La pena divenuta illegale per l’intervento della Consulta deve essere rideterminata

Nel caso in cui intervenga una pronuncia di illegittimità costituzionale avente ad oggetto una norma diversa da quella incriminatrice e incidente sulla commisurazione del trattamento sanzionatorio, il principio della flessibilità del giudicato impone la rideterminazione della pena.

Lo ha ribadito la Suprema Corte con la sentenza n. 20699/20 depositata il 10 luglio. Il Tribunale di Roma, in funzione di giudice dell’esecuzione , dichiarava inammissibile la richiesta di rideterminazione della pena inflitta con sentenza irrevocabile al richiedente per il reato di cui all’art. 73 d.P.R. n. 309/1990. La sentenza della Corte Costituzionale n. 40/2019 , invocata dal richiedente, è stata emessa in data antecedente al giudizio di appello e secondo il Tribunale la questione avrebbe dovuto essere dedotta in quella fase. Il richiedente ha proposto ricorso per cassazione. Il Collegio ricorda che la pronuncia n. 40/2019 ha restaurato, per le condotte relative alla detenzione e cessione di droghe cd. pesanti, di cui al D.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309, art. 73, comma 1, il trattamento minimo di sei anni di reclusione, per eliminare lo iato sanzionatorio esistente tra i fatti di lieve entità e quelli puniti dalla norma anzidetta . Posta tale premessa, viene rilevato che il principio di cd. flessibilità del giudicato , in ipotesi quali quella in esame, impone la rideterminazione della pena, allorquando, a seguito di una sentenza irrevocabile di condanna, interviene la dichiarazione d’illegittimità costituzionale di una norma diversa da quella incriminatrice, incidente sulla commisurazione del trattamento sanzionatorio e quest’ultimo non sia stato interamente eseguito . In tal caso la pena inflitta deve infatti essere ritenuta illegale e deve essere rideterminata ma non secondo un criterio di tipo matematico-proporzionale, né con automatismi che replichino le scelte originarie. Il Giudice deve invece procedere alla rideterminazione secondo i criteri di cui agli artt. 132 e 133 c.p. e secondo i canoni dell’ adeguatezza e proporzionalità che tengano conto della nuova cornice edittale . In conclusione, pur a fronte del nuovo minimo edittale il giudice di merito sarà, dunque, libero di discostarsi da esso, purché riduca la pena originariamente inflitta, dandone conto nella motivazione relativa. L’abbassamento del minimo legale e la relativa ponderazione legislativa influiscono ipso iure sulla pena inflitta che va ridotta, con un obbligo di motivazione che si accresce quanto più la pena rideterminata si avvicina a quella inizialmente inflitta . Precisa infine la Corte che nel caso di specie, la motivazione della decisione della Consulta è stata depositata solo dopo la pronuncia della sentenza d’appello, seppur durante la pendenza del termine per il ricorso in Cassazione. Ciò posto, l’illegalità della pena può essere sollevata, oltre che nel giudizio di cognizione, anche nella fase di esecuzione . In conclusione, la Corte accoglie il ricorso e rinvia per un nuovo giudizio al Tribunale di Roma.

Corte di Cassazione, sez. I Penale, sentenza 19 maggio – 10 luglio 2020, n. 20699 Presidente Mazzei – Relatore Cairo Ritenuto in fatto 1. Il Tribunale di Roma, in funzione di giudice dell’esecuzione, con l’ordinanza in epigrafe, in data 23/9/2019, ha dichiarato inammissibile la richiesta di rideterminazione della pena inflitta a U.F.P. con la sentenza del 21/10/2014, irrevocabile il 25/3/2019, per il reato di cui al D.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309, art. 73. Ha ritenuto che si sarebbe dovuta dedurre la questione nella fase di cognizione. La decisione della Corte costituzionale del 23/1/2019, n. 40, si osserva, che ha dichiarato l’illegittimità costituzionale del D.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309, art. 73, nella parte in cui prevede come pena edittale minima la reclusione di anni otto, anziché di anni sei di reclusione, per fatti non lievi aventi ad oggetto sostanze stupefacenti o psicotrope di cui alle tabelle I e III previste dall’art. 14 cdd. droghe pesanti del D.P.R. cit.,è stata emessa in data antecedente all’udienza di appello 6/2/2019 . In ogni caso, sottolinea il Giudice dell’esecuzione, la pena non sarebbe stata rideterminabile poiché quantificata nel minimo legale con la concessione delle circostanze attenuanti generiche, proprio in ragione del trattamento edittale dell’epoca e al fine di renderla equa e proporzionata alla gravità del fatto e alla personalità del suo autore. 2. Ricorre per cassazione U.F.P. , con il ministero del suo difensore di fiducia e deduce la violazione della L. 11 marzo 1953, n. 87, art. 30 e il vizio di motivazione. Al Giudice dell’esecuzione è stata prospettata la questione della legalità della pena e si sarebbe dovuto procedere alla rideterminazione di essa ai sensi della L. 11 marzo 1953, n. 87, art. 30, secondo cui quando in applicazione della norma dichiarata incostituzionale è stata emessa sentenza irrevocabile di condanna ne cessano l’esecuzione e tutti gli effetti penali. Nella specifica vicenda la pena doveva essere determinata trattandosi di sanzione illegale, poiché il giudice della cognizione è partito dal minimo edittale di anni otto di reclusione, previa concessione delle circostanze attenuanti generiche ritenute equivalenti alla contestata recidiva. Considerato in diritto 1. Il ricorso è fondato. 1.1. Con la sentenza della Corte costituzionale in data 23/1/2019, n. 40, si è restaurato, per le condotte relative alla detenzione e cessione di droghe cd. pesanti, di cui al D.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309, art. 73, comma 1, il trattamento minimo di sei anni di reclusione, per eliminare lo iato sanzionatorio esistente tra i fatti di lieve entità e quelli puniti dalla norma anzidetta. Il principio di cd. flessibilità del giudicato, in ipotesi quali quella in esame, impone la rideterminazione della pena, allorquando, a seguito di una sentenza irrevocabile di condanna, interviene la dichiarazione d’illegittimità costituzionale di una norma diversa da quella incriminatrice, incidente sulla commisurazione del trattamento sanzionatorio e quest’ultimo non sia stato interamente eseguito Sez. U, n. 42858 del 29/05/2014, Gatto, Rv. 260697 . La pena va ritenuta illegale e deve essere rideterminata, anche là dove formalmente rientri nella cornice edittale, della norma ripristinata S.U. 26/2/2015, n. 33040, Jazuli, in tema di patteggiamento . Non si deve procedere con un criterio di tipo matematico-proporzionale Sez. 1, n. 51844 del 25/11/2014, Riva, rv. 261331 Sez. 1, n. 52980 del 18/11/2014, Cassia o con automatismi che replichino le scelte operate originariamente. Il Giudice deve, al contrario, procedere alla rideterminazione, utilizzando i criteri di cui agli artt. 132 e 133 c.p., secondo i canoni dell’adeguatezza e della proporzionalità che tengano conto della nuova cornice edittale S. U.,n. 37107 del 26-2-2015, Rv. 264859, Marcon . La riduzione va ritenuta necessaria , tenendo presente che, la modifica nella forbice di pena, attraverso un intervento sul minimo, non permette di giudicare congrua una sanzione che era stata considerata tale e adeguata, allorquando la soglia del trattamento penale per quel fatto era, nel minimo, decisamente più alta anni otto di reclusione . Pur a fronte del nuovo minimo edittale il giudice di merito sarà, dunque, libero di discostarsi da esso, purché riduca la pena originariamente inflitta, dandone conto nella motivazione relativa. L’abbassamento del minimo legale e la relativa ponderazione legislativa influiscono ipso iure sulla pena inflitta che va ridotta, con un obbligo di motivazione che si accresce quanto più la pena rideterminata si avvicina a quella inizialmente inflitta. 1.2. Il Giudice dell’esecuzione, nella specie, da un lato, non fa corretta applicazione dei principi indicati e, dall’altro, ritiene erroneamente formatasi una preclusione alla rivisitazione del trattamento sanzionatorio in fase di esecuzione, per effetto del giudicato. L’ordinanza impugnata, invero, giunge alla dichiarazione d’inammissibilità osservando che la decisione d’appello del 6/2/2019 sarebbe stata successiva alla declaratoria d’incostituzionalità di cui alla sentenza del 23 gennaio 2019, n. 40. D’altro canto, la motivazione della decisione della Corte costituzionale era stata depositata l’8/3/2019 con pubblicazione in Gazzetta ufficiale il 13/3/2019, data in cui, pur successivamente alla sentenza d’appello, erano ancora pendenti i termini per il ricorso per cassazione, termini scaduti il 25/3/2019. Da ciò la preclusione, per effetto del giudicato, che avrebbe coperto anche l’illegalità della pena. Deve, contrariamente, osservarsi che l’illegalità della pena può rilevarsi, oltre che nel giudizio di cognizione anche nella fase di esecuzione. Il sistema assicura, anche in executivis, la possibilità, per il giudice dell’esecuzione, di rideterminare la pena per la sua illegalità sopravvenuta, in favore del condannato. Invero, fermo il giudicato, quanto ai profili relativi alla sussistenza del fatto, alla sua attribuibilità soggettiva e alla sua qualificazione giuridica, il giudice dell’esecuzione procede alla rideterminazione della pena in ipotesi di sopravvenuta illegittimità costituzionale. La legge dichiarata incostituzionale cessa di avere efficacia ex tunc, con reviviscenza o cd. riespansione della legge abrogata o limitata dalla norma incostituzionale art. 136 Cost. e L. 11 marzo 1953, n. 87, art. 30 . Non si genera, pertanto, un fenomeno di successione nel tempo di leggi in senso stretto, riconducibile alla disciplina dell’art. 2 c.p., con la conseguenza che il trattamento penale va rivisto anche a fronte del giudicato formatosi. Questa Corte ha, del resto, spiegato che l’illegalità della pena derivante da palese errore giuridico o materiale da parte del giudice della cognizione, privo di argomentata valutazione, è rilevabile d’ufficio in sede di legittimità, anche senza la necessità di attivare incidente di esecuzione, salvo solo il caso di tardività del ricorso così, per tutte, Sez. U, n. 47766 del 26/06/2015, Butera, Rv. 265108 e, là dove detta illegalità non sia rilevabile d’ufficio, per tardività dell’impugnazione cui deve ritenersi assimilabile la mancata proposizione del ricorso ,è deducibile davanti al giudice dell’esecuzione, adito ai sensi dell’art. 666 c.p.p Quanto premesso impone l’annullamento dell’ordinanza impugnata e il rinvio per nuovo giudizio al Tribunale di Roma, in funzione, di Giudice dell’esecuzione. P.Q.M. Annulla l’ordinanza impugnata e rinvia per nuovo giudizio al Tribunale di Roma.