“Palpeggiamento” e frasi sessiste: è violenza sessuale

Condanna definitiva per un uomo, finito sotto processo per il gesto compiuto nei confronti dell’ex fidanzata. Pena fissata in diciassette mesi di reclusione. Nessun dubbio sul valore negativo dell’azione da lui compiuta.

Lo schiaffo sul sedere di una donna vale una condanna per violenza sessuale e può essere reso ancora più grave dal pronunciamento di frasi sessiste. Applicando questa visione i Giudici hanno reso definitiva la condanna per un uomo, finito sotto processo per il comportamento tenuto ai danni della ex fidanzata Cassazione, sentenza n. 8788/20, sez. III Penale, depositata il 4 marzo . Schiaffo. Ricostruito l’episodio incriminato, verificatosi in Basilicata, l’uomo che ha tenuto un comportamento per nulla elegante nei confronti dell’ex compagna viene condannato per violenza sessuale e punito con diciassette mesi di reclusione. Concordi le valutazioni compiute dai Giudici di merito tra primo e secondo grado nessun dubbio, in sostanza, sull’azione compiuta dall’uomo e consistita in uno schiaffo sul sedere della donna, gesto, questo, accompagnato anche da alcune frasi sessiste a lei rivolte. Opposta, ovviamente, la visione proposta in Cassazione dal difensore dell’uomo. In particolare, il legale sostiene che lo schiaffo sul sedere dell’ex compagna del suo cliente rappresentava un gesto di disprezzo, incapace di invadere la sfera sessuale della donna , che, difatti, essendo unica titolare della propria libertà sessuale , non si era mai sentita lesa in tale libertà, trattandosi, come detto, di uno schiaffo rivolto con disprezzo e non paragonabile ad un atto oggettivamente sessuale”. Violenza. Per la Cassazione, però, non vi sono dubbi sulla materialità della condotta tenuta dall’uomo. In sostanza, la dichiarata natura meramente offensiva del palpeggiamento non può escludere l’oggettiva consapevole invasione della sfera sessuale altrui , anche perché, rilevano i magistrati, il gesto era stato accompagnato da inequivoche espressioni sessiste rivolte dall’uomo all’ex fidanzata. Da confermare quindi la condanna per violenza sessuale, così come stabilita in appello. I Giudici del ‘Palazzaccio’ tengono poi a ribadire l’importanza della libertà personale dell’individuo, che deve poter compiere atti sessuali in assoluta autonomia e libertà, contro ogni possibile condizionamento, fisico o morale, e contro ogni non consentita e non voluta intrusione nella propria sfera intima, anche se attuata con l’inganno . E tale diritto non tollera possibili attenuazioni che possano derivare dalla ricerca di un fine ulteriore e diverso dalla semplice consapevolezza di compiere un atto sessuale . Così la persona offesa è l’unica titolare del diritto, mentre qualsiasi valorizzazione di atteggiamenti interiori sposterebbe il disvalore della condotta incriminata dalla persona che subisce la limitazione della libertà sessuale a chi la viola con la propria azione. Difatti, la violenza sessuale comprende non solo ogni forma di congiunzione carnale ma anche qualsiasi atto che, risolvendosi in un contatto corporeo, ancorché fugace ed estemporaneo, tra soggetto attivo e soggetto passivo, o comunque coinvolgendo la corporeità sessuale di quest’ultimo, sia finalizzato e idoneo a porre in pericolo la sua libertà di autodeterminazione nella sfera sessuale, non avendo rilievo determinante, ai fini del perfezionamento del reato, la finalità dell’agente e neppure l’eventuale soddisfacimento del proprio piacere sessuale . Ciò comporta che è necessario e sufficiente che l’imputato sia consapevole , come in questo caso, della natura sessuale dell’atto posto in essere con la propria condotta cosciente e volontaria , anche alla luce dei paletti fissati dalla comunità. Tirando le somme, la nozione di atti sessuali viene a comprendere tutti gli atti che, secondo il senso comune, esprimono l’impulso sessuale dell’agente con invasione della sfera sessuale del soggetto passivo e nella nozione di atti sessuali devono pertanto essere inclusi i toccamenti, i palpeggiamenti e gli sfregamenti sulle parti intime delle vittime, suscettibili di eccitare la concupiscenza sessuale anche in modo non completo o di breve durata, essendo irrilevante, ai fini della consumazione del reato, che il soggetto attivo consegua la soddisfazione erotica .

Corte di Cassazione, sez. III Penale, sentenza 29 novembre 2019 – 4 marzo 2020, n. 8788 Presidente Rosi – Relatore Cerroni Ritenuto in fatto 1. Con sentenza del 21 febbraio 2019 la Corte di Appello di Potenza, in parziale riforma della sentenza del 13 ottobre 2016 del Tribunale di Lagonegro, ha rideterminato in anni uno mesi cinque di reclusione, concesse le attenuanti generiche, la pena, sospesa, inflitta a Fr. Pa. per il reato di cui all'art. 609-bis, comma 3, cod. pen. in danno di An. Gi 2. Avverso la predetta decisione è stato proposto ricorso per cassazione, articolato su unico complesso motivo d'impugnazione. 2.1. In particolare, è stata invocata violazione della legge penale attesa l'erronea applicazione in specie della fattispecie incriminatrice. Era invero emerso che lo schiaffo sul sedere della Gi. rappresentava un gesto di disprezzo incapace di invadere la sfera sessuale della giovane, tant'è che costei mai aveva manifestato l'intenzione di procedere penalmente per violenza sessuale e mai aveva percepito il gesto come approccio sessuale, ma semplicemente come un modo per dire vai a quel paese . Tant'è che la stessa persona offesa aveva inteso rimettere la querela per molestie, una volta resa edotta dell'imputazione per il reato di violenza sessuale. Né la stessa - unica titolare della propria libertà sessuale - si era mai sentita lesa in tale libertà, trattandosi di uno schiaffo con disprezzo rivolto dall'imputato alla sua ex fidanzata, senza essere paragonabile ad un atto oggettivamente sessuale. 3. Il Procuratore generale ha concluso nel senso del rigetto del ricorso. Considerato in diritto 4. Il ricorso è inammissibile. 4.1. In relazione al motivo di impugnazione, e tenuto conto della struttura del presente provvedimento, va ricordato che il reato di cui all'art. 609-bis cod. pen. è posto a presidio della libertà personale dell'individuo, che deve poter compiere atti sessuali in assoluta autonomia e libertà, contro ogni possibile condizionamento, fisico o morale, e contro ogni non consentita e non voluta intrusione nella propria sfera intima, anche se attuata con l'inganno. La libertà sessuale, quale espressione della personalità dell'individuo, trova la sua più alta forma di tutela nella proclamazione della inviolabilità assoluta dei diritti dell'uomo, riconosciuti e garantiti dalla Repubblica in ogni formazione sociale art. 2, Cost , e nella promozione del pieno sviluppo della persona che la Repubblica assume come compito primario art. 3, comma 2, Cost. . L'assolutezza del diritto tutelato non tollera, pertanto, possibili attenuazioni che possano derivare dalla ricerca di un fine ulteriore e diverso dalla semplice consapevolezza di compiere un atto sessuale, fine estraneo alla fattispecie e non richiesto dall'art. 609-bis cit. per qualificare la penale rilevanza della condotta. In tal senso la persona offesa è l'unica titolare del diritto, mentre qualsiasi valorizzazione di atteggiamenti interiori sposterebbe il disvalore della condotta incriminata dalla persona che subisce la limitazione della libertà sessuale a chi la viola. E' stato così osservato che la condotta vietata dall'art. 609-bis cit. comprende, oltre ad ogni forma di congiunzione carnale, qualsiasi atto che, risolvendosi in un contatto corporeo, ancorché fugace ed estemporaneo, tra soggetto attivo e soggetto passivo, o comunque coinvolgendo la corporeità sessuale di quest'ultimo, sia finalizzato e idoneo a porre in pericolo la sua libertà di autodeterminazione nella sfera sessuale, non avendo rilievo determinante, ai fini del perfezionamento del reato, la finalità dell'agente e neppure l'eventuale soddisfacimento del proprio piacere sessuale ad es. Sez. 3, n. 35625 del 11/07/2007, P., Rv. 237294 . 4.1.1. In proposito, tra l'altro, appare necessario e sufficiente che l'imputato sia consapevole della natura sessuale dell'atto posto in essere con la propria condotta cosciente e volontaria tale natura preesiste alla volontà dell'agente, non è da questi creata, né conformata, appartenendo all'elaborazione scientifica ma costituendo anche espressione della cultura di una determinata comunità in un determinato momento storico e può variare da regione a regione, da Paese a Paese, secondo i costumi e le usanze locali. La natura sessuale dell'atto deriva così dalla sua attitudine ad essere oggettivamente valutato, secondo canoni scientifici e culturali, come erotico, idoneo cioè a incarnare il piacere sessuale o a suscitarne lo stimolo, a prescindere dal fatto che proprio questo sia lo scopo dell'agente. Tale valutazione oggettiva costituisce il necessario presupposto del diritto alla libertà sessuale dell'individuo. La nozione di atti sessuali viene pertanto a comprendere senz'altro tutti gli atti che, secondo il senso comune e l'elaborazione giurisprudenziale, esprimono l'impulso sessuale dell'agente con invasione della sfera sessuale del soggetto passivo. Nella nozione di atti sessuali devono pertanto essere inclusi i toccamenti, palpeggiamenti e sfregamenti sulle parti intime delle vittime, suscettibili di eccitare la concupiscenza sessuale anche in modo non completo e/o di breve durata, essendo irrilevante, ai fini della consumazione del reato, che il soggetto attivo consegua la soddisfazione erotica Sez. 3, n. 44246 del 18/10/2005, Boselli, Rv. 232901 Sez. 3, n. 12506 del 23/02/2011, Z., Rv. 249758 . Più in generale, comunque, come è stato anche ricordato dalla Corte territoriale, l'integrazione della fattispecie criminosa di violenza sessuale non richiede che l'atto sessuale sia finalizzato al soddisfacimento del piacere erotico, essendo necessario e sufficiente, a fronte del dolo generico del reato, che l'agente abbia la coscienza e volontà di realizzare gli elementi costitutivi del medesimo in specie si trattava di palpeggiamento dei glutei e toccamento del seno della persona offesa posti in essere al fine di intimorire ed umiliare la stessa Sez. 3, n. 21336 del 15/04/2010, NI., Rv. 247282 cfr. altresì ad es. Sez. 3, n. 4913 del 22/10/2014, dep. 2015, P., Rv. 262470 . 4.1.2. In specie, il provvedimento impugnato - che ha fatto corretta applicazione dei principi richiamati - si presenta esente da censura. In primo luogo il ricorso non si confronta con la motivazione somministrata dalla Corte territoriale, la quale aveva appunto annotato che la persona offesa aveva presentato querela insistendo espressamente per la punizione del colpevole per tutti i reati ravvisabili a suo carico, ivi compreso quindi il delitto sessuale. In secondo luogo non vi era questione in ordine alla materialità della condotta, laddove la dichiarata natura meramente offensiva del palpeggiamento non escludeva l'oggettiva consapevole invasione della sfera sessuale altrui. Tanto più che il gesto - come è stato parimenti sottolineato dalla Corte lucana - era stato accompagnato, ad abundantiam, da inequivoche espressioni sessiste puttana, troia . 4.1.3. In definitiva, altresì riconoscendo la fattispecie attenuata di cui al comma 3 dell'art. 609-bis cit., e concedendo in appello la sospensione condizionale della pena, i Giudici del merito hanno operato in modo equilibrato, peraltro correttamente sanzionando la condotta in applicazione di insegnamento del tutto consolidato, che il proposto ricorso non scalfisce. 5. La manifesta infondatezza dell'impugnazione non può che condurre all'inammissibilità del ricorso. 5.1. Tenuto altresì conto della sentenza 13 giugno 2000, n. 186, della Corte costituzionale e rilevato che, nella fattispecie, non sussistono elementi per ritenere che la parte abbia proposto il ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità , alla declaratoria dell'inammissibilità medesima consegue, a norma dell'art. 616 cod. proc. pen., l'onere delle spese del procedimento nonché quello del versamento della somma, in favore della Cassa delle ammende, equitativamente fissata in Euro 2.000,00. P.Q.M. Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro duemila in favore della Cassa delle Ammende.