Il provvedimento di conferma della misura di prevenzione personale dopo la scarcerazione non può apportare modifiche

Il procedimento ex art. 14, comma 2 -ter , d.lgs. n. 159/2011 attribuisce al Tribunale il potere di dare esecuzione alla misura di prevenzione della sorveglianza speciale ovvero di revocarla a seconda dell’esito dell’accertamento della persistenza della pericolosità sociale compiuto dopo un periodo di detenzione di almeno due anni dell’istante, ma non consente di modificare parzialmente la misura, nemmeno in relazione al termine di durata della stessa.

È il principio affermato dalla Corte di Cassazione con la sentenza n. 20954/20, depositata il 15 luglio. Il Tribunale di Milano applicava la misura della sorveglianza speciale con obbligo di soggiorno a carico di un soggetto che risultava successivamente detenuto per espiazione pena. La misura di prevenzione era dunque stata sospesa nel relativo periodo. L’interessato proponeva istanza ex art. 14, comma 2- ter , d.lgs. n. 159/2011 ma il Tribunale confermava il vigore della misura di prevenzione personale della sorveglianza speciale, escludendo solo l’obbligo di soggiorno per l’affievolimento della pericolosità sociale. Tale decisione, confermata anche in sede di appello, è stata impugnata con ricorso per cassazione. Fermo restando che in caso di procedimento di prevenzione, è ammissibile il ricorso per cassazione nei soli casi di violazione di legge, con conseguente esclusione dal novero dei vizi denunciabili dell’illogicità manifesta ex art. 606, comma 1, lett. e , c.p.p., Il Collegio ritiene infondato il ricorso. La Corte territoriale ha infatti correttamente valutato la questione relativa alla pericolosità sociale del ricorrente dopo il periodo di carcerazione sofferta, ritenendo che la sua buona condotta avesse solo diminuito la pericolosità sociale che continuava comunque a sussistere. Deve dunque essere esclusa la sussistenza di una violazione di legge, come invocato dal ricorrente. Quanto alla conferma della durata della misura di prevenzione, la Corte ricorda che nel procedimento di cui all’art. 14, comma 2- ter , d.lgs. n. 159/2011 il giudice ha l’obbligo di rivalutare l’attuale pericolosità sociale del soggetto nell’ipotesi in cui egli sia stato sottoposto a detenzione per espiazione di pena. Tale rivalutazione, che deve essere effettuata anche d’ufficio dopo la cessazione della detenzione, deve osservare le disposizioni di cui all’art. 7 del medesimo d.lgs. 159/2011 e, in particolare, deve essere assicurato il contraddittorio tra le parti. All’esito di tale procedimento il Tribunale emette decreto con cui può ordinare l’esecuzione della misura di prevenzione laddove ritenga persistente la pericolosità sociale del soggetto, oppure revocare la misura nel caso in cui tale condizione sia cessata. Il contesto normativo non prevede dunque alcuna facoltà di intervento del giudice sulla durata della misura originariamente applicata. Solo dopo che sia stata accertata la pericolosità sociale del soggetto, con conferma della misura a suo carico, può essere richiesta la revoca o la modifica secondo l’art. 11, comma 2, d.lgs. n. 159/2011. La sentenza in oggetto conclude affermando il principio di diritto secondo cui il procedimento ex art. 14, comma 2- ter , d.lgs. n. 159/2011 attribuisce al Tribunale il potere di dare esecuzione alla misura di prevenzione della sorveglianza speciale ovvero di revocarla a seconda dell’esito dell’accertamento della persistenza della pericolosità sociale compiuto dopo un periodo di detenzione di almeno due anni, ma non consente di modificare parzialmente la misura, anche in relazione al termine di durata la modifica della misura può essere adottata, ex art. 11, comma 2, d.lgs. n. 159/2011, solo durante la sua esecuzione, e, dunque, anche eventualmente dopo che il procedimento ex art. 14 prima citato si sia concluso con provvedimento che a tale esecuzione abbia dato luogo . Il ricorso viene dunque rigettato.

Corte di Cassazione, sez. II Penale, sentenza 28 febbraio – 15 luglio 2020, n. 20954 Presidente Rago – Relatore Sgadari Ritenuto in fatto 1. M.M. , con decreto del Tribunale di Milano, Sezione Misure di Prevenzione del 27 giugno del 2003, era stato sottoposto alla sorveglianza speciale con obbligo di soggiorno per anni tre e mesi sei. Tale misura di prevenzione era stata sospesa a causa di un lungo periodo di detenzione del ricorrente per espiazione di pena, intercorso tra il 21 febbraio del 2002 ed il 26 giugno del 2019. Con apposita istanza del 20 maggio 2019, il M. ha promosso il procedimento del D.Lgs. n. 159 del 2011, ex art. 14, comma 2-ter. Il Tribunale di Milano, Sezione Misure di Prevenzione, con decreto del 25 giugno del 2019, pur ritenendo affievolita la pericolosità sociale del ricorrente - e per questo revocando l’obbligo di soggiorno - manteneva in vigore la misura di prevenzione personale della sorveglianza speciale, non modificandone la durata. Con il decreto in epigrafe, la Corte di Appello di Milano rigettava il ricorso dell’interessato avverso tale primo provvedimento. 2. Ricorre per cassazione M.M. , deducendo 1 violazione di legge per motivazione apparente del decreto impugnato. Secondo il ricorrente, la Corte di appello non avrebbe valutato la mancanza di pericolosità sociale del proposto riferita all’attualità, trascurando la sua buona condotta carceraria e la rescissione dei legami con l’associazione criminale della quale era stato ritenuto partecipe, comunque estintasi nel 2006, rinviando al futuro l’accertamento della pericolosità in ragione della verifica della sua buona condotta in regime di libertà 2 violazione di legge per avere la Corte ritenuto non soggetta al suo giudizio la istanza volta, in via subordinata, alla riduzione della durata nel tempo della misura. Considerato in diritto Il ricorso è infondato. 1. Quanto al primo motivo, occorre premettere che secondo la consolidata giurisprudenza di questa Corte, qui condivisa, nel procedimento di prevenzione il ricorso per cassazione è ammesso soltanto per violazione di legge, secondo il disposto della L. 27 dicembre 1956, n. 1423, art. 4, richiamato dalla L. 31 maggio 1965, n. 575, art. 3 ter, comma 2 ne consegue che, in tema di sindacato sulla motivazione, è esclusa dal novero dei vizi deducibili in sede di legittimità l’ipotesi dell’illogicità manifesta di cui all’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e , potendosi esclusivamente denunciare con il ricorso, poiché qualificabile come violazione dell’obbligo di provvedere con decreto motivato imposto al giudice d’appello dalla L. n. 1423 del 1956, art. 4, comma 9, il caso di motivazione inesistente o meramente apparente Sez. U n. 33451 del 2014, Repaci sez. 6, n. 50946 del 18/09/2014, Catalano . Lo stesso prevede anche il D.Lgs. n. 159 del 2011, art. 10, comma 3. Nel caso in esame, la Corte di Appello ha mostrato di valutare attentamente la questione relativa alla attuale pericolosità sociale del ricorrente dopo il lungo periodo di carcerazione sofferto, ritenendo che, comunque, la sua buona condotta carceraria, siccome attestata nell’istanza di revoca e non negata dalla Corte, avesse, tuttavia, affievolito ma non eliso del tutto la sua pericolosità sociale. Tale giudizio è stato espresso attraverso un bilanciamento tra buona condotta nel lungo periodo di carcerazione e gravità dei reati commessi, che avevano attestato il collegamento del ricorrente con ambienti criminali mafiosi, essendosi accertata, in allora, la sua pericolosità sociale qualificata attraverso la ritenuta appartenenza ad un sodalizio mafioso, conclamata da sentenze irrevocabili. Tenuto conto di tali elementi e del breve periodo di tempo decorso in stato di libertà - che non aveva potuto dare dimostrazione di una totale perdita di contatto con tali ambienti mafiosi da parte del ricorrente - la Corte di Appello non ha ritenuto di escludere del tutto la sua pericolosità sociale, confermando il primo decreto del Tribunale che aveva eliminato soltanto l’obbligo di soggiorno ma non la misura della sorveglianza speciale. Ne consegue che la motivazione resa non può definirsi meramente apparente tanto da sconfinare in una violazione di legge, la censura del ricorrente, attenendo, semmai e astrattamente, ad un vizio ex art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e , non deducibile in questa sede. 2.1. Quanto al secondo motivo, deve ritenersi corretta, in diritto, la statuizione della Corte di Appello in ordine alla impossibilità di modificare il termine di durata della misura di prevenzione. Va osservato, in proposito, che il procedimento di cui si discute, avviato su istanza dell’interessato, è quello di cui al D.Lgs. 6 settembre 2011, n. 159, art. 14, comma 2-ter. Tale norma è stata introdotta nel cosiddetto Codice Antimafia dalla L. 17 ottobre 2017, n. 161, art. 4. Come è noto, essa ha introdotto l’obbligo del giudice di rivalutare l’attuale pericolosità sociale del soggetto che è stato sottoposto alla misura di prevenzione della sorveglianza speciale, nell’ipotesi in cui, come nel caso in esame, la misura sia stata sospesa durante il tempo in cui l’interessato è stato sottoposto a detenzione per espiazione di pena. Tale rivalutazione, alla quale il Tribunale deve procedere anche di ufficio - con il che ammettendosi che il procedimento possa avviarsi su istanza di parte, così come è avvenuto nel caso in esame - va effettuato dopo la cessazione dello stato detentivo e ad esso, per quanto compatibili, si applicano le disposizioni di cui al medesimo D.Lgs. n. 159 del 2011, art. 7, intese a regolare le modalità della procedura, in particolare attraverso la previsione di una udienza che assicuri il contraddittorio tra le parti. All’esito dell’accertamento, secondo quanto espressamente si prevede, il Tribunale può emettere solo due provvedimenti, aventi la forma del decreto quello con il quale ordina l’esecuzione della misura di prevenzione, nel caso in cui ritenga che persista la pericolosità sociale del soggetto quello con il quale revoca la misura di prevenzione nel caso opposto in cui ritenga cessata la pericolosità sociale dell’interessato. Come si vede, la norma non prevede alcun intervento del Tribunale sulla durata della misura originariamente stabilita nel decreto impositivo rimasto sospeso a causa dell’intervenuta detenzione. Siffatto intervento - che costituisce una modifica della misura - è, invece, espressamente previsto e reso possibile dal D.Lgs. n. 159 del 2011, art. 11, comma 2. Tuttavia, tale procedimento è diverso da quello introdotto dall’art. 14, comma 2-ter dello stesso decreto. Il procedimento ex art. 11, comma 2, del Codice Antimafia, infatti, presuppone una misura in corso di esecuzione e regola i casi nei quali, per l’appunto durante l’esecuzione della misura, si verifichino eventi tali da giustificare una revoca o una modifica della misura stessa, evidentemente anche in relazione al termine di durata. Diverso è il caso all’esame, laddove la misura non è in corso di esecuzione, per essere stata sospesa in ragione di quanto detto. In quest’ultima evenienza, a garanzia dell’interessato, il legislatore ha introdotto l’obbligo di una nuova verifica della pericolosità sociale, nell’attualità, nei termini di cui al D.Lgs. n. 159 del 2011, art. 14, comma 2-ter, per assicurare che la futura esecuzione della misura sia ancorata alla effettiva persistenza del presupposto fondamentale ed imprescindibile della misura di prevenzione della sorveglianza speciale, che il lungo periodo di carcerazione, superiore a due anni, potrebbe avere eliso. Solo una volta che sia stata accertata, in esito al procedimento ex art. 14 citato, la persistenza della pericolosità sociale e si sia, pertanto, ordinata, da parte del Tribunale, l’esecuzione della misura di prevenzione dopo l’intervenuta scarcerazione dell’interessato, quest’ultimo o la stessa autorità proponente potranno chiedere la revoca o la modifica secondo quanto prevede D.Lgs. n. 159 del 2011, art. 11, comma 2. 2.2. Ne consegue, con riguardo allo specifico caso di cui si tratta, che il Tribunale di Milano, con il provvedimento confermato da quello della Corte di appello impugnato in questa sede, ha adottato una statuizione parzialmente difforme dal contenuto delle norme sopra richiamate, nella parte in cui ha modificato la misura di prevenzione, revocando il solo obbligo di soggiorno ma non la sorveglianza speciale. Tuttavia, tale decisione, della quale il ricorrente non ha interesse a dolersi essendo comunque a lui favorevole, non può consentire di ritenere che il procedimento di cui al D.Lgs. n. 159 del 2011, art. 14, comma 2-ter, possa intrecciarsi con quello ex art. 11, comma 2, stesso decreto, trattandosi, come si è detto, di due distinti procedimenti che hanno presupposti e momenti applicativi differenti e che non devono essere confusi nella prassi applicativa. Per il che, correttamente i giudici di merito hanno concordemente ritenuto di non poter intervenire sulla durata della misura. In questo senso, deve, pertanto, formularsi il seguente principio di diritto il procedimento D.Lgs. n. 159 del 2011, ex art. 14, comma 2-ter, attribuisce al Tribunale il potere di dare esecuzione alla misura di prevenzione della sorveglianza speciale ovvero di revocarla a seconda dell’esito dell’accertamento della persistenza della pericolosità sociale compiuto dopo un periodo di detenzione di almeno due anni, ma non consente di modificare parzialmente la misura, anche in relazione al termine di durata la modifica della misura può essere adottata, D.Lgs. n. 159 del 2011, ex art. 11, comma 2, solo durante la sua esecuzione e, dunque, anche eventualmente dopo che il procedimento ex art. 14 prima citato si sia concluso con un provvedimento che a tale esecuzione abbia dato luogo . Al rigetto del ricorso segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali. P.Q.M. Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.