Mutamento nel tempo della condizione di procedibilità del reato per cui è intervenuta la sentenza di applicazione della pena

L’intervenuto mutamento della condizione di procedibilità del reato non può assimilarsi al concetto di nuova prova” rilevante ai sensi dell’art. 630, comma 1, lett. c , c.p.p. per una richiesta di revisione di sentenza la cui irrevocabilità sia intervenuta prima dell’intervenuta modifica normativa.

Questo è il principio espresso dalla Corte di Cassazione con sentenza n. 14987/20, depositata il 13 maggio. La Corte d’Appello dichiarava inammissibile la richiesta di revisione della sentenza di applicazione della pena pronunciata dal GIP nei confronti dell’imputato. Con richiesta ex art. 633 c.p.p., la difesa dell'imputato formulava istanza di revisione della citata sentenza limitatamente al reato di appropriazione indebita osservando che, per effetto del disposto dell'art. 10, d.lgs n. 36/2018, il reato di cui all’art. 646 c.p., è divenuto procedibile esclusivamente a querela di parte che, nel caso in esame, non risulta essere mai stata presentata. Così, dopo la dichiarazione di inammissibilità della predetta richiesta, l'imputato ricorre in Cassazione sostenendo che il mutamento nel tempo della condizione di procedibilità relativamente al reato per cui è intervenuta la sentenza di applicazione della pena appropriazione indebita può essere considerato nuova prova” idonea a provocare una revisione della sentenza impugnata. La questione dunque riguarda il caso di una sentenza di applicazione della pena relativa ad un reato procedibile d’ufficio sia al momento della sua consumazione sia all’epoca della pronuncia della sentenza e che, solo in fase successiva al passaggio in giudicato della sentenza stessa, per effetto di una riforma normativa, è divenuto procedibile a querela di parte che non risulta essere stata mai presentata. Deve, innanzitutto, sottolinearsi come l’istituto della revisione è un mezzo di impugnazione straordinario che può essere esperito esclusivamente nei casi tassativamente indicati dalla legge. E nel caso in esame,l’unica ipotesi di revisione che può essere presa in considerazione è quella di cui alla lett. c , dell’art. 630 c.p.p., che consente appunto la revisione della sentenza se dopo la condanna sono sopravvenute o si scoprono nuove prove che, sole o unite a quelle già valutate, dimostrano che il condannato deve essere prosciolto a norma dell’art. 631 . Sul punto i Giudici di legittimità rilevano che in assenza di una norma transitoria del d.lgs. n. 36/2018 che abbia regolato situazioni come quella in oggetto, l’intervenuto mutamento della condizione di procedibilità del reato non può assimilarsi al concetto di nuova prova ” rilevante ai sensi dell’art. 630, comma 1, lett. c , c.p.p. per una richiesta di revisione di sentenza la cui irrevocabilità sia intervenuta prima dell’intervenuta modifica normativa inoltre, vista la natura mista dell’istituto della querela sostanziale e processuale , occorre applicare l’art. 2, comma 4, c.p. in virtù del quale se la legge del tempo in cui fu commesso il reato e le posteriori sono diverse, si applica quella le cui disposizioni sono più favorevoli al reo , tenendo sempre conto che nella fattispecie in esame opera quanto contenuto nella medesima norma salvo che sia stata pronunciata sentenza irrevocabile . Da qui il rigetto del ricorso.

Corte di Cassazione, sez. II Penale, sentenza 9 gennaio 219 – 13 maggio 2020, n. 14987 Presidente Cervadoro – Relatore Alma Ritenuto in fatto 1. Con ordinanza in data 4 settembre 2019, la Corte di appello di Brescia ha dichiarato inammissibile la richiesta di revisione della sentenza n. 196/2017 di applicazione della pena pronunciata dal Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Milano nei confronti di P.F.V.L. in data 26 gennaio 2017 irrevocabile dal 15 febbraio 2017 . Il Giudice per le indagini preliminari aveva, infatti, accolto la richiesta ex art. 444 c.p.p., applicando al P. la pena condizionalmente sospesa di anni uno di reclusione in relazione ai reati di cui agli artt. 110 e 81 cpv. c.p., e D.Lgs. n. 74 del 2000, art. 2, e art. 81 cpv. c.p., art. 112 c.p., n. 1, art. 646 c.p., art. 61 c.p., n. 11. Con richiesta ex art. 633 c.p.p., la difesa del P. formulava istanza di revisione della citata sentenza limitatamente al reato di appropriazione indebita osservando che, per effetto del disposto del D.Lgs. n. 36 del 2018, art. 10, il reato di cui all’art. 646 c.p., è divenuto procedibile esclusivamente a querela di parte che, nel caso in esame, non risulta essere mai stata presentata. La Corte di appello ha dichiarato ex art. 634 c.p.p., l’inammissibilità della predetta richiesta di revisione evidenziando a una carenza di prova documentale circa il fatto che non sia stata presentata querela nel separato processo contro altri imputati che si sta svolgendo nelle forme del rito ordinario b che, comunque, non ci si trova in presenza di uno dei casi per i quali è prevista la revisione della sentenza ex art. 630 c.p.p 2. Ricorre per Cassazione avverso il predetto provvedimento il difensore del condannato, deducendo 2.1. Vizi di motivazione ex art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e in relazione all’art. 630 c.p.p., comma 1, lett. c . Rileva la difesa del ricorrente che il mutamento nel tempo della condizione di procedibilità relativamente al reato per il quale è intervenuta la sentenza di applicazione della pena può ben essere considerato nuova prova idonea a provocare una revisione della sentenza impugnata. La Corte di appello si sarebbe, invece, profusa nel motivare circa la natura giuridica della querela per poi erroneamente affermare che tutte le questioni relative al mutamento della disciplina circa la procedibilità del reato contestato al P. in origine procedibile d’ufficio per effetto della contestata circostanza aggravante di cui all’art. 61 c.p., n. 11 debbono essere fatte rientrare nella disciplina dell’art. 2 c.p., e non possono essere oggetto di una richiesta di revisione. Richiama, al riguardo, la difesa del ricorrente una pronuncia di questa Corte di legittimità Sez. 4 n. 17170 del 05/04/2017 che avrebbe affermato che la questione della procedibilità del reato debba entrare a pieno titolo nella nozione di nuova prova in tal modo da legittimare una richiesta di revisione della sentenza. 2.2. Violazione di legge ex art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b , per avere la Corte di appello di Brescia ritenuto insufficiente a dimostrare appieno la mancata presentazione della querela da parte della persona offesa Publitalia 80 la sola allegazione da parte del ricorrente del verbale di udienza del 10 settembre 2018 innanzi al Tribunale di Milano nel procedimento ordinario nei confronti dei coimputati, così di fatto richiedendo la presentazione di una prova negativa. In ogni caso, la difesa del ricorrente ha allegato al ricorso che qui ci occupa le dichiarazioni rilasciate dal difensore di Publitalia 80 S.p.a. in data 23 settembre 2019 e dal legale rappresentante della predetta società senza data nelle quali si attesta che la querela non è stata presentata nel processo ancora pendente nei confronti degli originari coimputati. Considerato in diritto 1. Il ricorso non è fondato. La questione sottoposta all’attenzione di questa Corte riguarda, come visto, il caso di una sentenza di applicazione della pena relativa ad un reato procedibile d’ufficio sia al momento della sua consumazione che all’epoca della pronuncia della sentenza e che, solo in epoca successiva al passaggio in giudicato della sentenza stessa, per effetto di una riforma normativa, è divenuto procedibile a querela di parte che non risulta essere stata mai presentata. Deve, innanzitutto, essere evidenziato che in un caso come quello in esame non può devolversi la decisione al giudice dell’esecuzione ex art. 673 c.p.p., non vertendosi in ipotesi di abolizione del reato o di dichiarazione di incostituzionalità della norma incriminatrice avendo già chiarito questa Corte che è . da escludere che la sopravvenienza della procedibilità a querela e, ancor prima, la procedura finalizzata all’eventuale accertamento della improcedibilità per mancanza di querela . possano essere ritenute idonee ad operare come una ipotesi di abolitio criminis , ciò in quanto . la sopravvenuta eventualità della improcedibilità, dovuta all’abbandono del regime di perseguimento di ufficio del reato, non opera infatti come ipotesi abrogativa la quale è destinata ad essere rilevata anche in sede esecutiva mediante la revoca della sentenza ai sensi dell’art. 673 c.p.p., con l’ulteriore espressa conseguenza che è invero da escludere che il giudice dell’esecuzione possa revocare la condanna rilevando la mancata integrazione del presupposto di procedibilità Sez. U, n. 40150 del 21/06/2018, Salatino, Rv. 273552, in motivazione . Pacifico è, poi, il fatto che l’istituto della revisione è un mezzo di impugnazione straordinario che può essere esperito esclusivamente nei casi tassativamente indicati dalla legge. Nella situazione qui in esame l’unica ipotesi di revisione che può essere presa in considerazione è, poi, quella di cui alla lett. c , dell’art. 630 c.p.p., che consente la revisione della sentenza se dopo la condanna sono sopravvenute o si scoprono nuove prove che, sole o unite a quelle già valutate, dimostrano che il condannato deve essere prosciolto a norma dell’art. 631 . Da qui la necessità di chiarire se la riforma normativa che ha portato al cambio della condizione di procedibilità del reato per il quale è intervenuta la pronuncia di condanna può essere considerata nuova prova . A tale quesito deve darsi risposta negativa. Questa Corte di legittimità in tempi remoti ha osservato che In materia di revisione l’art. 631 c.p.p., prescrive che gli elementi in base ai quali essa viene richiesta siano tali da dimostrare, se accertati, che il condannato deve essere prosciolto a norma degli artt. 529, 530 e 531. Pertanto, è ammissibile la domanda di revisione quando l’estinzione dei reati per effetto di remissione di querela art. 531 c.p.p. interviene dopo la pronuncia della sentenza, ma prima del suo passaggio in giudicato, a nulla rilevando che l’imputato potesse far valere l’estinzione attraverso l’appello Sez. 5, n. 3764 del 28/02/1995, Lazzeri, Rv. 201059 . Tuttavia, detta pronuncia non è in termini con la questione che in questa sede ci occupa atteso che non solo ha limitato la possibilità di revisione al diverso caso della remissione della querela ma anche al fatto che detta remissione sia avvenuta prima del passaggio in giudicato della sentenza. Si trattava, in sostanza, di una prova sopravvenuta quella della avvenuta remissione della querela che non era stata presa in considerazione dal Giudice prima del passaggio in giudicato della sentenza. La difesa del ricorrente richiama, invece, altra e più recente sentenza di questa Corte di legittimità la cui massima così recita In tema di revisione, rientra nella nozione di prova nuova la rilevazione della mancanza della condizione di procedibilità del reato per cui è stata emessa sentenza di condanna, in quanto, ai sensi e per gli effetti dell’art. 630 c.p.p., comma 1, lett. c , devono considerarsi tali sia le prove preesistenti, non acquisite nel precedente giudizio, sia quelle già acquisite, ma non valutate neanche implicitamente, purché non si tratti di prove dichiarate inammissibili o ritenute superflue dal giudice Sez. 4, n. 17170 del 31/01/2017, M., Rv. 269826 . Tuttavia, anche detta decisione riguarda un caso differente da quello che in questa sede ci occupa. Infatti, il caso che ha portato alla pronuncia di quest’ultima sentenza concerneva una questione relativa alla procedibilità di un reato di violenza sessuale per il quale la necessità di presentazione della querela era legata all’età della vittima e la prova nuova ex art. 630 c.p.p., comma 1, lett. c , riguardava quindi non l’esistenza o meno di una querela, quanto piuttosto l’accertamento dell’età della persona offesa con i successivi conseguenti effetti sulla condizione di procedibilità dell’azione penale. È d’uopo osservare che in entrambi i casi sopra citati ed affrontati dalla questa Corte di legittimità la legge già prevedeva che ricorrendo certe condizioni se del caso oggetto di prova di nuova scoperta i fatti-reato erano procedibili a querela di parte, situazione radicalmente diversa da quella qui in esame che riguarda invece un mutamento della condizione di procedibilità del reato derivante da una mera modifica normativa intervenuta successivamente al passaggio in giudicato della sentenza della quale si chiede la revisione, modifica normativa di certo non assimilabile al concetto di prova nuova . A ciò si aggiunge il rilievo che - fermo restando l’oramai consolidato principio dottrinale e giurisprudenziale della natura mista, sostanziale e processuale, della procedibilità a querela cfr. ex ceteris Sez. 2, n. 225 del 08/11/2018, dep. 2019, Mohammad Razzaq, Rv. 274734 - questa Corte di legittimità, proprio occupandosi di un caso di contestazione del reato di appropriazione indebita aggravata ex art. 61 c.p., n. 11, ha sì ritenuto che di tale modifica normativa favorevole per l’imputato deve tenersi conto ma ciò solo nei procedimenti ancora pendenti e pur sempre nell’ottica dell’art. 2 c.p. cfr. Sez. 2, n. 21700 del 17/04/2019, Sibio, Rv. 276651 . È stato così ribadito il principio secondo cui il problema dell’applicabilità dell’art. 2 c.p., in caso di mutamento nel tempo del regime della procedibilità a querela, va positivamente risolto alla luce della natura mista, sostanziale e processuale, di tale istituto, che costituisce nel contempo condizione di procedibilità e di punibilità. Infatti, il principio dell’applicazione della norma più favorevole al reo opera non soltanto al fine di individuare la norma di diritto sostanziale applicabile al caso concreto, ma anche in ordine al regime della procedibilità che inerisce alla fattispecie dato che è inscindibilmente legata al fatto come qualificato dal diritto cfr. Sez. 3, n. 2733 del 08/07/1997, Rv. 209188 . In linea con l’indicato orientamento si inserisce la pronuncia di questa Corte di legittimità nel suo massimo consesso Sez. U, n. 40150 del 21/06/2018, Salatino, Rv. 273552, cit. nella quale si è avuto modo di precisare come la giurisprudenza, piuttosto, non dissimilmente, in questo, dalla dottrina, ha accreditato la querela come istituto da assimilare a quelli che entrano a comporre il quadro per la determinazione dell’an e del quomodo di applicazione del precetto, ai sensi dell’art. 2 c.p., comma 4 v., in tema di procedibilità d’ufficio per i reati di violenza sessuale, Sez. 5, n. 44390 del 08/06/2015, R., Rv. 265999 e Sez. 3, n. 2733 del 08/07/1997, Frualdo, Rv. 209188 in tema di procedibilità a querela introdotta per il reato di cui all’art. 642 c.p., Sez. 2, n. 40399 del 24/09/2008, Calabrò, Rv. 241862 , giungendo per via interpretativa, quando non vi ha provveduto il legislatore con una specifica norma transitoria, alla conclusione della applicazione retroattiva dei soli mutamenti favorevoli sostituzione del regime della procedibilità di ufficio con quello della procedibilità a querela senza però che possa valere la regola della cedevolezza del giudicato . Non osta a tale conclusione neppure il principio enunciato dalla sentenza Sez. U, n. 24246 del 25/02/2004, Chiasserini, Rv. 227681, incentrata sulla remissione di querela che sia intervenuta in pendenza del ricorso per cassazione e sia stata ritualmente accettata in relazione ad essa ha affermato che, l’estinzione del reato, prevale su eventuali cause di inammissibilità e va rilevata e dichiarata dal giudice di legittimità, sempre che il ricorso sia stato tempestivamente proposto. Detta affermazione prende, infatti, le mosse da un inquadramento della remissione della querela non tanto come istituto sostanziale e per questo assimilabile alle altre cause di estinzione del reato, quanto piuttosto in ragione della sua capacità di differenziarsi dalle dette altre cause di estinzione per la caratteristica che essa presenta non solo di estinguere il diritto punitivo dello Stato, ma di paralizzare la perseguibilità stessa del reato con la conseguenza della massima estensione da attribuire al termine ultimo per la sua rilevazione, secondo il disposto dell’art. 152 c.p., comma 3, e cioè fino alla condanna irrevocabile in senso formale . La stessa sentenza Chiasserini non ha mancato però anche di rilevare che in caso non di remissione, ma di mancanza di una condizione di procedibilità, la problematica appare davvero non coincidente non fosse altro, aggiungono Sezioni Unite Salatino, perché il tempo per la relativa rilevazione, sia secondo il disposto dell’art. 129 c.p.p., comma 1, sia secondo quello dell’art. 609 c.p.p., comma 2, per l’esercizio dei poteri officiosi, sia, soprattutto, secondo la norma transitoria della D.Lgs. n. 36 del 2018, art. 12, è, per la rilevazione tanto della mancanza originaria quanto di quella sopravvenuta, quello della pendenza di un processo al punto che la questione è preclusa dalla presentazione di ricorso inammissibile che deve ritenersi quindi idonea a determinare il giudicato sostanziale. Da ciò ne deriva la conseguenza che il confine ampliato per la rilevazione della remissione di querela, su un terreno che privilegia il dato cronologico fino alla condanna irrevocabile e cioè al giudicato formale su quello dei rapporti processuali validi, in linea generale, per le altre cause di non punibilità pendenza del processo in ragione della presentazione di un ricorso ammissibile, e quindi mancata formazione del giudicato sostanziale può ben valere anche nel caso in cui ci si trovi in presenza di sentenza di condanna divenuta irrevocabile prima dell’intervenuta modifica normativa sulla procedibilità del reato. Traendo le conclusioni da quanto fin qui evidenziato ritiene l’odierno Collegio che a deve ritenersi, in assenza di una norma transitoria del D.Lgs. n. 36 del 2018, che abbia regolato situazioni come quella qui in esame, che l’intervenuto mutamento della condizione di procedibilità del reato non può certo assimilarsi al concetto di nuova prova rilevante ex art. 630 c.p.p., comma 1, lett. c , ai fini di una richiesta di revisione di sentenza la cui irrevocabilità sia intervenuta prima dell’intervenuta modifica normativa b in considerazione della natura mista sostanziale e processuale dell’istituto della querela, deve applicarsi il disposto dell’art. 2 c.p., comma 4, secondo il quale se la legge del tempo in cui fu commesso il reato e le posteriori sono diverse, si applica quella le cui disposizioni sono più favorevoli al reo . tenendo però conto del fatto che nel caso in esame opera l’insuperabile sbarramento contenuto nell’ulteriore inciso della medesima norma salvo che sia stata pronunciata sentenza irrevocabile . Per solo dovere di completezza deve essere aggiunto che nel caso in esame non si verte neppure nella situazione di cui all’art. 630 c.p.p., comma 1, lett. a , del resto neppure documentata o sollevata dalla difesa del ricorrente. 2. Da quanto sopra consegue il rigetto del ricorso in esame, con condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali. P.Q.M. Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.