Compravendita di sostanza stupefacente: l’acquirente, imputato in procedimento connesso, diventa testimone

In relazione alla cessione/vendita di sostanze stupefacenti, il cedente a titolo gratuito ovvero il venditore a titolo oneroso risponde del reato di cessione” di stupefacente mentre il cessionario/acquirente - laddove abbia di mira ulteriori future cessioni/vendite - risponde del reato di acquisto” illecito, senza che i due concorrano nel medesimo reato.

Tanto rileva sul piano processuale poiché il cessionario/acquirente potrà essere esaminato non già come persona imputata in un procedimento connesso”, bensì quale persona imputata in un procedimento connesso o per reato collegato che assume l’ufficio di testimone”. Lo ha stabilito la seconda sezione penale della Corte di Cassazione, con la sentenza n. 7802, depositata in cancelleria il 27 febbraio 2020. Spaccio di sostanze stupefacenti. Nel caso di specie, due uomini sono stati sottoposti a procedimento penale in relazione al reato di cui all’art. 73 d.P.R. n. 309/1990. L’uno per cessione/vendita di sostanza stupefacente l’altro per acquisto di sostanza stupefacente volta a farne successiva cessione/vendita. In esito al processo di primo grado, il Tribunale ha accertato la responsabilità degli imputati in relazione ai reati loro ascritti, per l’effetto condannandoli alla pena di giustizia. Tanto ha confermato la Corte territoriale, adita in sede di appello. Alle difese non è rimasto che rivolgersi ai giudici romani ai quali è stato chiesto di ribaltare la decisione emessa dalla Corte del gravame in base a svariati e complessi motivi di ricorso, vieppiù recuperati da asseriti vizi - propriamente - processuali. Uno di questi ha riguardato le modalità a mezzo delle quali è stato esaminato uno degli imputati in relazione alla posizione dell’altro precisamente, quale persona imputata in procedimento connesso/collegato che assume l’ufficio di testimone” art. 197- bis , comma 2, c.p.p. anziché quale coimputato art. 210, c.p.p. , con le evidenti ricadute in termini di autorevolezza” delle dichiarazioni rese ed infine utilizzate ai fini della sentenza di condanna. La questione esaminata - di indubbia rilevanza per gli operatori - specchia, nel caso di specie, le peculiarità della norma incriminatrice applicata. Pluralità di fattispecie e concorso di persone. La Corte, nel chiarire i termini applicativi delle norme processuali, muove dalle acquisizioni giurisprudenziali in merito alla natura dell’art. 73 d.P.R. n. 309/1990, sottolineando come si tratti di norma a più fattispecie”, con la conseguenza che da un lato, il reato si configura laddove il soggetto abbia commesso anche solo una delle condotte previste dall’altro, deve escludersi il concorso formale di reati quando un unico fatto concreto integri contestualmente più azioni tipiche alternative previste dalla norma, poste in essere senza una apprezzabile soluzione di continuità dal medesimo soggetto, ed aventi come oggetto materiale la medesima sostanza stupefacente. In altri termini, quando unico è il fatto concreto che integra contestualmente più azioni tipiche alternative, le condotte illecite perdono la loro individualità e vengono assorbite nell’ipotesi più grave quando - tutto al contrario - le differenti azioni tipiche sono distinte sul piano ontologico, cronologico e psicologico, esse costituiscono reati concorrenti materialmente. Vendita, cessione, acquisto illecito. Sulla premessa di quanto precede – si legge in sentenza – in presenza della vendita o cessione illecita di sostanze stupefacente a soggetto che la acquisti a sua volta illecitamente ovvero al fine di successione vendite o cessioni illecite , i soggetti contraenti pongono in essere ciascuno una delle diverse ed autonome condotte tipiche incriminate ex art. 73, cit. In particolare – hanno precisato gli ermellini – il primo soggetto pone in essere una vendita” o cessione” il secondo la condotta di acquisto”. Talché, secondo il ragionamento della Corte, i due soggetti devono – autonomamente e mono-soggettivamente – essere chiamati a rispondere delle suddette condotte, senza che possa configurarsi il concorso di persone nel reato, ex art. 110, c.p., dell’acquirente nella vendita o del venditore nell’acquisto. Ciò in quanto la funzione dell’art. 110, cit. è quella di attrarre nell’area del penalmente rilevante” condotte atipiche causalmente collegate ad una condotta tipica, altrimenti penalmente irrilevanti i.e. non sanzionabili , laddove nel caso di specie, ciascuno dei soggetti interessati pone in essere una condotta tipica. Esame processuale del cessionario/acquirente. Sotto il versante processuale – e quale immediata conseguenza di quanto appurato sul piano sostanziale – ove si proceda nei confronti dei predetti soggetti separatamente, l’acquirente non deve essere esaminato con le forme previste dall’art. 210, c.p.p. persona imputata in un procedimento connesso” – non essendo concorrente nel reato di vendita di sostanze stupefacente, bensì, ricorrendone i presupposti, può essere esaminato con le forme previste dall’art. 197- bis, comma 2, c.p.p. persona imputata in un procedimento connesso o per reato collegato che assume l’ufficio di testimone” . Condanna confermata. Sul crinale delle considerazioni che precedono la Corte ha dunque rigettato, sotto vari profili, i ricorsi dei due imputati, per l’effetto confermando la corretta qualificazione, ai fini della testimonianza resa, svolta dai giudici di secondo grado e, dunque, la raggiunta condanna.

Corte di Cassazione, sez. II Penale, sentenza 8 ottobre 2019 – 27 febbraio 2020, n. 7802 Presidente Rago – Relatore Beltrani Ritenuto in fatto Con sentenza del 5.11.2015, il Tribunale di Teramo in composizione collegiale ha dichiarato, per quanto in questa sede rileva - C.M. colpevole dei reati a lui ascritti al capo D esclusa l’aggravante di cui all’art. 61 c.p., n. 11-quinquies ed al capo C qualificato D.P.R. n. 309 de 1990, ex art. 73, comma 5, ed in esso assorbita la condotta in origine contestata sub B , unificati dal vincolo della continuazione, condannandolo alla pena ritenuta di giustizia - S.S. colpevole del reato a lui ascritto al capo C qualificato D.P.R. n. 309 del 1990, ex art. 73, comma 5, ed esclusa l’aggravante di cui all’art. 80 stesso D.P.R. , cor dannandolo alla pena ritenuta di giustizia, con sospensione condizionale. Con sentenza del 6.12.2017, la Corte d’appello di L’Aquila ha integralmente confermato la predetta sentenza. Contro la predetta sentenza, hanno presentato tempestivamente e nei modi di rito distinti ricorsi gli imputati. All’odierna udienza pubblica, è stata verificata la regolarità degli avvisi di rito all’esito, le parti presenti hanno concluso come indicato in epigrafe, ed il collegio, riunito in camera di consiglio, ha deciso come da dispositivo in atti. Considerato in diritto I ricorsi degli imputati sono stati proposti, nel complesso, per motivi infondati, e vanno, pertanto, rigettati. 1. S.S. ha proposto quattro motivi di ricorso lamentando plurime ino3serdanze di norme processuali stabilite a pena di nullità, di inammissibilità o di decadenza , nel complesso infondati. 1.1. Con il primo motivo il ricorrente lamenta nullità della lista testi del P.M., con cor seguente decadenza ed inutilizzabilità delle deposizioni testimoniali acquisite su richiesta del P.M. per violazione dell’art. 468 c.p.p., comma 1, vi sarebbe incertezza in ordine alla data di deposito della predetta lista, in difetto di una formale attestazione di deposito da parte della cancelleria ricevente . 1.1.1. Il motivo è manifestamente infondato, in considerazione di quanto specificamente osservato in argomento dalla Corte di appello a f. 6 della sentenza impugnata quanto all’assoluta tempestività del deposito della lista testimoniale de qua essa risulta depositata in data 5 novembre 2014 come attestato dal timbro di ricezione apposto dalla cancelleria del Tribunale, recante altresì la sigla del cancelliere cfr. f. 20 del fascicolo del dibattimento . Il dato emerge da una copia fotostatica la cui autenticità non è mai stata contestata. 1.2. Con il secondo motivo il ricorrente lamenta l’inutilizzabilità delle dichiarazioni di P.G. per violazione dell’art. 197-bis c.p.p., comma 4, secondo la difesa, il dichiarante, quanto meno in ordine al reato di cui al capo C , avrebbe dovuto essere esaminato previo avvertimento della facoltà di non rispondere sui fatti concernenti la propria responsabilità, in considerazione dell’inscindibile collegamento esistente tra la condotta contestata all’imputato e quella contestata al dichiarante, che avrebbe acquistato a fini di spaccio la droga cedutagli dall’imputato . 1.2.1. Il motivo è manifestamente infondato. e ragioni della ritenuta manifesta infondatezza del motivo saranno illustrate nei § § 2.1. ss., quando saranno esaminate le analoghe doglianze sollevate nell’interesse del coimputato con i primi quattro motivi del relativo ricorso. 1.3. Con il terzo motivo, il ricorrente lamenta l’inutilizzabilità dei tabulati telefonici acquisiti ex art. 507 c.p.p., perché non presenti nel fascicolo del P.M. al momento della richiesta di giudizio immediato, nè menzionati tra gli atti d’indagine rilevanti. 1.3.1. Il motivo è, nel complesso, infondato. e ragioni della ritenuta infondatezza del motivo saranno illustrate nei § § 2.3. ss., quando saranno esaminate le analoghe doglianze sollevate nell’interesse del coimputato con il sesto ed il settimo motivo del relativo ricorso. 1.4. Con il quarto motivo, il ricorrente lamenta l’inattendibilità delle dichiarazioni rese dal tese P.G. e l’insussistenza dei necessari riscontri. 1.4.1. Il motivo difetta della necessaria specificità ed è, comunque, manifestamente infondato. Le ragioni del ritenuto difetto della necessaria specificità e della ritenuta manifesta infondatezza del motivo saranno illustrate nei § § 2.1.7., 2.2. ss. e 2.6. ss., quando saranno esaminate le analoghe doglianze sollevate nell’interesse del coimputato con i primi cinque motivi e con il dodicesimo motivo del relativo ricorso. 2. C.M. ha proposto, in 122 pagine di ricorso, tredici motivi di ricorso, nel complesso infondati. 2.1. Con i primi due motivi ff. 1/6 del ricorso il ricorrente lamenta violazione degli artt. 64, 210 e 468 c.p.p. - violazione correlata degli artt. 192, 511 e 546 c.p.p. – art. 111 Cost., art. 6 Conv. EDU - violazione del diritto di difesa, del diritto al contraddittorio, del diritto alle parità delle armi ed al giusto processo, in particolare nella formazione della prova plurimi vizi di motivazione sarebbe inammissibile la prova dichiarativa a mezzo di P.G. , indicato nella lista depositata dal P.M. come persona offesa e non come persona da esaminare ai sensi dell’art. 210 c.p.p. in quanto indagato di procedimento connesso vizio asseritamente non sanato neppure ammettendo l’esame ex art. 507 c.p.p Con il terzo ed il quarto motivo ff. 6/24 del ricorso il ricorrente reitera la precedente doglianza, questa volta invocando violazione di 16 disposizioni in particolare, degli artt. 468, 192, 197, 197-bis e 210 c.p.p. – art. 12 c.p.p., comma 1, lett. a , - D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73, art. 125 c.p.p., comma 3, art. 178 c.p.p., art. 179 c.p.p., comma 2, artt. 191, 192, 526 e 546 c.p.p., art. 111 Cost., art. 6 CEDU ed ancora una volta dei 4 principi generali predetti peraltro, l’oggetto della doglianza non varia ci si duole che P.G. sia stato esaminato ai sensi dell’art. 197-bis c.p.p. in luogo che ai sensi dell’art. 210 c.p.p., con asseritamente illegittima conversione della fisionomia del dichiarante da persona imputata di reato connesso a testimone assistito lamenta, inoltre, vizi di motivazione quanto all’inammissibilità ed inutilizzabilità delle dichiarazioni del predetto dichiarante ma, trattandosi di questioni di diritto, va immediatamente chiarito che i vizi di motivazione non sono deducibili, rilevando unicamente che la soluzione prescelta dalla Corte di appello - comunque motivata - sia corretta così, nell’ambito di orientamento assolutamente univoco, Sez. 2, n. 3706 del 21 gennaio 2009, Rv. 242634, e n. 19696 del 20 maggio 2010, Rv. 247123 Sez. 3, n. 6174 del 23/10/2014, cleri. 2015, Rv. 264273 Sez. 1, n. 16372 del 20/03/2015, Rv. 263326, nonché, sotto la vigenza dell’abrogato codice di rito, Sez. 4, n. 6243 del 7 marzo 1988, Rv. 178442 ed, inoltre, letteralmente, omessa valutazione degli elementi di prova a discarico dell’imputato. Errata valutazione di utilizzabilità, oltreché di attendibilità e concludenza dell’elemento probatorio. Travisamento del fatto e della prova sul punto . 2.1.1. I primi quattro motivi del ricorso C. ed il secondo motivo - di analogo contenuto - del ricorso presentato nell’interesse del coimputato S. sono manifestamente infondati, in quanto all’evidenza privi di base legale. 2.1.2. L’art. 468 c.p.p. richiede testualmente, a pena d’inammissibilità, soltanto il tempestivo deposito della lista e l’indicazione delle circostanze sulle quali deve vertere il chiesto esame, non anche l’indicazione della qualità dei soggetti indicati in lista. Non è richiesta persino l’indicazione del loro nominativo questa Corte Sez. 4, Sentenza n. 23986 del 26/04/2016, Rv. 266706 Sez. 3, Sentenza n. 38501 del 25/09/2007, Rv. 237948 ha già chiarito, infatti, che l’omessa o l’erronea indicazione, da parte del P.M., nella lista testimoniale di cui all’art. 468 c.p.p., del nome del pubblico ufficiale di polizia giudiziaria verbalizzante non comporta l’impossibilità di escutere il soggetto che ha effettivamente operato, purché tale nominativo sia facilmente reperibile e conoscibile da parte dell’imputato sulla base degli atti, l’esame sia condotto ritualmente e verta sulle circostanze indicate nella lista. 2.1.3. Peraltro, P.G. , correttamente indicato in lista come persona offesa lo era in relazione al reato di estorsione , è stato altrettanto correttamente esaminato in qualità di testimone assistito ai sensi dell’art. 197-bis c.p.p., comma 2. Il contrario assunto dei ricorrenti risulta non condivisibile. Invero - l’art. 210 c.p.p. disciplina testualmente l’esame delle persone che non possono assumere l’ufficio di testimone - l’art. 197-bis c.p.p., comma 2, stabilisce, diversamente, che può assumere l’ufficio di testimone l’imputato in procedimento connesso ex art. 12 c.p.p., comma 1, lett. c , o di un reato collegato ex art. 371 c.p.p., comma 2, lett. b , nel caso previsto dall’art. 64 c.p.p., comma 3, lett. c . Quest’ultimo presupposto ricorreva nel caso concreto, ed è stato giustamente valorizzato per determinare lo status del dichiarante P.G. , imputato di un reato collegato ex art. 371 c.p.p., comma 2, lett. b , l’imputato C. è, infatti, chiamato a rispondere nell’odierno processo, in concorso con l’imputato S. , non soltanto di cor corso in cessione di sostanze stupefacenti al P. , ma anche, da solo, di estorsione in danno del predetto P. , finalizzata ad ottenere il pagamento del prezzo della predetta cessione , ed altresì ricorre pacificamente il caso previsto dall’art. 64 c.p.p., comma 3, lett. c . 2.1.3.1. Non può, pertanto, risultare decisiva, in senso contrario, la decisione invocata a sostegno del contrario assunto Sez. 6, n. 12610 del 14/01/2010, Rv. 246726 Il venditore del,a sostanza stupefacente non può essere sentito in qualità di testimone assistito, ma solo in qualità di imputato di reato connesso, nel dibattimento a carico dell’acquirente della stessa sostanza, atteso che egli è concorrente necessario nel reato contestato a quest’ultimo , riguardante fattispecie nella quale si procedeva per il solo reato di acquisto di sostanze stupefacenti, non anche di estorsione in danno dell’acquirente. 2.1.3.2. Detta decisione non appare, peraltro condivisibile. Come assolutamente pacifico in giurisprudenza cfr., per tutte, Sez. 3, n. 7404 del 15/01/2015, Rv. 262421 , il D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73 ha natura giuridica di norma a più fattispecie, con la conseguenza che, da un lato, il reato è configurabile allorché il soggetto abbia posto in essere anche una sola delle condotte ivi previste, dall’altro, deve escludersi il concorso formale di reati quando un unico fatto concreto integri contestualmente più azioni tipiche alternative previste dalla norma, poste in essere senza apprezzabile soluzione di continuità dallo stesso soggetto ed aventi come oggetto materiale la medesima sostanza stupefacente pertanto, quando unico è il fatto concreto che integra contestualmente più azioni tipiche alternative, le condotte illecite minori perdono la loro individualità e vengono assorbite nell’ipotesi più grave quando invece le differenti azioni tipiche sono distinte sul piano ontologico, cronologico e psicologico, esse costituiscono distinti reati concorrenti materialmente Sez. 6, n. 22549 del 28/03/2017, Rv. 270266 . Fuori da questa ipotesi, è in generale pacifica anche l’autonomia di ciascuna condotta tipica Sez. 5, n. 4529 del 10/11/2010, dep. 2011, Rv. 249252 . Invero, con la previsione normativa del D.P.R. n. 309 del 1990, artt. 73 ed 80 il legislatore ha voluto punire tutte le attività che concretano il traffico quali che ne siano le effettive dimensioni, dall’importazione di massicci quantitativi al piccolo spaccio al minuto di sostanze stupefacenti o psicotrope, enucleando una serie di condotte tipiche tra le quali anche acquisto e vendita o cessione , tutte punite allo stesso modo e costituenti, perciò, ipotesi criminose distinte, autonome, ma equivalenti, che si pongono in rapporto di alternatività formale le diverse condotte dalle norme previste perdono la loro individualità se costituiscono manifestazione del potere di disposizione della medesima sostanza, il che può comportarne l’assorbimento, e la conseguente esclusione del concorso di reati, sempre che trai ti della stessa sostanza stupefacente e che le condotte siano state poste in essere contestualmente, ossia indirizzate ad un unico fine e senza apprezzabile soluzione di cor tinuità così tradizionalmente la giurisprudenza, a partire da Sez. 6, n. 11360 del 08/07/1994, Rv. 199368 . È, pertanto, evidente che, in presenza di un rapporto contrattuale contra legem tra due soggetti, l’uno cedente a titolo gratuito o venditore a titolo oneroso , l’altro acquirente in ipotesi a sua volta al fine di future cessioni o vendite , il primo risponda di cessione o di vendita illecita di sostanze stupefacenti, il secondo di acquisto illecito delle medesime sostanze stupefacenti, e che si sia fuori dal concorso nel medesimo reato, poiché distinte sono le condotte tipiche a ciascuno ascrivibili. A ritenere il contrario come fa l’isolata decisione richiamata dal ricorrente , dovrebbe, infatti, inammissibilmente ritenersi non soltanto il secondo soggetto responsabile di cor corso nella cessione o vendita illecita posta in essere dal primo soggetto, ma a ben vedere anche il primo soggetto responsabile di concorso nella condotta di acquisto illecito posta in essere dal secondo soggetto è questa infatti la specifica fattispecie esaminata dal orientamento richiamato condotte entrambe da assorbire - data la loro contestualità, considerato che ne costituirebbe oggetto la medesima sostanza stupefacente, e dovendosi quindi evitare un’indebita duplicazione di titoli di responsabilità penale - in una sola più grave condotta. Tuttavia, in siffatta situazione, non appare correttamente invocabile l’istituto del concorso di persone, la cui funzione è pacificamente quella di attrarre nell’area del penalmente rilevante” condotte atipiche causalmente collegate alla condotta tipica, altrimenti penalmente irrilevanti e quindi non sanzionabili, laddove, nel caso di specie, ciascuno dei soggetti interessati pone in essere una diversa condotta tipica vendita/acquisto , della quale può quindi autonomamente e monosoggettivamente essere chiamato a rispondere. 2.1.3.3. Vanno, pertanto, affermati i seguenti principi di diritto In presenza della vendita o cessione illecita di sostanza stupefacente a soggetto che la acquisti a sua volta illecitamente ovvero al fine di successive vendite o cessioni illecite , i soggetti contraenti pongono in essere ciascuno una delle diverse ed autonome condotte tipiche incriminate D.P.R. n. 309 del 1990, ex art. 73 il primo, di vendita o cessione l’altro, di acquisto , delle quali devono, quindi, autonomamente e monosoggettivamente essere chiamati a rispondere, non potendo essere configurato il concorso ex art. 110 c.p. dell’acquirente nella vendita o del venditore nell’acquisto, in quanto la funzione dell’art. 110 c.p. è quella di attrarre nell’area del penalmente rilevante condotte atipiche causalmente collegate ad una condotta tipica, altrimenti penalmente irrilevanti e quindi non sanzionabili, laddove, nel caso di specie, ciascuno dei soggetti interessati pone in essere una diversa cor dotta tipica. Ne consegue che, ove si proceda nei confronti dei predetti soggetti separatamente, l’acquirente non deve essere esaminato con le forme previste dall’art. 210 c.p.p., non essendo concorrente nel reato di vendita di sostanze stupefacente, ed anzi, ricorrendone i presupposti, può essere esaminato con le forme previste dall’art. 197-bis c.p.p., comma 2”. 2.1.4. Volendo ulteriormente prescindere anche da tali rilievi, sta di fatto, e la circostanza assume rilievo assorbente, che, nel presente procedimento, gli imputati sono sta i chiamati a rispondere unicamente di concorso in vendita di sostanze stupefacenti non cor testata in concorso anche col P. e, nel separato procedimento a suo carico, il P. è stato chiamato a rispondere unicamenente di un illecito acquisto di sostanze stupefacenti monosoggettivamente perpetrato, non anche del concorso con gli odierni imputati nella vendita illecita ad essi ascritta. 2.1.5. Quanto alla pure eccepita violazione dell’art. 197-bis c.p.p., comma 4, neppure i ricorrenti affermano che il dichiarante P.G. sia stato costretto a deporre su fatti concernenti la propria responsabilità, ovvero in ordine al reato per cui si procede nei suoi confronti. In realtà, la citata disposizione comporta soltanto che il testimone assistito sarebbe legittimato a rifiutarsi di rispondere a domande riguardanti il diverso reato per cui si procede nei suoi confronti, ed, in tal modo, intende tutelare unicamente il dichiarante sottoposto ad esame diversamente, se egli alle predette domande ritenga di rispondere come è accaduto nel caso in esame , il soggetto imputato nel procedimento nell’ambito del quale viene assunta la testimonianza assistita non ha titolo per dolersi di alcunché. 2.1.6 Per tali ragioni, le comuni doglianze degli imputati, prive di base legale, sono manifestamente infondate. 2.1.6. Tenuto conto del fatto che il P. poteva in ogni caso essere esaminato, che egli non ha in alcun modo manifestato l’intenzione di sottrarsi all’esame facoltà che avrebbe potuto esercitare soltanto se esaminato ex art. 210 c.p.p., nella specie, però, insussistente per quanto illustrato supra e che le sue dichiarazioni sono state valorizzate ai fini della conclusiva affermazione di responsabilità unitamente a plurimi riscontri individualizzanti, non è agevole comprendere in cosa si concretizzi l’interesse degli imputati alla doglianza. 2.1.8. Quanto alla ritenuta attendibilità delle dichiarazioni del P. ed all’individuazione dei necessari riscontri, valgono gli incensurabili rilievi della Corte di appello f. 7 ss. della sentenza impugnata , con i quali i ricorrenti non si confrontano adeguatamente, limitandosi a riproporre una diversa lettura delle risultanze probatorie acquisite, fondata su mere ed indimostrate congetture, senza documentare nei modi di rito eventuali travisamenti decisivi. 2.2. Con il quinto motivo ff. 24/26 del ricorso il ricorrente reitera ancora una volta plurimi vizi di motivazione quanto alla valutazione di attendibilità del dichiarante P.G. . 2.2.1. Il quinto motivo del ricorso C. ed il quarto motivo - di analogo contenuto - del ricorso presentato nell’interesse del coimputato sono manifestamente infondati per le ragioni appena illustrate cfr. § 2.1.7. . Peraltro, il ricorso C. ricopia palesemente l’atto di appello, perché formula doglianze - peraltro assolutamente generiche - sull’operato del Tribunale in luogo di censurare in ipotesi l’operato della Corte di appello , non indica compiutamente le prove decisive delle quali lamenta l’omessa valutazione, e neppure indica le ragioni della loro presunta decisività, pur in presenza del massiccio compendio probatorio valorizzato dalla Colte di appello a fondamento della contestata affermazione di responsabilità. 2.3. Con il sesto ed il settimo motivo ff. 26/55 del ricorso , il ricorrente lamenta - violazione e falsa applicazione di norme processuali stabilite a pena di inutilizzabilità in relazione agli artt. 191 e 192 c.p.p., art. 454 c.p.p., comma 2, artt. 507, 431 e 526 c.p.p. e art. 546 c.p.p., comma 1, lett. e , art. 111 Cost. e art. 6 CEDU - inutilizzabilità funzionale ex art. 191 c.p.p. degli atti non depositati dal PM all’atto della richiesta di giudizio immediato custodiale, non acquisibili al fascicolo del dibattimento e da espungersi - illegittima acquisizione al fascicolo del dibattimento di atti ed utilizzazione di essi ai fini della decisione - violazione del principio del principio di parità di armi tra le parti e del principio dell’effettivo e consapevole esercizio del diritto di difesa, al contraddittorio ed al giusto processo, in particolare nella formazione del a prova - nullità sentenza di primo grado, delle ordinanze del 25.06.2015, 26.02.2015, 23.04.2015 e 01.10.2015 e della sentenza di secondo grado mera apparenza della motivazione in ordine alla dedotta inutilizzabilità funzionale degli atti non depositati dal PM all’atto della richiesta di giudizio immediato custodiale ed alla non acquisibilità degli stessi al fascicolo del dibattimento ma, si ripete, trattandosi di questione di diritto, il vizio di motivazione non è deducibile, potendo essere in ipotesi dedotta unicamente la violazione di legge - manifesta contraddittorietà e/o illogicità della motivazione - omessa valutazione degli elementi di prova a discarico dell’imputato - erronea valutazione di utilizzabilità, oltreché di concludenza dell’elemento probatorio - travisamento del,a prova in ordine alla valutazione del contenuto degli atti. lamenta, in sostanza, che il Tribunale non avrebbe potuto acquisire d’ufficio ex art. 507 c.p.p. tutta quella documentazione CD contenenti i tabulati telefonici CD cor tenente n. 2 registrazioni di conversazioni intercorse fra C. e P. fascicolo fotografico verbale di arresto, perquisizione e sequestro realtivi ad altri soggetti che, pur essendo contenuta nel fascicolo del Pubblico Ministero, quest’ultimo non aveva ritenuto di depositare, impedendo il corretto esercizio del diritto di difesa in altri termini, non poteva il Tribunale supplire all’inerzia del Pubblico Ministero. 2.3.1. Il sesto ed il settimo motivo del ricorso C. ed il terzo motivo - di analogo cor tenuto - del ricorso presentato nell’interesse del coimputato S. sono in parte infondati, in parte privi della necessaria specificità, o comunque manifestamente infondati. 2.3.2. Questa Corte ha da tempo chiarito che, in tema di istruzione dibattimentale, il potere del giudice di disporre anche di ufficio l’assunzione di nuovi mezzi di prova, ove risulti assolutamente necessario, ai sensi dell’art. 507 c.p.p., non può essere limitato dal principio della cosiddetta discovery , che opera esclusivamente nei rapporti fra le parti Sez. 6, Sentenza n. 9909 del 20/05/1994, Rv. 199450 nella fattispecie, il Tribunale aveva disposto l’acquisizione al dibattimento di filmati e fotografie, e la Suprema Corte - affermando che non si era trattato di prove fornite o richieste dal P.M. bensì di prcve ritenute necessarie dal Tribunale - ha ritenuto infondata la censura del ricorrente che al riguardo aveva denunciato la violazione del principio della discovery . Il principio è stato in seguito ribadito da questa Sezione Sez. 2, Sentenza n. 13938 del 18/02/2014, Rv. 259710 , in fattispecie nella quale il Tribunale aveva disposto l’acquisizione, ai sensi dell’art. 507 c.p.p., quali atti irripetibili, di fotografie formate da un teste di P.G. nell’imminenza dell’udienza in cui doveva essere esaminato, e, quindi non presenti nel fascicolo del pubblico ministero, attraverso la stampa di immagini estrapolate dal filmato che aveva documentato un servizio di osservazione, pedinamento e controllo effettuato durante le indagini. Nel medesimo senso si sono successivamente pronunciate Sez. 2, sentenza n. 609 del 2018, n. m. e Sez. 1, n. 22164 del 2017, n. m. sul punto. 2.3.3. Non attinente alla fattispecie dedotta nell’odierno giudizio è la solo apparentemente difforme sentenza secondo la quale, in materia di prove, non è consentito l’esercizio del potere istruttorio del giudice, di cui all’art. 507 c.p.p., al fine di recuperare al fascicolo del dibattimento un atto ontologicamente irripetibile del medesimo procedimento nella specie, una conversazione telefonica intercettata , dichiarato inutilizzabile a causa del suo omesso deposito nei termini di cui agli artt. 415-bis e 416 c.p.p. Sez. 1, Sentenza n. 27879 del 12/03/2014, Rv. 260249 . Nel caso oggi in esame, infatti, non vi era stata alcuna pregressa declaratoria d’irutilizzabilità dei materiali probatori successivamente acquisiti dal Tribunale ex art. 507 c.p.p 2.3.4. Le ulteriori doglianze, dedotte sul punto promiscuamente, e quindi confusamente, dal ricorrente, sono prive della necessaria specificità o comunque manifestamente infondate. Invero - la disposta acquisizione non riguarda l’informativa di P.G., ma solo alcuni documenti ad essa allegati - le doglianze sono ancora una volta generiche nella parte in cui il ricorrente f. 46 del ricorso asserisce in maniera meramente dubitativa che il CD-Rom con le due registrazioni incontestazione avrebbe dovuto già far parte del fascicolo del PM, senza affermarlo con certezza come sarebbe stato possibile previo esame del fascicolo del P.M. , finendo, quindi col denunciare un vizio meramente ipotetico - le doglianze sono, infine, generiche anche perché riportano palesemente l’atto di appello, formulando rilievi peraltro ancora una volta assolutamente generici riguardanti l’operato del Tribunale, non, come doveroso, della Corte di appello, e - come già osservato - non indicano compiutamente le prove decisive delle quali si lamenta l’omessa valutazione, e neppure le ragioni della loro presunta decisività, pur in presenza del massiccio compendio probatorio valorizzato dalla Corte di appello a fondamento della contestata affermazione di responsabilità. 2.3.5. Le doglianze risulterebbero, comunque, generiche in difetto della c.d. prova resistenza. Questa Corte Sez. 2, Sentenza n. 7986 del 18/11/2016, dep. 2017, Rv. 269218 ha già chiarito che, nell’ipotesi in cui con il ricorso per cassazione si lamenti l’inutilizzabilità di un elemento a carico, il motivo di impugnazione deve illustrare, a pena di inammissibilità per aspecificità, l’incidenza dell’eventuale eliminazione del predetto elemento ai fini della cosiddetta prova di resistenza , in quanto gli elementi di prova acquisiti illegittimamente diventano irrilevanti ed ininfluenti se, nonostante la loro espunzione, le residue risultanze risultino sufficienti a giustificare l’identico convincimento. Ciò premesso, in presenza di una prova principale le dichiarazioni P.G. e di plurimi riscontri ulteriori, sarebbe stato onere del ricorrente illustrare per quale ragione l’affermazione di responsabilità sarebbe caduta in difetto degli elementi dei quali si argomenta come detto, pur erroneamente l’inutilizzabilità. 2,4. Con l’ottavo ed il nono motivo ff. 55/62 del ricorso , il ricorrente lamenta plurime violazioni di legge e vizi di motivazione quanto alle dichiarazioni di P.M.V. , sorella dell’altro dichiarante, che sarebbero inutilizzabili in particolare per violazione dell’art. 199 c.p.p., in riferimento all’omesso avviso della facoltà di astensione, cor travisamento del fatto e della prova. 2.4.1. L’ottavo ed il nono motivo del ricorso C. sono privi della necessaria specificità, in difetto della prova di resistenza cfr. § 2.3.5. . Peraltro, come chiarito ineccepibilmente dalla Corte di appello a f. 7 della sentenza impugnata, all’atto dell’audizione della donna non si procedeva nei confronti del fratello. 2.5. Con il decimo e l’undicesimo motivo ff. 63/71 del ricorso il ricorrente lamenta plurime violazioni di legge e vizi di motivazione quanto alle dichiarazioni di M.K. e M.D. , che sarebbero inutilizzabili perché i dichiaranti dovevano asseritamente essere esaminati ex art. 210 c.p.p., o quantomeno ex art. 197-bis c.p.p. sarebbe stato, peraltro, travisato il loro contenuto. 2.5.1. I motivi, in diritto fondati, sono privi della necessaria specificità, ancora una volta in difetto della necessaria prova di resistenza cfr. § 2.3.5. . 2.5.2. Come dedotto dal ricorrente, erra macroscopicamente la Corte di appello nel ritenere che la valutazione circa la doverosità o meno dell’iscrizione nel registro degli indagati spetti insindacabilmente al P.M., e che, in difetto, al dichiarante vada sempre e comunque riconosciuto lo status di testimone. Questo più risalente orientamento è stato, infatti, superato dalle Sezioni Unite di questa Corte che, con la Sentenza n. 15208 del 25/02/2010, Rv. 246584, hanno affermato quanto segue In tema di prova dichiarativa, allorché venga in rilievo la veste che può assumere il dichiarante, spetta al giudice il potere di verificare in termini sostanziali, e quindi al di là del riscontro di indici formali, come l’eventuale già intervenuta iscrizione nominativa nel registro delle notizie di reato, l’attribuibilità allo stesso della qualità di indagato nel momento in cui le dichiarazioni stesse vengano rese, e il relativo accertamento si sottrae, se congruamente motivato, al sindacato di legittimità . In seguito, più decisioni, anche di questa Sezione, hanno ribadito il principio Sez. 2, Sentenza n. 51840 del 16/10/2013, Rv. 258069 Sez. 2, Sentenza n. 8402 del 17/02/2016, Rv. 267729 Sez. 6, Sentenza n. 20098 del 19/04/2016, Rv. 267129 . 2.5.3. Nondimeno, ancora una volta, in presenza di una prova principale le dichiarazioni P.G. e di plurimi riscontri ulteriori, sarebbe stato onere del ricorrente illustrare per quale ragione l’affermazione di responsabilità sarebbe caduta in difetto degli elementi dei quali si argomenta questa volta a ragione l’inutilizzabilità. 2.6. Con il dodicesimo motivo ff. 71/115 del ricorso il ricorrente ripropone plurime doglianze di violazione di legge e vizi di motivazione quanto alla valutazione di attendibilità del,e dichiarazioni di P.G. , di M.K. e di M.D. dopo aver ripercorso copiosamente le acquisite risultanze, ne fornisce una propria ricostruzione, lamentando per l’ennesima volta l’omessa valutazione di prove decisive. 2.6.1. Il motivo difetta della necessaria specificità, risultando meramente reiterativi i rilievi critici rispetto alle ragioni di fatto e/o di diritto poste a fondamento della decisione impugnata, in difetto del compiuto riferimento alle argomentazioni giuridicamente corrette, nonché esaurienti, logiche e non contraddittorie, e, pertanto, esenti da vizi rilevabili in questa sede in virtù delle quali la Corte di appello ha confermato la contestata affermazione di responsabilità, valorizzando, anche attraverso il rinvio alle condivise argomentazioni del Tribunale come è fisiologico, in presenza di una doppia conforme affermazione di responsabilità , le dichiarazioni di P.G. , motivatamente ritenute attendibili e corroborate da plurimi elementi di riscontro individualizzante, di natura eterogenea, sia dichiarativa che documentale, puntualmente enumerati e positivamente valorizzati, concordemente, dal Tribunale e dalla Corte di appello cfr. in sintesi f. 7 ss. della sentenza impugnata . Con tali argomentazioni il ricorrente in concreto non si confronta adeguatamente, limitandosi a riproporre una diversa lettura delle risultanze probatorie acquisite, fondata su mere ed indimostrate congetture, senza documentare nei modi di rito eventuali travisamenti. 2.6.2. Il ricorrente, infine, non indica compiutamente le prove decisive delle quali lamenta l’omessa valutazione, e neppure indica le ragioni della loro presunta decisività, pur in presenza del massiccio compendio probatorio valorizzato dalla Corte di appello a fondamento della contestata affermazione di responsabilità. 2.7. Con il motivo numerato come quattordicesimo, pur se nel ricorso - per evidente errore materiale -, manca un tredicesimo motivo ff. 115/122 del ricorso , il ricorrente denuncia plurime violazioni di legge e vizi di motivazione quanto al diniego delle attenuanti generiche, alla presunta eccessività pena ed al diniego sospensione condizionale della pena. 2.7.1. Il motivo è del tutto generico in difetto del compiuto riferimento alle argomentazioni contenute nel provvedimento impugnato nonché manifestamente infondato, in considerazione dei rilievi con i quali la Corte di appello - con argomentazioni giuridicamente corrette, nonché esaurienti, logiche e non contraddittorie, e, pertanto, esenti da vizi rilevabili in questa sede - ha motivato le contestate statuizioni, valorizzando cfr. f. 10 cella sentenza impugnata la premessa gravità del reato, nonché i precedenti penali dell’imputato e l’assenza di decisivi elementi sintomatici della necessaria meritevolezza, nel complesso comunque pervenendo all’irrogazione di una pena estremamente mite, perché ben lontana dai possibili limiti edittali massimi, ed anzi prossima a quelli minimi. 2.7.2. Non è facile comprendere per quale via il ricorrente, condannato alla pena di anni due e mesi quattro di reclusione oltre pena pecuniaria, nato nel e quindi non infraventunenne all’epoca di commissione dei fatti, risalenti al 2014 , oltre che recidivo reiterato specifico il che rileverebbe comunque ai fini del giudizio di prognosi sul suo futuro comportamento , possa pretendere, in palese contrasto con quanto disposto dagli artt. 163 ss. c.p., di avere diritto alla sospensione condizionale della pena, che al contrario gli è stata correttamente negata. 3. Il rigetto, nel complesso, dei ricorsi comporta, ai sensi dell’art. 616 c.p.p., la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali. P.Q.M. Rigetta i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali.