Prescrizione del reato in appello e risarcimento per la parte civile: la rinnovazione dell’istruzione dibattimentale è facoltà del giudice

Nel caso in cui il giudice di appello riformi una sentenza di estinzione del reato per prescrizione affermando che il reato non era prescritto al momento della sentenza di primo grado ma si è prescritto in appello, condannando l’imputato al risarcimento dei danni in favore della parte civile, non è tenuto obbligatoriamente alla rinnovazione dell’istruzione dibattimentale, ma ha la facoltà di disporla ai sensi dell’art. 604, comma 6, c.p.p. .

È il principio affermato dalla Corte di Cassazione con la sentenza n. 12416/20, depositata il 17 aprile. La vicenda. La Corte d’Appello di Roma, riformando la sentenza di prime cure, dichiarava non doversi procedere nei confronti di un’imputata per il reato di circonvenzione di incapace in quanto estinto per sopravvenuta prescrizione, erroneamente dichiarata in primo grado ma in realtà maturata nel secondo grado di giudizio. L’imputata veniva inoltre condannata al risarcimento del danno subito dalla parte civile, da liquidarsi in separato giudizio. Il difensore ha proposto ricorso per cassazione dolendosi del fatto che con l’impugnazione era stata chiesta la rimozione della condanna, non potendo quindi l’accoglimento dell’appello portare alla condanna anche al solo fine del risarcimento del danno. Eccepisce inoltre la violazione dell’obbligo di rinnovazione dibattimentale in appello. La sentenza impugnata infatti aveva dichiarato la prescrizione senza entrare nel merito. Istruttoria dibattimentale. Il Collegio ritiene che non vi fossero i presupposti per la rinnovazione dell’istruttoria dibattimentale in quanto non è ravvisabile alcuna implicita valutazione di insufficienza probatoria posto che la sentenza di prime cure non assolveva l’imputata ma dichiarava l’estinzione del reato per prescrizione. Nel caso in esame trova infatti applicazione l’art. 604, comma 6, c.p.p. che prevede il potere del giudice dell’appello di valutare se la rinnovazione dell’istruttoria dibattimentale sia necessaria o meno nel caso in cui il giudice di primo grado abbia erroneamente dichiarato estinto il reato. Aggiunge inoltre la Corte che non si ritiene applicabile al caso in esame neppure il principio enunciato dalla nota sentenza Desgupta”, visto che non siamo in presenza di una assoluzione, ma di una pronuncia di estinzione del reato per prescrizione, con conseguente applicazione dell’art. 129 c.p.p. e non dell’art. 530 c.p.p. . Il giudice dell’appello, investito anche delle questioni civili, deve infatti rapportarsi al momento in cui il primo giudice ha deciso, come se fosse in primo grado. Resta fermo il fatto che non si tratta di una nuova” valutazione dei risultati dell’istruttoria dibattimentale in quanto il giudice di primo grado si era limitato ad elencarne i risultati solo per escludere la sussistenza dei presupposti per l’applicazione dell’art. 129 c.p.p In conclusione, la sentenza cristallizza il principio di diritto secondo cui nel caso in cui il giudice di appello riformi una sentenza di estinzione del reato per prescrizione affermando che il reato non era prescritto al momento della sentenza di primo grado ma si è prescritto in appello, condannando l’imputato al risarcimento dei danni in favore della parte civile, non è tenuto obbligatoriamente alla rinnovazione dell’istruzione dibattimentale, ma ha la facoltà di disporla ai sensi dell’art. 604, comma 6, c.p.p. . Rigettando anche le ulteriori censure, la Corte condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Corte di Cassazione, sez. II Penale, sentenza 19 febbraio – 17 aprile 2020, n. 12416 Presidente Diotallevi – Relatore Coscioni Ritenuto in fatto 1. La Corte di appello di Roma, con sentenza del 5 giugno 2019, in riforma della sentenza di primo grado, dichiarava non doversi procedere nei confronti di D.B.C. in ordine al reato ascrittole perché estinto per prescrizione, condannando l’imputata al risarcimento del danno da liquidarsi in separato giudizio, con l’assegnazione di una provvisionale, ed alle spese sostenute dalle parti civili per entrambi i gradi del giudizio, rigettando la richiesta di revoca del sequestro conservativo formulata dall’imputata nella motivazione la Corte di appello precisava che il reato di circonvenzione di incapace ascritto all’imputata non era prescritto al momento della pronuncia di primo grado, come ritenuto dal Tribunale. 1.1 Avverso la suddetta sentenza propone ricorso per cassazione il difensore di D.B.C. , eccependo che l’appello formulato dalle parti civili si era limitato a chiedere la rimozione del capo della condanna che aveva dichiarato la prescrizione, senza chiedere la condanna dell’imputata, e che quindi l’accoglimento dell’appello non avrebbe potuto comportare la condanna dell’imputata, anche al solo fine del risarcimento del danno, il che determinava l’inutilità dell’atto e la sua inammissibilità per carenza di interesse. 1.2 Il difensore osserva inoltre che la sentenza di primo grado aveva effettuato una valutazione probatoria nella quale aveva ritenuto ostativa alla pronuncia di assoluzione ex art. 129 c.p.p. la sola documentazione medica e la deposizione del teste Lucci, con una valutazione implicita in merito alla inidoneità delle altre prove a sostenere l’accusa ed alla scarsa discendenza probatoria anche delle prove ostative non essendo stata impugnata tale valutazione dalla parte civile, si era formato un giudicato parziale, che aveva da un lato privato di interesse l’appello e dall’altro viziato la sentenza di appello per violazione del principio del giudicato e dell’art. 624 c.p.p 1.3 Il difensore osserva che l’appello della parte civile era viziato dalla carenza di specificità dei motivi di ricorso, con conseguente violazione dell’art. 581 c.p.p 1.4 Con un quarto motivo, il difensore rileva che nell’ambito del procedimento di primo grado era stata eccepita l’inammissibilità della costituzione di parte civile per carenza di legittimazione ad agire, in quanto le parti civili non erano eredi di D.A.A. , presunta persona offesa del reato contestato, ma il giudice di primo grado aveva rigettato l’eccezione ritenendo che le parti civili agivano quali chiamati all’eredità la Corte di appello aveva confermato l’ordinanza del primo giudice, affermando che la denuncia di falsità del testamento e la pendenza del relativo procedimento erano sufficienti a legittimare gli eredi legittimi alla costituzione di parte civile, quando la sussistenza di tali atti non si deduceva da nessun atto presente nel fascicolo per il dibattimento unica erede di D.A.A. era la ricorrente in forza di testamento olografo, e quindi le parti civili costituite erano carenti di legittimazione attiva nè potevano una denuncia o la pendenza di un procedimento fare acquisire lo status giuridico di erede oltretutto non era stato neppure provato il rapporto di parentela delle parti civili con la de cuius . 1.5 e 1.6 Il difensore eccepisce poi la violazione dell’obbligo di rinnovazione dell’istruttoria dibattimentale poiché vi era stata una implicita valutazione di insufficienza probatoria a sostenere la condanna nella sentenza di primo grado, la Corte di appello avrebbe dovuto rinnovare l’istruzione dibattimentale, non potendo fare propria la valutazione probatoria di primo grado, in parte insufficiente ed in parte propendente per l’assoluzione dell’imputata anche a voler ritenere che non vi fosse stata alcuna valutazione probatoria, la Corte di appello avrebbe dovuto ordinare la riassunzione quantomeno dei testimoni richiamati in sentenza quali prove fondanti la colpevolezza. Così si esplicitavano i quesiti chiesti a questa Corte Se la Corte di appello che effettua per la prima volta la valutazione del compendio probatorio perché la sentenza di primo grado ha dichiarato la prescrizione senza entrare nel merito abbia l’obbligo di rinnovare l’istruzione dibattimentale dei testimoni sui quali si basa l’accusa e, in caso di risposta negativa, se l’omessa rinnovazione dibattimentale sia una violazione dell’art. 6, comma 2, lett. d CEDU così come interpretata dalla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo qualora questa Corte ritenesse di non dover adottare tale parametro ermeneutico, il difensore chiedeva che venisse sollevata questione di legittimità costituzionale degli artt. 603 e 533 c.p.p. per violazione dell’art. 111 Cost., nonché dell’art. 117 Cost. quale norma interposta con l’art. 6, comma 2, lett. d della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo, nella parte in cui non prevedono che, in caso di appello della sola parte civile avverso sentenza di proscioglimento priva di valutazione probatoria, la Corte di appello sia tenuta a rinnovare l’escussione dei testimoni già sentiti in primo grado il difensore chiede inoltre, qualora questa Corte non ritenga di poter interpretare le norme interne in piena conformità con il diritto vivente della Corte Edu, di sollevare questione pregiudiziale presso la Corte di Giustizia dell’Unione Europea sull’interpretazione degli artt. 47, 48 e 52 della Corte dei Diritti dell’Unione Europea, richiedendo in particolare se l’aderenza sostanziale a tali articoli richieda che il Giudice di appello che intenda riformare una sentenza di proscioglimento abbia l’obbligo di sentire nuovamente i testi se non può aderire alla valutazione di prova effettuata dal Giudice di primo grado, nonché di richiedere se le garanzie previste dalla Carta dei Diritti siano applicabili anche in caso di pronuncia incidentale sulla colpevolezza funzionale alla condanna al risarcimento del danno cagionato da reato nell’ambito di un procedimento penale si allegava apposita memoria sul punto . 1.7 Con un settimo motivo, il difensore rileva come la Corte di appello si fosse discostata in modo radicale dai parametri legali e dall’onere motivazionale gravante sul giudice, essendosi limitata ad una brevissima e parziale sintesi del contenuto di parte delle testimonianze utili alla condanna ed ignorando non solo ogni prova contraria proposta dalla difesa, ma perfino il controesame degli stessi testi che aveva citato a sostegno della propria decisione la totale carenza di ogni valutazione appariva peraltro un evidente travisamento delle principali prove poste all’attenzione della Corte di appello, che non aveva svolto alcuna valutazione probatoria in ordine a diverse circostanze cruciali, ignorando ogni contributo che la difesa dell’imputata aveva portato al processo e non citando le prove a discarico illustrate per tutte queste ragioni, la sentenza impugnata appariva gravemente carente sia sotto il profilo della illustrazione delle prove a carico e della loro concludenza, sia nella valutazione delle prove a discarico e della loro non concludenza probatoria, sia infine nel valutare tutte le eventuali spiegazioni alternative ed escluderle, in violazione dei parametri legali sanciti dall’art. 546 c.p.p. qualora questa Corte ritenesse di non potersi pronunciare, il difensore chiede che la stessa proponga un rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia dell’Unione Europea allo scopo di valutare la compatibilità con il diritto interno, ed in particolar modo dall’art. 546 c.p.p., comma 1, lett. e , così come interpretato dalle Corti interne, rispetto all’art. 6 della Direttiva UE 2016/243 del 9 marzo 2016. 1.8 Il difensore eccepisce poi l’erronea interpretazione sul momento consumativo del reato e conseguente errore nel calcolo della prescrizione. 1.9 Con un nono motivo di ricorso, il difensore eccepisce la nullità della sentenza per erronea interpretazione dell’art. 643 c.p. in relazione agli artt. 157 e 158 c.p. e la mancata pronuncia della parziale prescrizione degli episodi asseritamente distrattivi in quanto, fermo restando il precedente motivo di ricorso, alla data del 17 gennaio 2017 erano comunque prescritte le condotte antecedenti il 17 luglio 2009 poiché tale differenziazione non era avvenuta e la ricorrente era chiamata a risarcire le asserite parti civili per tutto il danno loro cagionato, era evidente che la sentenza impugnata non aveva effettuato neppure tale valutazione. 1.10 Il difensore lamenta come fosse stata ritenuta prova della sussistenza dell’incapacità la consulenza del Dott. L. effettuata ben cinque anni dopo riscontrando una momentanea confusione il giorno in cui D.A.A. , all’epoca ottantunenne, era stata ricoverata per frattura del femore. 1.11 Il difensore rileva che appariva evidente la carenza di prova in merito all’approfittamento della incapacità da parte dell’imputata. 1.12 Con il dodicesimo motivo di ricorso, il difensore eccepisce che vi era una carenza di motivazione anche sul dolo, visto che per giungere alla condanna la sentenza impugnata avrebbe dovuto dimostrare, al di là di ogni ragionevole dubbio, che la ricorrente avesse già in mente di farsi rilasciare la procura bancaria allo scopo specifico di appropriarsi delle somme transitate sul conto della D.A. , ma solo tre anni dopo aver ricevuto la predetta procura. Il difensore chiede la sospensione della provvisoria esecuzione della provvisionale concessa nella sentenza di primo grado dando per acquisita la non manifesta infondatezza dei motivi, occorreva rappresentare che l’unico bene in possesso della ricorrente era la casa in cui viveva, immobile già oggetto di sequestro conservativo in favore delle parti civili costituite, per cui, poiché una volta sottoposto ad esecuzione e aggiudicato l’immobile non sarebbe stato più reintegrabile nel possesso della ricorrente, sussistevano tutti gli elementi per la pronuncia di sospensione della provvisionale concessa, stante il grave danno incombente. 2. In data 20 gennaio 2010 veniva depositata memoria da parte del difensore delle parti civili costitute. 2.1 Nella memoria il difensore evidenzia che nessun periculum sussisteva, attesa la fissazione dell’udienza pubblica di discussione del ricorso per il 19 febbraio 2020 nel merito, il difensore rileva che relativamente ai primi tre motivi la Corte Costituzionale aveva sancito la legittimità dell’art. 576 c.p.p. per cui la parte civile poteva proporre al giudice penale anziché al giudice civile l’impugnazione ai soli effetti della responsabilità civile contro la sentenza di proscioglimento pronunciata nel giudizio sul motivo n. 4 evidenzia la concomitante pendenza di procedimento penale che vedeva la ricorrente chiamata a rispondere di avere contraffatto i due testamenti olografi di D.A.A. sui motivi n. 5, 6 e 7 richiama il testo dell’art. 603 c.p.p. commi 1, 2 e 3 e la giurisprudenza intervenuta sul punto sul motivo n. 8 eccepisce l’inammissibilità dello stesso in quanto attinente al merito della decisione sui motivi n. 9, 10, 11 e 12 ne rileva l’inammissibilità in quanto attinenti al merito e tendenti a dare una diversa valutazione al substrato probatorio in atti. 3. In data 4 febbraio 2020 veniva depositata memoria da parte del difensore della ricorrente. 3.1 Nella memoria il difensore rileva, con riferimento al secondo, terzo, quarto e tredicesimo motivo di ricorso, che era stata contestata la carenza di qualsiasi legittimazione delle parti civili appellanti, osservando che esse non potevano vantare la qualifica di eredi di D.A.A. e che la sentenza di appello aveva rilevato come le stesse agissero quali eredi, quando solo I.G. era figlio della de cuius e non risultava come si fosse devoluta l’eredità ribadisce che l’eredità si era comunque devoluta per testamento in favore della ricorrente D.B. , per cui il ragionamento dei giudici di merito si traduceva in un evidente travisamento della prova nè poteva assistere la prova del decreto che dispone il giudizio per il presunto falso in testamento, deposito avvenuto tardivamente soltanto nel giudizio di cassazione con memoria del 20 gennaio 2020 inoltre, nè nel giudizio di primo grado, nè in quello di appello le parti avevano chiesto la concessione di una provvisionale. 3.2 Il difensore rileva poi che i motivi di appello della parte civile non rispondevano alle prescrizioni di cui all’art. 581 c.p.p. e che la conseguenza era, anche per via della correlazione tra motivi e sentenza di appello, che quest’ultima era irrimediabilmente affetta dagli stessi vizi la Corte di appello aveva richiamato la sentenza di primo grado, nella quale però non si era mai fatto riferimento a decadimenti dalla funzione cognitiva e la prova ritenuta decisiva era viziata in modo irrisolvibile e risultava contraddetta dalle dichiarazioni dei testi della difesa il difensore osserva che il Dott. L. , che aveva visitato la D.A. cinque anni dopo il conferimento della procura da questa alla ricorrente, non era un testimone indicato solo dal Pubblico Ministero, ma un consulente della parte civile che aveva redatto una consulenza priva di rappresentazioni scientifiche dell’asserita affezione della D.A. ed affermato che comunque rimaneva difficile formulare una diagnosi di demenza senile la Corte territoriale, inoltre, aveva agito in violazione dell’art. 603 c.p.p., comma 3 bis revocando tacitamente i testimoni della difesa, verso i quali vi era stata una assoluta indifferenza. 3.3 Il difensore rileva poi che il giudice di primo grado aveva applicato la prescrizione escludendo, quindi, in radice qualsiasi pronuncia di condanna, e su tale capo della sentenza non vi era stata alcuna impugnazione da parte dell’appellante, che si era limitato a censurare semplicemente l’erroneità della pronunzia di rito se vi fosse stato appello in punto di responsabilità della D.B. , il giudice di secondo grado sarebbe pervenuto ad una declaratoria di assoluzione ex art. 129 c.p.p., visto che non esisteva alcuna prova che nel mese di giugno 2005, in cui era stata rilasciata la procura, la D.A. si trovasse in condizioni di circonvenibilità. 3.4 Il difensore ribadisce la violazione dell’art. 6, par. 3, lett. D CEDU e art. 603 c.p.p., comma 3 bis, richiamando la giurisprudenza di questa Corte sul punto. 3.5 Il difensore eccepisce la nullità della sentenza impugnata per violazione del principio di immediatezza, in quanto, tra l’altro, la parte che chiede la rinnovazione dell’esame del dichiarante esercita il proprio diritto all’assunzione della prova davanti al giudice chiamato a decidere e la persona accusata di un reato ha la facoltà di interrogare o far interrogare le persone che rendono dichiarazioni a suo carico, pena la nullità della sentenza. 3.6 In replica alla memoria della parte civile del 20 gennaio 2020 depositata nel procedimento incidentale di sospensione della provvisoria esecutività della sentenza di appello , il difensore, insistendo nella sospensione dell’esecuzione, osserva che alla ricorrente erano stati già notificati tre atti di precetto che dimostravano pienamente il pregiudizio che la stessa avrebbe subito ove non fosse stata disposta la sospensione della provvisoria esecutività della sentenza di appello sempre in replica alla suddetta memoria, il difensore rileva che la parte civile aveva omesso di citare l’art. 603 c.p.p., comma 3 bis richiama la sentenza della sesta sezione di questa Corte n. 12215 del 12 febbraio 2019 in materia di estensione dell’obbligo di rinnovazione dell’istruttoria anche in caso di giudizio di appello ai soli effetti civili. Considerato in diritto 1. Il ricorso deve essere rigettato. 1.1 Il primo motivo è manifestamente infondato, posto che la parte civile, nelle conclusioni depositate in appello all’udienza del 22 marzo 2019, aveva espressamente richiesto di condannare l’imputata alla pena che sarà ritenuta di giustizia ed al risarcimento dei danni tutti subiti dalle parti civili pag.1 conclusioni della parte civile , per cui il presupposto dal quale parte la ricorrente è errato. 1.2 Analogamente, è errato anche il secondo presupposto dal quale parte il secondo motivo di ricorso il Tribunale aveva infatti rilevato la sussistenza di tutti gli elementi del reato di circonvenzione di incapace, valorizzando la testimonianza di I.G. e del tutore nominato avv. Aleandri che avevano potuto constatare che era stata rilasciata procura a D.B.C. per operare sul conto di D.A.A. e che il conto risultava avere un saldo negativo , oltre alla documentazione medica ed alla deposizione del dottor L. sulle condizioni di salute della D.A. al momento dei fatti, per sostenere l’insussistenza dei presupposti di cui all’art. 129 c.p.p 1.3 Il terzo motivo di ricorso si limita a contestare genericamente la motivazione contenuta a pag.4 della sentenza di appello pag.2 della motivazione , secondo cui l’atto di appello enuncia chiaramente i motivi dell’impugnazione, ovvero essenzialmente deduce - e non poteva che limitarsi a dedurre - l’erroneità della pronuncia di estinzione del reato emessa dal primo giudice, argomentando sulla caratteristica del reato di circonvenzione di incapace come reato a condotta plurima che si consuma con l’atto dispositivo del resto, a fronte di una sentenza di primo grado che escludeva di poter pronunciare una sentenza ex art. 129 c.p.p. in base agli elementi di prova acquisiti e che pronunciava sentenza di estinzione del reato per prescrizione, non si vede quale punto l’appello dovesse contestare se non quello relativo al momento consumativo del reato. 1.4 Il quarto motivo di ricorso non considera il costante orientamento giurisprudenziale secondo cui Qualora sia fatta valere la falsità del testamento nella specie olografo , l’azione - che ha ad oggetto l’accertamento dell’inesistenza dell’atto - soggiace allo stesso regime probatorio stabilito nel caso di nullità prevista dall’art. 606 c.c. per la mancanza dei requisiti estrinseci del testamento, sicché - avuto riguardo agli interessi dedotti in giudizio dalle parti - nell’ipotesi di conflitto tra l’erede legittimo che disconosca l’autenticità del testamento e chi vanti diritti in forza di esso, l’onere della proposizione dell’istanza di verificazione del documento contestato incombe sul secondo, cui spetta la dimostrazione della qualità di erede, mentre nessun onere, oltre quello del disconoscimento, grava sull’erede legittimo. Pertanto sulla ripartizione dell’onere probatorio non ha alcuna influenza la posizione processuale assunta dalle parti, essendo irrilevante se l’azione sia stata esperita dall’erede legittimo per fare valere, in via principale, la falsità del documento ovvero dall’erede testamentario che, agendo per il riconoscimento dei diritti ereditari, abbia visto contestata l’autenticità del testamento da parte dell’erede legittimo. Cass. civ Sez. 2, Sentenza n. 7475 del 12/04/2005, Rv. 580946 . Pertanto, manifestamente infondato è il motivo di ricorso secondo cui, in pendenza del procedimento relativo all’impugnazione del testamento, la ricorrente dovrebbe essere considerata unica erede quanto alla eccezione del fatto che le parti civili non potrebbero essere considerati eredi di D.A.A. , nell’atto di appello incidentale non vi era una contestazione specifica sul rapporto di discendenza delle parti civili come rilevato dalla Corte di appello , essendosi l’appellante limitata ad eccepire che le stesse non erano chiamate all’eredità perché quest’ultima era stata devoluta per testamento e che non avevano accettato l’eredità nè può essere valutato quanto scritto nella memoria difensiva in quanto l’eccezione è basata sui medesimi presupposti. 1.5 Sul quinto e sesto motivo di ricorso, questa Corte ritiene che non vi fossero i presupposti per dover disporre la rinnovazione dell’istruttoria dibattimentale. Premesso che il presupposto dal quale parte la ricorrente è errato, in quanto, alla luce di quanto sopra esposto, non vi era stata alcuna implicita valutazione di insufficienza probatoria a sostenere la condanna nella sentenza di primo grado, si deve rilevare come le sentenze che hanno affermato la necessità di rinnovazione si riferiscono tutte a casi nei quali vi era stata una pronuncia di assoluzione in primo grado, e non una declaratoria di estinzione del reato per prescrizione si vedano le seguenti massime Il giudice di appello che riformi, anche su impugnazione della sola parte civile e ai soli effetti civili, la sentenza assolutoria di primo grado sulla base di un diverso apprezzamento dell’attendibilità di una prova dichiarativa ritenuta decisiva, è obbligato a rinnovare, anche d’ufficio, l’istruzione dibattimentale, venendo in rilievo la garanzia del giusto processo a favore dell’imputato coinvolto nel procedimento penale, dove i meccanismi e le regole di formazione della prova non conoscono distinzioni a seconda degli interessi in gioco, pur se di natura esclusivamente civilistica. In motivazione, la Corte ha ritenuto che la disposizione dell’art. 603 c.p.p., comma 3-bis, introdotta dalla L. 23 giugno 2017, n. 103, che prescrive la rinnovazione istruttoria nell’ambito del giudizio d’appello celebrato su impugnazione del pubblico ministero, non esclude la sussistenza di un identico obbligo nel caso di impugnazione della sola parte civile Sez.5, Sentenza n. 32854 del 15/04/2019, Gatto Rv. 277000 Il giudice d’appello che riformi, ai soli fini civili, la sentenza assolutoria di primo grado sulla base di un diverso apprezzamento dell’attendibilità di una prova dichiarativa ritenuta decisiva, è obbligato a rinnovare l’istruzione dibattimentale, anche d’ufficio. In motivazione, la Corte ha precisato che il disposto dell’art. 603 c.p.p., comma 3-bis, nel disciplinare il caso di riforma della decisione di primo grado su appello del pubblico ministero, non esclude l’obbligo di rinnovazione dell’istruttoria dibattimentale nel caso di ribaltamento di tale decisione ai soli effetti civili e su impugnazione della parte civile . Sez. 5, Sentenza n. 38082 del 04/04/2019, Clemente, Rv. 276933 . Si può pertanto subito notare la differenza con il caso sottoposto all’attenzione di questa Corte, nel quale deve essere rilevato che l’art. 604 c.p.p., comma 6 dispone espressamente che Quando il giudice di primo grado ha dichiarato che il reato è estinto o che l’azione penale non poteva essere iniziata o proseguita, il giudice di appello, se riconosce erronea tale dichiarazione, ordina, occorrendo, la rinnovazione del dibattimento e decide nel merito evidente è la differenza con la disposizione di cui all’art. 603 c.p.p., comma 3 bis, che stabilisce che Nel caso di appello del pubblico ministero contro una sentenza di proscioglimento per motivi attinenti alla valutazione della prova dichiarativa, il giudice dispone la rinnovazione dell’istruzione dibattimentale mentre in quest’ultimo caso il giudice non ha alcun potere discrezionale il giudice dispone , nel primo caso il termine occorrendo fa salvo il potere del giudice di valutare se la rinnovazione dell’istruttoria dibattimentale sia necessaria o meno. Per questo motivo non si ritiene applicabile al caso in esame neppure il principio enunciato dalla nota sentenza Dasgupta , visto che non siamo in presenza di una assoluzione, ma di una pronuncia di estinzione del reato per prescrizione, con conseguente applicazione dell’art. 129 c.p.p. e non dell’art. 530 c.p.p. infatti, si deve rilevare che il giudice di primo grado non ha applicato l’art. 530 c.p.p., ma l’art. 129 c.p.p. in quanto non doveva disporre nulla sulle domande civili sul punto vedi sentenza Sez. U, Sentenza n. 35490 del 28/05/2009, Tettamanti, Rv. 244273 secondo cui All’esito del giudizio, il proscioglimento nel merito, in caso di contraddittorietà o insufficienza della prova, non prevale rispetto alla dichiarazione immediata di una causa di non punibilità, salvo che, in sede di appello, sopravvenuta una causa estintiva del reato, il giudice sia chiamato a valutare, per la presenza della parte civile, il compendio probatorio ai fini delle statuizioni civili, oppure ritenga infondata nel merito l’impugnazione del P.M. proposta avverso una sentenza di assoluzione in primo grado ai sensi dell’art. 530 c.p.p., comma 2 . Come precisato in motivazione da Cass. sez.2, sentenza n. 40069 del 14/06/2013, P.C. in proc. Giancaspro Rv. 256356, la Corte di Appello, una volta investita della questione, è tenuta ad esaminarla proprio perché, per quanto detto, non è minimamente ipotizzabile alcuna carenza di interesse con la conseguenza che, all’esito del giudizio le si prospettano due soluzioni a respingere l’appello ritenendo corretta la decisione del primo giudice in questo caso rimane ferma anche la mancata decisione sulle domande civili, sicché alla parte civile - salvo, ovviamente, il ricorso per cassazione - non rimane che riproporre le sue domande in sede civile b accogliere l’appello in quanto ritiene che, erroneamente, il primo giudice ha dichiarato estinto il reato per prescrizione. In questo caso, il giudice di appello è investito ex novo, sia pure ai soli effetti civili, della cognizione del giudizio penale sicché, deve delibare sulla responsabilità dell’imputato, e, ove, incidentalmente, lo ritenga colpevole, decidere sulle domande civili. In altri termini, avendo l’impugnazione un effetto, per così dire retroattivo Cass. 17321/2007 riv 236599 il giudice di appello deve rapportarsi al momento in cui il primo giudice ha deciso e, quindi, decidere come se fosse il giudice di primo grado sicché, ove accerti che questi ha errato nel dichiarare la prescrizione, deve decidere, ai soli fini civili, prima nel merito e, poi, sulle domande civili quand’anche dovesse, poi, nuovamente dichiarare l’estinzione del reato per prescrizione nel frattempo sopravvenuta. Si deve pertanto ribadire che la locuzione occorrendo lascia al giudice di secondo grado la decisione se procedere o meno alla rinnovazione dell’istruttoria dibattimentale, vista la evidente differenza dei presupposti rispetto al caso di sentenza di assoluzione in primo grado cui abbia fatto seguito sentenza di condanna in appello. Tale conclusione si ricava a contrario anche da Cass.Sez. 3 n. 3344 del 2005 Ud. 21.12.2004, Del Pizzo, non massimata , secondo cui la prescrizione della menzionata norma, di disporre occorrendo la rinnovazione del dibattimento, sia insuperabile nei casi in cui non vi sia stata precedentemente alcuna attività dibattimentale di acquisizione probatoria e che, quindi, nel caso in cui tale attività vi sia stata, resta ferma la discrezionalità del giudice di disporre la rinnovazione dell’istruttoria dibattimentale. Inoltre, nel caso in esame non si tratterebbe neppure di una nuova valutazione, in quanto il giudice di primo grado si era limitato ad elencare i risultati dell’istruttoria dibattimentale soltanto per escludere la sussistenza dei presupposti per l’applicazione dell’art. 129 c.p.p. ben diverso sarebbe il caso in cui la valutazione avesse portato ad una assoluzione nel merito deve pertanto trovare applicazione il principio secondo cui Non sussiste l’obbligo di rinnovazione dell’assunzione delle prove dichiarative nel caso in cui il giudice di appello, che riforma in peius la sentenza di condanna di primo grado, proceda solo a una diversa riqualificazione giuridica dei fatti, senza rivalutare il contenuto dichiarativo delle deposizioni dei testi escussi Sez. 6 - Sentenza n. 6804 del 06/12/2018, El Banna Tarek, Rv. 275036 vedi anche sez.2, n. 47164 del 2019, non massimata, secondo cui l’obbligo di rinnovazione non sussiste qualora il giudice abbia riformato la sentenza assolutoria di primo grado, pervenendo ad una sentenza di condanna ovvero riformando in peius la sentenza di condanna di primo grado, operando una diversa qualificazione giuridica dei fatti , non già in base al diverso apprezzamento circa l’attendibilità di una prova dichiarativa, bensì all’esito di una differente valutazione del complessivo compendio probatorio ovvero di una diversa interpretazione della fattispecie incriminatrice . A ben guardare, nel caso in esame non vi è stata alcuna diversa valutazione delle prove, posto che l’unica divergenza tra la sentenza di primo e di secondo grado riguarda la decisione sul momento consumativo del reato, che prescinde del tutto dall’esame delle prove il giudice di secondo grado ha infatti ritenuto che, essendo gli atti di disposizione patrimoniale compiuti fino ad ottobre 2010, il termine di prescrizione dovesse decorrere dall’ultimo di essi, contrariamente a quanto ritenuto dal giudice di primo grado è pertanto evidente che tale decisione non tocca in alcun modo la valutazione delle prove che, in entrambi i gradi di giudizio, è rimasta la stessa. Conclusivamente, deve essere enunciata la seguente massima Nel caso in cui il giudice di appello riformi una sentenza di estinzione del reato per prescrizione affermando che il reato non era prescritto al momento della sentenza di primo grado ma si è prescritto in appello, condannando l’imputato al risarcimento dei danni in favore della parte civile, non è tenuto obbligatoriamente alla rinnovazione dell’istruttoria dibattimentale, ma ha la facoltà di disporla ai sensi dell’art. 604 c.p.p., comma 6 . 1.6 Con riferimento alle censure di cui ai punti 1.7, 1.10 e 1.11 del ricorso, se ne deve rilevare la natura meramente fattuale, in quanto con esse il ricorrente propone, peraltro genericamente, una mera rivalutazione del compendio probatorio, non consentita in questa sede, stante la preclusione, per il giudice di legittimità, di sovrapporre la propria valutazione delle risultanze processuali a quella compiuta nei precedenti gradi di merito, e considerato che, in tal caso, si demanderebbe alla Cassazione il compimento di una operazione estranea al giudizio di legittimità, quale è quella di reinterpretazione degli elementi di prova valutati dal giudice di merito ai fini della decisione cfr. ex plurimis, Cass., sez. VI, 22/01/2014, n. 10289 i motivi sono pertanto, inammissibili. 1.7 I motivi di cui ai punti 1.8 e 1.9 sono generici, in quanto non si confrontano in alcun modo con la sentenza della Corte di appello nella parte in cui pag.5, o pag.3 della motivazione afferma che essendo gli atti di disposizione patrimoniale compiuti dalla D.B. fino ad ottobre 2010, il termine di prescrizione inizia a decorrere dal momento dell’ultimo di essi la Corte di appello ha pertanto correttamente applicato il principio costantemente applicato da questa Corte secondo cui Nella circonvenzione di incapace, reato a condotta plurima, qualora i momenti della induzione e della apprensione non coincidano, il reato si consuma all’atto della apprensione , che produce il materiale conseguimento del profitto ingiusto nel quale si sostanzia il pericolo insito nella induzione . In applicazione del suddetto principio, la S.C. ha annullato la sentenza che aveva dichiarato estinto per prescrizione il reato di circonvenzione di incapace consistito nella induzione alla redazione di un testamento olografo, in quanto il momento consumativo non si era realizzato con la condotta di induzione ma con la successiva pubblicazione dell’atto e l’accettazione dell’eredità, fatti produttivi di un effetto dannoso per il soggetto passivo e da cui deriva il materiale conseguimento del profitto ingiusto . Sez. 2, Sentenza n. 20669 del 17/01/2017, P.M. in proc.M., Rv. 269883 . Quanto alla censura secondo cui sarebbero comunque da considerare prescritte le condotte antecedenti al 17 luglio 2009 che la ricorrente non indica , si deve rilevare che nei reati a condotta plurima come nel caso -induzione e apprensione si verte nel caso di una condotta unica nel cui ambito l’eventuale successiva apprensione costituisce il conseguimento del profitto ingiusto che circostanzia il pericolo insito nell’induzione che la norma voleva evitare a tale proposito si è osservato infatti - in tema di bancarotta fraudolenta, costituente un reato a condotta eventualmente plurima - che per la realizzazione della fattispecie criminosa è sufficiente il compimento di uno solo dei fatti contemplati dalla legge, mentre la pluralità di essi non fa venire meno il suo carattere unitario. Cassazione penale, sez. 5, 28/11/2007, n. 1762 Pertanto, la giurisprudenza di questa Corte che ha ritenuto che il reato di circonvenzione di incapace si consuma con il primo atto pregiudizievole compiuto dalla vittima, non contraddice le conclusioni sopra indicate, dal momento che il precetto è stato formulato al fine di precisare che il delitto ex art. 643 c.p., stante la natura di reato di pericolo, si perfeziona anche con la semplice induzione ed anche in assenza di successivi atti appropriativi tuttavia, la condotta di induzione perde di rilievo autonomo ove il reato si protragga sino alla commissione di successivi atti appropriativi, ripetuti nel tempo, e che non costituiscono un post factum non punibile ed irrilevante ai fini penali ma integrano la complessiva fattispecie delineata nella norma incriminatrice. Tale conclusione non risulta eccentrica rispetto ai principi formulati dalla giurisprudenza di legittimità che, in relazione ad altre ipotesi delittuose a condotta frazionata o plurima, ha ripetutamente affermato che il reato si perfeziona sin dalla realizzazione del primo atto costituente l’illecito, anche se non caratterizzato dal conseguimento del profitto e che, tuttavia, la condotta successiva non integra un post factum non punibile ma costituisce l’ulteriore elemento concorrente alla consumazione del reato, spostata in avanti sino al conseguimento del profitto nella sua interezza l’eccezione è, pertanto, infondata. 1.8 Relativamente al requisito del dolo, è noto che ai fini della configurabilità del delitto di circonvenzione di persona incapace, di cui all’art. 643 c.p., è necessario il dolo specifico di procurare a sé o ad altri un ingiusto profitto di carattere non necessariamente patrimoniale, ed è sufficiente che si ingeneri un pericolo di pregiudizio per il soggetto passivo, atteso che trattasi di reato di pericolo vedi Cass. Sez. 3, Sentenza n. 48537 del 01/12/2004, Illiano Rv. 230488 pertanto, già al momento del conferimento della procura da parte della D.A. alla ricorrente, tale atto era inteso alla successiva spoliazione del patrimonio della prima, con sussistenza quindi del dolo, posto che la D.B. si fece rilasciare nel giugno 2005, e quindi quando il decadimento cognitivo era già iniziato .una procura ad operare sul conto corrente .dove venivano accreditati i ratei della cospicua pensione mensile della D.A. pag.6 della sentenza impugnata, o 4 della motivazione , provvedendo poi ad impossessarsi delle somme ivi depositate. 1.9 Sulla richiesta di sospensione della provvisoria esecuzione della provvisionale concessa nella sentenza di primo grado, questa Sezione si è già pronunciata con sentenza del 21 gennaio 2020, alle cui motivazioni si rimanda. 1.10 Quanto, infine, alle questioni proposte nelle memorie depositate, le stesse sono reiterative di quelle contenute nel ricorso, ad eccezione della censura sulla mancata richiesta di concessione di provvisionale immediatamente esecutiva contenuta al punto 3.1, sulla quale è agevole osservare che nelle conclusioni depositate dalla parte civile è contenuta la richiesta di condanna dell’imputata al pagamento di una provvisionale pari ad Euro 145.000,00 o di quella somma maggiore che sarà ritenuta equa, munita della clausola di provvisoria esecutività . e quella di cui al punto 3.2 sul fatto che la Corte di appello aveva richiamato la sentenza di primo grado, nella quale però non si sarebbe mai fatto riferimento a decadimenti dalla funzione cognitiva, quando invece il riferimento era contenuto nella penultima ed ultima pagina della sentenza di primo grado. 2. Il ricorso deve essere pertanto rigettato ai sensi dell’art. 616 c.p.p., con il provvedimento che rigetta il ricorso, la parte privata che lo ha proposto deve essere condannata al pagamento delle spese del procedimento la ricorrente deve inoltre essere condannata al pagamento delle spese sostenute dalle parti civili costituite, non sussistendo motivi per la compensazione. Vista la natura del reato, in caso di diffusione del presente provvedimento dovranno essere omesse le generalità e gli altri dati identificativi a norma del D.Lgs. n. 196 del 2003, art. 52. P.Q.M. Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali, nonché alla rifusione delle spese del grado in favore delle parti civili I.G. , D.R.F. e D.R.M. , liquidate complessivamente in Euro 5.500,00, oltre spese generali, CPA ed IVA. In caso di diffusione del presente provvedimento omettere le generalità e gli altri dati identificativi, a norma del D.Lgs. n. 196 del 2003, art. 52, in quanto imposto dalla legge. Si dà atto che il presente provvedimento è sottoscritto dal solo Presidente del collegio per impedimento dell’estensore ai sensi del D.P.C.M. 8 marzo 2020, art. 1, comma 1, lett. a .