Custodia cautelare in difetto delle condizioni di applicabilità: l’ingiusta detenzione va risarcita

Sussiste il diritto ad ottenere la riparazione per ingiusta detenzione per il condannato per un delitto, diversamente qualificato rispetto a quello contestato con l’ordinanza applicativa della custodia cautelare in carcere, in relazione al quale non poteva essere disposta la misura custodiale per difetto delle condizioni di applicabilità previste dall’art. 280, comma 2, c.p.p

È il principio affermato dalla Suprema Corte con la sentenza n. 20010/20, depositata il 6 luglio. La Corte d’Appello di Milano, pronunciandosi in sede di rinvio, accoglieva parzialmente l’istanza ex art. 314 c.p.p. avanzata nell’interesse di un detenuto che chiedeva l’indennizzo per l’ingiusta detenzione patita per 31 giorni, quale di fferenza tra la custodia cautelare sofferta e la pena definitivamente inflitta per il delitto di turbativa degli incanti. Il condannato ha proposto ricorso per cassazione dolendosi della violazione dell’art. 606, comma 1, lett. B e e , c.p.p Il ricorrente solleva la questione relativa alla circostanza, non valutata dalla Corte territoriale, per cui al momento in cui egli fu sottoposto alla misura custodiale, per il titolo di reato per il quale è intervenuta la condanna definitiva non era prevista l’applicazione della custodia cautelare in carcere . Ed infatti l’art. 314, comma 2, c.p. riconosce il diritto alla riparazione per ingiusta detenzione anche al condannato che sia stato sottoposto a custodia cautelare senza che sussistessero le condizioni di applicabilità della stessa di cui agli artt. 273 e 280 c.p.p Tale ultima disposizione prevede la possibilità di disporre la custodia in carcere solo per i delitti, consumati o tentati, puniti con la reclusione non inferiore nel massimo a 5 anni. Nel caso di specie, l’art. 353, comma 1, c.p., nella versione vigente all’epoca del fatto, prevedeva la pena di due anni di reclusione , con la conseguenza che non sussistevano le summenzionate condizioni per la custodia cautelare in carcere. In conclusione, il Collegio cristallizza il principio di diritto secondo cui va riconosciuto il diritto ad ottenere la riparazione per ingiusta detenzione al condannato per un delitto, diversamente qualificato rispetto a quello contestato con l’ordinanza applicativa della custodia cautelare in carcere, in relazione al quale non poteva essere disposta la misura custodiale per difetto delle condizioni di applicabilità previste dall’art. 280, comma 2, c.p.p. . Fermo restando dunque il riconoscimento del diritto alla riparazione per ingiusta detenzione, la Corte territoriale ha errato nel limitare il periodo indennizzabile alla sola eccedenza della pena inflitta in sede di merito, senza considerare che ab origine difettavano i presupposti applicativi della misura custodiale. Per questi motivi, la Cassazione annulla l’ordinanza impugnata con rinvio alla Corte d’Appello meneghina.

Corte di Cassazione, sez. III Penale, sentenza 27 maggio – 6 luglio 2020, n. 20010 Presidente Aceto – Relatore Corbetta Ritenuto in fatto 1. Con l’impugnata ordinanza, giudicando in sede di rinvio disposto da questa Corte, Sez. 4, con sentenza n. 54831 del 10 ottobre 2018, la Corte d’appello di Milano, accogliendo parzialmente l’istanza ex art. 314 c.p.p. avanzata nell’interesse di I.A. , liquidava al richiedente la somma di 3.100 Euro a titolo di indennizzo per l’ingiusta detenzione patita nella misura di 31 giorni, pari alla differenza tra la custodia cautelare sofferta - dapprima in carcere quattro mesi e successivamente agii arresti domiciliari un mese e un giorno - per complessivi mesi cinque e giorni uno e la pena di mesi quattro di reclusione definitivamente inflitta per il delitto di turbativa degli incanti, con esclusione della contestata circostanza aggravante di cui all’art. 353 c.p., comma 2. 2. Avverso l’indicata ordinanza, il condannato, tramite il difensore di fiducia e procuratore speciale, propone ricorso per cassazione affidato a un motivo, con cui la violazione dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b ed e in relazione agli artt. 314 e 315 c.p.p Assume il ricorrente che la motivazione sarebbe contraddittoria e illogica con riferimento all’importo liquidato per l’ingiusta detenzione patita, in quanto, in primo luogo, la Corte di appello avrebbe erroneamente decurtato quattro mesi di reclusione, pari alla pena definitivamente inflitta per il delitto ex art. 353 c.p. esclusa, pertanto, l’aggravante ex art. 353 c.p., comma 2 , senza considerare che per detto reato non è ammissibile l’applicazione della custodia in carcere. In secondo luogo, l’importo considerato dalla Corte territoriale, pari a 120 al giorno, sarebbe ingiusto, a fronte dei danni patiti a causa della carcerazione, come la perdita del lavoro, le conseguenze sullo stato di salute e la crisi coniugale. Considerato in diritto 1. Il ricorso è fondato per i motivi di seguito indicati. 2. Va rilevato che l’I. ha patito la misura della custodia in carcere, poi sostituta con quella degli arresti domiciliari, in relazione al delitto aggravato di cui all’art. 353 c.p., comma 2, ed è stato definitivamente condannato alla pena di mesi quattro di reclusione, condizionalmente sospesa, per il delitto di cui all’art. 353 c.p., comma 1. Al momento del fatto, in relazione al quale l’I. è stato definitivamente condannato, l’art. 353 c.p., comma 1, comminava la pena detentiva fino a due anni di reclusione. 3. Ciò posto, non ha pregio la motivazione della Corte territoriale, la quale. come peraltro anche il Procuratore generale - ha richiamato quanto affermato da Cass., Sez. 4, sentenza n 57368 dell’11/10/2018, Valdes, non massimata, che si è appellata al principio secondo cui, in tema di ingiusta detenzione, con riguardo alla previsione di cui all’art. 314 c.p.p., comma 2, non può dare diritto alla riparazione la circostanza che il richiedente abbia ottenuto, in sede di cognizione, la sospensione condizionale della pena in ordine al reato relativamente al quale era stato sottoposto a custodia cautelare - previa esclusione della circostanza aggravante contestata -, sempre che l’entità della condanna sia superiore alla durata della custodia cautelare subita, mentre, in caso contrario, il diritto alla riparazione sussiste limitatamente alla parte di custodia cautelare che soverchi la misura della condanna così Sez. 3, n. 12394 del 14/12/2016 - dep. 15/03/2017, Caracciolo, Rv. 270352 . In quest’ultima decisione, infatti, si negò il presupposto per ottenere l’ingiusta detenzione in considerazione dell’irrilevanza della sospensione condizionale della pena riconosciuta in sede di merito con riguardo a un delitto la procurata inosservanza di pena ex art. 390 c.p., comma 1, prima parte per il quale, in ogni caso, era ammissibile l’applicazione di una misura cautelare personale. 4. Nella vicenda che ci occupa, invece, il dato rilevante - la cui valutazione è stata omessa dalla Corte territoriale - non è rappresentato dalla circostanza che il ricorrente, al momento in cui fu disposta la misura custodiale, avrebbe potuto beneficiare dalla sospensione condizionale della pena, bensì che per il titolo di reato per il quale è intervenuta la condanna definitiva non era ammessa, all’epoca del fatto, la custodia cautelare in carcere. In tal senso depone il chiaro dato letterale dell’art. 314 c.p., comma 2, che riconosce il diritto alla riparazione per ingiusta detenzione anche al condannato che nel corso del processo sia stato sottoposto a custodia cautelare, quando con decisione irrevocabile risulti accertato che il provvedimento che ha disposto la misura è stato emesso . senza che sussistessero le condizioni di applicabilità previste dagli artt. 273 e 280 tale ultima disposizione, in particolare, stabilisce, al comma 2, che la custodia in carcere può essere disposta solo per i delitti, consumati o tentati, per i quali sia prevista la pena della reclusione non inferiore nel massimo a cinque anni. 5. Nel caso che ci occupa, invece, il delitto ex art. 353 c.p., comma 1, prevedeva, all’epoca del fatto, la pena di due anni di reclusione, sicché, non sussistendo le condizioni di applicabilità previste dall’art. 280 c.p.p., comma 2, non poteva essere disposta la custodia cautelare in carcere. 6. Va perciò affermato il seguente principio di diritto va riconosciuto il diritto ad ottenere la riparazione per ingiusta detenzione al condannato per un delitto, diversamente qualificato rispetto a quello contestato con l’ordinanza applicativa della custodia cautelare in carcere, in relazione al quale non poteva essere disposta la misura custodiale per difetto delle condizioni di applicabilità previste dall’art. 280 c.p.p., comma 2. 7. Orbene, pur avendo riconosciuto il diritto dell’istante alla riparazione per l’ingiusta detenzione, avendo escluso una condotta dolosa o colposa del condannato, atteso che il giudice era oggettivamente nelle condizioni di negare la misura, la Corte territoriale ha però erroneamente limitato il periodo di ingiusta detenzione a soli 31 giorni, pari all’eccedenza rispetto alla pena inflitta in sede di merito, senza considerare che ab origine difettavano i presupposti applicativi della misura custodiale ex art. 280 c.p.p., comma 2. 8. Fermo restando, pertanto, il riconosciuto diritto alla riparazione per ingiusta detenzione, l’ordinanza impugnata deve perciò essere annullata con rinvio ad altra sezione della Corte di appello di Milano, che si uniformerà al principio dinanzi enunciato. P.Q.M. Annulla l’ordinanza impugnata con rinvio alla Corte di appello di Milano per nuovo giudizio. Si dà atto che il presente provvedimento è sottoscritto dal solo presidente del collegio per impedimento dell’estensore, ai sensi del D.P.C.M. 8 marzo 2020, art. 1, comma 1, lett. a .