Presunzioni legali e giudizio di attualità delle esigenze cautelari ex art. 275, comma 1-bis, c.p.p.

Al fine di escludere la sussistenza delle esigenze cautelari, il Giudice è chiamato ad un giudizio cautelare in progress”. Pertanto, a nulla rileva, in questo senso, la precedente applicazione o meno di una misura cautelare nella fase antecedente la sentenza di condanna. Nessun rilievo, invero, può essere dato all’eventuale giudicato cautelare già formatosi in positivo o in negativo o alla mancata previa richiesta di applicazione di misura da parte del PM.

Il caso. Il pubblico ministero proponeva ricorso per cassazione avverso il rigetto del proprio appello cautelare per l’applicazione della custodia in carcere nei confronti di soggetti condannati per i delitti di associazione mafiosa e associazione finalizzata al traffico di sostanze stupefacenti. Il Tribunale del riesame, sostanzialmente, confermava quanto disposto dal GIP presso il medesimo ufficio, che aveva denegato l’applicazione della misura. Attualità delle esigenze. Ebbene, il ricorrente lamentava l’erronea valutazione del GIP e del Tribunale del Riesame in relazione al disposto dell’art. 275, comma 1- bis , c.p.p., avendo ritenuto i Giudici, nel caso di specie, necessaria la sopravvenienza per l’applicazione della misura di nuovi elementi probatori durante il giudizio di merito. Secondo il Pubblico Ministero ricorrente, infatti, intervenuta una condanna in primo grado per il reato di cui all’art. 416- bis c.p. o 74 d.P.R. n. 309/1990, la norma citata non richiederebbe un’ulteriore prova della sussistenza delle esigenze cautelari. Precisa, infatti, che il disposto dell’art. 275, comma 3, c.p.p. prevede una presunzione di sussistenza delle esigenze cautelari fino a prova contraria, con la conseguenza che il Giudice deve applicare o negare l’applicazione della misura cautelare in base ad una valutazione di eventuali motivi di esclusione dedotti dall’interessato ovvero ricavabili dagli atti di causa. L’errore, secondo il PM, starebbe nel fatto che il Tribunale abbia ritenuto di dover verificare l’attualità delle esigenze, nonostante la tipologia di reati per i quali gli imputati sono stati condannati e attesa la permanenza dei reati associativi. Sussisterebbe una specularità, tra la natura del reato addebitato e la presunzione prevista dall’art. 275, comma 3, c.p.p. . Ratio dell’art. 275, comma 1 bis, c.p Ebbene, tanto premesso, la Corte, in accoglimento del ricorso ricorda che la ratio del disposto dell’art. 275, comma 1 bis , c.p. è quella di vincolare il giudice ad un giudizio attuale, per così dire in progress, delle esigenze cautelari, al fine di evitare una loro cristallizzazione. Nella valutazione, infatti, delle stesse il Giudice deve tenere conto anche dell’esito del procedimento, delle modalità del fatto e degli elementi sopravvenuti . Ciò significa, che la misura cautelare può essere disposta, per la prima volta, anche dopo la sentenza di primo grado. L’applicazione, nondimeno, deve essere adeguatamente motivata in relazione alla sussistenza dei presupposti, dando conto dell’esistenza di esigenze cautelari da soddisfare nonostante il trascorso del tempo dalla commissione del fatto. C.d. tempo silente. Con riferimento all’elemento del tempo, invero, tale norma va coniugata col disposto dell’art. 292, comma 2, lett. c , c.p.p., che impone al Giudice anche una valutazione del tempo trascorso dalla commissione del reato in relazione alla pericolosità del reo, così che una maggiore distanza temporale possa comportare un affievolimento delle esigenze cautelari. Il decorso del tempo dalla commissione dei fatti può integrare un elemento utile al fine di superare la presunzione legale delle esigenze cautelari, solo ove lo stesso, però, sia affiancato da condotte del soggetto non sintomatiche di pericolosità. Il mero dato oggettivo del trascorso del tempo dalle condotte criminose, tuttavia, per il reato di cui all’art. 416- bis c.p. non è sufficiente per l’esclusione della sussistenza delle esigenze cautelari, considerata la sua natura di reato permanente, e considerata la stabilità tendenzialmente permanente delle associazioni mafiose, dovendosi dare prova ulteriore, in questi casi, di dissociazione o, comunque, di allontanamento delinquenziale dal consorzio criminoso. Di contro, nelle ipotesi di cui all’art. 74 d.P.R. n. 309/1990, trattandosi di associazioni finalizzate al compimento di specifici reati fine, la presunzione è relativa e, pertanto, il decorso del tempo può avere una forza affievolitrice delle esigenze cautelari e, quindi, della pericolosità del soggetto. In entrambi i casi, comunque, è necessario che l’interessato dia concreti elementi dimostrativi dell’insussistenza di qualsiasi pericolo legato al mantenimento del proprio stato di libertà . Onere di valutazione del giudice. Dal combinato disposto dell’art. 275, comma 1 e comma 3, c.p.p. citate emerge, dunque, che il Giudice debba valutare e valorizzare tutti quegli elementi oggetto di deduzione difensiva o contenuti negli atti processuali che, in qualche modo, siano idonei a fare ritenere inattuale la pericolosità del soggetto, che, diversamente, come previsto per legge, sarebbe presunta. La sua valutazione, in altre parole, non deve dimostrare la sussistenza in positivo delle esigenze cautelari, ma essere diretta a valorizzare, se presenti, eventuali ragioni di esclusione delle stesse rilevate dalla parte o ricavabili dagli atti. Di contro, da tale ragionamento, si evince che è onere dell’interessato allegare elementi probatori di segno contrario che possano superare la presunzione legale assoluta o relativa di pericolosità nel caso di reati associativi. Nondimeno, a seguito di condanna per uno dei reati specificamente individuati dall’art. 275, comma 3, c.p.p., la motivazione dovrà andare oltre il mero decorso del tempo, dovendosi altresì tener conto degli accertamenti di fatto e di diritto contenuti nella sentenza di condanna.

Corte di Cassazione, sez. III Penale, sentenza 28 febbraio – 5 maggio 2020, n. 13632 Presidente Aceto – Relatore Scarcella Ritenuto in fatto 1. Con ordinanza emessa in data 21/05/2019, depositata in data 04/07/2019, il Tribunale di Reggio Calabria Sezione Riesame, rigettava l’appello cautelare presentato dal Pubblico Ministero. Veniva pertanto confermata l’impugnata decisione del GIP presso il medesimo ufficio giudiziario, con la quale era stata negata l’applicazione della misura cautelare della custodia in carcere richiesta dalla pubblica accusa nei confronti di F.F. , Ma.Gr. e M.L. , a seguito della sentenza di primo grado con la quale venivano condannati, i primi due, alla pena di anni 10 e mesi 8 di reclusione, per il reato di cui al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 74, ed, il terzo, alla pena di anni 8 di reclusione per il reato di cui all’art. 416-bis c.p 2. Ha proposto ricorso per cassazione il Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Reggio Calabria, deducendo un motivo, di seguito enunciato nei limiti strettamente necessari per la motivazione ex art. 173 disp. att. c.p.p 2.1. Deduce il ricorrente, con tale unico ed articolato motivo, il vizio di cui all’art. 606 c.p.p., lett. e , per mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione. Il GIP prima, ed il giudice del riesame successivamente, avrebbero errato nel ritenere necessario nel caso di specie, ai fini dell’applicazione della misura cautelare a seguito di condanna ai sensi dell’art. 275 c.p.p., comma 1 bis, la sopravvenienza durante il giudizio di merito di ulteriori elementi probatori. Sostenuta l’applicabilità della disciplina di cui all’art. 275 c.p.p., comma 3, la quale prevede una doppia presunzione in ordine alla sussistenza delle esigenze cautelari ed alla adeguatezza della sola misura custodiale, ad avviso del ricorrente il Tribunale avrebbe pretermesso la citata disposizione, non confrontandosi con il relativo contenuto, il che avrebbe determinato una frattura del percorso argomentativo e la sua conseguente illogicità. In caso di sussistenza di gravi indizi di reato per il delitto di associazione mafiosa, come per l’imputato M. , il legislatore avrebbe previsto una doppia presunzione, assoluta per quanto riguarda l’adeguatezza della misura coercitiva, relativa circa la sussistenza delle esigenze cautelari. Relativamente all’ipotesi di sussistenza di gravi indizi di reato di cui al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 74, per il quale sono stati condannati il F. ed il Ma. , la sopra indicata doppia presunzione sarebbe invece relativa. 2.1.1. Ad avviso del PM ricorrente, intervenuta una condanna in primo grado, la sussistenza della gravità indiziaria per il delitto associativo, non solo non richiederebbe ulteriore prova della esistenza di esigenze cautelari, emergente dal giudizio, ma il c.d. scudo normativo costituito dall’art. 275 c.p.p., comma 3, prenderebbe atto della persistenza ed attualità delle suddette esigenze, in ragione della natura permanente del delitto in questione. Ne conseguirebbe che, laddove il titolo cautelare riguardi i reati indicati dall’art. 275 c.p.p., comma 3 tra i quali quelli aggravati dalla L. n. 203 del 1991, art. 7 , la presunzione di sussistenza delle esigenze cautelari dovrebbe ritenersi salvo prova contraria , integrare i caratteri dell’attualità e concretezza del pericolo. Il giudice, pertanto, il quale applica o conferma la misura cautelare, non avrebbe l’obbligo di dimostrare in positivo la ricorrenza dei pericula libertatis, ma soltanto di valutare le ragioni di esclusione eventualmente evidenziate dall’interessato ovvero evincibili direttamente dagli atti, e tali da far venire meno, nel caso concreto, l’operatività della presunzione. Il Tribunale del riesame avrebbe pertanto errato nel ritenere necessario verificare la attualità delle esigenze cautelari, essendo i delitti associativi reati permanenti, nei quali i singoli episodi criminosi costituirebbero la manifestazione dell’appartenenza alla societas sceleris la quale permane nel tempo fino al recesso. Sussisterebbe una specularità tra tale natura del reato addebitato e la presunzione prevista all’art. 275 c.p.p., comma 3, facendo salva l’ipotesi in cui emergano elementi che dimostrino la cessazione dell’associazione ovvero della rescissione dell’associato dei legami con la stessa. 2.1.2. Afferma ancora il PM ricorrente che, anche laddove volesse seguirsi così come ha fatto il Tribunale del riesame l’orientamento giurisprudenziale facente leva sulla verifica dell’attualità delle esigenze cautelari ove intercorra un considerevole lasso di tempo tra l’emissione della misura ed i fatti accertati, la motivazione dell’ordinanza impugnata sarebbe illogica. Quest’ultima avrebbe valorizzato l’assenza di richiesta di misura cautelare nella fase anteriore, nonché la non pendenza di processi per fatti precedenti o successivi, concludendo per l’insussistenza di elementi dai quali desumere l’attuale intraneità del M. all’associazione. Valutazione analoga sarebbe stata operata per il F. ed il Ma. . Le doglianze si puntualizzano sulla irrilevanza delle circostanze poste in rilievo dal giudice del riesame a relativamente alla mancata richiesta di una misura cautelare nella fase antecedente al giudizio, tale scelta non potrebbe comportare una sorta di giudicato sulla inesistenza delle esigenze cautelari, dovendosi piuttosto ricollegare tale opzione alla gestione dei tempi del procedimento b parimenti nessun elemento potrebbe desumersi dall’assenza di carichi pendenti, in relazione all’arco temporale oggetto di valutazione. L’imputazione per la condotta associativa sarebbe formalmente chiusa al 12.10.2017, con la condanna di primo grado, per cui ogni condotta ulteriore, la quale non costituisse autonomo reato, sarebbe assorbita in tale imputazione, e non giustificherebbe l’avvio di un ulteriore procedimento. Per quanto attiene al periodo successivo, il ricorrente sostiene la necessità di valutare che il tempo rilevante si ridurrebbe a due mesi, se si facesse riferimento alla cessazione della permanenza 12.10.2017 e la richiesta cautelare 23.12.2017 , ovvero a poco più di un anno se come dies a quo si considerasse l’ultima condotta dimostrativa dell’appartenenza alla associazione mafiosa del M. . Anche volendo tenere conto del periodo di circa un anno impiegato dal GUP per emettere la sua decisione sulla richiesta cautelare 10.12.2018 e gli ulteriori sette mesi per la decisione dell’impugnazione proposta innanzi al giudice del riesame 4.7.2019 , il periodo intercorrente tra le ultime manifestazioni di appartenenza all’associazione e la decisione cautelare sarebbe inferiore a tre anni, e ciò non consentirebbe di affermare la sussistenza, nel caso di specie, di un considerevole lasso di tempo tra l’illecito e la richiesta cautelare. 2.1.3. Il Tribunale del riesame avrebbe poi errato, ad avviso del PM ricorrente, nel ritenere necessaria, al fine di accertare il pericolo di reiterazione del reato, la individuazione di elementi comprovanti la attuale appartenenza degli indagati alla societas sceleris, non essendo tale posizione ermeneutica conforme al diritto positivo, con la conseguenza che la progressiva diminuzione del lasso temporale oggetto di analisi per la valutazione cautelare finirebbe con l’identificare il pericolo di recidiva con l’istituto della quasi flagranza di reato. Anziché effettuare un giudizio prognostico sulla possibile reiterazione dell’illecito, il giudice del riesame avrebbe effettuato un giudizio di attualità della commissione del delitto per il quale si procede. Richiedere, inoltre, la sussistenza di elementi che dimostrino la attuale appartenenza all’associazione significherebbe, secondo il ricorrente, travisare quanto previsto all’art. 274 c.p.p., lett. c . Viceversa, anche considerando quale data della cessazione della permanenza quella di emissione della sentenza di condanna di primo grado, il Tribunale del riesame avrebbe comunque dovuto valutare l’incidenza del tempo trascorso sulla attualità delle esigenze cautelari, e cioè sul pericolo di commissione di nuovi reati della stessa specie. Afferma il ricorrente che tale lasso di tempo, nel caso di specie, sarebbe costituito da due mesi, con riferimento alla richiesta cautelare, e meno di due anni ove si tenesse conto del momento in cui il Tribunale ha effettuato tale valutazione. Tuttavia, nell’ordinanza impugnata non sarebbe stato operato alcun esame di questo tipo, avendo il giudice del riesame affermato semplicemente l’insussistenza di elementi dai quali desumere l’appartenenza all’associazione in epoca successiva alla condanna di primo grado. Considerato in diritto 3. Il ricorso è fondato per le ragioni di cui si dirà oltre. 4. L’art. 275 c.p.p., comma 1 bis, esprime la preoccupazione del legislatore di vincolare il giudice una volta intervenuta una sentenza di condanna a tenere conto dei risultati del relativo accertamento, nonché di ogni altro eventuale elemento sopravvenuto, quali fattori rilevanti ai fini della valutazione della sussistenza delle esigenze cautelari di cui all’art. 274 c.p.p., lett. b e c . Si vuole sostanzialmente chiamare il giudice ad un esame in progress delle suddette esigenze, in rapporto con l’adeguatezza delle misure applicabili nel caso specifico, evitando dunque una cristallizzazione delle emergenze probatorie che abbiano ma non necessariamente costituito oggetto di un precedente giudizio cautelare. L’organo giudicante, su istanza del P.M., deve tenere conto anche e dunque non esclusivamente dell’esito del procedimento rectius la condanna , delle modalità del fatto e degli elementi sopravvenuti, dai quali possa emergere che, successivamente alla sentenza, risulti sussistenza un periculum libertatis, sub specie pericolo di fuga e/o la reiterazione della condotta criminosa. Il legislatore detta in questo modo criteri normativi aggiuntivi, ma non esclusivi, i quali devono guidare il giudice nell’operazione di verifica stimolata dalla pubblica accusa. La sussistenza delle esigenze di cui all’art. 274 c.p.p., lett. b e c , in altri termini, deve essere considerata non solo alla luce degli elementi che nel corso delle indagini preliminari sono stati ritenuti insufficienti con eventuale rigetto dell’istanza del P.M. di applicazione di una misura coercitiva ma anche di quelli sopravvenuti e costituiti, in particolare, dall’esito del procedimento e dalle accertate modalità del fatto. 4.1. La possibilità di applicare per la prima volta, dopo la pronuncia di una sentenza di condanna, una misura cautelare personale consente, ove ne sussistano i presupposti, l’operatività delle presunzioni previste dall’art. 275 c.p.p., comma 3 Cass., Sez. I, 24 aprile 2003, n. 20398 . Sul punto questa Suprema Corte ha evidenziato la rilevanza, ai fini della valutazione cautelare, del fattore temporale l’art. 275 c.p.p., comma 1 bis, consente al giudice di adottare una misura custodiale a carico dell’imputato anche a distanza di mesi dalla pronuncia di merito, purché la motivazione dia conto dell’esistenza delle esigenze di cautela malgrado il tempo trascorso dalla commissione del fatto, ed a condizione che non affermi apoditticamente l’esistenza del pericolo di fuga in ragione della sola entità della pena inflitta. Il sinergico operare della regola del tempo trascorso e dei requisiti di attualità e concretezza delle esigenze di cui all’art. 274 c.p.p., inoltre, circoscrive il potere coercitivo del giudice della condanna, imponendogli una rigorosa e puntuale motivazione sul pericolo di recidiva anche in presenza di un’associazione mafiosa. Il riferimento al tempo trascorso dalla commissione del reato di cui all’art. 292 c.p.p., comma 2, lett. c , impone dunque al giudice di motivare sotto il profilo della valutazione della pericolosità del soggetto in proporzione diretta al tempo intercorrente tra tale momento e la decisione sulla misura cautelare, giacché ad una maggiore distanza temporale dai fatti viene fatto corrispondere un affievolimento delle esigenze cautelari Cass., S.U., 24 settembre 2009, n. 40538 . 4.2. In materia cautelare la presunzione relativa dei pericula libertatis di cui all’art. 275 c.p.p., comma 3, deve pertanto essere coniugata con l’art. 292 c.p.p., comma 2, lett. c , sicché l’interprete è chiamato ad una lettura della norma diretta a valorizzare quegli elementi che, oggetto di deduzione difensiva o comunque contenuti in atti, siano idonei a revocare in dubbio la ripetibilità del contributo causale offerto dall’indagatolimputato, e quindi la sua pericolosità, altrimenti presunta Cass., Sez. V, 23 settembre 2016, n. 52628 Cass., Sez. V, 19 luglio 2016, n. 36569 Cass., Sez. IV, 27 gennaio 2016, n. 20987 Cass., Sez. VI, 18 settembre 2015, n. 42630 Cass., Sez. VI, 2 marzo 2015, n. 12669 . L’arco temporale trascorso dai fatti, ove rilevante nella sua estensione, può integrare l’elemento negativo utile al superamento della presunzione in ordine alla sussistenza delle esigenze cautelari ove si tratti di tempo silente , ossia non segnato da condotte dell’indagato sintomatiche di perdurante pericolosità che ove, invece, risultino presenti, non faranno che confermare o comunque non incrinare il quadro presuntivo di cui all’art. 275 c.p.p., comma 3. Si è in ogni caso escluso, onde evitare pericolosi automatismi, che il mero dato oggettivo del tempo trascorso dal compimento delle condotte illecite addebitate possa costituire un elemento di per sé solo sufficiente a consentire il superamento della presunzione suddetta, tenuto conto della specifica natura di reato permanente della partecipazione ad associazione di stampo mafioso, soprattutto ove sia accertata la perdurante vitalità dell’organismo criminoso, richiedendosi l’indicazione anche di elementi dimostrativi della dissociazione o comunque dell’allontanamento in senso fisico o delinquenziale da parte dell’affiliato-imputato Cass., Sez., I, 9 febbraio 2017, n. 13132 . Ne consegue che, sebbene in linea generale il fattore temporale costituisce un elemento che deve essere obbligatoriamente tenuto in considerazione nella delibazione della fondatezza dell’istanza di applicazione della misura cautelare, secondo la previsione di cui all’art. 292 c.p.p., comma 2 lett. c , laddove operi la presunzione di cui all’art. 275 c.p.p., comma 3, spetta all’indagatolimputato indicare concreti elementi dimostrativi dell’insussistenza di qualsiasi pericolo legato al mantenimento del proprio stato di libertà. Come già evidenziato in precedenti pronunce di questa Corte, per quanto attiene ai compiti delibativi e giustificativi del giudice, la presunzione relativa di pericolosità sociale prevista dall’art. 275 c.p.p., comma 3, inverte gli ordinari poli del ragionamento giustificativo, nel senso che il giudice che applica o che conferma la misura cautelare non ha un obbligo di dimostrare in positivo la ricorrenza dei pericula libertatis, ma soltanto di tenere conto delle ragioni di esclusione, eventualmente evidenziate dalla parte o ex actis, tali da smentire, nel caso concreto, l’effetto della presunzione Cass., Sez. VI, 20 aprile 2016, n. 23012 del 20/4/2016 Cass., Sez. I, 21 ottobre 2015, n. 5787 Cass., Sez. I, 6 ottobre 2015, n. 45657 . Sarà invece onere dell’indagatolimputato o indagato allegare elementi di segno contrario, in grado di superare la presunzione, dei quali l’organo giudicante è tenuto a valutare la esistenza e l’efficacia rappresentativa, in funzione dell’esclusione delle esigenze cautelari. In sintesi, si ritiene che la presunzione menzionata tenda ad affievolirsi, ma non ad annullarsi, nel caso in cui un non irrilevante arco temporale separi il momento di consumazione del reato da quello dell’intervento cautelare. 4.2.1. Il suddetto orientamento ha riguardato anche il reato associativo di cui al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 74 operando anche per esso, in forza del rinvio all’art. 51 c.p.p., comma 3 bis, la presunzione relativa in ordine alla sussistenza dell’esigenze cautelari. Richiamando quanto rilevato dal Giudice delle Leggi Corte Cost., sent. n. 231 del 2011 si è evidenziato come tale fattispecie, caratterizzata unicamente dai reati-fine, possa presentare forme e connotazioni non necessariamente dotate di quella stabilità tendenzialmente permanente rispetto ad altri fenomeni associativi, come quelli di cui all’art. 416-bis c.p., sicché la presunzione relativa di sussistenza delle esigenze cautelari deve confrontarsi con il suo progressivo affievolimento con il passaggio del tempo Cass., Sez. VI, 28 dicembre 2017, n. 3096 Cass., Sez. III, 19 gennaio 2016, n. 17110 Cass., Sez. VI, 2 dicembre 2015, n. 1406 . Tuttavia, anche per tale ipotesi criminosa, il fattore temporale, sebbene sia idoneo ad incidere sulla presunzione di cui all’art. 275 c.p.p., comma 3, non può ritenersi avente tout court forza demolitoria della pericolosità del soggetto, soprattutto nei casi in cui, in applicazione del comma 1 bis del medesimo articolo, il giudice è chiamato a tenere conto anche di ulteriori dati, quali l’esito del procedimento, le modalità del fatto così come risultanti dagli accertamenti in sentenza nonché di ulteriori elementi sopravvenuti, che consentano comunque di ritenere sussistenti le esigenze cautelari di cui all’art. 274 c.p.p., lett. b e c . 4.3. Pertanto, in seguito ad una sentenza di condanna per i reati inclusi nel perimetro operativo dell’art. 275 c.p.p., comma 3, qualora l’organo giudicante, su istanza del P.M., sia chiamato a decidere sull’applicabilità o meno di una misura cautelare personale custodiale, e dunque sulla sussistenza di un periculum libertatis art. 274 c.p.p., lett. b e c , non potrà la motivazione dell’ordinanza fondarsi esclusivamente sul tempo trascorso tra la condotta accertata e l’istanza cautelare, nè, tantomeno, sulla mera gravità del reato determinante la condanna. Il giudice deve tenere conto degli effetti derivanti dal regime presuntivo, calando nella fattispecie concreta gli elementi che il legislatore, mediante l’art. 275 c.p.p., comma 1 bis, dispone siano oggetto di un esame in progress, senza tenere conto di un eventuale precedente giudicato cautelare. È imprescindibile, dunque, una valutazione complessiva, che tenga conto delle peculiarità del caso specifico, alla luce degli accertamenti di fatto e di diritto contenuti nella sentenza di condanna, nonché degli ulteriori elementi a disposizione, anche dunque esterni al processo, ed utili a rafforzare, ovvero affievolire la presunzione in ordine ai pericula libertatis. La tendenziale dissonanza con l’attualità e l’intensità dell’esigenza cautelare, comporta un rigoroso obbligo di motivazione sia in relazione a detta attualità, ma non può escluderne, sic et simpliciter, la sussistenza Cass., Sez. 4, 12 marzo 2015, n. 24478 . 4.4. Relativamente alle singole esigenze cautelari, inoltre, questa Suprema Corte ha precisato che, sebbene la legge richieda che il pericolo di fuga art. 274 c.p.p., comma 1, lett. b oltre che concreto, sia anche attuale, il requisito dell’attualità non deve intendersi come necessaria esistenza di condotte materiali che rivelino l’inizio dell’allontanamento, o che siano comunque espressione di fatti ad esso prodromici, essendo sufficiente accertare, con giudizio prognostico verificabile, perché ancorato alla concreta situazione di vita del soggetto, alle sue frequentazioni, ai precedenti penali, alle pendenze giudiziarie e, più in generale, a specifici elementi vicini nel tempo, l’esistenza di un effettivo e prevedibilmente prossimo pericolo di allontanamento, che richieda un tempestivo intervento cautelare Cass., Sez. VI, 27 settembre 2018, n. 48103 Cass., Sez. V, 6 luglio 2015, n. 7270 . 4.4.1. L’art. 274 c.p.p., lett. c , richiede che il requisito dell’attualità del pericolo di reiterazione del reato sia specificamente valutato dal giudice emittente la misura cautelare, avendo riguardo alla sopravvivenza del pericolo di recidiva al momento della adozione della misura in relazione al tempo trascorso dal fatto contestato, nonché alle peculiarità della vicenda cautelare. Come la giurisprudenza di questa Corte ha di recente affermato, non è però possibile enfatizzare oltremodo la portata innovativa delle modifiche introdotte nel 2015 con riguardo all’attualità del pericolo di recidiva, che parte della giurisprudenza e la dottrina riteneva attributo implicito della concretezza richiesta dalla disposizione citata per la sua configurabilità. Il requisito della concretezza, infatti, non può identificarsi, nel regime ante-riforma, con quello dell’attualità, derivante dalla riconosciuta esistenza di occasioni prossime favorevoli alla commissione di nuovi reati, bensì con quello dell’esistenza di elementi concreti sulla base dei quali è possibile affermare che l’imputato possa commettere delitti della stessa specie di quello per cui si procede Cass., Sez. V, 24 settembre 2015, n. 43083 Cass., Sez. VI, 5 aprile 2013, n. 28618 Cass., Sez. I, 3 giugno 2009, n. 25214 . Successivamente alla modifica legislativa intervenuta nel 2015, questa Corte ha inteso precisare che, per poter affermare la concretezza ed attualità del pericolo di reiterazione di condotte criminose, non è più sufficiente ritenere con certezza o alta probabilità che l’imputato torni a delinquere ove se ne presenti l’occasione, ma è altresì necessario prevedere -negli stessi termini di certezza o alta probabilità che un’occasione per compiere nuovi delitti si possa presentare effettivamente Cass., Sez. III, 19 maggio 2015, n. 37087 . Le Sezioni Unite di questa Corte, sebbene incidenter tantum, hanno affermato che, in ordine all’alta probabilità del determinarsi di occasioni favorevoli alla commissione di nuovi reati, è corretta la valutazione del giudice la quale tenga conto delle circostanze di fatto in cui era maturato il delitto, nonché della personalità trasgressiva del prevenuto desunta dalla condotta pregressa, espressiva di un’apprezzabile ribellione ai precetti dell’autorità Cass., S.U., 28 aprile 2016, n. 20769 . 5. Nel caso oggetto dell’odierno ricorso, il giudice del riesame, così come precedentemente il GIP, risulta aver sostanzialmente fondato la motivazione su un iter logico-giuridico non conforme a quello sopra descritto e derivante dal regime presuntivo di cui all’art. 275 c.p.p., comma 3. Si legge nell’ordinanza che non emergono, a parere di questo Collegio, elementi tali da poter ritenere sussistenti le esigenze cautelari richieste dalla norma di cui all’art. 275 c.p.p., comma 1 bis . . Subito dopo tale, erronea, affermazione, il Tribunale, contraddicendosi, riconosce l’applicabilità alla fattispecie concreta dell’art. 275 c.p.p., comma 3, e dunque anche della presunzione relativa in ordine alla sussistenza delle esigenze cautelari, con conseguente necessità di individuare non elementi corroboranti l’esistenza delle stesse, quanto piuttosto dimostrativi dell’inesistenza di un periculum libertatis, altrimenti presunto. 5.1. Il Tribunale pone l’accento, in modo particolare, su due ulteriori elementi la mancata applicazione di una misura cautelare personale nella fase precedente al giudizio di condanna ed il decorso del tempo tra la condotta addebitata e la richiesta della pubblica accusa. 5.1.1. Il primo è evidentemente in contrasto con l’art. 275 c.p.p., comma 1 bis. Come sopra evidenziato, infatti, il giudice è chiamato ad un giudizio cautelare in progress , che non tenga conto dell’applicazione o meno, ai medesimi soggetti, di una misura cautelare nella fase processuale precedente alla sentenza di condanna. Nessun rilievo può dunque essere riconosciuto all’eventuale giudicato cautelare formatosi antecedentemente e, tantomeno, alla mancata precedente richiesta da parte della pubblica accusa. Il Tribunale non sembra, inoltre, prendere in esame le modalità con le quali il fatto di reato è stato commesso dai tre imputati ampiamente descritto nella estesa decisione di primo grado nè tiene conto della personalità dei medesimi e del contesto socio-ambientale nei quali essi sono inseriti, a ciò dovendosi aggiungere anche la continua vitalità dell’organizzazione mafiosa, almeno limitatamente alla posizione del M. . Tali aspetti avrebbero dovuto costituire oggetto di una valutazione globale da parte del giudice del riesame, e del GIP prima, in ragione dell’obbligo in tali termini posto in capo agli stessi dall’art. 275 c.p.p., comma 1 bis. 5.2. Tali deficit motivazionali, in netta violazione con le disposizioni di leggi sopra riportate art. 275 c.p.p., commi 1 bis e 3 non consentono di poter ritenere determinante, al fine di escludere l’esistenza delle esigenze cautelari, la distanza temporale tra le condotte addebitate oggetto di condanna e la richiesta della pubblica accusa 2016, anno delle ultime conversazioni intercettate 2018, anno di deposito della motivazione della sentenza di condanna . Non può infatti essere realizzato come invece risulta aver fatto il giudice del riesame un sostanziale capovolgimento del regime presuntivo nel senso della inesistenza delle suddette esigenze, non risultando d’altronde, nel caso de quo, la distanza temporale avere un’estensione tale da escludere, in termini di certezza o alta probabilità, l’esistenza presunta di un periculum libertatis, sicché non potrebbe escludersi, sic et simpliciter, l’eventuale carattere recessivo del c.d. tempo silente rispetto ad ulteriori elementi peculiari della fattispecie concreta Cass., Sez. V, 23 maggio 2018, n. 1368 . 6. Non esplica, infine, alcuna incidenza rispetto all’attuale fase incidentale cautelare di legittimità, l’intervenuta decisione di secondo grado in data 1.10.2019 di cui, all’udienza odierna, la difesa dei ricorrenti M. e Ma. ha depositato il dispositivo, peraltro non perfettamente leggibile , in quanto fatto successivo all’impugnazione della decisione gravata. Spetterà, pertanto, al giudice di rinvio valutarne l’incidenza, operando le opportune valutazioni di merito, che sfuggono alla cognizione di questa Corte. P.Q.M. La Corte annulla l’ordinanza impugnata e rinvia per nuovo esame al Tribunale di Reggio Calabria, sezione per il riesame. Si dà atto che il presente provvedimento è sottoscritto dal solo Presidente del Collegio per impedimento dell’estensore, ai sensi del D.P.C.M. 8 marzo 2020, art. 1, comma 1, lett. a .