Motorino ostacola l’uscita della vettura dal parcheggio: è violenza privata

Confermata la condanna per l’uomo in sella al motorino. Irrilevante che la censurabile condotta sia durata pochi minuti.

Motorino in corsa verso una vettura. Obiettivo è rendere problematica all’automobilista l’uscita dal parcheggio. La censurabile condotta dura pochi minuti, sufficienti però per beccarsi una condanna per violenza privata Cassazione, sentenza n. 16967/20, sez. V Penale, depositata il 4 giugno . Ricostruito l’episodio, i giudici di merito non hanno dubbi sulla colpevolezza dell’uomo sotto processo, reo di avere diretto il proprio motorino verso un’automobile. Secondo il difensore, però, è stato trascurato un dettaglio importante il comportamento del suo cliente si è esaurito in pochi minuti e comunque non ha impedito alla persona offesa di uscire dal parcheggio alla guida della propria vettura . La visione proposta dal legale non convince però i Giudici della Cassazione, i quali ribattono sottolineando la natura di reato istantaneo riconosciuta al delitto di violenza privata . Ciò significa che per la consumazione del reato è irrilevante che la condotta criminosa si protragga nel tempo . Anche perché il requisito della violenza si identifica con qualsiasi mezzo idoneo a privare coattivamente della libertà di determinazione e di azione la persona offesa che quindi è costretta a fare, tollerare od omettere qualcosa contro la propria volontà .

Corte di Cassazione, sez. V Penale, sentenza 16 dicembre 2019 – 4 giugno 2020, n. 16967 Presidente Morelli – Relatore De Gregorio Ritenuto in fatto Con la sentenza impugnata la Corte di Appello di Trieste ha confermato la pronunzia di primo grado nei confronti dell'imputato, condannato alla pena giustizia per il reato di violenza privata. 1. Avverso la pronunzia ha proposto ricorso la difesa, che, col primo motivo, ha lamentato l'errata applicazione delle norme processuali sulla notifica al difensore di fiducia ex art 161/4 cpp. Infatti l'imputato nel corso dell'esame cui si era sottoposto nel giudizio di primo grado, aveva dichiarato le generalità ed il domicilio in Trieste in Via dell'Edera civico 6. Diversamente l'avviso di deposito della sentenza fuori termine gli era stato notificato in Via dell'Edera 2, come del resto il decreto di citazione in appello. Si sarebbe pertanto, determinata la mancata conoscenza dell'atto. 2. Tramite il secondo motivo si è dedotta l'omessa motivazione riguardo alla sussistenza dell'art 610 cp, poiché il comportamento addebitato al ricorrente si sarebbe esaurito in pochi minuti, consistendo nel dirigere il motorino verso l'automobile della persona offesa, atteggiamento che non aveva impedito alla stessa di uscire dal parcheggio. All'odierna udienza il PG, dr Bi., ha concluso per il rigetto ed il difensore presente, avvocato Eq., si è riportato ai motivi. Considerato in diritto Il ricorso è inammissibile. 1. La doglianza sollevata dalla difesa col primo motivo è inammissibile per la sua genericità e manifestamente infondata in diritto. Infatti, in alcun modo si è contestata la legittimità della precedente dichiarazione di domicilio fatta dall'attuale giudicabile, che risulta indicata anche nell'intestazione della sentenza in Via dell'Edera 2, domicilio dichiarato. Il ricorrente pretende di dare valore di nuova dichiarazione di domicilio, valida ai sensi e per gli effetti ex art. 161 cpp, alle informazioni date dall' imputato, nel corso del suo esame ex art 503 cpp, sulle sue generalità, senza neppure dedurre che vi sia stato un mutamento di domicilio, che del resto avrebbe dovuto essere comunicato all'Autorità giudiziaria procedente ex art 162 cpp. 2. Quanto al secondo motivo, esso ignora la natura di reato istantaneo riconosciuta dalla giurisprudenza di legittimità al delitto di violenza privata, ragion per cui è irrilevante, per la consumazione dello stesso, che la condotta criminosa si protragga nel tempo. In proposito si è, inoltre, costantemente precisato che il requisito della violenza, ai fini della configurabilità del delitto, si identifica con qualsiasi mezzo idoneo a privare coattivamente della libertà di determinazione e di azione l'offeso, il quale sia, pertanto, costretto a fare, tollerare o omettere qualcosa contro la propria volontà. Sez. 5, Sentenza n. 3403 del 17/12/2003 Ud. dep. 29/01/2004 Rv. 228063. In senso conforme Sez. 5, Sentenza n. 1913 del 16/10/2017 Ud. dep. 17/01/2018 Rv. 272322, che ha esaminato un caso concreto analogo al presente, nel quale l'imputato aveva parcheggiato la propria autovettura dinanzi ad un fabbricato in modo tale da bloccarne il passaggio, impedendo l'accesso alla persona offesa. Alla luce dei principi e delle considerazioni che precedono il ricorso deve essere dichiarato inammissibile ed il ricorrente condannato al pagamento delle spese processuali ed al versamento della somma di Euro tremila in favore della cassa delle ammende. P.Q.M. Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali ed al versamento di Euro tremila in favore della cassa delle ammende.