioni Unite cfr. Sez. U, n. 42858 del 29/05/2014, Gatto, Rv. 260699 . In caso di mancato accordo per dissenso del pubblico ministero, l’art. 188 cit. prevede che il giudice dell’esecuzione possa comunque accogliere la richiesta, qualora ritenga il dissenso ingiustificato allo stesso modo, se il pubblico ministero resta inerte, deve ritenersi che il giudice possa ugualmente accogliere la proposta del condannato, potendo valutarsi la sua inerzia come un implicito dissenso. Il giudice dell’esecuzione, infine, ha il potere di valutare la congruità della pena richiesta, soluzione indirettamente confermata dalla Corte costituzionale che, proprio in relazione alla procedura di cui all’art. 188 cit., ha affermato che al giudice dell’esecuzione spetta non soltanto il potere-dovere di verificare in concreto la sussistenza dei presupposti per l’applicazione della disciplina del reato continuato, ma anche di valutare la, congruità della pena indicata dalle parti ai fini di quanto previsto dall’art. 27 Cost., comma 3, Corte Cost., sent. n. 37 del 1996 . 6. L’ordinanza impugnata ha fatto buon governo degli illustrati principi sia laddove ha rideterminato in termini più favorevoli al condannato la misura della pena base sia laddove ha commisurato t,’ò la diminuzione correlata alle attenuanti generiche. La pena base è stata parametrata al nuovo limite edittale con la riduzione da dieci a nove anni di reclusione parimenti, la diminuzione per le attenuanti ex art. 62 bis c.p. è stata calcolata rispettando ragionevolmente la proporzione seguita dal giudice della cognizione alla luce dei criteri di cui all’art. 133 c.p Così come la sentenza divenuta irrevocabile ha ridotto la pena base in misura inferiore alla estensione massima di un terzo da dieci anni a sette anni e sei mesi, quindi superiore di dieci mesi alla soglia minima di sei anni e otto mesi , l’ordinanza impugnata ha applicato una riduzione inferiore a quella massima consentita, diminuendo la nuova pena base da nove a sette anni superiore di un anno alla soglia minima di sei anni . È invece erronea la scelta del Tribunale di applicare una misura della diminuzione ex art. 444 c.p.p. diversa e più sfavorevole rispetto a quella di un terzo concordata dalle parti e ratificata dal giudice della cognizione con statuizione non toccata neanche indirettamente dalla pronuncia di incostituzionalità e, per tale ragione, coperta dal giudicato in ragione della sua natura esclusivamente processuale La diminuzione di cui all’art. 444 c.p.p., nonostante non sia stabilita in misura fissa ma sia rimessa alla discrezionalità delle parti che, sia pure all’interno di un range predefinito fino a un terzo, possono diversamente modularla nell’osservanza del limite di anni due o cinque di reclusione con maggiori benefici nel primo caso previsti dall’art. 445 cod. proc. pen. non è in alcun modo equiparabile alle circostanze attenuanti generiche, per quanto anche esse possono comportare la diminuzione della pena fino ad un terzo con un meccanismo in apparenza simile. Soltanto la diminuzione di cui all’art. 444 c.p.p., ha un carattere premiale inscindibilmente legato alla scelta processuale compiuta dall’imputato. Una volta perfezionatosi l’accordo formale sul rito, l’unico potere spettante al giudice cui è riservata la verifica della correttezza della cornice giuridica dei fatti sul merito della richiesta attiene alla valutazione della congruità della pena finale oggetto della richiesta al contrario, le circostanze in senso tecnico, anche quando non hanno un contenuto oggetto di predeterminazione legale astratta e quindi difettano di tipicità, come quelle previste dall’art. 62 bis c.p., non sono concedibili ad arbitrio del giudice, il quale deve darne sempre adeguata giustificazione cfr. Sez. 6, n. 5542 del 02/04/1996, P.G. proc. Conte. Rv.204876 e più di recente, ex plurimis Sez. 1, n. 46568 de 18/05/2017, Lamin, Rv. 271315 che ha ribadito il principio per cui in tema di attenuanti generiche, la meritevolezza dell’adeguamento della pena, in considerazione di peculiari e non codificabili connotazioni del fatto o del soggetto, non può mai essere data per presunta, ma necessita di apposita motivazione dalla quale emergano, in positivo, gli elementi che sono stati ritenuti atti a giustificare la mitigazione del trattamento sanzionatorio . La diminuzione ex art. 444 c.p.p. si configura a tal punto come effetto tipico del rito previsto dalla legge come obbligatorio e non facoltativó che il giudice ha l’obbligo di rigettare la richiesta di patteggiamento mancante del computo della diminuzione fino a un terzo della pena Sez. 3, n. 9888 del 14/01/2009, Perrella, Rv. 243097 Sez. 4, n. 18669 del 31/01/2013, Pacitto, Rv. 255927 . La natura negoziale del patteggiamento e quella processuale della diminuente prevista dall’art. 444 c.p.p. non vengono meno neanche in fase di esecuzione dove permane l’esigenza di rispettare la volontà delle parti che ha condizionato l’esito del giudizio di cognizione. Da qui l’esigenza della disciplina dettata dall’art. 188 disp. att. c.p.p. per l’applicazione della continuazione in fase di esecuzione tra reati giudicati con più sentenze di applicazione della pena su richiesta delle parti pronunciate in procedimenti distinti. In questa eventualità l’imputato e il pubblico ministero possono chiedere l’applicazione della disciplina del concorso formale o del reato continuato solo con un nuovo accordo, che rispetti il limite di pena di due o cinque anni, al di sotto del quale il rito è consentito. In coerenza con la natura negoziale del patteggiamento, è possibile incidere sul giudicato solo qualora intervenga tra le parti un nuovo accordo che contempli tutti i reati autonomamente definiti su richiesta delle parti, in modo tale che si garantisca il rispetto del beneficio processuale senza pregiudicare le scelte processuali sul rito effettuate in fase di cognizione. L’accordo così raggiunto sostituisce quelli precedenti anche ai fini del termine di estinzione previsto dall’art. 445 c.p.p., comma 2, che a mente dell’art. 137 disp. att. c.p.p., comma 1 decorre nuovamente per tutti i reati dalla data in cui è divenuta irrevocabile l’ultima sentenza Sez. 1, n. 38446 del 16/09/2008, Covito, 241301 . Va, dunque, affermato il principio per cui il giudice dell’esecuzione, nel rideterminare la pena inflitta con condanna anteriormente divenuta irrevocabile per conformarla alla sentenza della Corte Costituzionale n. 40 del 23 gennaio 2019, non ha il potere di modificare la misura della diminuzione di pena eseguita in fase di cognizione in applicazione dell’art. 444 c.p.p 7. L’ordinanza impugnata va, conseguentemente, annullata con rinvio per nuovo giudizio al Tribunale di Milano che dovrà riesaminare l’istanza alla luce dei principi di diritto sopra esposti ed evitando gli errori giuridici riscontrati in materia di quantificazione della pena. P.Q.M. annulla l’ordinanza impugnata e rinvia per nuovo giudizio al Tribunale di Milano.