Omicidio colposo della paziente: devono essere rinnovate le prove dichiarative decisive

In tema di rinnovazione probatoria per motivi attinenti la valutazione della prova dichiarativa, l’obbligo di procedere in tal senso sussiste anche nell’ipotesi in cui il giudice d’appello sia chiamato a giudicare a seguito dell’impugnazione ai fini civili.

Così la Cassazione con sentenza n. 15080/20, depositata il 14 maggio. Il caso. Ad alcuni sanitari era stato contestato di aver sottoposto la paziente ad un intervento chirurgico senza diagnosticare e trattare la complicanza infettiva post operatoria dell’area chirurgica e, in particolare, di non aver praticato una profilassi antibiotica idonea a prevenire l’insorgenza di complicanze infettive post operatorie che condussero al decesso della paziente. Imputati del reato di omicidio colposo , il Tribunale li assolveva mentre la corte d’appello riformava la sentenza dichiarando non doversi procedere per intervenuta prescrizione, nondimeno condannando gli imputati al risarcimento dei danni a favore della parte civile da liquidarsi in un separato giudizio. Avverso la sentenza gli imputati proponevano ricorso per cassazione. Dibattimento parzialmente rinnovato. La Corte d’Appello rinnovava parzialmente il dibattimento, procedendo all’esame dei prossimi congiunti della persona offesa che l’avevano assistita nel corso della degenza e esaminando il consulente tecnico incaricato dal giudice per le indagini preliminari e i membri del collegio peritale nominato dal tribunale. Nulla si disponeva, però, in ordine alle prove a difesa. La rinnovazione delle prove dichiarative secondo la giurisprudenza. La giurisprudenza di legittimità, anticipando il legislatore del 2017, ha affermato il principio per il quale il giudice d’appello che riforma in peius la sentenza assolutoria di primo grado, ha l’obbligo di delineare le linee portanti del proprio, alternativo, ragionamento probatorio e di confutare specificamente i più rilevanti argomenti della motivazione della prima sentenza, dando conto delle ragioni della relativa incompletezza o incoerenza, tali da giustificarne la riforma. Con più precisione, la Corte europea dei diritti dell’uomo Dan c. Moldavia e le Sezioni Unite Dasgupta seguite da Patalano e Pavan hanno affermato che, al fine di adempiere correttamente al proprio onere di motivazione rafforzata, il giudice – che pervenga ad una reformatio in peius – debba operare una nuova assunzione diretta dei testimoni nel giudizio di impugnazione, quando da tale omissione derivi una violazione del diritto dell’imputato di esaminare e fare esaminare i testimoni a carico e di ottenere la convocazione e l’esame dei testimoni a discarico. Necessaria la rinnovazione delle prove decisive. Ne deriva che il giudice d’appello non può riformare la sentenza impugnata affermando la responsabilità dell’imputato senza aver proceduto, anche d’ufficio, a rinnovare l’istruzione dibattimentale attraverso l’esame dei soggetti che abbiano reso dichiarazioni su fatti del processo, ritenute decisive ai fini del giudizio di primo grado. Per prove decisive si intendono quelle prove che hanno determinato o anche solo contribuito a determinare un esito liberatorio e che, pur in presenza di altre fonti probatorie di diversa natura, se espunte dal complesso del materiale probatorio, si rivelano potenzialmente idonee a incidere sull’esito del giudizio d’appello, nell’alternativa proscioglimento-condanna. Il fondamento logico di tale esigenza va ravvisato nell’esigenza di valorizzare il canone dell’oltre ragionevole dubbio e, pertanto, in mancanza di elementi sopravvenuti, l’eventuale rivisitazione in senso peggiorativo compiuta in appello deve essere sorretta da argomenti dirimenti e tali da evidenziare oggettive carenze o insufficienze della decisione assolutoria e che deve, quindi, rivelarsi, a fronte di quella riformatrice, non più sostenibile, e neppure lasciare aperto lo spazio ad un residuo dubbio sull’affermazione di colpevolezza. In altri termini, per riformare una sentenza di assoluzione non è sufficiente una diversa valutazione di pari plausibilità rispetto alla lettura del primo giudice, bensì è necessaria una forza persuasiva superiore capace di far cadere ogni ragionevole dubbio ciò perché mentre la condanna presuppone la certezza della colpevolezza, l’assoluzione non presuppone la certezza dell’innocenza bensì la mera non certezza della colpevolezza. Il novum legislativo. L’approdo giurisprudenziale richiamato ha trovato trasposizione normativa nella legge di riforma del 2017 che ha introdotto, nella trama dell’art. 603 c.p.p., un nuovo comma ai sensi del quale, nel caso di appello del Pubblico Ministero contro una sentenza di proscioglimento per motivi attinenti alla valutazione della prova dichiarativa, il giudice dispone la rinnovazione dell’istruzione dibattimentale. Un tale obbligo sussiste anche nel caso in cui il giudice d’appello riformi, ai soli fini civili, la sentenza assolutoria di primo grado sulla base di un diverso apprezzamento dell’attendibilità di una prova dichiarativa ritenuta decisiva . Secondo la giurisprudenza non osta a tale interpretazione il dettato normativo perché, se è vero che la norma non affronta il tema della rinnovazione delle prove nel processo che si innesta a seguito dell’impugnazione ai soli fini civili, neanche detta una regola diversa per la situazione in cui la riforma discenda dall’impugnazione proposta dalla sola parte civile. Rinnovazione parziale di prove decisive. Nel caso scrutinato, la Corte d’Appello aveva rinnovato l’istruttoria dibattimentale in modo parziale, pretermettendo del tutto l’esame del personale infermieristico e pervenendo all’overturning della sentenza sulla base di precisazioni rese dai testi e da periti d’ufficio, in assenza di un reale contraddittorio tecnico e senza l’assunzione in rinnovazione delle prove a difesa. L’assunzione di tali prove aveva rivestito, nel processo di primo grado, carattere di decisività, dato che il personale infermieristico aveva affermato che alla paziente erano state garantite regolari terapie farmacologiche, le visite giornaliere e l’ordinaria assistenza infermieristica. Ai fini di determinarsi alla rinnovazione, il giudice d’appello non deve infatti limitarsi alle prove dichiarative ritenute inattendibili dal primo giudice, dovendola estendere a quelle diverse, poste in relazione di collegamento e di interferenza, con quella da sottoporre a verifica. Le prove scientifiche sono assoggettate al regime delle prove dichiarative, per cui valgono i principi in tema di rinnovazione? Secondo parte della giurisprudenza tale assimilazione è necessaria e imprescindibile e, pertanto, la funzione svolta dal perito nel processo e l’acquisizione dei risultati cui l’esperto è giunto nello svolgimento dell’incarico peritale impongono che la rivalutazione della prova sia preceduta dal riascolto dello stesso. Soluzione questa che trova conforto in un recente arresto a Sezioni Unite Pavan che ha concluso nel senso dell’assimilazione della dichiarazione del perito a quella del testimone, con la conseguente necessità di rinnovazione dibattimentale del contributo dichiarativo del consulente tecnico in contraddittorio. Si tratterebbe di impedire che il giudice, riformando in peius , si limiti ad una diversa lettura delle conclusioni del perito o del consulente tecnico, in assenza di un nuovo momento processuale di confronto e analisi, invece ritenuto indispensabile nel ribaltamento dell’esito assolutorio, anche allo scopo di assicurare che il superamento del ragionevole dubbio trovi una concreta giustificazione nel principio dell’immediatezza del contraddittorio. La sentenza di appello ha violato il principio del giusto processo. Secondo il Collegio, la rinnovazione doveva essere più estesa perché recepire integralmente i contributi offerti dai periti senza confronto con i consulenti tecnici è attività che si pone in contrasto con il principio del giusto processo che include anche i principi del contraddittorio, dell’oralità e dell’immediatezza nell’essenziale e decisiva fase del contraddittorio tecnico sugli esiti peritali ciò soprattutto quando l’assunzione del mezzo tecnico sia dipeso proprio dall’esigenza di dirimere i dubbi, già prospettati dal primo giudice circa i profili causali della condotta omissiva contestata nonché in relazione all’addebitabilità soggettiva delle omissioni. L’annullamento della sentenza ai soli fini civili. Unitamente ai profili già rilevati, la sentenza impugnata presenta anche profili che attengono vizi di natura sostanziale riguardanti l’accertamento della colpa e il nesso di causalità che impongono l’annullamento della sentenza con rinvio ai fini civili . La sentenza, però, merita di essere segnalata anche per un ulteriore aspetto che riguarda l’impossibilità di estendere l’annullamento ai capi della sentenza che concernono la responsabilità penale degli imputati invero, nell’impugnazione da essi proposta non vi è cenno alla volontà di aggredire la statuizione penale che dichiara l’estinzione del reato per intervenuta prescrizione. Tale dichiarazione” determina la separazione del piano dell’accertamento della responsabilità penale da quello della definizione delle questioni civili. Ma una soluzione del genere trova altresì ostacolo nella circostanza che, in presenza dell’accertamento di una causa di estinzione del reato da parte del giudice di merito, non sono deducibili in sede di legittimità vizi di motivazione che investano il merito della responsabilità penale Sezioni unite Sciortino e Tettamanti . La Corte sembra suggerire che un ricorso – che intenda riaprire il tema della responsabilità penale in caso di prescrizione – presupporrebbe la rinuncia alla prescrizione o comunque una situazione di evidenza della causa di proscioglimento nel merito.

Corte di Cassazione, sez. IV Penale, sentenza 20 febbraio – 14 maggio 2020, n. 15080 Presidente Fumu – Relatore Bellini Ritenuto in fatto 1. La Corte di Appello di Roma con sentenza in data 19 Luglio 2018 in riforma della decisione del Tribunale di Cassino, dichiarava non doversi procedere nei confronti di MA.Mi. e di L.G. in relazione al reato di omicidio colposo agli stessi ascritto essendosi lo stesso estinto per intervenuta prescrizione. Su impugnazione dell'ufficio del Procuratore generale della Repubblica presso la Corte di Appello di Roma e su impugnazione della parte civile, in riforma della medesima sentenza ampiamente assolutoria sul punto, dichiarava non doversi procedere nei confronti degli imputati D.G., F.G., R.A. e RU.Pa. per essere il reato di omicidio colposo agli stessi ascritto estinto per intervenuta prescrizione. Condannava i medesimi imputati al risarcimento dei danni a favore della parte civile da liquidarsi in separato giudizio. 2. Agli imputati D.G., F.G., R.A. e RU.Pa. era contestato quali sanitari in servizio presso il Reparto di OMISSIS , che in data OMISSIS avevano sottoposto la paziente C.C. ad un intervento chirurgico di osteosintesi di frattura scomposta petrocanterica di femore sinistro, di non avere diagnosticato e trattato la complicanza infettiva post operatoria dell'area chirurgica e per non avere praticato una profilassi antibiotica pre e post operatoria idonea a prevenire l'insorgenza di complicanze infettive post-operatorie sostenute da stafilococchi aurei che conducevano al decesso la paziente in data OMISSIS . A tali omissioni si erano sommate quelle dei sanitari della OMISSIS , MA.Mi. e L.G., ove la paziente era risultata degente dalla data del OMISSIS , per non avere questi praticato accertamenti diagnostici adeguati e per non avere somministrato adeguata terapia antibiotica e, in ultima analisi, per non avere trasferito la paziente presso struttura maggiormente attrezzata prima che le complicanze infettive si risolvessero in sepsi evoluta e disfunzione multi organica. 3. La Corte di Appello di Roma, previa la rinnovazione parziale del dibattimento per procedere all'esame dei prossimi congiunti della persona offesa che l'avevano assistita nel corso della degenza e per l'esame del consulente tecnico incaricato dal GIP Dott. RI. e del collegio peritale nominato dal Tribunale di Cassino, nel confermare il giudizio di responsabilità dei due sanitari della OMISSIS MA. e L. già espresso dal giudice di primo grado, riconosceva altresì la responsabilità, ai fini civili dei quattro sanitari, D., F., R. e RU. che avevano seguito e trattato la paziente presso l' OMISSIS , disponendo al contempo il proscioglimento degli stessi ai fini penali per intervenuta prescrizione. 3.1 In particolare attribuiva loro una inadeguata assistenza post operatoria a fronte di dimissioni intervenute solo due giorni dopo il trattamento chirurgico di osteosintesi OMISSIS , benchè la paziente dimessa fosse stata trattenuta per alcuni giorni presso il suddetto nosocomio in attesa di essere trasferita presso la casa di cura di elezione OMISSIS rilevava che non era stato predisposto alcun diario clinico od infermieristico dal quale potesse desumersi a quali trattamenti, terapie e cure post operatorie la donna fosse stata sottoposta fino all'effettiva dimissione intervenuta in data OMISSIS , tanto da porre in dubbio, anche in ragione dei contributi dichiarativi dei congiunti, che la stessa fosse stata sottoposta ad alcuna terapia in tale arco temporale. Tale suggestione risultava confermata, secondo la corte di appello, dal fatto che all'atto del ricovero presso la OMISSIS era stato immediatamente evidenziato il rischio di una infezione in atto, in ragione delle condizioni della ferita chirurgica, purulenta e secernente, tanto da indurre i sanitari di detto nosocomio di eseguire un antibiogramma i cui esiti avrebbero dovuto consentire di attuare le terapie antibiotiche più efficaci e mirate alla natura del fattore patogeno. 3.2 Pertanto riteneva la Corte di Appello che, in presenza di infezione nosocomiale intervenuta in coincidenza del trattamento chirurgico, gli stessi sanitari dell' OMISSIS avrebbero dovuto procedere ad accertamenti mirati per praticare alla paziente la migliore terapia antibiotica e invece avevano proceduto alle dimissioni premature della donna e comunque le avevano somministrato una terapia antibiotica ad ampio raggio, inadeguata a sostenere le complicanze post operatorie per pazienti anziani trattati chirurgicamente, atteso la maggiore incidenza dei batteri nosocomiali gram-positivi, così che gli stessi sanitari del nosocomio avrebbero dovuto prevenire e debellare, anticipando l'esecuzione dell'antibiogramma, il focolaio di infezione e individuare l'antibiotico più indicato per vincere le resistenze dei batteri. 3.3 A tale condotta omissiva, che accomunava i quattro sanitari del Reparto di OMISSIS che avevano assistito la paziente, il giudice di appello riconosceva un contributo causale al verificarsi dell'exitus della donna, pure nel concorso delle omissioni dei sanitari che ebbero in cura la paziente in epoca successiva, avendo innescato la serie causale efficiente laddove una tempestiva individuazione del batterio stafilococcus aureus avrebbe consentito di somministrare tempestivamente una terapia antibiotica in grado di arrestare l'infezione. 3.4 Veniva comunque dichiarata ai fini penali l'intervenuta estinzione del reato per sopravvenuta prescrizione ma, in presenza di impugnazione anche agli effetti civili, gli imputati venivano dichiarati tenuti al risarcimento del danno nei confronti della parte civile costituita, figlio della persona offesa. 4. Avverso la suddetta sentenza hanno proposto ricorso per cassazione gli imputati D.G., F.G., R.A. e RU.Pa. a mezzo dei difensori Gianfranco Iadecola e Elio Raviele articolando quattro motivi di ricorso. 4.1 Con il primo motivo di ricorso la difesa deduce violazione di legge dell'art. 603 c.p.p., comma 3 bis lamentando vizio processuale laddove la Corte di Appello aveva proceduto ad una rinnovazione parziale del dibattimento omettendo di estenderla ai testi a discarico e ai consulenti tecnici di parte che pure erano risultati decisivi, nel giudizio di primo grado per la pronuncia assolutoria degli imputati, in quanto era stato riconosciuto che non risultava raggiunta la prova dell'elemento soggettivo con particolare riferimento alla consapevolezza dei sanitari della infezione nosocomiale già durante il ricovero della paziente e alla carenza di adeguata assistenza nosocomiale nel periodo suddetto. 4.2 Con una seconda articolazione denuncia violazione di legge processuale e mancanza di motivazione in relazione allo specifico onere motivazionale che grava sul giudice di appello in ipotesi di riforma totale della decisione di proscioglimento assunta in primo grado. Assume la difesa che manca il confronto rafforzato con la sentenza di prima cure, in grado di offrire una forza persuasiva superiore e in particolare di contrastare le argomentazioni sulla cui base era stata assunta la pronuncia assolutoria, sui modi e i tempi della somministrazione della terapia antibiotica, sulla plausibile epoca di insorgenza del fenomeno infettivo, sulla consapevolezza dei sanitari di dovere combattere una infezione in atto, sulla equivocità e contraddittorietà degli apporti testimoniali concernenti la condizione di abbandono della paziente, pure sostenuta da alcuni passaggi testimoniali. 4.3 Con un terzo motivo denuncia mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione, in relazione a vari aspetti decisivi dell'argomentazione logica della colpa degli imputati, i quali avevano formato oggetto di articolate e specifiche deduzioni ritualmente depositate dalla difesa degli imputati. In particolare evidenzia che il giudice di appello non aveva tenuto conto delle deduzioni difensive sulla attendibilità e sulla specificità dei contributi dichiarativi della teste A.K., la quale era stata invece utilizzata dal giudice di appello per riconoscere la sopravvenienza di infezione purulenta e di un sostanziale difetto di assistenza ospedaliero nel periodo dal OMISSIS al OMISSIS . Viene altresì segnalata la contraddittorietà di tale apporto dichiarativo rispetto a precedenti dichiarazioni dibattimentali rese in primo grado sul fatto che la paziente venisse sottoposta a visita medica quotidianamente. Lamenta altresì che il giudice di appello non avesse ritenuto di esaminare il personale infermieristico che, nell'istruzione dibattimentale in primo grado, aveva riconosciuto che la paziente era stata seguita ed assistita durante l'intero arco della degenza fino alle dimissioni effettive. 4.4 Evidenzia altresì la non corretta valutazione del teste CA. che aveva visitato la paziente in ingresso presso la OMISSIS in data OMISSIS assumendo che lo stesso non solo non aveva riscontrato un'infezione in atto il giorno di accettazione della paziente, ma aveva addirittura escluso che, a quella data, la paziente presentasse i sintomi di un'infezione acuta in corso, mentre il sospetto era stato formulato nel corso della successiva giornata OMISSIS , in presenza di secrezione purulenta che indusse il Dott. MA. a disporre un antibiogramma per approfondire il quadro clinico. Era pertanto corretto ritenere, come affermato dai giudici di primo grado, che sussisteva una situazione di incertezza sulla riconoscibilità dei segni di infezione durante la degenza presso l' OMISSIS . 4.5 Quanto alla sostenuta inadeguatezza dei presidi antibiotici somministrati, la difesa dei ricorrenti ritiene che il ragionamento della Corte non sia in linea con i criteri di valutazione della prova scientifica indicati dal giudice di legittimità, per non avere adeguatamente considerato, valutato e disatteso gli apporti tecnici introdotti dalle difese tecniche degli imputati. A tale proposito lamenta che neppure era stata esaminata ed acquisita la documentazione scientifica a sostegno delle opinioni espresse dai periti nel corso dell'istruttoria dibattimentale rinnovata, ma soprattutto non erano state considerate le argomentazioni scientifiche di senso opposto pure rassegnate dalla difesa degli imputati a mezzo di memoria difensiva, secondo le quali emergeva la dubbia sostenibilità della superiorità di un antibiotico rispetto ad un altro ai fini della profilassi peri operatoria, mentre risultava l'adeguatezza dei farmaci somministrati anche per debellare batteri gram-positivi e gli stessi agenti batterici come lo stafilococco aureo. 4.6 Si sostiene ancora che in sede di dimissioni era stata fornita la indicazione dell'obbligo di controllo della ferita dopo sette giorni, evenienza che non si era verificata e che una corretta profilassi non avrebbe comunque garantito una copertura sicura contro l'infezione che sarebbe comunque potuta sopravvenire, tenuto altresì conto che non c'era certezza sulla stessa natura del batterio infettante e della resistenza di questo alla profilassi riconosciuta come corretta dai periti. A tali elementi di contestazione, relativi alla ricorrenza di un addebito di colpa, introdotti nel corso del giudizio e con i motivi di appello, il giudice distrettuale aveva totalmente omesso di confrontarsi. 4.7 Con un ultimo motivo di ricorso lamenta vizio di mancanza di motivazione in relazione all'accertamento di correlazione causale tra la condotta attribuita agli imputati e la morte della persona offesa, riconosciuta dal giudice di appello sulla base di affermazione assertiva, fondata su una prognosi di risoluzione della infezione da stafilococco aureo con una terapia adeguata, laddove per stessa ammissione della decisione impugnata residuava una percentuale di mortalità dei pazienti infettati ritenuta dai periti pari al 30%, percentuale che nel caso in specie, secondo la stessa valutazione peritale, doveva ritenersi ben più elevata in considerazione dell'età e delle condizioni di salute di generale compromissione della persona offesa, tale comunque da porsi al di fuori da fattori probabilistici dotati di alta credibilità razionale. 5. Gli imputati D.G. e F.G. hanno proposto un ulteriore ricorso per cassazione enunciando plurimi motivi di ricorso. Con una prima articolazione deducono violazione di legge in particolare dell'art. 603 c.p.p., n. 3 bis per essere stata omessa la rinnovazione integrale dell'istruttoria dibattimentale a fronte di impugnazione dell'ufficio del Pm avverso sentenza assolutoria, in particolare non precedendo all'esame dei testi a difesa, dei consulenti tecnici di parte e l'esame degli imputati. Lamentano altresì il travisamento delle risultanze tecniche e processuali laddove il giudice di appello aveva fondato il proprio giudizio sulle conclusione dei periti pure in assenza della documentazione scientifica da questi richiamata, smentita dalle deduzioni dei consulenti tecnici di parte e sulla circostanza non vera che già in epoca antecedente al OMISSIS si fosse presentata la infezione da stafilocco. Si deduce altresì il difetto di motivazione laddove i giudici avevano riconosciuto che una terapia antibiotica contro lo stafilococco andasse somministrata già in fase preoperatoria e post operatoria senza conoscere i risultati dell'antibiogramma così da riconoscere l'appropriatezza di una illogica copertura preventiva, priva di necessità e di indicazione. In tale modo era stata tratta la affermazione della colpa dei sanitari in contrasto con le linee guida sulla copertura antibiotica in fase peri operatoria laddove le stesse riconoscono la necessità di somministrare una terapia antibiotica a largo spettro e non già mirata a prevenire possibili, ma del tutto ipotetiche, sopravvenienze di particolari batteri. Con ulteriore articolazione lamenta il vizio logico nell'avere il giudice di appello riconosciuto continuità eziologica tra la condotta dei sanitari dell' OMISSIS con quelle dei medici della OMISSIS , laddove il collegamento era fondato sul dato indimostrato che la comparsa di pus nella ferita operatoria fosse intervenuta già nel corso della degenza della C. presso l'ospedale laddove, all'atto del ricovero della donna presso la struttura di cura e di riabilitazione in data OMISSIS , il medico che aveva proceduto all'ammissione non aveva segnalato i segni evidenti di processo infettivo in atto. Assume che in ogni casa gli esiti dell'antibiogramma conosciuti solo in data OMISSIS avrebbero consentito di somministrare un trattamento antibiotico mirato e più aggressivo del batterio, tenuto conto che il decesso della paziente era intervenuto in data OMISSIS . La condanna era inoltre intervenuta in assenza di elementi indiziari convergenti in violazione del principio dell'oltre ogni ragionevole dubbio. Considerato in diritto 1. Certamente ricorre la inosservanza, denunciata con il primo motivo di ricorso, della regola processuale espressa dall'art. 603 c.p.p., comma 3 bis, come anticipata dalla giurisprudenza comunitaria e di legittimità concernente l'obbligo di rinnovazione della istruzione dibattimentale in ipotesi di ribaltamento di una pronuncia assolutoria. La Corte di Appello di Roma, nonostante abbia operato una reformatio in pejus non si è attenuta nè al c.d. obbligo di motivazione rafforzata, e sul punto deve trovare accoglimento la censura formulata con il secondo motivo di ricorso, nè a quello della rinnovazione delle prove dichiarative assunte in primo grado. Sul punto, sin dagli inizi degli anni 2000, la giurisprudenza di legittimità ha iniziato ad affermare il principio per il quale il giudice d'appello, che afferma la responsabilità dell'imputato prosciolto in primo grado, ha l'obbligo di delineare le linee portanti del proprio, alternativo, ragionamento probatorio e di confutare, specificamente i più rilevanti argomenti della motivazione della prima sentenza, dando conto delle ragioni della relativa incompletezza o incoerenza, tali da giustificare la riforma del provvedimento impugnato Sez. U., n. 33748 del 12/07/2005, Mannino, Rv. 231679 . 2. Si è poi precisato, prima con una decisione della Corte Europea dei Diritti dell'Uomo Dan c. Moldavia del 05/11/2011 e poi del Supremo Collegio Sez. U. n. 27620 del 28/04/2016, Dasgupta, Rv. 267487 Sez. U. n. 187620 del 19/01/17, Patalano, Rv. 269787 Sez. U., n. 14426 del 28/01/2019, Pavan, Rv. 275112 , che per adempiere correttamente al proprio onere di motivazione c.d. rafforzata, il giudice che pervenga ad una reformatio in pejus debba operare una nuova assunzione diretta dei testimoni nel giudizio di impugnazione allorchè da tale omissione derivi la violazione dell'art. 533 c.p.p. in relazione all'art. 603 c.p.p., come interpretato sulla base dell'art. 6, par. 3, lett. d CEDU, che assicura il diritto dell'imputato di esaminare o fare esaminare i testimoni a carico e ottenere la convocazione e l'esame dei testimoni a discarico . Il Supremo Collegio ha quindi affermato che il giudice di appello non può riformare la sentenza impugnata nel senso dell'affermazione della responsabilità penale dell'imputato senza aver proceduto, anche d'ufficio, a rinnovare l'istruzione dibattimentale attraverso l'esame dei soggetti che abbiano reso dichiarazioni su fatti del processo, ritenute decisive ai fini del giudizio di primo grado , indicando come decisive quelle prove che hanno determinato o anche soltanto contribuito a determinare un esito liberatorio, e che, pur in presenza di altre fonti probatorie di diversa natura, se espunte dal complesso del materiale probatorio, si rivelano potenzialmente idonee a incidere sull'esito del giudizio di appello, nell'alternativa proscioglimento-condanna Sez. U. n. 27620 del 28/04/2016, Dasgupta, Rv. 267487 . La ratio di tale esigenza risiede nell'esigenza di valorizzare il canone dell' oltre ogni ragionevole dubbio e pertanto, in mancanza di elementi sopravvenuti, l'eventuale rivisitazione in senso peggiorativo compiuta in appello deve essere sorretta da argomenti dirimenti e tali da evidenziare oggettive carenze o insufficienze della decisione assolutoria che deve, quindi, rivelarsi, a fronte di quella riformatrice, non più sostenibile, e neppure lasciare aperto lo spazio a un residuo dubbio sull'affermazione di colpevolezza. Ciò significa, come evidenziato nella sentenza Dasgupta, che per riformare un'assoluzione non basta una diversa valutazione di pari plausibilità rispetto alla lettura del primo giudice, occorrendo invece una forza persuasiva superiore , capace, appunto, di far cadere ogni ragionevole dubbio, perchè, mentre la condanna presuppone la certezza della colpevolezza, l'assoluzione non presuppone la certezza dell'innocenza, bensì la mera non certezza della colpevolezza Cass. S.U., n. 18620 del 19/01/2017, Patalano, Rv. 269786 . 3. Questa evoluzione giurisprudenziale ha trovato trasposizione normativa con l'introduzione, per effetto della L. 23 giugno, n. 103, art. 1, comma 58 c.d. Legge Orlando , dell'art. 603 c.p.p., comma 3bis a norma del quale nel caso di appello del pubblico ministero contro una sentenza di proscioglimento per motivi attinenti alla valutazione della prova dichiarativa, il giudice dispone la rinnovazione dell'istruzione dibattimentale . A nulla rileva poi che la questione qui al vaglio di legittimità inerisca i soli aspetti civilistici, essendo quelli penalistici assorbiti da una pronuncia di proscioglimento per essere il reato estinto per intervenuta prescrizione. Ebbene, deve rilevarsi al riguardo che, le stesse Sezioni Unite di questa Corte hanno ripetutamente riconosciuto detto obbligo anche nel caso de quo, affermando che il giudice di appello che riformi, ai soli fini civili, la sentenza assolutoria di primo grado sulla base di un diverso apprezzamento dell'attendibilità di una prova dichiarativa ritenuta decisiva, è comunque obbligato a rinnovare l'istruttoria dibattimentale, anche d'ufficio Sez. U. n. 27620 del 28/04/2016, Dasgupta, Rv. 267489 ribadita da Sez. U. n. 18620 del 19/01/2017, Patalano, Rv. 269787 e recentemente riaffermato da Sez. 5, n. 38082 del 04/04/2019, Clemente, Rv. 276933 . Nè osta a tale interpretazione il dettato normativo di cui all'art. 603 c.p.p., comma 3bis infatti, se è vero che tale norma non affronta il tema della rinnovazione delle prove ai soli fini civili, neanche detta una regola diversa per la situazione in cui la riforma discenda dall'impugnazione proposta dalla sola parte civile, nè si pone in antitesi rispetto al principio sancito dalle Sezioni Unite sul punto. Non può poi che condividersi l'argomentazione sostenuta da questa Corte per cui tale soluzione ermeneutica si appalesa, d'altronde, l'unica coerente sia con il dato sistematico - nella parte in cui prevede uno statuto probatorio unitario per l'accertamento nel processo penale della responsabilità penale e civile -, sia, e soprattutto, con il diritto di difesa presidiato dalla Carta Fondamentale e dal diritto convenzionale, che non può declinarsi in modo differenziato, con un conseguente diverso grado di tutela, a seconda se vengano in rilievo profili penali o meramente civili. A tale proposito appare illuminante l'argomentare delle Sezioni Unite nella già ricordata sentenza Dasgupta, là dove hanno rilevato come, anche in caso di rovesciamento della pronuncia di assoluzione di primo grado sollecitata nella prospettiva degli interessi civili a seguito di impugnazione della sola parte civile, entri in gioco la garanzia del giusto processo a favore dell'imputato coinvolto in un procedimento penale, dove i meccanismi e le regole sulla formazione della prova non subiscono distinzioni a seconda degli interessi in gioco, pur se di natura esclusivamente civilistica Sez. 6, n. 12215 del 12/02/2019, Caprara, Rv. 275167 sez.V, n. 32854 del 15.4.2019, Gatto Italo, Rv. 277000 . 4. Ebbene, a fronte del ricostruito quadro normativo e giurisprudenziale, deve rilevarsi come la Corte d'appello di Roma non abbia fatto buon governo degli enunciati principi essendosi limitata ad una rinnovazione parziale della istruttoria dibattimentale, avendo esaminato i soli testi M.F. parte civile nel giudizio ed A.K., moglie del primo, ed i periti nominati dal Tribunale Dott.ri Me.Al., D.C.D. e Mo.Pa., pretermettendo del tutto l'esame del personale infermieristico e pervenendo all'overturning sulla base delle precisazioni rese dai testi e dai periti di ufficio in assenza di alcun reale contraddittorio tecnico e senza l'assunzione in rinnovazione delle prove a difesa. Orbene l'assunzione di tale prova aveva rivestito carattere di decisività nella pronuncia di primo grado dato che il personale infermieristico, contrariamente a quanto sostenuto dai congiunti della C., aveva affermato che alla paziente, durante il periodo di ricovero presso l' OMISSIS - e quindi anche dopo le formali dimissioni - erano state garantite le regolari terapie farmacologiche, le visite giornaliere e la ordinaria assistenza infermieristica. Sulla scorta, quindi, anche delle dichiarazioni rese dal personale infermieristico esaminato, il tribunale di Cassino era giunto alla esclusione della penale responsabilità del personale sanitario del nosocomio ai sensi dell'art. 530 cpv c.p.p., ritenendo non esservi certezza circa la possibilità per il personale medico di individuare, e quindi trattare, l'infezione da stafilococco aureo con adeguata terapia antibiotica e che la paziente versasse nel periodo di ricovero in una condizione di carenza assistenziale. 4.1 A tale proposito è stato altresì affermato dal Supremo Collegio che, in relazione al carattere di decisività della prova che deve guidare l'opzione del giudice di appello nella rinnovazione del patrimonio istruttorio a fronte di sentenza assolutoria in primo grado impugnata, anche solo ai fini civili, lo stesso non deve limitarsi alle prove dichiarative ritenute inattendibili dal primo giudice, dovendola invece estendere a quelle diverse poste in relazione di collegamento e di interferenza sez.4, n. 5890 del 21.12.2018, M., Rv.275119 con quella da sottoporre a verifica. Nel caso in esame appare evidente l'intima correlazione esistente tra le dichiarazioni rinnovate dei prossimi congiunti della persona offesa, i quali hanno ribadito che la donna versava in condizioni di carente assistenza presso il nosocomio di OMISSIS , pure manifestando i segni di una infezione in atto, rispetto al patrimonio dichiarativo degli infermieri del suddetto Ospedale che hanno variamente contrastato le affermazioni dei prossimi congiunti della paziente. La rinnovazione delle testimonianze degli infermieri era poi opzione tanto più necessaria, quanto il giudice di appello abbia ritenuto di dubitare della attendibilità delle dichiarazioni degli infermieri versate nel corso dell'istruttoria dibattimentale, trattandosi invero di contributo valutato dal giudice di prima cure a fondamento di un giudizio assolutorio basato sulla contraddittorietà ed insufficienza della prova della responsabilità dei sanitari ricorrenti. 5. Parimenti errata ed inosservante del codice di rito è la rinnovazione del contributo dichiarativo dei periti di ufficio, assunti fin dalla fase della udienza preliminare e successivamente sviluppato in forma collegiale dal giudice di prima cure, in mancanza del contributo delle difese tecniche degli imputati. Invero sul contributo dichiarativo dei consulenti di ufficio è stata impostata la trama argomentativa della decisione che ha riformato la sentenza assolutoria pronunciata dal primo giudice, laddove il giudice di prima cure, sulla base dell'esame nel contraddittorio del collegio peritale e dei consulenti tecnici di parte aveva concluso che mancava la prova, oltre ogni ragionevole dubbio, che gli imputati avessero acquisito adeguata conoscenza della ricorrenza di una infezione nosocomiale in atto a carico della paziente, sopravvenuta al trattamento chirurgico nel corso della degenza ospedaliera. Avendo sempre come stella polare la decisione n. 27620 del 2016 Dasgupta, Rv. 267491 ci si è interrogati se le perizie e le consulenze tecniche, essendo prove scientifiche, potessero essere assoggettate alla disciplina delle prove dichiarative e pertanto se anche per queste fosse necessaria la rinnovazione dibattimentale in caso di overturning accusatorio. 5.1 Secondo parte della giurisprudenza tale assimilazione è necessaria ed imprescindibile e, pertanto, la funzione svolta dal perito nel processo e l'acquisizione dei risultati a cui l'esperto è giunto nello svolgimento dell'incarico peritale - ossia l'esame in dibattimento secondo le disposizioni sull'esame dei testimoni cfr. art. 501 c.p.p. - impongono che la rivalutazione della prova sia preceduta dal riascolto dello stesso Sez. IV, 27.4.2018, Anello e altri, Rv.273872-01 28.2.2018, D'angelo, Rv.273908-01 Sez. 5, n. 6754 del 7.10.2014, Rv 262722 . In seno a tale orientamento giurisprudenziale si è sostenuto che si tratta di un principio volto ad impedire che il giudice che operi la reformatio in pejus introduca una diversa lettura delle conclusioni del perito e/o del consulente di parte, in assenza di un nuovo momento processuale di confronto ed analisi, momento che si ritiene indispensabile nel rovesciamento dell'esito assolutorio anche al fine di assicurare che il superamento del ragionevole dubbio, trovi una sua concreta giustificazione nell'imprescindibile principio dell'immediatezza del contraddittorio Sez. IV, 27.4.2018, Anello e altri, Rv.273872-01 . Questo Collegio ritiene corrette le conclusioni di questo orientamento in quanto la mancata integrale rinnovazione del momento di confronto tra le contrapposte sollecitazioni dei consulenti tecnici a fronte dell'integrale recepimento dei contributi offerti da una singola voce dei periti, si porrebbe in violazione del principio del giusto processo sancito dall'art. 6 CEDU che, per come interpretato dalla giurisprudenza della stessa Corte di Strasburgo, ingloba in sè anche i principi del contraddittorio, dell'oralità e dell'immediatezza nella essenziale e decisiva fase del contraddittorio tecnico sugli esiti peritali soprattutto quando, come nel caso in specie, l'assunzione del mezzo tecnico sia dipeso proprio dalla esigenza di dirimere i dubbi, pure prospettati dal giudice di prima cure su profili causali della condotta omissiva contestata ai prevenuti, nonchè in relazione all'addebitabilità soggettiva delle omissioni. 5.2 Tale conclusione trova poi avallo nella recente decisione delle Sezioni Unite che, chiamate a decidere sulla possibile assimilazione della dichiarazione del perito a quella del testimone e conseguentemente alla necessaria rinnovazione dibattimentale, ha risposto in maniera affermativa sez.U, n. 14426 del 28 gennaio 2019, Pavan, Rv. 275112 - 01-02 in relazione al contributo dichiarativo del consulente reso nel contraddittorio. 6. Appare quindi evidente il duplice vizio processuale e logico in cui è incorso il giudice distrettuale il quale non si è confrontato con le argomentazioni del giudice di prime cure, limitandosi a sostenere una propria alternativa ricostruzione dell'evoluzione patologica della ferita conseguita a trattamento chirurgico, bypassando i contributi tecnici offerti dalla difesa degli imputati, non ottemperando all'onere di una motivazione rafforzata, dotata di una forza persuasiva autonoma e superiore in grado di sostituirsi al ragionamento logico giuridico del giudice di primo grado, ed avendo del tutto pretermesso la rinnovazione delle prove, rientranti nella nozione di dichiarazioni decisive , rese da taluni testimoni di fronte al Tribunale di Cassino, violando pertanto una regola fondamentale posta a presidio del giusto processo, codificata all'art. 603 c.p.p., comma 3 bis sotto la comminatoria della sanzione della nullità a regime intermedio sindacabile dinanzi al giudice di legittimità sez. U, n. 14426 del 27.1.2019, Pavan, Rv.275112 -03 . 7. Peraltro i vizi della sentenza impugnata non si arrestano a profili di nullità processuale che ha dato origine ad una trama argomentativa priva della valutazione di apporti dichiarativi decisivi, pure in una prospettiva di ribaltamento di una pronuncia assolutoria, e a un deficit di organicità e compiutezza strutturale di una motivazione che opera una ricostruzione storica e prognostica del decorso ospedaliero della paziente in acritica disarmonia rispetto a quanto sostenuto dal primo giudice, ma attengono anche alla logicità e alla non contraddittorietà del tessuto argomentativo della pronuncia, coerentemente a quanto rappresentato nei motivi di ricorso. 7.1 Il giudice distrettuale individua nelle condotte dei medici ricorrenti un duplice profilo di colpa consistente da un lato nell'omesso controllo e nella inidonea assistenza prestata alla paziente e, dall'altro, ad una errata profilassi antibatterica. Sotto il primo aspetto, presupponendo che, come affermato dai periti, l'infezione si fosse sviluppata nel periodo di degenza presso il nosocomio cassinate in ragione dello stato di avanzamento manifestato già al momento del ricovero presso la casa di cura, ad avviso del giudicante i medici dell'Ospedale avrebbero potuto avere contezza dell'infezione in atto, conclusione questa che trovava conforto nelle dichiarazioni della teste A., moglie del figlio della vittima, che dichiarava esservi del pus nella ferita. In relazione a tale aspetto che attiene all'elemento soggettivo del reato è bene ricordare che qualora si verifichi un evento lesivo e venga accertata l'estraneità di una volontà di offesa, occorre verificare che l'azione o l'omissione che ha cagionato il danno rappresenti la violazione di una precisa regola cautelare, generica o specifica che sia, regola posta a presidio del bene leso secondo i principi elaborati intorno all'art. 43 c.p. . Nell'ipotesi specifica della responsabilità medica, quindi, non basta appurare la titolarità della sfera di garanzia del rischio in capo al medico che aveva in cura il paziente poi deceduto per poterne dedurre la responsabilità dello stesso, ma è necessario accertare se, nel caso concreto, fosse richiesto un determinato comportamento che, ove tenuto, avrebbe evitato l'evento pregiudizievole. L'accertamento, quindi, della ricorrenza di una condotta inosservante della regola cautelare causalmente efficiente rispetto all'evento è un momento centrale dell'indagine sulla responsabilità per fatto colposo. Nel caso di specie l'identificazione della condotta colposa non può dirsi univoca la motivazione sul punto, infatti, è contraddittoria e lacunosa, inadeguata a rappresentare l'attribuibilità soggettiva della condotta colposa che presuppone la rimproverabilità, nella specie, di una condotta omissiva e inerte a fronte dell'insorgenza del male. 7.2 Nella vicenda in esame la Corte di appello ha infatti rimproverato ai sanitari una condotta negligente per non essersi accorti dell'infezione in atto, nonostante la stessa fosse in atto, e di non avere pertanto prescritto una terapia adeguata alla origine della infezione. A tali conclusioni il giudice distrettuale addiviene sulla base della mancanza di cartella clinica e dei fogli infermieristici e dalle dichiarazioni della teste A Tali elementi, però, non sono da soli idonei a fondare alcun rimprovero di colpa premesso che, come anche ritenuto in ricorso, non può desumersi dalla mera mancanza di documentazione sanitaria la conclusione della assenza di controlli, il giudice pretermette del tutto di confrontare le dichiarazioni della teste A., riassunta in giudizio - e comunque intrinsecamente contraddittorie nella parte in cui conferma che le visite quotidiane venivano eseguite - con quelle rese dagli infermieri nel dibattimento di primo grado. Invero come sopra precisato le dichiarazioni rese dagli infermieri si pongono in termini del tutto contrastanti rispetto a quelle della teste escussa, della quale era stata disposta la rinnovazione istruttoria anche in secondo grado, laddove riconoscevano che, nonostante le formali dimissioni, l'assistenza alla paziente non aveva subito sostanziali variazioni. Ebbene la mancanza di documentazione clinica e la perdurante ricorrenza di esiti dichiarativi contrastanti sulla tempestività e sulla completezza dell'assistenza sanitaria prestata alla C. nei giorni immediatamente successivi al trattamento chirurgico e sull'epoca di insorgenza di evidenze settiche nosocomiali, non potevano consentire al giudice di affermare, al di là di ogni ragionevole dubbio, che i medici avessero tenuto la condotta omissiva addebitata soprattutto in mancanza di alcun profilo di critica, da parte del giudice della impugnazione sull'attendibilità di quanto affermato dal personale infermieristico, che costituiva uno degli estremi del contrasto. 8. Per quanto attiene poi al secondo profilo inerente la corretta somministrazione dei farmaci, la Corte pretermette del tutto di esaminare, o quanto meno di dare atto, delle contrapposte tesi sostenute dai consulenti della difesa. Vero che il giudice, sulla base del principio del libero convincimento, può ritenere meritevole di accoglimento una tesi piuttosto che un'altra, ma è necessario che lo stesso dia congrua ragione della scelta e dimostri di essersi soffermato sulla tesi o sulle tesi che ha ritenuto di non condividere. Ed infatti, se da una parte non rappresenta vizio di motivazione di per sè l'omesso esame critico di ogni più minuto passaggio della perizia o della consulenza , dall'altra tale vizio è integrato allorquando il giudice non enunci, in maniera adeguata e logica, gli argomenti che si sono resi determinanti per la formazione del suo convincimento Sez. 4, n. 15493 del 10/03/2016, B., Rv. 266787 Sez. 4, n. 692 del 14/11/2013, Russo, Rv. 258127 nel caso in esame alcuna enunciazione di tale genere è stata fatta e pertanto può ritenersi integrata la violazione motivazionale. 9. Se già sotto questo aspetto si concretizza una patente violazione delle basilari regole del diritto penale sull'accertamento in concreto della colpa, gravi e non emendabili errori logico-giuridici si sommano nella motivazione della sentenza impugnata con riferimento all'accertamento del nesso di causalità. La Corte romana, sulla scorta della ritenuta colpa degli imputati, afferma che l'intervento medico tempestivo avrebbe certamente impedito l'aggravarsi delle condizioni della paziente che portavano poi la stessa al decesso . E' oramai principio consolidato quello per il quale in tema di nesso causale nei reati omissivi impropri lo statuto logico del rapporto di causalità rimane sempre quello del condizionale controfattuale, la cui formula dovrà rispondere al quesito se, mentalmente eliminato il mancato compimento dell'azione doverosa e sostituito alla componente statica un ipotetico processo dinamico corrispondente al comportamento doveroso, supposto come realizzato, il singolo evento lesivo, hic et nunc verificatosi, sarebbe, o non, venuto meno, mediante un enunciato esplicativo coperto dal sapere scientifico del tempo Sez. U, n. 30328 del 10/07/2002, Franzese, Rv. 222138 . E' poi ulteriormente precisato, in tema di colpa medica, che il rapporto di causalità tra omissione ed evento non può ritenersi sussistente sulla base del solo coefficiente di probabilità statistica, ma deve essere verificato alla stregua di un giudizio di alta probabilità logica, che a sua volta deve essere fondato, oltre che su un ragionamento di deduzione logica basato sulle generalizzazioni scientifiche, anche su un giudizio di tipo induttivo elaborato sull'analisi della caratterizzazione del fatto storico e sulle particolarità del caso concreto Sez. 4, n. 49707 del 04/11/2014, Incorvaia, Rv. 263284 . Fondamentale è quindi preliminarmente la ricostruzione degli anelli determinanti la sequenza eziologia dato che, solo in presenza dell'individuazione di tutti gli elementi rilevanti in ordine alle ragioni dell'evento, è possibile analizzare la condotta omissiva colposa addebitata al sanitario per effettuare il giudizio controfattuale, avvalendosi delle leggi scientifiche e/o delle massime di esperienza che si attaglino al caso concreto Sez. 4 n. 25233 del 25/05/2005, Lucarelli, Rv. 232013 Sez. 4 n. 26568 del 15/03/2019, Dionisi, Rv. 276340 . 9.1 La sentenza impugnata non delinea in maniera chiara ed univoca il collegamento tra la condotta dei medici e la morte della paziente. In particolare, rifugiandosi nell'espressione l'intervento medico tempestivo avrebbe certamente impedito l'aggravarsi delle condizioni della paziente che portano poi la stessa al decesso di fatto nulla introduce sulla effettiva portata salvifica del ritenuto comportamento alternativo lecito. Deve constatarsi come la mancanza di individuazione della fonte del fattore patogeno - non essendo stato indicato in sentenza se il processo infettivo fosse dovuto alla ferita chirurgica ovvero alla piaga da decubito e della stessa natura dell'agente settico che si assume trattarsi di stafilococco aureo si pone infatti come impeditiva nella ricostruzione del nesso causale l'accertamento di tale elemento, infatti, costituisce la base fattuale necessaria per muovere una corretta valutazione della condotta dei medici. In altre parole il mancato accertamento della causa dello sviluppo della infezione da stafilococco aureo nosocomiale rende impossibile procedere al giudizio controfattuale e quindi all'accertamento che, ipotizzandosi come realizzata la condotta doverosa impeditiva dell'evento hic et nunc , questo non si sarebbe verificato. 9.2 Inoltre, anche qualora si volesse ritenere che la causa prima dell'evento fosse stata individuata - e così non è stato - la sentenza presta il fianco ad un'ulteriore critica, non avendo dato alcun conto della concreta capacità salvifica dell'intervento medico in termini di alta probabilità logica o credibilità razionale, pretermettendo del tutto l'indicazione degli elementi fattuali individualizzanti della fattispecie, tra cui l'età della signora, le pregresse patologie, la sua immunodepressione ecc., che avrebbero permesso di effettuare correttamente - e concretamente - il giudizio controfattuale per verificare se, ipotizzandosi come realizzata la condotta dovuta, l'evento lesivo sarebbe stato evitato al di là di ogni ragionevole dubbio. 10. Alla luce delle carenze sopra evidenziate, tanto di rilievo processuale con effetti sulla completezza della prova acquisita, tanto di rilievo sostanziale che si traducono in una motivazione priva di una forza persuasiva idonea a sorreggere l'affermazione di responsabilità degli imputati oltre ogni ragionevole dubbio, tenuto altresì conto di rilevanti lacune nel ragionamento logico giuridico del tessuto motivazionale, si impone pronuncia di annullamento senza rinvio, atteso che, pure incompletamente rinnovate, persiste la carenza e la insufficienza probatoria già rilevate storicamente dal primo giudice sez. Un., 30.3.2003, n. 45276, Andreotti, Rv. 226100 sez. II, 18.10.2016, n. 1673 in proc. PG Milano contro Confalonieri e altri e non ulteriormente emendabile nella specie attraverso il giudizio di rinvio, stante l'inconsistenza degli argomenti utilizzati dalla Corte di Appello volti a superare le carenze probatorie sopra evidenziate. 10.1 L'accertamento di tali carenze della sentenza impugnata, che attengono anche a profili di coerenza e logica motivazionale, non consentono peraltro di estendere l'annullamento ai capi della sentenza che concernono la responsabilità penale degli imputati, in assenza di una impugnazione che palesi la volontà dei ricorrenti di aggredire la statuizione che dichiara la prescrizione del reato, atteso che le garanzie del giusto processo e il principio del favor rei che giustificano la prosecuzione del giudizio in sede di rinvio dinanzi al giudice penale trovano un limite nella sentenza di proscioglimento degli imputati per estinzione del reato sez.U, 28.5.2009, Tettamanti Rv.244275-01 che determina la separazione del piano dell'accertamento della responsabilità penale da quello della definizione delle questioni civili, laddove il giudice di rinvio sarebbe comunque tenuto a definire il giudizio con sentenza dichiarativa della causa di estinzione. Secondo sez.U, Sciortino, cit. pag.12 invero anche nella ipotesi in cui il ricorrente intenda formalmente sottoporre al giudice di legittimità, di riflesso, anche il capo penale, le conseguenze non sarebbero diverse, posto che il ricorso, su questo aspetto, dovrebbe essere ritenuto inammissibile in virtù del principio, in particolare affermato dalla sentenza Tettamanti secondo cui in presenza dell'accertamento di una causa di estinzione del reato da parte del giudice di merito , non sono deducibili in sede di legittimità vizi di motivazione che investano il merito della responsabilità penale. 10.2 Invero non può consentirsi la riapertura del tema penale solo in ragione dei possibili effetti di una rivisitazione dell'accertamento concernente la responsabilità civile laddove, sul versante delle aspettative dell'imputato, l'attuazione dell'interesse ad un pieno accertamento, anche ai fini civili della sua innocenza, è garantito dalla rinuncia alla prescrizione prevista dall'art. 157 c.p.p., comma 7 o comunque da una situazione di evidenza da parte del giudice del merito, della causa di proscioglimento ai sensi dell'art. 129 c.p.p., comma 2 che nella specie è mancato. 11. Si impone conclusivamente l'annullamento senza rinvio della sentenza impugnata limitatamente agli effetti civili della pronuncia. P.Q.M. Annulla senza rinvio agli effetti civili la sentenza impugnata.