Fallito, pignorato e disoccupato, ma mantiene un secondo nucleo familiare: punito per omesso mantenimento a moglie e figli

Confermata la condanna per un uomo. Respinta l’obiezione difensiva, mirata a ridimensionare la condotta in discussione e a provare le difficoltà economiche.

Il fallimento, il pignoramento e la disoccupazione – certificata dal ‘Centro per l’impiego’ – non bastano per rendere meno grave la condotta dell’uomo che non ha versato il mantenimento alla moglie e quello per i tre figli. A inchiodarlo la constatazione che egli ha comunque provveduto a sostenere un secondo nucleo familiare, da lui costituito successivamente Cassazione, sentenza n. 12684/20, sez. VI Penale, depositata il 22 aprile . Assegno. A portare sul banco degli imputati l’uomo è il non avere corrisposto l’assegno mensile di mantenimento in favore della moglie 600 euro e dei tre figli minori 1.000 euro e l’avere omesso di versare le altre somme dovute per spese sanitarie e scolastiche . Queste omissioni sono sufficienti, secondo i giudici di merito, per parlare di violazione degli obblighi di assistenza familiare . Consequenziale, quindi, la condanna dell’uomo, punito con due mesi di reclusione e 500 euro di multa. Il legale dell’uomo prova però a ridimensionare le condotte del proprio cliente. Così col ricorso in Cassazione pone in evidenza che ci si trova di fronte solo a un parziale inadempimento e aggiunge che comunque vi era la possibilità della parte offesa e del nucleo familiare di origine di garantire i mezzi di sussistenza . Allo stesso tempo, il legale richiama anche la sentenza dichiarativa di fallimento riguardante il suo cliente, il successivo pignoramento di un immobile con relativa istanza di vendita ed infine l’attestazione di disoccupazione rilasciato dal ‘Centro per l’impiego’ . Tutti questi elementi danno conto dell’impossidenza economica dell’uomo, osserva il legale. Capacità. La visione difensiva viene però respinta dalla Cassazione. Per i giudici del ‘Palazzaccio’, difatti, così come evidenziato sia in primo che in secondo grado, non vi sono dati da cui desumere sia l’assenza dello stato di bisogno in capo al nucleo familiare che l’incapacità economica dell’uomo all’assolvimento dell’obbligo . Innanzitutto, viene ribadito che lo stato di bisogno dei figli minori, destinatari dei mezzi di sussistenza, rappresenta in re ipsa una condizione soggettiva dello stato di bisogno, che obbliga i genitori a contribuire al loro mantenimento, assicurando i predetti mezzi di sussistenza , e il reato di violazione degli obblighi di assistenza familiare sussiste anche quando uno dei genitori ometta la prestazione dei mezzi di sussistenza in favore dei figli minori o inabili, ed al mantenimento della prole provveda in via sussidiaria l’altro genitore, atteso che tale sostituzione non elimina lo stato di bisogno in cui versa il soggetto passivo . E in questa ottica è irrilevante anche il fatto che al mantenimento dei figli minori abbiano provveduto soggetti terzi, quali i familiari della donna . Per quanto concerne la posizione economica dell’uomo, infine, i giudici ritengono che correttamente è stata valorizzata la circostanza che egli ha comunque provveduto al mantenimento di un altro nucleo familiare successivamente formato . Impossibile, quindi, sostenere, come ha fatto la difesa, la tesi della incapacità economica dell’uomo, incapacità che, invece, deve essere assoluta e deve altresì integrare una situazione di persistente, oggettiva ed incolpevole indisponibilità di introiti . A questo proposito, poi, viene evidenziata l’irrilevanza dell’allegata sentenza di fallimento, tenuto conto che l’insolvenza risultava essere precedente di ben due anni rispetto alla decisione del giudice civile sul fronte del mantenimento in favore della donna e dei figli.

Corte di Cassazione, sez. VI Penale, sentenza 21 gennaio – 22 aprile 2020, n. 12684 Presidente Ricciarelli – Relatore Costantini Ritenuto in fatto 1. Di Gi. Gi. Ro. ricorre avverso la sentenza della Corte di appello di Messina che ha confermato la decisione del Tribunale di Patti che lo aveva condannato alla pena di mesi due di reclusione ed Euro 500 di multa, in ordine al delitto di cui all'art. 570, primo e secondo comma, cod. pen., per essersi sottratto all'obbligo di corrispondere l'assegno mensile di mantenimento in favore della moglie Euro 600 e dei tre figli minori Euro 1.000 , nonché per aver omesso di versare le altre somme dovute per spese sanitarie, scolastiche ed altri obblighi, giusto determinazione del provvedimento di omologa del Giudice civile, in Acquedolci dall'ottobre del 2013. 2. Il ricorrente deduce i motivi di seguito indicati. 2.1. Vizi di motivazione e violazione di legge con riferimento all'art. 570, secondo comma, cod. pen. e art. 192, comma 1, cod. proc. pen. Si censura la motivazione contraddittoria ed apodittica della sentenza impugnata nella parte in cui ha ritenuto sussistente il delitto di cui all'art. 570 cod. pen. nonostante il solo parziale inadempimento e la possibilità della parte offesa e del nucleo familiare di origine di garantire i mezzi di sussistenza. Non sarebbe stata, inoltre, adeguatamente valutata la intervenuta sentenza dichiarativa di fallimento, l'eseguito pignoramento dell'immobile con relativa istanza di vendita ed attestazione di disoccupazione rilasciato dal Centro per l'impiego, dati che davano conto dell'impossidenza economica del ricorrente. La Corte territoriale, inoltre, avrebbe confermato la sentenza di condanna su congetture, senza effettuare una adeguata valutazione del canone di giudizio di cui all'art. 533 comma 1, cod. proc. pen. dell' oltre ogni ragionevole dubbio 2.2. Vizi di motivazione e violazione di legge in ordine alla mancata applicazione della causa di non punibilità di cui all'art. 131-bis cod. pen. sussistendo i presupposti di legge in considerazione della modalità della condotta, della entità del danno e della non abitualità del comportamento. 2.3. Vizi di motivazione e violazione di legge in ordine al mancato riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche. Considerato in diritto 1. Il ricorso è inammissibile sotto plurimi profili. 2. Quanto al primo motivo con cui si contesta la violazione di legge oltre a vizi di motivazione con riferimento all'art. 570 cod. pen., si rileva l'acritica reiterazione di analoga deduzione formulata in sede di gravame e puntualmente disattesa, in ordine alla cui inammissibilità sussiste pacifica giurisprudenza di questa Corte alla quale di rinvia tra le tante Sez. 2, n. 30918 del 07/05/2015, Falbo e altro, Rv. 264441 Sez. 6, n. 20377 del 11/03/2009, Arnone e altri, Rv. 243838 . Si rileva il tentativo del ricorrente di confutare in fatto le risultanze che hanno condotto la Corte distrettuale, con motivazione coerente e priva di omissioni, a ritenere sussistente la fattispecie contestata. Oltre ad aver evidenziato il percorso motivazionale che ha condotto alla condanna anche sulla base dell'assoluta carenza di elementi di segno contrario, dai quali desumere sia l'assenza dello stato di bisogno in capo al nucleo familiare che della incapacità economica all'assolvimento dell'obbligo, i giudici di merito hanno fatto pertinente riferimento ai principi di questa Corte a mente dei quali lo stato di bisogno dei figli minori, destinatari dei mezzi di sussistenza, rappresenta in re ipsa una condizione soggettiva dello stato di bisogno, che obbliga i genitori a contribuire al loro mantenimento, assicurando i predetti mezzi di sussistenza il reato di cui all'art. 570, comma secondo, cod. pen., pertanto, sussiste anche quando uno dei genitori ometta la prestazione dei mezzi di sussistenza in favore dei figli minori o inabili, ed al mantenimento della prole provveda in via sussidiaria l'altro genitore ex multis, Sez. 6, n. 53607 del 20/11/2014, S, Rv. 261871 , atteso che tale sostituzione non elimina lo stato di bisogno in cui versa il soggetto passivo Sez. 6, n. 14906 del 03/02/2010, B., Rv. 247022 . Principio di diritto che rende irrilevanti le deduzioni che vorrebbero, per mezzo di un non consentito diretto riferimento agli atti processuali, far ritenere assente lo stesso sol perché al mantenimento dei figli minori vi abbiano provveduto soggetti terzi, quali i familiari della parte offesa. È stata, inoltre, valorizzata la circostanza che il ricorrente aveva comunque provveduto al mantenimento di altro nucleo successivamente formato, elemento che ha fondato la conferma proprio a cagione dell'assenza di elementi da cui poter inferire che l'incapacità economica dipendesse da un comportamento non colpevole del ricorrente. La Corte territoriale, invero, è stata rispettosa dei principi in più occasioni enunciati da questa Corte secondo cui l'incapacità economica dell'obbligato, intesa come impossibilità di far fronte agli adempimenti sanzionati dall'art. 570 cod. pen., deve essere assoluta e deve altresì integrare una situazione di persistente, oggettiva ed incolpevole indisponibilità di introiti tra tante, Sez. 6, n. 33997 del 24/06/2015, C, Rv. 264667 . I Giudici di merito, infatti, hanno fornito completa risposta in ordine all'irrilevanza dell'allegata sentenza di fallimento, tenuto conto che l'insolvenza risultava essere precedente di ben due anni rispetto all'intervenuta omologa della decisione da parte del Giudice civile - che di tale circostanza poteva avere contezza - le cui prescrizioni il ricorrente aveva omesso di osservare. 3. Egualmente generico risulta il secondo motivo che, oltre ad astrattamente riferire i principi di diritto che sovrintendono l'applicazione dell'art. 131-bis cod. pen., non si confronta con le ragioni che hanno portato la Corte territoriale ad escludere la tenue offensività del fatto, attraverso il riferimento al completo disinteresse del ricorrente nei confronti del nucleo familiare deprivato si sostegno morale e materiale per numerosi anni. 4. Ragioni, quelle sopra evidenziate, che hanno anche fondato la mancata concessione delle circostanze attenuanti generiche decisione che il ricorrente contesta senza un reale confronto con i motivi della decisione che, esente da manifesta illogicità, è insindacabile in cassazione Sez. 6, n. 42688 del 24/9/2008, Caridi, Rv. 242419 . 5. Dall'inammissibilità del ricorso consegue la condanna al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro duemila in favore della cassa delle ammende, secondo quanto previsto dall'art. 616, comma 1, cod. proc. pen. P.Q.M. Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro duemila in favore della cassa delle ammende.