Impossibilità di collaborazione: in dubbio pro reo

Normal 0 14 false false false IT X-NONE X-NONE /* Style Definitions */ table.MsoNormalTable {mso-style-name Tabella normale mso-tstyle-rowband-size 0 mso-tstyle-colband-size 0 mso-style-noshow yes mso-style-priority 99 mso-style-parent mso-padding-alt 0cm 5.4pt 0cm 5.4pt mso-para-margin 0cm mso-para-margin-bottom .0001pt text-align justify mso-pagination widow-orphan font-size 10.5pt mso-bidi-font-size 11.0pt font-family Verdana ,sans-serif mso-fareast-language EN-US } La richiesta del condannato che si trova in regime di espiazione pena in relazione ad un delitto che riveste natura ostativa ex articolo 4-bis ord. pen. di essere ammesso a misure alternative alla detenzione può essere fondata sull’assunto di una mancata possibilità di rendere dichiarazioni collaborative, dovuta all’integrale accertamento dei fatti reato.

Normal 0 14 false false false IT X-NONE X-NONE /* Style Definitions */ table.MsoNormalTable {mso-style-name Tabella normale mso-tstyle-rowband-size 0 mso-tstyle-colband-size 0 mso-style-noshow yes mso-style-priority 99 mso-style-parent mso-padding-alt 0cm 5.4pt 0cm 5.4pt mso-para-margin 0cm mso-para-margin-bottom .0001pt text-align justify mso-pagination widow-orphan font-size 10.5pt mso-bidi-font-size 11.0pt font-family Verdana ,sans-serif mso-fareast-language EN-US } L’istanza deve prospettare almeno nelle line e generali, elementi specifici circa l’impossibilità o l’irrilevanza della sua collaborazione tanto da consentire l’ottenimento del risultato desiderato l’istante non ha l’onere di dimostrare la specifica impossibilità della collaborazione ma soltanto quello di indicare la prospettazione di massima delle circostanze suffraganti la sua richiesta, il Tribunale di Sorveglianza qualora riscontrasse l’inammissibilità dell’istanza per la mancanza del requisito della impossibilità di qualsiasi attività collaborativa, non è tenuto ad attivarsi di ufficio per verificare e valutare la sussistenza o meno di altre circostanze atte a consentire il superamento della mancata collaborazione oggettivamente sussistente o ad indicare spazi di collaborazione. Il Tribunale di Sorveglianza, atteso il combinato disposto degli articoli 678 c.p.p. e 666 c.p.p., è investito di poteri istruttori con facoltà di chiedere alle autorità competenti tutti i documenti necessari e le informazioni utili ai fini della decisione, con possibilità di assumere le prove occorrenti in udienza nel rispetto del contraddittorio. Presiede il procedimento la regola di giudizio costituita dal principio dell’oltre ogni ragionevole dubbio , posto che se due significati possono attribuirsi ad un identico dato probatorio deve privilegiarsi il significato più favorevole all’interessato. L’articolo 4 bis dell’ordinamento penitenziario recita l'assegnazione al lavoro all'esterno, i permessi premio e le misure alternative alla detenzione previste dal capo VI, esclusa la liberazione anticipata, possono essere concessi ai detenuti e internati per i seguenti delitti solo nei casi in cui tali detenuti e internati collaborino con la giustizia a norma dell'articolo 58- ter della presente legge o a norma dell'articolo 323- bis , comma 2, del codice penale delitti commessi per finalità di terrorismo, anche internazionale, o di eversione dell'ordine democratico mediante il compimento di atti di violenza, delitti di cui agli articoli 314, primo comma, 317, 318, 319, 319- bis , 319- ter , 319- quater , comma 1, 320, 321, 322, 322 bis, 416-bis e 416- ter del codice penale, delitti commessi avvalendosi delle condizioni previste dallo stesso articolo ovvero al fine di agevolare l'attività delle associazioni in esso previste, delitti di cui agli articoli 600, 600- bis , primo comma, 600 ter, primo e secondo comma, 601, 602, 609- octies e 630 del codice penale, all'articolo 12, commi 1 e 3, del testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell'immigrazione e norme sulla condizione dello straniero, di cui al decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286, e successive modificazioni, all'articolo 291-quater del testo unico delle disposizioni legislative in materia doganale, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 23 gennaio 1973, n. 43, e all'articolo 74 del testo unico delle leggi in materia di disciplina degli stupefacenti e sostanze psicotrope, prevenzione, cura e riabilitazione dei relativi stati di tossicodipendenza, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 9 ottobre 1990, n. 309. Sono fatte salve le disposizioni degli articoli 16-nonies e 17-bis del decreto-legge 15 gennaio 1991, n. 8, convertito, con modificazioni, dalla legge 15 marzo 1991, n. 82, e successive modificazioni . Si tratta come è noto della disciplina relativa ai cosiddetti reati ostativi alla concessione di quelle misure premiali tipiche , connesse e funzionali alla scelta del Legislatore Costituzionale di collegare pena e riabilitazione, da intendersi quale capacità di risocializzazione del reo, in un’inscindibile endiadi. La norma in commento, oggetto della pronuncia della Suprema Corte, istituisce un’eccezione all’impossibilità di accesso ai benefici premiali prevista in favore dei condannati e internati che collaborino con la giustizia a norma dell'articolo 58 ter della presente legge o a norma dell'articolo 323- bis , comma 2, del codice penale. La ratio della norma appare chiara essa tende a collegare la fruizione del beneficio premiale ad una scelta, radicale, da parte del reo di staccarsi in modo diretto, completo e significativamente apprezzabile dalla realtà criminale e criminogena alla quale in precedenza era legato ed in virtù della quale egli ha commesso i delitti posti a fondamento della sanzione irrogata nei suoi confronti. Il requisito della collaborazione appare da subito evidente come la definizione di collaborazione sia, ex se , un concetto piuttosto vago, per così dire lasco, che occorre ai fini di poter dare concreta e corretta applicazione al dettato normativo definire. Nel caso oggetto della pronuncia in commento la collaborazione da fornirsi a cura del reo ai fini della fruibilità delle misure premiali, risultava essere di difficile individuazione. Egli infatti aveva avuto ruolo marginale nella fase genetica delle condotte criminali contestategli, essendosi esclusivamente occupato di intestarsi proprietà e beni, acquistati con il provento di attività di carattere criminale. In aggiunta a detta circostanza occorre anche tener conto di quelli che erano i rapporti intercorrenti tra l’istante e le altre figure coinvolte nella vicenda che, nel caso concreto, erano il padre ed i fratelli. Ultimo dato di assoluto rilievo era poi costituito dalla particolarità della vicenda criminale che vedeva acclarati ed oggetto di sentenza di condanna tutti i fatti contestati all’istante che, quindi, non poteva concretamente aggiungere nulla di nuovo di sconosciuto alla giustizia penale. Alla luce dei dati di fatto indicati l’istante aveva formulato la propria domanda facendo leva sula cosiddetta collaborazione impossibile ovvero sul disposto di cui all’articolo 4 comma 1 bis Ord. Pen. che recita I benefici di cui al comma 1 possono essere concessi ai detenuti o internati per uno dei delitti ivi previsti, purché siano stati acquisiti elementi tali da escludere l'attualità di collegamenti con la criminalità organizzata, terroristica o eversiva, altresì nei casi in cui la limitata partecipazione al fatto criminoso, accertata nella sentenza di condanna, ovvero l'integrale accertamento dei fatti e delle responsabilità, operato con sentenza irrevocabile, rendono comunque impossibile un'utile collaborazione con la giustizia, nonché nei casi in cui, anche se la collaborazione che viene offerta risulti oggettivamente irrilevante, nei confronti dei medesimi detenuti o internati sia stata applicata una delle circostanze attenuanti previste dall'articolo 62, numero 6 , anche qualora il risarcimento del danno sia avvenuto dopo la sentenza di condanna, dall'articolo 114 ovvero dall'articolo 116, secondo comma, del codice penale. . Se ne deduce che i benefici possano essere ugualmente concessi in caso di sussistenza dell’ipotesi di collaborazione impossibile, purché si possa accertare l’assenza dell’attualità di legami con la criminalità organizzata. Dunque vengono considerate quali equipollenti la collaborazione e la impossibilità di renderla demandando il giudizio, circa l’esistenza dei requisiti richiesta dalla seconda ipotesi, al Tribunale di sorveglianza. L’accertamento del tribunale presuppone che vi sia stato ovviamente ’integrale accertamento dei fatti e delle responsabilità operato con sentenza irrevocabile che sia in grado di fornire elementi utili atti a consentire l’accertamento dell’impossibilità di un utile collaborazione c.d. collaborazione inesigibile o l’impossibilità per il condannato, stante la sua limitata partecipazione all’attività criminale di aver avuto ad informazioni altre rispetto a quelle note al giudicante del merito, utili ed atte ad essere qualificate quali collaborazione all’attività ed all’autorità giudiziaria. Sulla materia è intervenuta la Corte costituzionale con la nota pronuncia 23 ottobre 2019, n. 253. Con la pronuncia citata il Giudice delle Leggi ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 4 bis ord. pen. nella parte in cui non consente l’accesso ai permessi premio ai condannati non collaboranti’, imponendo dunque al giudice di svolgere specifico e puntuale giudizio circa l’esistenza permanente di rapporti con la criminalità organizzata nell’ambito dei quali il reo aveva compiuto gli illeciti lui ascritti. Giudizio che del tutto ovviamente deve essere sorretto da idonea motivazione. La soluzione adottata. È proprio in relazione a tale giudizio, e sulla scorta di una serena e solida riflessione sulla funzione della pena, individuata nella specifica finalità della realizzazione della piena risocializzazione del condannato in armonia con il dettato Costituzionale, che la Corte di cassazione traccia il percorso logico motivazionale individuato nella massima riportata in apertura al presente commento, ricordando come il dubbio sull’impossibilità, inesigibilità od irrilevanza della collaborazione della giustizia non possa che risolversi sempre in favore del reo.

Normal 0 14 false false false IT X-NONE X-NONE /* Style Definitions */ table.MsoNormalTable {mso-style-name Tabella normale mso-tstyle-rowband-size 0 mso-tstyle-colband-size 0 mso-style-noshow yes mso-style-priority 99 mso-style-parent mso-padding-alt 0cm 5.4pt 0cm 5.4pt mso-para-margin 0cm mso-para-margin-bottom .0001pt text-align justify mso-pagination widow-orphan font-size 10.5pt mso-bidi-font-size 11.0pt font-family Verdana ,sans-serif mso-fareast-language EN-US } Corte di Cassazione, sez. I Penale, sentenza 25 maggio 22 giugno 2020, n. 18864 Presidente Di Tomassi Relatore Minchella Ritenuto in fatto 1. Con ordinanza in data 19/06/2019 il Tribunale di Sorveglianza di Salerno rigettava l'istanza di accertamento dell'impossibilità della collaborazione con la giustizia e di differimento dell'esecuzione e dichiarava inammissibili le richieste di misure alternative, avanzate da V.G., ristretto in espiazione della pena di cui alla sentenza in data 24/01/2017 della Corte di Appello di Salerno per il delitto di cui alla L. n. 356 del 1992, art. 12 quinquies aggravato dal D.L. n. 203 del 1991, art. 7. Rilevava il Tribunale di Sorveglianza che, con riferimento alla richiesta di differimento dell'esecuzione, il condannato affetto paraplegia flaccida post-traumatica con disturbi degli sfinteri e limitatissima autonomia di deambulazione risultava seguito in modo adeguato dall'amministrazione penitenziaria, che aveva provveduto a cicli di FKT ed a visite neurologiche, disponendo anche la sua allocazione presso un centro idoneo di riabilitazione vescicale che però il condannato, dopo aver dato il proprio assenso, aveva poi rifiutato , per cui non si ravvisava un pericolo quoad vitam mentre vi era concreta possibilità di cura ed assistenza con presidi sanitari anche territoriali quanto alle altre istanze, la natura ostativa della pena in espiazione imponeva o la collaborazione con la giustizia o l'impossibilità della stessa tuttavia, il V. era stato condannato per una serie di prelevamenti e depositi di cospicue somme da danaro che erano incompatibili con le sue entrate sole indennità di accompagnamento e pensione di invalidità e che erano coincise con il periodo di massima espansione dell'operatività del clan mafioso di cui faceva parte il padre A. il quale si occupava dell'attività di gestione delle macchine per videopoker esercitata nell'ambito della cosca criminale , tanto che soltanto questa massa di entrate economiche illecite poteva giustificare il suo acquisto di un bene immobile e la sentenza di condanna aveva precisato che il V. conosceva l'origine delle rimesse patrimoniali che movimentava sul suo conto corrente e il carattere illecito delle attività del padre e dei fratelli, per cui - pur se i fatti erano tutti accertati - non aveva avuto un ruolo marginale su questi specifici ambiti ed era in grado di fornire apporti informativi utili sulle entrate illecite e sulle strategie patrimoniali della cosca. 2. Avverso detta ordinanza propone ricorso l'interessato a mezzo del difensore Avv. Gaetano Pastore. Con motivo unico deduce, ex art. 606 c.p.p., comma 1 lett. b ed e , erronea applicazione di legge e manifesta illogicità della motivazione lamenta che l'ordinanza impugnata, pur riconoscendo l'assenza di legami del ricorrente con la criminalità organizzata, aveva focalizzato la sua attenzione sulla possibilità di riferire notizie collaborative, nonostante la competente DDA avesse fornito un parere positivo in considerazione dell'integrale accertamento dei fatti e nonostante il ricorrente non fosse mai stato coinvolto nelle attività illecite di una cosca cui aveva aderito il padre di fatto, perciò, dalla responsabilità per un determinato fatto avere aiutato il padre ad eludere norme di prevenzione patrimoniale si faceva discendere la conoscenza dei fatti di un diverso procedimento penale, ma lo si faceva in modo apodittico, ampliando l'asserito perimetro collaborativo alla conoscenza delle fonti del denaro e di tutte le movimentazioni patrimoniali in realtà, si esprimeva un dubbio sì suggestivo, ma non ancorato alla sentenza di condanna, e pertanto solo congetturale. 4. Il P.G. chiede l'annullamento con rinvio del provvedimento impugnato. Considerato in diritto 1. Il ricorso è fondato. Il ricorrente non contesta di trovarsi in attuale espiazione della pena relativa a un delitto che riveste natura ostativa . Anzi, proprio in occasione di una istanza volta ad ottenere misure alternative, egli ha chiesto di verificare l'impossibilità di una sua collaborazione con la giustizia al fine di superare l'ostatività del reato in espiazione, fondando detta richiesta sull'assunto di un mancata possibilità di rendere dichiarazioni collaborative, dovuta all'integrale avvenuto accertamento dei fatti-reato, e poi in questa sede contestando che la valutazione del Tribunale di Sorveglianza potesse strutturarsi in argomenti congetturali. Giova ribadire che l'art. 4-bis Ord.Pen. esclude dalla possibilità di fruire delle misure alternative i soggetti condannati per una prima fascia di reati tra cui appunto quello in espiazione da parte del ricorrente , a meno che non coesistano sia la condizione dell'accertata esclusione di attualità di collegamenti con la criminalità organizzata sia quella della collaborazione con la giustizia. Al requisito della collaborazione, in ottemperanza alle sentenze della Corte Costituzionale n. 357 del 1994 e n. 68 del 1995, è comunque equiparata la collaborazione cosiddetta impossibile per la limitata partecipazione al fatto o per l'avvenuto integrale accertamento dei fatti e delle responsabilità. Questa Corte ha avuto modo più volte di ribadire che, al fine del superamento di condizioni ostative alla fruizione di determinati benefici o al fine di fruire di assenza di soglie espiali, è necessario che nell'istanza il condannato prospetti, almeno nelle linee generali, elementi specifici circa l'impossibilità o l'irrilevanza della sua collaborazione tanto da consentire l'ottenimento del risultato desiderato, non essendovi dubbio che solo in tal caso è possibile valutare se la collaborazione del condannato sia impossibile perchè fatti e responsabilità sono stati già completamente acclarati o irrilevante perchè una posizione marginale nell'esecuzione dei delitti non avrebbe consentito di conoscere fatti e compartecipi pertinenti alla esecuzione di livello superiore Sez. 1., 04.07.1995 n. 2034 . L'instante non ha l'onere di dimostrare la specifica impossibilità della collaborazione, ma soltanto quello di indicare la prospettazione di massima delle circostanze suffraganti la sua richiesta, restando poi alla competenza del Tribunale di Sorveglianza la decisione finale assunta alla stregua dell'esame della documentazione agli atti Sez. 1, 09.06.1998 n. 2923 . In altri termini, il Tribunale di sorveglianza, qualora verificasse l'inammissibilità dell'istanza per la mancanza del requisito della impossibilità di qualsiasi attività collaborativa, non è tenuto ad attivarsi di ufficio per verificare e valutare la sussistenza o meno di altre circostanze atte a consentire il superamento della mancata collaborazione oggettivamente sussistente o ad indicare spazi di collaborazione Sez. 1, n 43226 del 06.12.2002, De Tommaso . 2. Nella fattispecie, il Tribunale di Sorveglianza non ha accolto la richiesta dell'interessato, ritenendo che egli avesse taciuto sull'origine delle rimesse patrimoniali che movimentava sul suo conto corrente e sul carattere illecito delle attività del padre e dei fratelli. Si tratta, però, di una conclusione di connotazione congetturale, nel senso che il giudice ha dedotto che non si poteva escludere l'esistenza di margini inesplorati di collaborazione con la giustizia su aspetti ancora non riportati, ma lo ha fatto dopo avere affermato che tutti i fatti di cui alla sentenza di condanna erano stati accertati e senza argomentare in ordine al parere reso dal P.M., il quale aveva sottolineato il limitato spessore della figura del ricorrente stesso nella complessiva vicenda giudiziaria che aveva riguardato il padre. Detta conclusione non è corretta, poichè in tal modo il dubbio - in luogo di essere valutato a favore del condannato - refluisce negativamente a danno dell'instante. Giova considerare che l'art. 4-bis Ord.Pen. struttura, per i condannati per i delitti indicati nel suo comma 1, la rottura o la mancanza dei collegamenti con la criminalità organizzata o eversiva quale requisito necessario per l'ammissione ai benefici previsti dal medesimo art. 4-bis, non potendosi ipotizzare, in assenza di siffatta rottura , il venir meno della pericolosità del condannato e un esito positivo del percorso di rieducazione e di recupero sociale. La norma detta una disciplina particolare dei parametri in base ai quali formulare il giudizio sulla sussistenza di questi requisiti di ammissione sulla base del fatto che i delitti ricompresi nel comma 1 del citato articolo sono, o possono ritenersi, espressione tipica di una criminalità connotata da livelli di pericolosità particolarmente elevati, in quanto la loro realizzazione presuppone di norma, ovvero per la comune esperienza criminologica, una struttura e una organizzazione criminale tali da comportare tra gli associati o i concorrenti nel reato vincoli di omertà e di segretezza particolarmente forti. A differenza di quanto si verifica per gli altri delitti, anche gravi, indicati dal medesimo art. 4-bis, i quali però non implicano necessariamente l'apporto di una organizzazione criminale così strutturata, con riferimento ai delitti elencati nel comma 1 dell'art. 4 bis Ord.Pen. la collaborazione con la giustizia è, invece, un comportamento che deve necessariamente concorrere ai fini della prova che il condannato ha reciso i legami con l'organizzazione criminale di provenienza. Al riguardo, nella relazione presentata in Senato in sede di conversione del D.L. n. 306 del 1992 atto n. 328 si rileva come le nuove norme abbiano inteso esprimere che, attraverso la collaborazione, chi si è posto nel circuito della criminalità organizzata può dimostrare per facta concludentia di esserne uscito, e che tale scelta è in armonia con il principio della funzione rieducativa della pena, perchè è soltanto la scelta collaborativa ad esprimere con certezza quella volontà di emenda che l'intero ordinamento penale deve tendere a realizzare sentenza n. 273 del 2001 della Corte Costituzionale . L'atteggiamento di chi non si adoperi per evitare che l'attività delittuosa sia portata a conseguenze ulteriori o per aiutare concretamente l'autorità di polizia o l'autorità giudiziaria nella raccolta di elementi decisivi per la ricostruzione dei fatti e per l'individuazione o la cattura degli autori dei reati art. 58-ter dell'ordinamento penitenziario è valutato, invece, come indice legale della persistenza dei collegamenti con la criminalità organizzata. Presunzione peraltro vincibile, posto che, con riferimento al principio di cui all'art. 27 Cost. sentenze n. 137 del 1999, n. 445 del 1997, n. 504 del 1995, n. 306 del 1993 , la Corte Costituzionale ha ritenuto che l'oggettiva impossibilità o l'inesigibilità della collaborazione non è di ostacolo, in costanza di elementi tali da escludere in maniera certa l'attualità di collegamenti con la criminalità organizzata, alla concessione delle misure alternative sentenze n. 68 del 1995 e n. 357 del 1994 della Corte Costituzionale . 3. Quanto precede, tuttavia, non deve offuscare un elemento centrale del tema trattato, e cioè che la pena trova una sua funzione nella specifica finalità della realizzazione della piena risocializzazione del soggetto condannato. In origine, la disciplina dei benefici penitenziari non prevedeva particolari presupposti oggettivi, corrispondendo in ciò alla premessa ideologica della permeabilità al trattamento di qualsiasi soggetto e alla scelta di politica penitenziaria consistente nel ritenere conveniente dare a tutti la possibilità di accedere ai benefici medesimi. Per come evidenziato supra, la necessità di contrastare più efficacemente la criminalità organizzata ha indotto il Legislatore a modificare sensibilmente questa parte della normativa, introducendo limiti riferiti anche alla natura del reato ascritto al soggetto e preclusioni dipendenti da esigenze più spiccatamente ascrivibili alla politica penitenziaria. Ma se dunque la pena tende alla risocializzazione attuata con il trattamento penitenziario, allora i limiti ed i presupposti stabiliti dall'art. 4 bis Ord.Pen. costituiscono un'eccezione alla regola, che può essere quindi annullata dalla collaborazione con la giustizia o con l'impossibilità di detta collaborazione, in una applicazione ragionevole e costituzionalmente orientata della norma richiamata. E' questo l'ambito nel quale deve collocarsi la peculiare decisione sul tema de quo nella fattispecie, il ricorrente aveva prospettato l'impossibilità della sua collaborazione con la giustizia a motivo del pieno accertamento della responsabilità penale, ottenuto grazie ai risultati delle indagini ed alla istruttoria processuale. Quindi, ribadito che necessariamente nell'istanza il condannato deve prospettare, almeno nelle linee generali, elementi specifici circa l'impossibilità o l'irrilevanza della sua collaborazione, va anche ribadito che, in tema di procedimento di sorveglianza, per effetto del rinvio operato dall'art. 678 c.p.p. alla disciplina del procedimento di esecuzione di cui all'art. 666 c.p.p., il magistrato e il tribunale di sorveglianza, nell'ambito delle rispettive competenze, sono investiti di poteri istruttori con facoltà di chiedere alle autorità competenti tutti i documenti e le informazioni utili ai fini della decisione, e con possibilità di assumere le prove occorrenti in udienza nel rispetto del contraddittorio Sez. 1, n. 3092 del 07/11/2014, Rv. 263429 . Nel procedimento in esame, invece, il Tribunale di Sorveglianza non ha approfondito specificamente questo aspetto, limitandosi a concludere congetturalmente che non si potevano escludere margini inesplorati di collaborazione, senza specifica indicazione di detti ambiti. Al contrario, la sussistenza di reali ambiti ancora oscuri o di rami di attività criminali non esplorati è argomento che deve svilupparsi sulla base del rigoroso esame della sentenza di condanna, la quale, oltre a costituire un presupposto, costituisce anche un limite non valicabile, nel senso che essa deve a chiare lettere consentire di desumere senza ambiguità detti spazi, non apparendo possibile un terreno valutativo di natura meramente congetturale. Sulla base, dunque, dell'accertamento dei fatti può essere poi condotto l'approfondimento istruttorio adeguato alle richieste de quibus al fine di verificare la sussistenza di elementi rilevanti dissociazione, sfaldamento del gruppo mafioso, assenza di operatività dello stesso, estromissione dalla consorteria, recesso a rischio della vita et similia . Peraltro, è anche necessario chiarire che il dubbio sulla impossibilità od inesigibilità od irrilevanza della collaborazione con la giustizia - che, appunto nella fattispecie, è stata la conclusione cui è pervenuto il Tribunale di Sorveglianza - non può risolversi in danno dell'instante. Infatti, anche in questa materia deve tenersi conto della regola di giudizio a favore dell'imputato nel caso di dubbio, in quanto, se due significati possono ugualmente essere attribuiti a un dato probatorio, deve privilegiarsi quello più favorevole all'interessato, che può essere accantonato solo ove risulti inconciliabile con altri univoci elementi di segno opposto Sez. 1, n. 19759 del 17/05/2011, Rv. 250243 Sez. 6, n. 29425 del 09/07/2009, Rv. 244472 Sez. 1, n. 44963 del 22/09/2016, Rv. 268128 . 4. Alla stregua di queste considerazioni, l'ordinanza impugnata deve essere annullata, con rinvio per nuovo giudizio al Tribunale di Sorveglianza di Salerno, che si atterrà ai principi sopra enunziati. P.Q.M. Annulla l'ordinanza impugnata e rinvia per nuovo giudizio al Tribunale di Sorveglianza di Salerno.