Sostituzione delle misure cautelari e differenti poteri del GIP nelle varie fasi processuali

Il GIP esercita le sue funzioni su impulso di parte nella fase che precede l’esercizio dell’azione penale, non dispone degli atti di indagine e non è a conoscenza dello sviluppo del processo mentre nella fase successiva all’esercizio dell’azione penale, investito della richiesta di rinvio a giudizio, il GIP dispone del processo e in sede di udienza preliminare può provvedere d’ufficio alla revoca o alla sostituzione delle misure cautelari.

Sul punto torna ad esprimersi la Corte di Cassazione con sentenza n. 8527/20, depositata il 3 marzo. Il fatto. Al termine della convalida dell’arresto, il GIP applicava all’imputato la misura cautelare degli arresti domiciliari per il delitto ascrittogli. Avverso tale ordinanza proponeva appello il PM ma il Tribunale del riesame rigettava il gravame. Il Procuratore della Repubblica così propone ricorso in Cassazione ritenendo che l’ordinanza di sostituzione della misura sia stata emessa in difetto di poteri del Giudice art. 299, comma 3, c.p.p. . I poteri del GIP. Sull’interpretazione del predetto articolo di legge è intervenuta la Corte Costituzionale sentenza n. 89/1998 , la quale rilevava che l’art. 299, comma 3, c.p.p. nel prevedere che il giudice provvede con ordinanza sulla richiesta di revoca o sostituzione delle misure formulata dal PM o dall’imputato, subordina l’investitura del GIP alla proposizione della domanda. E questo rientra nel principio generale per cui il GIP esercita le sue funzioni su impulso di parte, data la sua natura di giudice senza processo”, che nella fase che precede l’esercizio dell’azione penale, non dispone degli atti di indagine e non è a conoscenza dello sviluppo del processo. Mentre nella fase successiva all’esercizio dell’azione penale, investito della richiesta di rinvio a giudizio, il GIP dispone del processo e in sede di udienza preliminare può provvedere d’ufficio alla revoca o alla sostituzione delle misure cautelari. A ciò consegue il rigetto del ricorso.

Corte di Cassazione, sez. III Penale, sentenza 26 novembre 2019 – 3 marzo 2020, n. 8527 Presidente Izzo – Relatore Semeraro Ritenuto in fatto 1. All’esito della convalida dell’arresto, il giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Rimini ha applicato a M.J. la misura cautelare degli arresti domiciliari. All’esito del giudizio abbreviato, richiesto in trasformazione del giudizio direttissimo, con sentenza del 28 febbraio 2019 M.J. è stato condannato per il delitto D.P.R. n. 309 del 1990, ex art. 73, comma 5. Con ordinanza del 17 giugno 2019, dopo aver chiesto il parere del pubblico ministero, il Tribunale di Rimini ha sostituito la misura cautelare degli arresti domiciliari con l’obbligo di dimora in Rimini. Avverso tale ordinanza ha proposto appello il pubblico ministero il Tribunale del riesame di Rimini, con l’ordinanza del 11 luglio 2019, ha rigettato l’appello. 2. Propone ricorso per cassazione il Procuratore della Repubblica di Rimini per la violazione dell’art. 293 c.p.p., comma 3, ritenendo che l’ordinanza di sostituzione della misura sia stata emessa in difetto dei poteri. Secondo il ricorrente, il Tribunale non poteva procedere di ufficio perché, essendo già stata depositata la sentenza e l’atto di appello, il processo non si trovava nella fase del giudizio il Tribunale del riesame avrebbe erroneamente esteso il giudizio di cui all’art. 299 c.p.p., comma 3 fino alla trasmissione degli atti al giudice competente per l’impugnazione. L’art. 299 c.p.p., comma 3 è norma eccezionale, come risulta dall’avverbio anche . Altro argomento sarebbe rinvenibile nell’art. 91 disp. att. c.p.p. che non avrebbe senso ove il giudizio si estendesse fino alla trasmissione degli atti al giudice dell’impugnazione. Si richiama poi l’art. 299 comma 3-bis c.p.p. che consente l’esercizio dei poteri anche di ufficio solo ove vi sia stata l’interlocuzione con il pubblico ministero. Considerato in diritto 1. Il ricorso è infondato. 1.1. Sull’interpretazione dell’art. 299 c.p.p., comma 3 intervenne la sentenza n. 89 del 1998 della Corte Costituzionale. Rilevò la Corte Costituzionale che l’art. 299 c.p.p., comma 3, - nel prevedere, nel primo periodo, che il giudice provvede con ordinanza sulla richiesta di revoca o di sostituzione delle misure formulata dal pubblico ministero o dall’imputato - subordina l’investitura del giudice per le indagini preliminari alla proposizione della domanda ciò si inscrive nel principio generale per il quale il giudice per le indagini preliminari esercita le sue funzioni su impulso di parte art. 328 c.p.p., comma 1 , data la sua natura di giudice senza processo , il quale nella fase precedente l’esercizio dell’azione penale, non dispone degli atti di indagine e non è a conoscenza dello sviluppo del procedimento. La sua esistenza come organo esercitante la giurisdizione in tanto viene concretamente in campo in quanto egli sia evocato dalle parti. Rilevò però la Corte Costituzionale che diversamente accade per la fase successiva all’esercizio dell’azione penale investito della richiesta di rinvio a giudizio, il giudice per le indagini preliminari dispone del processo, e nell’ambito di questa sua cognizione, in sede di udienza preliminare può provvedere d’ufficio alla revoca o sostituzione delle misure cautelari art. 299 c.p.p., comma 3, secondo periodo . Osservò la Corte Costituzionale che Analogamente e, potrebbe dirsi, a maggior ragione provvede d’ufficio, in base alla disposizione da ultimo citata, il giudice del dibattimento o il giudice investito comunque di una funzione di giudizio . Oltre ai casi in cui il legislatore ha attribuito, ragionevolmente, anche al giudice per le indagini preliminari poteri d’ufficio, nella fase precedente l’esercizio dell’azione penale art. 299 c.p.p., comma 3 decisione sulla richiesta di proroga del termine per le indagini incidente probatorio , ha osservato la Corte Costituzionale che Una volta che il giudice, su domanda o d’ufficio, debba decidere in materia cautelare in particolare, in tema di revoca o di sostituzione di una misura cautelare personale , l’ambito dei suoi poteri-doveri e il contenuto delle sue decisioni, complessivamente ispirati dal principio del favor libertatis, trovano la loro definizione normativa nell’art. 299 c.p.p., commi 1 e 2. Per la Corte Costituzionale, Il comma 1 contempla il dovere di procedere alla revoca immediata delle misure quando risultano mancanti, anche per fatti sopravvenuti, le condizioni di applicabilità o le esigenze cautelari , dettando una disciplina speculare a quella che subordina l’applicazione delle misure all’esistenza dei presupposti indicati dagli artt. 273 e 274 c.p.p A loro volta i principi di proporzionalità e di adeguatezza art. 275 c.p.p. , che sorreggono i criteri di scelta delle misure, trovano riscontro nel comma 2, che impone al giudice, quando le esigenze cautelari risultano attenuate ovvero la misura applicata non appare più proporzionata all’entità del fatto o alla sanzione che si ritiene possa essere irrogata , di sostituire la misura con altra meno grave, ovvero di disporne l’applicazione con modalità meno gravose . Ha altresì rilevato la Corte Costituzionale che il legislatore ha concepito una disciplina idonea a garantire che nel corso del procedimento si realizzi sempre la necessaria corrispondenza tra la misura applicata e le esigenze cautelari, al fine di evitare sia ingiustificate restrizioni della libertà personale, sia l’applicazione di una misura inutile, in quanto non più adeguata alla tutela delle esigenze cautelari. 1.2. Secondo la lettura costituzionalmente orientata delle norme, dopo l’esercizio dell’azione penale, il giudice che procede deve sempre adeguare la misura coercitiva in atto al quadro cautelare, procedendo anche di ufficio alla revoca o alla sostituzione quando rilevi che le esigenze cautelari sono venute meno o si sono attenuate. L’unica condizione per l’esercizio del potere di ufficio è quello di dover richiedere il parere del pubblico ministero, parere che nel caso in esame, secondo quanto rappresenta il Tribunale del riesame, risulta essere stato richiesto. 1.3. Un’interpretazione diversa, come quella propugnata dal pubblico ministero, collegata strettamente alle fasi processuali descritte dal codice per il primo grado, ed in particolare alla scansione del giudizio come descritta dal libro VII del c.p.p., che ricomprende la fase processuale del dibattimento che parte dagli atti preliminari al dibattimento e finisce con il deposito della sentenza, porterebbe ad escludere l’applicazione dell’art. 299 c.p.p., comma 3, nella parte in cui prevede il potere di ufficio nel giudizio, al giudizio di appello e nel grado dinanzi alla Corte di cassazione. Tale interpretazione non sarebbe conforme a Costituzione sia perché la fase delle impugnazioni costituisce un giudizio sia perché altrimenti non si realizzerebbe l’esigenza, fondata sul favor libertatis, come indicato dalla Corte Costituzionale, anche nei gradi di appello e di legittimità di garantire la necessaria corrispondenza tra la misura applicata e le esigenze cautelari, per evitare ingiustificate restrizioni della libertà personale, l’applicazione di una misura inutile perché non più adeguata alla tutela delle esigenze cautelari. 1.4. Va poi rilevato che mentre l’art. 299 c.p.p., comma 3 attribuisce al giudice il potere di adeguare di ufficio lo status libertatis alla reale situazione di fatto dell’imputato, l’art. 91 disp. att. c.p.p. disciplina la competenza funzionale sulle misure cautelari per altro tale competenza funzionale, dopo la sentenza di primo grado, è strettamente collegata al concreto possesso degli atti processuali, perché non trasmessi ancora al giudice dell’impugnazione e quindi proprio alla possibilità per il giudice di poter adeguare la condizione della libertà personale alla persistenza o meno delle concrete esigenze cautelari. 2. Pertanto, il ricorso deve essere rigettato. P.Q.M. Rigetta il ricorso.