Scorta eccessiva e trasferta per l’acquisto illogica: escluso l’uso personale della droga

Definitiva la condanna di un uomo per traffico illecito di cocaina. Decisiva, innanzitutto, la disponibilità di un quantitativo eccessivo, pari a ben 111 dosi singole. Rilevante poi anche l’illogicità di una trasferta di oltre cento chilometri per acquistare la droga, quando sarebbe stato più facile reperirla in città, a prezzi anche migliori.

Eccessiva la scorta – ben 111 dosi singole di cocaina – e illogica la presunta trasferta per comprare la droga in una provincia lontana quando a pochi chilometri, in città, è possibile recuperarla con più facilità e con prezzi più bassi. Questi elementi sono sufficienti per smontare la tesi difensiva proposta dall’uomo sotto processo, escludere l’ipotesi del consumo personale e arrivare a una condanna per detenzione di droga a fini di spaccio Cassazione, sentenza n. 18283/20, sez. III Penale, depositata il 16 giugno . Fatale un controllo delle forze dell’ordine, che beccano un uomo in possesso di un grosso quantitativo di droga. Lui però si difende spiegando di avere fatto circa cento chilometri in auto per acquistare la sostanza – cocaina – e creare così una sua corposa scorta privata. Questa versione convince i giudici di primo grado che ritengono acclarato che la sostanza detenuta, e rinvenuta dalle forze dell’ordine, fosse destinata ad un uso esclusivamente personale . Di parere diverso sono però i giudici d’Appello, i quali condannano l’uomo sotto processo, ritenendolo colpevole di traffico illecito di sostanza stupefacente, e lo sanzionano con un anno di reclusione e 1.000 euro di multa. Per il presunto spacciatore però la valutazione compiuta dai giudici di secondo grado è erronea, soprattutto perché in essa non si è tenuto conto che nel corso della perquisizione gli agenti non avevano rinvenuto gli strumenti necessari alla cessione degli stupefacenti né dal cellulare avevano verificato l’esistenza di una rete di contatti . A suo ulteriore discolpa, poi, l’uomo spiega di assumere stupefacenti , come certificato da una segnalazione amministrativa a suo carico . Ogni obiezione difensiva si rivela però inutile, poiché dalla Cassazione confermano in pieno la condanna emessa in Appello. Corretta, spiegano i magistrati, la valutazione compiuta in secondo grado, laddove si è valorizzato il dato ponderale di 111 dosi singole di cocaina, destinate a coprire un consumo protratto per diverse settimane , un elemento, questo, di per sé anomalo, dal momento che l’uomo viveva in una zona ove era facile reperire lo stupefacente, senza necessità di doverne fare una scorta . Peraltro, all’epoca dei fatti egli era sposato, disoccupato e senza appoggi economici esterni alla famiglia e comunque non erano emersi elementi giustificanti la fonte di reddito per l’approvvigionamento , costato tra i 1500 e i 2000 euro. Inoltre, egli era stato trovato in un territorio con cui non aveva alcun collegamento e distante oltre cento chilometri dal suo domicilio, e inoltre non era chiaro per quale motivo si fosse recato in quei luoghi ad acquistare lo stupefacente, quando era più agevole per lui dirigersi in città o nelle zone limitrofe, dove avrebbe potuto reperirlo ad un prezzo uguale, se non inferiore . Tutti gli elementi probatori a disposizione sono sufficienti, concludono dalla Cassazione, per ritenere, come fatto in Appello, che l’uomo aveva compiuto una trasferta per vendere lo stupefacente .

Corte di Cassazione, sez. III Penale, sentenza 13 febbraio – 16 giugno 2020, n. 18283 Presidente Lapalorcia – Relatore Macrì Ritenuto in fatto 1. Con sentenza in data 3 aprile 2019 la Corte di appello di Torino, in riforma della sentenza in data 28 novembre 2013 del Tribunale di Biella, ha condannato Ab. Ha. alla pena di anni 1 di reclusione ed Euro 1.000,00 di multa per il reato di cui all'art. 73, comma 5, D.P.R. n. 309 del 1990. 2. Con il primo motivo di ricorso l'imputato deduce la violazione di norme processuali ed il vizio di motivazione perché non era stata accertata la responsabilità penale oltre il ragionevole dubbio. Ricorda che il Tribunale di Biella lo aveva assolto perché aveva ritenuto l'uso personale della sostanza detenuta. Sostiene che la Corte territoriale non aveva considerato che, nel corso della perquisizione, gli Agenti non avevano rinvenuto gli strumenti necessari alla cessione degli stupefacenti né dal cellulare avevano verificato l'esistenza di una rete di contatti. Precisa che da due mesi prima dei fatti era domiciliato in Mongrando Biella e non in Milano. Inoltre, assumeva stupefacenti e risultava la segnalazione amministrativa a suo carico ai sensi dell'art. 75 D.P.R. n. 309 del 1990. Considera illogica la decisione che aveva valorizzato a suo carico solo il dato ponderale dello stupefacente. Con il secondo denuncia la violazione di norme processuali ed il vizio di motivazione. Lamenta che la Corte territoriale aveva pronunciato la sentenza di condanna senza disporre la rinnovazione dell'istruttoria dibattimentale. La decisione era fondata non solo sul dato ponderale ma anche su altri indizi provenienti dalle dichiarazioni testimoniali. Considerato in diritto 3. Il ricorso è manifestamente infondato, perché consiste in censure generiche e fattuali, già vagliate e disattese con corretti argomenti giuridici, nella sentenza impugnata. In particolare, la Corte territoriale ha valorizzato il dato ponderale di 111 dosi singole di cocaina destinate a coprire un consumo protratto per diverse settimane, elemento di per sé anomalo, dal momento che l'imputato viveva nella zona del Milanese ove era facile reperire lo stupefacente, senza necessità di doverne fare una scorta. Al momento dei fatti era disoccupato e non erano emersi elementi giustificanti la fonte di reddito per l'approvvigionamento 1500-2000 Euro . Inoltre, era sposato con una donna affetta da epilessia parziale continua con un figlio di tre mesi e non risultava avesse appoggi economici esterni alla famiglia. Non aveva prodotto un certificato attestante la tossicodipendenza. Infine, era stato trovato nel territorio biellese, con cui non aveva alcun collegamento e che era distante da Valprio d'Adda, dove aveva dichiarato il domicilio, più di 100 chilometri. Non era chiaro per quale motivo si fosse recato in quei luoghi ad acquistare lo stupefacente, quando era più agevole per lui dirigersi a Milano o nelle zone limitrofe, dove avrebbe potuto reperirlo ad un prezzo uguale, se non inferiore. La Corte territoriale ha dunque desunto dal complesso degli elementi indicati che l'imputato aveva compiuto una trasferta nel biellese per vendere a terzi lo stupefacente e quindi era responsabile, come richiesto dal Procuratore generale appellante, del reato ascrittogli ai sensi dell'art. 73, comma 5, D.P.R. n. 309 del 1990. L'imputato non si è confrontato con i suddetti argomenti. Ha solo affermato che risiedeva in provincia di Biella, senza spiegare per quale motivo avesse comunicato come domicilio Valprio d'Adda, e che era andato a Milano a fare la scorta essendo tossicodipendente. La Corte territoriale con motivazione logica e razionale, all'esito di uno scrupoloso esame del compendio probatorio, ha ribaltato le conclusioni assolutorie del primo grado. A differenza di quanto argomentato dalla difesa, non consta che i Giudici d'appello abbiano fondato la decisione su una prova dichiarativa. Pertanto, vale ribadire in questo caso il consolidato orientamento giurisprudenziale di legittimità secondo cui non sussiste l'obbligo d rinnovazione dell'istruttoria dibattimentale nel caso di riforma della sentenza assolutoria di primo grado basata su una diversa interpretazione della fattispecie concreta, alla luce della valutazione logica e complessiva dell'intero compendio probatorio e non sulla base di un diverso apprezzamento della attendibilità di una prova dichiarativa decisiva tra le più recenti, Cass., Sez. 3, n. 53210 del 19/10/2018, Esposito, Rv. 275133-01 . Sulla base delle considerazioni che precedono, la Corte ritiene pertanto che il ricorso debba essere dichiarato inammissibile, con conseguente onere per il ricorrente, ai sensi dell'art. 616 cod. proc. pen., di sostenere le spese del procedimento. Tenuto, poi, conto della sentenza della Corte costituzionale in data 13 giugno 2000, n. 186, e considerato che non vi è ragione di ritenere che il ricorso sia stato presentato senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità , si dispone che il ricorrente versi la somma, determinata in via equitativa, di Euro 2.000,00 in favore della Cassa delle Ammende. P.Q.M. Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 2.000,00 in favore della Cassa delle Ammende.