Custodie per Nintendo con marchio contraffatto: condannata

Ai fini della sussistenza del delitto di cui all’art. 474 c.p., in presenza di marchi di larghissimo uso e di incontestata utilizzazione da parte delle relative società produttrici, non è richiesta la prova della registrazione.

Così la Suprema Corte con la sentenza n. 19541/20, depositata il 30 giugno, decidendo sul ricorso proposto avverso la sentenza del Tribunale di Napoli che condannava l’imputata per la detenzione di diverse custodie per Nintendo con marchi contraffatti e ricettazione . Con il ricorso viene dedotta la violazione degli artt. 474 e 648 c.p. e delle norme regolatrici della registrazione dei marchi internazionali in quanto il titolare di un marchio figurativo non avrebbe la possibilità di inibire a terzi l’uso o la commercializzazione dello stesso. Il Collegio ricorda che la contraffazione di un marchio può avere ad oggetto le particolari categorie di beni indicate nella licenza di brevetto e dunque protette dal diritto di esclusiva. Ferma dunque la condizione di punibilità di cui all’art. 474, comma 3, c.p. in ordine al rispetto dei regolamenti comunitari e delle convenzioni internazionali , il Collegio ribadisce che, ai fini della sussistenza del delitto in parola, in presenza di marchi di larghissimo uso e di incontestata utilizzazione da parte delle relative società produttrici, non è richiesta la prova della registrazione . Spetta infatti su chi invoca l’insussistenza dei presupposti per la protezione l’onere di dimostrare tale circostanza. Nel caso di specie, dalle schede UAMI Agenzia Ufficiale dell’Unione Europea competente per la registrazione dei marchi depositate dalla parte civile risulta che il marchio figurativo in questione è tutelato in tutta l’Unione Europea su oggetti in cuoio e simili”. Si tratta di una dicitura nella quale rientrano anche le custodie sequestrate nel caso di specie. È infatti escluso ogni dubbio sul fatto che i prodotti riportassero il marchio figurativo tutelato con conseguente induzione del compratore in inganno rispetto alla provenienza e alla qualità del prodotto, con conseguente sussistenza del reato di cui all’art. 474 c.p La Cassazione rileva in conclusione che il reato risulta prescritto, con conseguente annullamento della sentenza impugnata limitatamente al reato stesso. Rigetta per il resto il ricorso.

Corte di Cassazione, sez. II Penale, sentenza 25 febbraio – 30 giugno 2020, n. 19541 Presidente Cervadoro – Relatore Borsellino Ritenuto in fatto 1. Con il provvedimento impugnato la Corte di appello di Napoli ha confermato la sentenza resa il 18 dicembre 2015 dal Tribunale di Napoli, che ha dichiarato C.P. responsabile dei reati di detenzione di 36 custodie per recanti marchi contraffatti e di ricettazione, condannandola alla pena di mesi tre di reclusione ed Euro 300 di multa. 2. Avverso il detto provvedimento ricorre C.P. tramite il suo difensore deducendo 2.1 violazione di legge e in particolare degli artt. 474 e 648 c.p. e delle norme regolamentatrici della registrazione dei marchi internazionali in quanto la ritenuta contraffazione non ha in realtà rilevanza penale, poiché il titolare di un marchio figurativo non può inibire a terzi l’uso o la commercializzazione dello stesso oltre i limiti delle categorie merceologiche indicate nel contenuto della registrazione del medesimo. Nel caso in esame l’imputata è stata condannata senza previamente avere verificato il preciso contenuto della registrazione del marchio che si è assunto come contraffatto e in particolare per quali prodotti e per quali categorie merceologiche la Burberry avesse effettivamente chiesto e ottenuto la tutela in via esclusiva. Dalle schede UAMI contenenti informazioni rese dall’Ufficio per la registrazione dei marchi, depositate agli atti del dibattimento, si evince che il diritto di esclusiva della cosiddetta Trama tartan è riconosciuto sugli oggetti in cuoio e simili, su tessuti e prodotti tessili, su articoli di abbigliamento, ma non anche su custodie per consolle informatiche in plastica. La tipologia di prodotto su cui era impresso il marchio figurativo pertanto non corrisponde a nessun oggetto riconducibile alle categorie coperte dal diritto di esclusiva e non integra un’ipotesi penalmente rilevante di contraffazione. La corte di appello, pur condividendo tale impostazione, ha affermato che la Repubblica popolare cinese non aderisce a trattati internazionali che tutelino la proprietà industriale, e ne ha tratto la conseguenza che il concetto giuridico di registrazione del marchio non può essere applicato ai prodotti industriali contraffatti in Cina, sicché la detenzione per la vendita di un prodotto industriale confezionato in Cina si consuma senza la necessaria condizione del rispetto di quanto previsto dai trattati internazionali. Rileva il ricorrente che, al contrario, anche la Cina ha sottoscritto la Convenzione di Nizza e ha ratificato i principali trattati multilaterali vigenti in materia di protezione internazionale. È evidente che in un percorso di inevitabile continuità logico giuridica l’obbligatorio rispetto dei regolamenti comunitari, posto come condizione obiettiva di punibilità del reato previsto dall’art. 474 c.p., riverbera i propri effetti liberatori anche sull’ipotesi della ricettazione. Considerato in diritto 1. Il primo motivo di ricorso è infondato. L’argomentazione avanzata dalla ricorrente è corretta in linea di principio, poiché la contraffazione di un marchio può avere soltanto ad oggetto quelle particolari categorie di beni indicate specificamente nella licenza di brevetto, che sono tutelate dal diritto di esclusiva. Deve inoltre convenirsi con la ricorrente che la motivazione della corte d’appello è erronea in quanto sostiene che la Cina non abbia aderito alla Convenzione di Nizza in materia di tutela della proprietà intellettuale, mentre così non è. La Cina ha aderito alla Convenzione di Parigi nel 1984 e all’Accordo di Nizza nel 1994. Ne consegue che rimane ferma la condizione di punibilità prevista dal citato art. 474 c.p., comma 3, in ordine al rispetto dei regolamenti comunitari e delle convenzioni internazionali. Quanto alla prova della registrazione del marchio, deve ricordarsi che, ai fini della sussistenza del delitto previsto dall’art. 474 c.p., in presenza di marchi di larghissimo uso e di incontestata utilizzazione da parte delle relative società produttrici, non è richiesta la prova della registrazione, gravando in tal caso l’onere di provare la insussistenza dei presupposti per la sua protezione su chi tale insussistenza deduce Sez. 5, Sentenza n. 5215 del 24/10/2013 Rv. 258673 . Il ricorrente richiama le schede dell’UAMI, Agenzia ufficiale dell’Unione Europea competente per la registrazione di marchi, disegni e modelli validi in tutto il territorio comunitario, che sono state depositate in atti dalla parte civile e da cui risulta che il marchio figurativo Burberry relativo al cd. Check Tartan è tutelato in tutta l’unione Europea sugli oggetti in cuoio e simili, su tessuti e prodotti tessili, nonché su articoli di abbigliamento. Ritiene il collegio che in queste categorie di prodotti, indicate non a caso con l’espressione estensiva e simili , possono farsi rientrare anche le custodie in sequestro, realizzate in similpelle, su cui è impresso il disegno tipico della casa Burberry, che notoriamente realizza accessori e anche custodie per telefoni. Come da tempo affermato dalla giurisprudenza di legittimità, la fattispecie di cui all’art. 474 c.p. introduzione nello Stato e commercio di prodotti con segni falsi , che ha per oggetto la tutela della fede pubblica, punisce la riproduzione integrale, emblematica e letterale del segno distintivo o del marchio contraffazione ovvero la riproduzione parziale di essi, realizzata in modo tale da potersi confondere col marchio o col segno distintivo protetto alterazione . Nel caso di specie è indubbio che il prodotto sequestrato che riporta il marchio figurativo tutelato su beni analoghi a quelli realizzati dalla Burberry può indurre il compratore in inganno in ordine alla provenienza e alla qualità del prodotto, sicché integra il delitto di introduzione nello Stato e commercio di prodotti con segni falsi, di cui all’art. 474 c.p Pertanto sebbene l’iter logico seguito dalla corte di appello risulti fondato su un presupposto erroneo, vanno comunque condivise le conclusioni in ordine alla rilevanza penale della condotta contestata, cui il collegio di secondo grado è pervenuto. A ciò si aggiunga che qualora il marchio non fosse stato specificamente tutelato in relazione a quello specifico prodotto oggetto della detenzione, la condotta avrebbe comunque integrato il delitto di vendita di prodotti industriali con segni mendaci, di cui all’art. 517 c.p., che, posto a tutela dell’ordine economico, punisce la messa in circolazione di prodotti dell’ingegno od opere industriali recanti marchi o segni distintivi atti ad ingannare il compratore su origine, provenienza o qualità della merce. Sez. 2, n. 27376 del 17/02/2017 - dep. 31/05/2017, Lu, Rv. 27031201 . Ed infatti ai fini del delitto di cui all’art. 517 c.p. vendita di prodotti industriali con segni mendaci , che ha per oggetto la tutela dell’ordine economico, è sufficiente che i nomi, marchi o segni distintivi, apposti sui prodotti posti in vendita, risultino semplicemente ingannevoli, per avere anche pochi tratti di somiglianza con quelli originali, della cui morfologia siano, comunque, solo imitativi e non compiutamente riproduttivi cfr. Cass., sez. V, 19.6.2007, n. 31482, rv. 237578 Cass., sez. V, 7.4.1995, n. 5427, rv.201326 . Affinché sia configurabile il reato di cui all’art. 517 c.p., è, pertanto, sufficiente la mera imitazione o la semplice somiglianza del marchio o del segno distintivo del prodotto industriale, tale da creare confusione nel consumatore mediamente diligente, traendolo in inganno sull’origine, qualità o provenienza del prodotto da un determinato produttore, non essendo necessaria nè la registrazione o il riconoscimento del marchio, nè la sua effettiva contraffazione nè, infine, la concreta induzione in errore dell’acquirente sul bene acquistato cfr. Cass., sez. V, 4.2.2013, n. 9389, rv. 255227 Cass., sez. III, 24.1.2013, n. 28905, rv. 256421 . Ne consegue che quand’anche la condotta imitativa si fosse realizzata su prodotti per il quale il marchio figurativo non riceve tutela - e così non è -, la diversa qualificazione giuridica del reato presupposto non avrebbe comunque inciso sulla più grave condotta di ricettazione, in quanto il presupposto del delitto di ricettazione non deve essere necessariamente accertato in ogni suo estremo fattuale, poiché la provenienza delittuosa del bene posseduto può ben desumersi dalla natura e dalle caratteristiche del bene stesso. Sez. 1, n. 46419 del 18/09/2019 - dep. 14/11/2019, FAILLA MORENO, Rv. 27733401 Deve, infine, rilevarsi che il delitto previsto dall’art. 474 c.p., si è prescritto il 26 novembre 2018, e la non manifesta infondatezza del ricorso impone di rilevare tale causa estintiva e di disporre l’annullamento parziale della sentenza e l’eliminazione della pena relativa al reato estinto, pari ad un mese di reclusione ed Euro 100 di multa, essendo pacifico che l’estinzione del reato presupposto non incide sulla rilevanza penale del più grave delitto di ricettazione, che non risulta ancora prescritto e per il quale la pena residua va rideterminata in mesi due di reclusione ed Euro 200 di multa. P.Q.M. Annulla senza rinvio la sentenza impugnata limitatamente al reato di cui all’art. 474 c.p., perché è estinto per intervenuta prescrizione, ed elimina la relativa pena di mesi uno di reclusione ed Euro 100 di multa. Rigetta nel resto il ricorso e ridetermina la pena inflitta per il residuo reato di ricettazione in mesi due di reclusione ed Euro 200 di multa.