Telefono rubato e subito funzionante con la SIM a lui intestata: condannato

Respinta la tesi difensiva, centrata anche sul fatto che il cellulare era stato utilizzato anche quando la persona sotto accusa era in carcere. Per i giudici è inequivocabile il dato rappresentato dalla SIM rinvenuta nel telefono, e l’utilizzo dell’apparecchio nel periodo della detenzione dell’uomo è collegabile ai suoi familiari.

L’intestazione della scheda SIM rinvenuta nel telefono cellulare provento di furto è elemento sufficiente per parlare di ricettazione Cassazione, sentenza n. 10643/20, sez. II Penale, depositata il 25 marzo . SIM. Giudici di merito concordi l’uomo sotto processo viene ritenuto colpevole per il delitto di ricettazione di un telefono cellulare provento di furto. Prova regina è l’intestazione a suo nome della scheda SIM rinvenuta all’interno dell’apparecchio. Proprio su questo elemento è centrato il ricorso proposto in Cassazione dal difensore. Quest’ultimo mette in dubbio la responsabilità assegnata al suo cliente, osservando che è stato appurato che il telefonino era stato utilizzato con la SIM a lui intestata anche durante il periodo di detenzione, quando cioè lui era in carcere. Irrilevante, poi, sempre secondo il legale è anche la spontanea consegna del cellulare durante la perquisizione domiciliare tale circostanza è, a suo parere, indicativa solo del fatto che egli sapeva della presenza dell’apparecchio all’interno dell’abitazione. Possesso. Per la Cassazione, però, la lettura data dai giudici di merito è assolutamente corretta. Va quindi confermata la condanna per ricettazione. I magistrati del ‘Palazzaccio’ ritengono che legittimamente è stata posta in rilievo la valenza indiziante del fatto che il cellulare provento di furto aveva iniziato a funzionare nella stessa giornata della sottrazione con una SIM intestata proprio alla persona sotto accusa. Allo stesso tempo, è giusta anche l’osservazione secondo cui è irrilevante che l’apparecchio avesse continuato a funzionare anche dopo che l’uomo era stato tradotto in un carcere per l’esecuzione di una pena detentiva , poiché l’ulteriore utilizzo dell’apparecchio poteva essere stato effettuato dai suoi familiari . Per chiudere il cerchio, infine, viene ribadita la decisiva rilevanza assegnata già in primo e in secondo grado al fatto in occasione di una perquisizione domiciliare era stato proprio l’uomo a consegnare il telefono rubato, staccandolo dalla presa di ricarica e senza offrire una qualsiasi plausibile giustificazione in ordine a tale possesso.

Corte di Cassazione, sez. II Penale, sentenza 7 febbraio – 25 marzo 2020, n. 10643 Presidente Gallo – Relatore Pazienza Ritenuto in fatto 1. Con sentenza del 21/03/2018, la Corte d'Appello di Milano ha confermato la sentenza emessa in data 30/06/2015 dal Tribunale di Rovereto, con la quale EL GA. Mo. era stato condannato alla pena di giustizia in relazione al delitto di ricettazione di un telefono cellulare provento di furto in danno di LO. At 2. Ricorre per cassazione TEL GA., a mezzo del proprio difensore, deducendo 2.1. Vizio di motivazione con riferimento all'affermazione di penale responsabilità. Si censura la sentenza impugnata per aver contraddittoriamente ritenuto che la prova del coinvolgimento del ricorrente nella ricettazione del cellulare era da rinvenirsi nell'intestazione a suo nome della scheda SIM rinvenuta all'interno dell'apparecchio, pur essendo pacifico che quest'ultimo era stato utilizzato con la medesima SIM anche durante il periodo di detenzione dell'EL GA Si censura altresì la valorizzazione della spontanea consegna del cellulare durante la perquisizione domiciliare, da parte dell'imputato circostanza rinvenuta indicativa solo del fatto che egli sapeva della presenza dell'apparecchio all'interno dell'abitazione. 2.2. Vizio di motivazione con riferimento alla misura del trattamento sanzionatorio. Si censura la sentenza impugnata in considerazione del valore del cellulare indicato dall'operante Euro 400/500 , ed il carattere risalente dei precedenti a carico. Considerato in diritto 1. Il ricorso è inammissibile. 2. Manifestamente infondato oltre che meramente reiterativo di analoga doglianza formulata in sede di appello è il primo motivo, con il quale il ricorrente - pur formalmente deducendo un vizio di legittimità - censura in realtà il merito delle valutazioni svolte e tutt'altro che illogicamente esposte dalla Corte territoriale. Quest'ultima ha infatti da un lato posto in rilievo la valenza indiziante del fatto che il cellulare provento di furto aveva iniziato a funzionare nella stessa giornata della sottrazione con una SIM intestata proprio all'odierno ricorrente d'altro lato, la Corte d'Appello ha evidenziato l'assoluta irrilevanza del fatto che l'apparecchio avesse continuato a funzionare anche dopo che TEL GA. era stato tradotto in un carcere minorile per l'esecuzione di una pena detentiva, dato che tale ulteriore utilizzo ben poteva essere stato effettuato da familiari del ricorrente. Infine, la sentenza impugnata ha conferito decisiva rilevanza al fatto che, nella successiva perquisizione domiciliare, era stato proprio il ricorrente a consegnare il telefono per cui è causa, staccandolo dalla presa di ricarica, senza peraltro offrire una qualsiasi plausibile giustificazione in ordine a tale possesso. 3. Ad analoghe conclusioni deve pervenirsi quanto alla residua censura. Pur potendo limitarsi secondo un costante insegnamento giurisprudenziale cfr. ad es. Sez. 4, n. 46412 del 05/11/2015, Scaramozzino, Rv. 265283 ad un mero richiamo dei criteri di cui all'art. 133 cod. pen., attesa l'applicazione di una pena ampiamente inferiore al medio edittale, la Corte d'Appello ha ampiamente e tutt'altro che illogicamente motivato la propria condivisione del trattamento sanzionatorio irrogato in primo grado, sia precisando che la modestia del fatto era già stata considerata con l'applicazione dell'attenuante di cui al secondo comma dell'art. 648 cod. pen. pur trattandosi di un apparecchio di un certo valore , sia valorizzando i plurimi precedenti penali a carico di un soggetto pur di giovane età. Trattasi di percorso argomentativo incensurabile in questa sede. 4. Le considerazioni fin qui svolte impongono una declaratoria di inammissibilità del ricorso, e la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro duemila in favore della Cassa delle Ammende. P.Q.M. Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro duemila in favore della Cassa delle Ammende.