Maltrattamenti e abusi sulla moglie, marito sotto accusa e in carcere: lei dai genitori ma niente domiciliari per lui

Respinta la richiesta dell’uomo di vedersi concessa la detenzione domiciliare invece della custodia in carcere. Irrilevante per i Giudici il fatto che la donna abbia momentaneamente lasciato la casa coniugale e si sia trasferita dai propri genitori.

Marito sotto accusa per maltrattamenti e abusi sessuali perpetrati tra le mura domestiche ai danni della moglie. Legittima l’applicazione della custodia cautelare in carcere per tutelare la donna. Irrilevante il fatto che ella abbia deciso di trasferirsi momentaneamente dai genitori questo dettaglio non basta per concedere i domiciliari nella casa coniugale all’uomo Cassazione, sentenza n. 20019/20, sez. III Penale, depositata il 6 luglio . Preso atto del quadro indiziario a carico dell’uomo, a cui vengono contestati i reati di maltrattamenti e di violenza sessuale ai danni della moglie, il Gip prima e il Tribunale poi ritengono corretta l’applicazione della custodia cautelare in carcere . L’uomo punta ad ottenere col ricorso in Cassazione la meno afflittiva misura degli arresti domiciliari . Richiesta priva di fondamento, secondo i Giudici del ‘Palazzaccio’, poiché già il delitto di maltrattamenti ipotizzato è sufficiente per legittimare la misura cautelare della custodia in carcere. Acclarate in premessa le esigenze cautelari, i magistrati respingono l’ipotesi difensiva secondo cui sarebbe sufficiente l’applicazione degli arresti domiciliari presso l’abitazione coniugale che non vede presente la donna, trasferitasi a casa dei genitori. Su questo punto, in particolare, dalla Cassazione osservano che le violenze sono avvenute tra le mura domestiche e quindi è concreto ed attuale il pericolo di reiterazione delle condotte tenute dall’uomo, soprattutto tenendo presente che la donna, prima della misura cautelare, si è soltanto temporaneamente allontanata dall’abitazione familiare, chiedendo ospitalità ai propri genitori, ma non ha definitivamente abbandonato il domicilio domestico . Impossibile, quindi, escludere un suo rientro tra le mura della casa coniugale. Inevitabile, quindi, la custodia cautelare in carcere per l’uomo, così da salvaguardare il buon diritto della persona offesa a rientrare nel possesso dell’abitazione familiare senza mettere a rischio la propria incolumità .

Corte di Cassazione, sez. III Penale, sentenza 18 giugno – 6 luglio 2020, n. 20019 Presidente Andreazza – Relatore Reynaud Ritenuto in fatto e considerato in diritto 1. Con ordinanza del 9 dicembre 2019, il Tribunale di Roma ha respinto l'istanza di riesame proposta nell'interesse di Fr. Te. avverso il provvedimento con cui il g.i.p. gli aveva applicato la misura della custodia cautelare in carcere in relazione ai reati di cui agli artt. 572 e 609 bis cod. pen. contestati come commessi in danno della moglie. 2. Avverso l'ordinanza, a mezzo del difensore fiduciario, l'indagato ha proposto ricorso per cassazione, deducendo, con il primo motivo, erronea applicazione dell'art. 609 bis cod. pen. per essere stati ravvisati nella condotta di autoerotismo da lui commessa gli elementi della violenza o della minaccia, non avendo la moglie reagito, pur avendone mezzi e opportunità, né essendo stato dimostrato un suo stato di prostrazione psicologica. Si rileva, inoltre, come sussistano dubbi sul racconto della persona offesa e si censura il fatto che non sia stata ritenuta l'attendibilità delle dichiarazioni rese, in sede di indagini difensive, dal figlio maggiore della coppia, essendosi per contro valorizzate le dichiarazioni de relato dei genitori e di un'amica della persona offesa. 2.1. Con il secondo motivo di ricorso si lamenta la violazione dell'art. 274 cod. proc. pen. in ordine ai criteri di scelta della misura, non essendosi in particolare offerta adeguata spiegazione cica la denegata possibilità di applicare la meno afflittiva misura degli arresti domiciliari. 3. Premesso che non è stata mossa doglianza sulla ritenuta gravità indiziaria in ordine al reato di maltrattamenti in famiglia - che pure ha fondato l'applicazione della misura - né sulla ritenuta sussistenza delle esigenze cautelari, il primo motivo di ricorso è inammissibile per genericità e difetto d'interesse. Quand'anche non fosse ravvisabile la sussistenza di gravi indizi di colpevolezza per l'ipotizzato reato di violenza sessuale, infatti, il delitto di cui all'art. 572 cod. pen. giustifica comunque la misura cautelare applicata, come più oltre si dirà analizzando il secondo motivo. La doglianza, dunque, è generica e il ricorrente non ha neppure allegato uno specifico profilo a sostegno dell'interesse a ricorrere sul punto. Ed invero, questa Corte ha ripetutamente affermato il difetto di specificità, con violazione dell'art. 581 cod. proc. pen., del ricorso per cassazione che si limiti alla critica di una sola delle rationes decidendi poste a fondamento della decisione, ove siano entrambe autonome ed autosufficienti Sez. 3, n. 2754 del 06/12/2017, dep. 2018, Bimonte, Rv. 272448 Sez. 3, n. 30021 del 14/07/2011, F., Rv. 250972 Sez. 3, n. 30013 del 14/07/2011, Melis e Bimonte, non massimata e, sotto altro angolo visuale, negli stessi casi, il difetto di concreto interesse ad impugnare, in quanto l'eventuale apprezzamento favorevole della doglianza non condurrebbe comunque all'accoglimento del ricorso Sez. 6, n. 7200 del 08/02/2013, Koci, Rv. 254506 . 3.1. Quanto al secondo motivo di ricorso, non essendo contestata la ritenuta sussistenza delle esigenze cautelari, con riguardo alla scelta della misura ci si limita a dolersi che non siano stati applicati gli arresti domiciliari presso l'abitazione coniugale. La doglianza, tuttavia, è assolutamente generica e non si confronta in alcun modo con la specifica motivazione - del tutto logica - resa nell'ordinanza impugnata circa l'inidoneità di detta misura, posto che le violenze erano avvenute tra le mura domestiche e, dunque, il concreto ed attuale pericolo di reiterazione non poteva all'evidenza essere in tal modo scongiurato, posto che la donna, prima che fosse disposta la misura cautelare, si era soltanto temporaneamente allontanata dall'abitazione familiare, chiedendo ospitalità ai propri genitori, ma non aveva definitivamente abbandonato il domicilio domestico, presso il quale avrebbe dunque ben potuto fare rientro. Una diversa conclusione conculcherebbe illegittimamente il buon diritto della persona offesa di rientrare nel possesso dell'abitazione familiare senza mettere a rischio la propria incolumità. 4. Alla declaratoria di inammissibilità del ricorso, tenuto conto della sentenza Corte cost. 13 giugno 2000, n. 186 e rilevato che nella presente fattispecie non sussistono elementi per ritenere che la parte abbia proposto il ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità, consegue, a norma dell'art. 616 cod. proc. pen., oltre all'onere del pagamento delle spese del procedimento anche quello del versamento in favore della Cassa delle Ammende della somma equitativamente fissata in Euro 3.000,00. P.Q.M. Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro. 3.000,00 a favore della Cassa delle Ammende. Manda alla cancelleria per gli adempimenti di cui all'art. 94, comma 1-ter, disp. att. cod. proc. pen.