Figlio disabile, niente domiciliari per il padre. La madre può contare sui familiari che abitano nel suo palazzo

Respinta la richiesta presentata da un uomo condannato per associazione mafiosa. Impossibile la concessione dell’affidamento in prova al servizio sociale è evidente, secondo i Giudici, la pericolosità ancora attuale dell’uomo. Negata, infine, la detenzione domiciliare speciale decisiva la constatazione che la moglie se la cava da sola nell’assistenza al figlio e peraltro ella può contare su alcuni parenti che abitano nel suo stesso palazzo.

Marito in carcere e moglie che deve occuparsi del loro figlio disabile. Situazione difficile, certo, ma non sufficiente per concedere la detenzione speciale all’uomo. Decisiva la constatazione che nello stabile dove abita la donna sono presenti anche le case del padre, dello zio e del cugino Cassazione, sentenza n. 20103/20, sez. I Penale, depositata oggi . Riflettori puntati su un uomo, condannato a scontare otto anni di reclusione per associazione mafiosa , e sulla sua richiesta di vedersi concesso o l’affidamento in prova al servizio sociale o la detenzione speciale a casa, dove la moglie, sostiene, è in difficoltà dovendo gestire da sola il loro figlio disabile. Dal Tribunale di sorveglianza arriva una doppia risposta negativa. Da un lato, viene esclusa una prognosi favorevole in ordine alla corretta fruizione delle misure alternative alla detenzione, sia per la rilevante gravità del reato oggetto di condanna, sia per la pericolosità ancora attuale del condannato . Dall’altro lato, invece, viene rimarcata l’assenza di elementi utili a comprovare la necessità di assistenza del figlio minore da parte del padre, poiché il ragazzo, affetto da handicap, è idoneamente accudito dalla madre . Inutile il ricorso proposto dal legale del detenuto. I giudici della Cassazione ritengono corretta la decisione presa dal Tribunale di sorveglianza. Per quanto concerne l’affidamento in prova al servizio sociale , innanzitutto, è efficace il richiamo alla attualità della pericolosità sociale del condannato e alla natura del reato in espiazione . A questo proposito i giudici chiariscono che sarebbe stata necessaria l’acquisizione di congrui e specifici elementi capaci di dimostrare la recisione dei collegamenti con il contesto delinquenziale di riferimento , non essendo sufficiente, invece, il mero accertamento della assenza di legami attuali con la criminalità organizzata . Sul fronte della detenzione domiciliare speciale richiesta dall’uomo, infine, i giudici pongono in evidenza non solo la perduranza del concreto pericolo di commissione di ulteriori reati ma anche l’assenza di prove che la donna fosse impossibilitata a dare assistenza alla prole in luogo del padre costretto in carcere. E in questa ottica viene richiamato l’accertamento eseguito dai carabinieri, accertamento da cui è emerso che la donna è in grado di assistere il figlio, anche perché ella risiede in uno stabile dove insistono le abitazioni occupate dal padre, dallo zio e dal cugino .

Corte di Cassazione, sez. I Penale, sentenza 22 giugno – 7 luglio 2020, numero 20103 Presidente Di Tommasi – Relatore Aliffi Ritenuto in fatto 1. Con l'ordinanza in epigrafe, il Tribunale di sorveglianza di Napoli ha rigettato la domanda di affidamento in prova al servizio sociale e di detenzione domiciliare avanzata da Pi. Ga., detenuto in espiazione della pena di anni otto di reclusione inflittagli per violazione dell'art. 416-bis, terzo e quarto comma, cod. penumero Secondo il Tribunale, la domanda, ammissibile in relazione ad entrambe le misure alternative richieste e, con specifico riferimento all'affidamento in prova, per l'insussistenza di legami attuali con la criminalità organizzata, non era accogliibile nel merito non poteva, infatti, formularsi una prognosi favorevole in ordine alla corretta fruizione delle misure alternative sia per la rilevante gravità del reato oggetto di condanna sia per la pericolosità, ancora attuale, del condannato, desunta dalla recente applicazione della misura di prevenzione della sorveglianza speciale di P.S. Quanto alla detenzione domiciliare speciale di cui all'art. 47 ter, comma 1 lett. b , Ord. pen, il Tribunale rimarcava l'assenza di elementi utili a comprovare la necessità di assistenza del figlio minore, affetto da handicap, idoneamente accudito dalla madre. 2. Avverso il predetto provvedimento ha proposto ricorso per cassazione il Pi., per mezzo del difensore di fiducia, avv. Francesco Liguori, deducendo, quale unico motivo di impugnazione, il vizio di motivazione ai sensi dell'art. 606, comma 1 lett. e , cod. proc. penumero Il Tribunale non ha fornito alcuna argomentazione a sostegno del giudizio prognostico negativo che, per di più, risulta essere in aperto contrasto con gli elementi, tutti positivi, indicati in premessa per giustificare l'ammissibilità delle domande ed in particolare con l'insussistenza di legami attuali con la criminalità organizzata. Ha, inoltre, posto a fondamento del rigetto della domanda di detenzione domiciliare la circostanza che il figlio del condannato fosse idoneamente assistito dalla madre nonostante la produzione di documentazione attestante il contrario e l'assenza di conferme, tali non potendosi considerare le dichiarazioni rese dal Pi. in udienza. Considerato in diritto 1. Il ricorso è inammissibile. 2. Le doglianze in tema di affidamento in prova sono generiche e non si confrontano con la motivazione dell'ordinanza impugnata, che ha rigettato l'istanza ritenendo ostativa, a prescindere dagli altri presupposti, l'attualità della pericolosità sociale del condannato e la natura del reato in espiazione che, in quanto appartenente alla cd. prima fascia dell'art. 4-bis, Ord. penumero , imponeva l'acquisizione di congrui e specifici elementi, capaci di dimostrare la recisione dei collegamenti con il contesto delinquenziale di riferimento, non essendo sufficiente il mero accertamento in negativo dell'assenza di legami attuali con la criminalità organizzata. 3. Con riferimento alla detenzione domiciliare speciale, il ricorrente si è limitato ad opporre un argomento di natura meramente confutativa, oltre che versato in fatto, rispetto alla valutazione di merito compiuta dal Tribunale che, sulla scorta di informazioni dei carabinieri, nemmeno contestate in questa sede, ha negato la concessione del beneficio - senz'altro fruibile anche dal padre detenuto del figlio portatore di disabilità, indipendentemente dall'età nei limiti fissati dalla sentenza della Corte Costituzionale numero 18 del 2020 - non solo per la perdurarla del concreto pericolo di commissione di ulteriori reati cfr. Sez. 1, numero 47092 del 19/07/2018, P.G C/ Barbi Cinti, Rv. 274481 , ma anche per assenza dei presupposti indicati dal comma 7 dell'art. 47-quinquies Ord. pen cfr. Sez. 1, numero 1029 del 31/10/2018, dep. 2019, Pastura, Rv. 274791 non risultava dall'istruttoria espletata, infatti, che la madre fosse deceduta o fosse impossibilitata ad assistere la prole in luogo del padre. Al contrario, dagli accertamenti eseguiti dai carabinieri era emerso che la madre fosse in grado di assistere il figlio, affetto da problemi fisico - psichici connessi alla epilessia diagnosticata nel maggio 2018, perché attualmente residente, come confermato dal condannato in udienza, in uno stabile dove insistono le abitazioni occupate dal padre, dallo zio e dal cugino. 4. All'inammissibilità del ricorso consegue, ai sensi dell'art. 616 c.p.p., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento e - per i profili di colpa correlati all'irritualità dell'impugnazione C. cost. numero 186 del 2000 - di una somma in favore della cassa delle ammende nella misura che, in ragione delle questioni dedotte, si stima equo determinare in Euro tremila. P.Q.M. Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro tremila in favore della cassa delle ammende.