Disservizi in Pronto Soccorso, legittimo accusare di “incapacità professionale” il responsabile della struttura

Cade ogni accusa nei confronti dell’autore della dura lettera indirizzata ai vertici dell’ospedale. Per i giudici sono offensive le parole utilizzate, ma va comunque riconosciuto il legittimo esercizio del diritto di critica.

Sostenere, nero su bianco, che il medico responsabile del Pronto Soccorso sia non adeguato al delicato ruolo ricoperto, e sintetizzare tutto parlando di incapacità professionale”, non vale una condanna per diffamazione . Soprattutto quando, come in questa vicenda, è appurata l’emergenza gestionale del Pronto Soccorso, testimoniata anche dalla clamorosa aggressione di un infermiere ai danni di alcuni parenti di un paziente. Cassazione, sentenza n. 17243, sez. V penale, depositata il 5 giugno . Contesto della vicenda è un’azienda ospedaliera in Campania. A far esplodere il caso – mediatico prima, giudiziario poi – è una missiva che un membro del ‘Comitato consultivo misto’ fa recapitare ai vertici del nosocomio il contenuto è clamoroso e pone sotto accusa la gestione del Pronto Soccorso. A essere chiamato in causa nella lettera è direttamente il medico responsabile della struttura , accusato di incapacità professionale nell’organizzazione del reparto e, quindi, di avere dato origine al caos che ha portato addirittura alla aggressione di utenti da parte del personale infermieristico . Le righe della lettera provocano la reazione del medico, e così il membro del ‘Comitato consultivo misto’ dell’ospedale si ritrova sotto processo per diffamazione . Per i giudici di merito è lapalissiana l’offesa alla reputazione del medico accusato di incapacità professionale nell’organizzazione del Pronto Soccorso . Così, ricostruita la vicenda, prima il Giudice di pace e poi il Tribunale ritengono colpevole l’autore della missiva, condannandolo per il reato di diffamazione e punendolo con 300 euro di multa. Critica. Per l’autore della lettera, però, è stato travisato il senso reale dell’azione da lui compiuta. Ecco spiegato il ricorso in Cassazione, caratterizzato da una linea difensiva mirata a proporre una prospettiva diversa. In particolare, il difensore sottolinea che la nota scritta era stata inviata agli organi dell’azienda ospedaliera per tentare di far luce sulle difficoltà che inficiavano l’andamento del reparto di Pronto Soccorso, esprimendo preoccupazione per le problematiche emerse e sfociate in un alterco tra personale infermieristico e alcuni pazienti e aggiunge che le espressioni adoperate sono prive di capacità offensiva , in quanto non vi è un’aggressione alla persona del medico, ma l’esposizione di problemi riguardanti l’andamento complessivo del reparto . Sempre ragionando in questa ottica, poi, il legale sostiene che l’intenzione non era quella di offendere il medico, ma di esprimere preoccupazione per l’andamento del reparto, con la sola finalità di investire di un controllo e di una valutazione circa probabili irregolarità o mere disfunzioni . E proprio per questo va riconosciuto, sempre secondo il legale, il legittimo esercizio del diritto di critica , poiché la missiva ha riportato accadimenti che effettivamente hanno avuto luogo all’interno del reparto, corrispondendo a verità il fatto dell’aggressione ed il fatto che il reparto fosse interessato da problemi organizzativi e disfunzioni , mentre le espressioni critiche utilizzate non hanno mai trasmodato in un’aggressione gratuita alla sfera morale del medico, ma sono consistite solo in una censura all’attività di direzione del reparto . Per chiudere il cerchio, infine, il legale sostiene che il termine assoluta incapacità” non è idoneo a valicare i limiti della continenza . Per i giudici della Cassazione, invece, è palese la idoneità offensiva dell’espressione contestata, con cui si è affermata l’incapacità professionale del medico in qualità di direttore del Pronto Soccorso , essendo indubbia ed oggettiva la lesione alla reputazione professionale del medico . Tuttavia, va comunque riconosciuta in questa vicenda la giustificazione dell’esercizio del diritto di critica . E ciò porta all’azzeramento definitivo della condanna emessa in Tribunale. In premessa viene ricordato che non è vietato l’utilizzo di termini che, sebbene oggettivamente offensivi, siano insostituibili nella manifestazione del pensiero critico, in quanto non hanno adeguati equivalenti e che, allo stesso tempo, è possibile l’impiego di termini che, pur avendo accezioni indiscutibilmente offensive, hanno però anche significati di mero giudizio critico negativo , soprattutto tenendo presente il contesto. In questo caso, passando dalla teoria alla pratica, per i giudici le espressioni adoperate nella missiva sono oggettivamente lesive della reputazione professionale del medico in qualità di direttore del Pronto Soccorso , ma va comunque riconosciuto all’autore della lettera l’esercizio del diritto di critica , una volta accertate la verità dei fatti esposti l’utilità sociale della comunicazione la forma civile . A questo proposito viene sottolineato dai magistrati che la missiva indirizzata ai vertici dell’ospedale è stata redatta dall’autore in qualità di componente del ‘Comitato consultivo misto e quindi nell’ambito di funzioni latamente di controllo dell’attività e dell’organizzazione ospedaliera e nel testo sono stati richiamati accadimenti che effettivamente avevano avuto luogo all’interno del reparto, corrispondendo a verità il fatto dell’aggressione quantomeno verbale di un infermiere nei confronti dei parenti di una paziente ed il fatto che il Pronto Soccorso fosse interessato da problemi organizzativi e disfunzioni . Peraltro, con la missiva venivano sollecitati controlli sul profilo organizzativo e, sottolineano i giudici, gli eventuali disservizi organizzativi del reparto di Pronto Soccorso e la sollecitazione di controlli hanno un indubbio interesse pubblico . Per quanto concerne, infine, le espressioni critiche utilizzate nella missiva, esse non hanno trasmodato in un’aggressione gratuita alla sfera morale del medico, essendo consistite in una censura alla attività di direzione del reparto , espressa con il termine assoluta incapacità” di organizzare in modo adeguato il reparto , termine che, spiegano i giudici, pur essendo oggettivamente offensivo della reputazione professionale del medico, non risulta travalicare, nel contesto critico e valutativo della missiva, la forma civile dell’esposizione , anche perché l’espressione utilizzata non rivela un gratuito attacco alla persona, o una finalità meramente denigratoria, ma contiene una critica, sia pure aspra, alle capacità organizzative – ritenute insufficienti – del direttore del reparto di Pronto Soccorso .

Corte di Cassazione, sez. V Penale, sentenza 19 febbraio – 5 giugno 2020, n. 17243 Presidente Morelli – Relatore Riccardi Ritenuto in fatto 1. Con sentenza emessa il 04/10/2018 il Tribunale di Santa Maria Capua vetere ha confermato la sentenza del Giudice di Pace di Casetta, che aveva condannato L.C. alla pena di Euro 300,00 di multa per il reato di cui all'art. 595 c.p., per avere, in qualità di Presidente dell'Associazione Amici di Eleonora e Componente del Comitato Consultivo Misto dell'Azienda Ospedaliera S. Anna e S. Sebastiano di Casetta, con una nota inviata al Presidente del Comitato Misto, al Direttore Generale e al Direttore Organizzazione e Sviluppo, offeso la reputazione del Dott. P.D., direttore dell'U.O.C. del Pronto Soccorso, accusandolo di incapacità professionale nell'organizzazione del reparto, che aveva portato all'aggressione di utenti da parte del personale infermieristico. 2. Avverso tale sentenza ha proposto ricorso per cassazione il difensore di L.C., Avv. R. T., deducendo tre motivi. 2.1. Con un primo motivo denuncia la violazione di legge in relazione all'art. 595 c.p. la nota era stata inviata agli organi dell'azienda ospedaliera per tentare di far luce sulle difficoltà che inficiavano l'andamento del reparto, di Pronto soccorso, esprimendo preoccupazione per le problematiche emerse, e sfociate in un alterco tra personale infermieristico e alcuni pazienti le espressioni adoperate, tuttavia, sarebbero prive di capacità offensiva, in quanto non vi sarebbe un'aggressione alla persona del Dott. P., ma l'esposizione di problemi riguardanti l'andamento complessivo del reparto l'intervento ha riguardato esclusivamente il profilo professionale, e non personale. Mancherebbe altresì il dolo della diffamazione, in quanto l'intenzione non era quella di offendere il Dott. P., ma di esprimere preoccupazione per l'andamento del reparto di Pronto soccorso, con la sola finalità di Investire di un controllo e di una valutazione circa probabili irregolarità o mere disfunzioni. 2.2. Con un secondo motivo deduce la violazione di legge ed il vizio di motivazione in relazione alla lettura parziale delle prove, essendo emerso che il Dott. P. aveva irrogato un provvedimento disciplinare al personale infermieristico in seguito all'alterco riferito dall'articolo di giornale. 2.3. Con un terzo motivo deduce la violazione di legge ed il vizio di motivazione in relazione al mancato riconoscimento del diritto di critica la missiva ha riportato aecadimenti che effettivamente hanno avuto luogo all'interno del reparto, corrispondendo a verità il fatto dell'aggressione riportato dal giornale, ed il fatto che il reparto di Pronto Soccorso fosse interessato da problemi organizzativi e disfunzioni. Quanto alla continenza, le espressioni critiche utilizzate non hanno mai trasmodato in un'aggressione gratuita alla sfera morale del Dott. P., ma sono consistite solo in una censura alle attività di direzione del reparto, non apparendo il termine assoluta incapacità idoneo a valicare i limiti della continenza. Considerato in diritto 1. Il ricorso è fondato limitatamente ai terzo motivo. 2. Giova premettere che, in materia di diffamazione, la Corte di cassazione può conoscere e valutare l'offensività della frase che si assume lesiva della altrui reputazione perchè è compito del giudice di legittimità procedere in prima luogo a considerare la sussistenza o meno della materialità della condotta, contestata e, quindi, della portata offensiva delle frasi ritenute diffamatorie, dovendo, in caso di esclusione di questa, pronunciare sentenza di assoluzione dell'imputato Sez. 5, n. 48698 del 19/09/2014, Demofonti, Rv. 261284 Sez. 5, n. 41869 del 14/02/2013, Fabrizio, Rv. 256706 . 3 I primi due motivi sono manifestamente infondati, essendo pacifici, da un lato, la idoneità offensiva dell'espressione contestata all'imputato, con cui ha affermato l'incapacità professionale dei medico in qualità di Direttore del Pronto Soccorso, essendo indubbia ed oggettiva la lesione, alla reputazione professionale della persona offesa, e, dall'altro, la sussistenza del dolo, a prescindere dalla finalità perseguita e dal movente. Invero, in tema di delitti contro l'onore, ai fini della sussistenza dell'elemento soggettivo del delitto di diffamazione, non si richiede che sussista l'animus iniurandi vel diffamandi essendo sufficiente il dolo generico, che può anche assumere la forma del dolo eventuale, in quanto è sufficiente che l'agente, consapevolmente, faccia uso di parole ed espressioni socialmente interpretabili come offensive, ossia adoperate in base al significato che esse vengono oggettivamente ad assumere, senza un diretto riferimento alle intenzioni dell'agente Sez, 5, n. 4364 del 12/12/2012, dep. 2013, Arcadi, Rv. 254390 Sez. 5, n. 8419 del 16/10/2013/ dep. 2014, Verratti, Rv. 258943 . 4. Ciò posto, deve invece ritenersi fondato il terzo motivo, sussistendo i presupposti per il riconoscimento della causa di giustificazione dell'esercizio del diritto di critica. 4.1. Al riguardo, la giurisprudenza di questa Corte ha costantemente affermato, anche con riferimento ad espressioni dal contenuto analogo a quella oggetto di contestazione nel presente processo, che, in tema di diffamazione, il requisito della continenza postula una forma espositiva corretta della critica rivolta e cioè strettamente funzionale alla finalità di disapprovazione e che non trasmodi nella gratuita ed immotivata aggressione dell'altrui reputazione -, ma non vieta l'utilizzo di termini che, sebbene oggettivamente offensivi, siano insostituibili nella manifestazione del pensiero critico, in quanto non hanno adeguati equivalenti Sez. 5, n. 31669 del 14/04/2015, Marcialis, Rv. 264442, in una fattispecie in cui è stato ritenuto che l'utilizzo del termine incompetente nei confronti di un architetto con riferimento al suo operato tecnico non esorbiti di per sè dai limiti della critica consentiti, dovendo il giudice di merito accertare se sia possibile rilevare nei suoi confronti una carenza di capacità professionale di grave natura, alla quale sola va commisurata la portata dell'indispensabilità funzionale della critica così come formulata , e non può ritenersi superato per il solo fatto dell'utilizzo di termini che, pur avendo accezioni indubitabilmente offensive, hanno però anche significati di mero giudizio critico negativo di cui deve tenersi conto anche alla luce del complessivo contesto in cui il termine viene utilizzato Sez. 5, n. 37397 del 24/06/2016, C, Rv. 267866, in una fattispecie in cui è stato ritenuto che l'utilizzo del termine puttaniere in un contesto familiare, da parte di una donna nei confronti del coniuge dopo che la stessa ne aveva scoperto una convivenza more uxorio , non esorbiti di per sè dai limiti della critica consentiti, avendo lo stesso una accezione, comune per la lingua italiana, di donnaiolo, playboy o uomo alla ricerca di avventure passeggere , compatibile con il requisito della continenza analogamente, Sez. 5, n. 36077 del 09/07/2007, Mazzucco, Rv. 237726, secondo cui Sussiste l'esimente del diritto di critica, qualora con una missiva indirizzata al Sindaco e alla Giunta locali si accusino alcuni vigili urbani di scarsa professionalità e di superficialità mista a incoscienza e presuntuosità in relazione al rilevamento degli incidenti stradali, considerato che tali espressioni costituiscono giudizi di valore e che essi rispettano i canoni della pertinenza e della continenza . 4.2. Ciò posto, nel caso in esame., sebbene le espressioni adoperate dall'imputato siano oggettivamente lesive della reputazione professionale del Dott. P., in qualità di Direttore dei Pronto Soccorso dell'Ospedale di Casetta, devono nondimeno ritenersi scriminate dall'esercizio del diritto di critica, sussistendone i tre presupposti applicativi della verità dei fatti esposti, dell'utilità sociale della comunicazione, e della continenza, ovvero della forma civile dell'esposizione dei fatti e della loro vantazione. La missiva indirizzata dall'imputato ai vertici dell'Ospedale di Casetta, infatti, è stata redatta in qualità di consigliere del Comitato Consultivo Misto dell'Azienda Ospedaliera, e dunque nel ambito di funzioni latamente di controllo dell'attività e dell'organizzazione ospedaliera in essa, inoltre, sono stati richiamati accadimenti che effettivamente avevano avuto luogo all'interno del reparto, corrispondendo a verità il fatto dell'aggressione quantomeno verbale di un infermiere nei confronti dei parenti di una paziente riportato dal giornale, ed il fatto che il reparto di Pronto Soccorso fosse interessato da problemi organizzativi e disfunzioni in ogni caso, con la missiva venivano sollecitati controlli sul profilo organizzativo. Gli eventuali disservizi organizzativi dei reparto di Pronto Soccorso e la sollecitazione di controlli, peraltro, hanno un indubbio interesse pubblico. Quanto alla continenza, le espressioni critiche utilizzate non hanno trasmodato in un'aggressione gratuita alla sfera morale del Dott. P., essendo consistite in una censura alle attività di direzione del reparto, espressa con il termine assoluta incapacità' di organizzare in modo adeguato il reparto, che, pur essendo oggettivamente offensivo della reputazione professionale, non risulta travalicare, nel contesto critico e valutativo della missiva, la forma civile dell'esposizione. L'espressione, infatti, non rivela un gratuito attacco alla persona, o una finalità meramente denigratoria, ma connoto una critica, sia pure aspra, alle capacità organizzative ritenute insufficienti del direttore del reparto di Pronto Soccorso. Ne consegue che la sentenza impugnata va annullata senza rinvio perchè il fatto non costituisce reato. P.Q.M. Annulla senza rinvio la sentenza impugnata perchè il fatto non costituisce reato.