Denaro per la droga, il figlio lo chiede insistentemente ai genitori: condannato

Inequivocabili per i Giudici le condotte tenute dall’uomo. Logico parlare di maltrattamenti e di estorsione.

Pretendere con la forza e con la minaccia soldi dai propri genitori per comprare droga vale una condanna. Legittimo, secondo i Giudici, parlare non solo di maltrattamenti ma anche di estorsione, come testimoniato dalle gravi condotte tenute da un uomo verso il proprio padre e la propria madre Cassazione, sentenza n. 16577/2020, Sezione Seconda Penale, depositata il 1° giugno 2020 . Minaccia. Ricostruita nei dettagli la delicata vicenda, un uomo si ritrova punito per avere vessato i genitori. In particolare, gli viene contestato di averli costretti quasi ogni giorno, con violenze e minacce, ad elargirgli decine di euro destinati all’acquisto di sostanze stupefacenti . Concordi i Giudici di merito nella lettura dei comportamenti tenuti dall’uomo. E identica posizione assume anche la Cassazione Respinta la linea difensiva, mirata a sminuire i comportamenti tenuti dall’uomo nei confronti dei genitori. Decisive le concordi dichiarazioni delle due persone offese, di alcuni amici e dei vicini di casa. Così si è potuto appurare che in un’occasione ci fu una violenta aggressione ai danni dell’anziana coppia, col padre che venne colpito con uno schiaffo mentre la madre cadde a terra, in preda a grave shock e con successiva diagnosi di stato di ansia . Per i Giudici è evidente la attendibilità dei due genitori, testimoniata anche dal loro comportamento processuale non essendosi costituiti parti civili ed apparendo preoccupati per il figlio , e confermata anche dai certificati medici. Allargando l’orizzonte, poi, viene ritenuto certo il fatto che l’uomo abbia tenuto condotte abituali che, lungi dal presentarsi come sporadiche manifestazioni di un atteggiamento di contingente aggressività, sono state ritenute tali da integrare persistenti vessazioni morali e materiali di differenti natura ai danni delle persone offese, come tali idonei ad integrare il reato abituale di maltrattamenti in famiglia . Così, in sostanza, le condotte non solo minacciose ma anche violente poste in essere ai danni dei genitori per ottenere il denaro necessario all’acquisto di stupefacenti sono idonee a configurare i il reato di estorsione, concludono dalla Cassazione.

Corte di Cassazione, sez. II Penale, sentenza 21 febbraio – 1 giugno 2020, n. 16577 Presidente Gallo – Relatore Imperiali Ritenuto in fatto e considerato in diritto 1. G.M.G. ha proposto ricorso per cassazione avverso la sentenza della Corte di Appello di Catania che il 28/9/2018 ha riformato solo in ordine al trattamento sanzionatorio la pronuncia del Tribunale cittadino che in data 1/6/2017 lo aveva riconosciuto colpevole di maltrattamenti ed estorsione continuata ai danni dei genitori, per averli costretti con violenze e minacce, con cadenza quasi quotidiana, ad elargirgli decine di euro destinate all’acquisto di stupefacenti. 1.1. Con il primo motivo di ricorso ha dedotto la violazione di legge ed il vizio di motivazione con riferimento alla ritenuta responsabilità in ordine al delitto di estorsione, con valutazione che si assume fondata unicamente sulle dichiarazioni dei genitori e pur nel difetto di prova che l’esercizio della forza fisica fosse finalizzato ad ottenere somme di denaro ad avviso del ricorrente, invece, in considerazione della mera minaccia verso gli ascendenti sarebbe ricorrerebbe la scriminante di cui all’art. 649 cod. pen 1.2. Con il secondo motivo di ricorso il G. ha dedotto la violazione di legge ed il vizio di motivazione con riferimento alla ritenuta responsabilità in ordine al delitto di maltrattamenti in famiglia, fondata sulle dichiarazioni dei genitori che hanno richiamato due episodi nei quali, invece, si faceva riferimento soltanto ad ingiurie urlate ed a danneggiamento di oggetti, ma non a violenze o minacce. 2. Il ricorso è infondato. Giova premettere, infatti, che il giudice di legittimità, ai fini della valutazione della congruità della motivazione del provvedimento impugnato, deve fare riferimento alle sentenze di primo e secondo grado, le quali si integrano a vicenda confluendo in un risultato organico ed inscindibile Sez. 5, n. 14022 del 12/01/2016, Rv. 266617 e, nel caso specifico, dall’integrazione di entrambe le motivazioni emerge con chiarezza una valutazione delle risultanze processuali che, senza incorrere in vizio logico alcuno, ha portato a riconoscere la sussistenza di entrambi i reati contestati, sulla base delle dichiarazioni non solo delle persone offese, i genitori del G., ma anche di amici e vicini di casa, tanto che una di queste ebbe a chiamare il 118 per richiedere aiuto in occasione di una violenta aggressione, nel corso della quale il padre del G. venne colpito con uno schiaffo e la madre cadde a terra in preda a grave shock, con successiva diagnosi di stato di ansia, come verificato anche dai carabinieri sopraggiunti sul posto. Fondandosi, pertanto, non soltanto sulle dichiarazioni delle persone offese – la cui attendibilità, peraltro, è stata riconosciuta anche alla luce del loro comportamento processuale, non essendosi costituite parti civili ed apparendo preoccupate per il figlio – anche su quelle di amici e vicini di casa, nonché su certificati medici e perfino sulle ammissioni degli addebiti da parte del G. all’udienza del 28/10/2018, pertanto, le sentenze di merito e, tra queste, più diffusamente quella di primo grado hanno evidenziato condotte abituali del G. che, lungi dal presentarsi come sporadiche manifestazioni di un atteggiamento di contingente aggressività, senza vizi logici sono state ritenute tali da integrare persistenti vessazioni morali e materiali di differenti natura ai danni delle persone offese, come tali idonei ad integrare il reato abituale di maltrattamenti in famiglia Sez. 6, n. 6126 del 09/10/2018, Rv. 275033 . Allo stesso modo, le condotte non solo minacciose ma anche violente poste in essere ai danni dei genitori per ottenere il denaro necessario all’acquisto di stupefacenti, così come riferite nella sentenza di primo grado che ha ricordato anche esplicitamente di uno schiaffo con il quale il ricorrente ha colpito il padre anche nell’occasione in cui sono poi sopraggiunti i carabinieri non solo sono idonee a configurare l’ipotesi di cui all’art. 629 cod. pen. ma sono incompatibili anche con la scriminante di cui all’art. 649 cod. pen. che, peraltro, non risulta essere stata previamente dedotta come motivo di appello, secondo quanto è prescritto a pena di inammissibilità dall’art. 606 comma 3 cod. proc. pen., come si evince dallo stesso atto di appello. 3. Il ricorso va, pertanto, rigettato e, per il disposto dell’art. 616 cod. proc. pen., al rigetto del ricorso consegue la condanna della ricorrente al pagamento delle spese processuali. P.Q.M. Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali.