Sorvegliato speciale: l’onere del giudice di verificare la persistenza della pericolosità sociale del proposto

Con riferimento al giudizio di attualità della pericolosità sociale del soggetto, è onere del giudice verificare in concreto la persistenza della pericolosità del preposto, a maggior ragione nei casi in cui sia passato un apprezzabile lasso di tempo tra l’epoca dell’accertamento penale e il momento della formulazione del giudizio sulla prevenzione.

Così la Corte di Cassazione con sentenza n. 5501/20, depositata il 12 febbraio. La vicenda. Il Tribunale applicava nei confronti del proposto la misura della sorveglianza speciale di pubblica sicurezza con obbligo di soggiorno nel Comune per la durata di 2 anni e l’obbligo di versamento di una cauzione per aver riportato condanne per reati contro il patrimonio. Avverso tale decisione, il proposto propone ricorso per cassazione chiedendo la revoca della misura di prevenzione evidenziando di non aver pendenze a carico e che durante la detenzione aveva tenuto un comportamento esemplare. Accertamento della pericolosità sociale del preposto alla misura di prevenzione. Secondo un consolidato orientamento giurisprudenziale, con riferimento al giudizio di attualità della pericolosità sociale del soggetto, è onere del giudice verificare in concreto la persistenza della pericolosità del preposto, a maggior ragione nei casi in cui sia passato un apprezzabile lasso di tempo tra l’epoca dell’accertamento penale e il momento della formulazione del giudizio sulla prevenzione e quando tra la pregressa violazione di legge penale e tale ultimo giudizio si collochi un periodo detentivo tendente alla risocializzazione o esente da ulteriori condotte che siano sintomo di pericolosità. Ebbene nel caso in esame, il giudice del merito ha effettuato suddetti accertamenti avendo evidenziato come, nonostante la detenzione subita e la condotta esemplare tenuta dal preposto durante la detenzione, la pericolosità sociale dello stesso fosse ancora pienamente attuale poiché questi era privo di una stabile occupazione lavorativa durante il periodo in cui era stato sottoposto al regime di detenzione domiciliare. Il ricorso, dunque, è dichiarato dai Giudici di legittimità inammissibile.

Corte di Cassazione, sez. II Penale, sentenza 21 gennaio – 12 febbraio 2020, n. 5501 Presidente Gallo – Relatore Pellegrino Ritenuto in fatto 1. Con Decreto in data 20/12/2018, il Tribunale di Torino applicava nei confronti di D.R.A. la misura della sorveglianza di pubblica sicurezza con obbligo di soggiorno nel comune di Asti per la durata di anni due ed obbligo di versamento di una cauzione di Euro 2.000,00. Il Tribunale evidenziava come il proposto avesse riportato plurime condanne per reati contro il patrimonio dal 1992 al 2015, in concorso con altri soggetti e che lo stesso fosse privo di stabile occupazione lavorativa e, conseguentemente, di una lecita fonte di reddito. Quanto all’attualità della pericolosità sociale, la sequenza dei reati commessi nel 2015, interrottasi unicamente a causa dell’arresto, e l’assenza di sopravvenute circostanze idonee a far ritenere elisa l’appartenenza del proposto alla categoria di soggetti di cui al D.Lgs. n. 159 del 2011, art. 1, lett. c , giustificavano l’applicazione della misura di prevenzione personale. 2. Avverso tale decreto, proponeva appello il D.R. , chiedendo la revoca della misura di prevenzione applicatagli e, in subordine, l’inapplicabilità dell’obbligo di soggiorno, evidenziando al riguardo - di non avere pendenze a carico - che i propri rapporti personali con persone appartenenti ad ambienti criminali si collocavano in un arco temporale risalente - che lo stesso era stato ininterrottamente detenuto dal 22/10/2015 al 06/10/2018 e dal 23/12/2018 in poi e che, durante la detenzione, aveva tenuto un comportamento esemplare, rispettando le prescrizioni impostegli, interrompendo le frequentazioni con ambienti criminali, contraendo matrimonio ed aderendo alle prescrizioni del SERT. 3. La Corte territoriale, con il provvedimento oggetto del presente ricorso, rigettava il gravame, riconoscendo come la pericolosità del proposto fosse ancora attuale, avendo lo stesso interrotto le proprie condotte criminose solo a seguito del suo arresto che il comportamento carcerario diligente ed esemplare non potesse considerarsi dirimente, pena l’irrogazione di sanzioni giuridiche più gravi, al rispetto degli obblighi e delle prescrizioni impostegli che, infine, il rispetto delle prescrizioni imposte dal SERT costituiva condotta non direttamente incidente sullo stato di pericolosità del soggetto. 4. Avverso detto decreto, nell’interesse di D.R.A. , viene proposto ricorso per cassazione per lamentare, quale unico motivo di censura, la violazione di legge in relazione al D.Lgs. n. 159 del 2011, artt. 1, 4 e 6, avendo la Corte territoriale omesso di compiere una verifica effettiva circa l’attualità della pericolosità sociale a sostegno della propria posizione, il ricorrente richiama nuovamente la lunga detenzione sofferta accompagnata da un comportamento rigoroso ed esemplare. Considerato in diritto 1. Il ricorso è inammissibile. 2. In premessa va ribadito che, secondo un consolidato orientamento della giurisprudenza di legittimità, confortato anche dalla Corte Costituzionale cfr. sentenze n. 321 del 2004 e n. 106 del 2015 , nel procedimento di prevenzione è esclusa dal novero dei vizi deducibili con ricorso per cassazione - che è ammesso soltanto per violazione di legge - l’ipotesi dell’illogicità manifesta di cui all’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e , potendosi esclusivamente denunciare, poiché qualificabile come violazione dell’obbligo di provvedere con decreto motivato imposto al giudice d’appello, il caso di motivazione inesistente o meramente apparente tra le tante, Sez. 1, n. 6636 del 07/01/2016, Pandico, Rv. 266365 Sez. U, n. 33451 del 29/05/2014, Repaci, Rv. 260246 . È, quindi, da escludere, in materia di misure di prevenzione, la deducibilità del vizio di motivazione, a meno che quest’ultima sia del tutto carente o presenti difetti tali da renderla meramente apparente, e cioè che sia priva dei requisiti minimi di coerenza, completezza e logicità, o assolutamente inidonea a rendere comprensibile la ratio decidendi. 3. Ciò premesso, va detto come, con riferimento al giudizio di attualità della pericolosità sociale, la Corte di cassazione, a più riprese, abbia avuto modo di affermare che è onere del giudice verificare in concreto la persistenza della pericolosità del proposto, soprattutto nei casi in cui sia decorso un apprezzabile periodo di tempo tra l’epoca dell’accertamento penale e il momento della formulazione del giudizio sulla prevenzione e quando tra la pregressa violazione della legge penale e tale ultimo giudizio si collochi un periodo detentivo tendente alla risocializzazione o comunque esente da ulteriori condotte sintomatiche di pericolosità tra le tante, Sez. 6, n. 5267 del 14/01/2016, Grande Aracri, Rv. 266184 . Se non esiste incompatibilità tra un giudizio di attualità della pericolosità sociale ai fini dell’applicazione di misura di prevenzione e lo stato di detenzione, è altrettanto vero che la restrizione carceraria non è un dato neutro Corte Cost. n. 6 del 2013 . La Corte costituzionale, con sentenza del 2 dicembre 2013 n. 291, ha dichiarato parzialmente illegittimi la L. 27 dicembre 1956, n. 1423, art. 12 e, in via consequenziale, il D.Lgs. 6 settembre 2011, n. 159, art. 15, nella parte in cui non prevedono che, nel caso in cui l’esecuzione di una misura di prevenzione personale resti sospesa a causa dello stato di detenzione della persona ad essa sottoposta, l’organo che ha adottato il provvedimento di applicazione debba valutare, anche d’ufficio, la persistenza della pericolosità sociale dell’interessato nel momento dell’esecuzione della misura. Secondo il Giudice delle Leggi, la rivalutazione, va compiuta quando, all’esito della detenzione, emergano profili o dati di fatto specifici potenzialmente idonei ad incidere sullo stato di pericolosità sociale precedentemente delibato in senso positivo . 4. Il Giudice di merito, dunque, deve procedere ai necessari accertamenti, fornendo giustificazione adeguata del perché ritenga che nella situazione concreta la pericolosità sociale che connotava il prevenuto prima del suo ingresso in carcere, sia ancora immutata, nonostante l’intervenuto stato detentivo, soprattutto nei casi in cui gli elementi posti a fondamento nel giudizio di prevenzione siano tutti precedenti all’insorgere dello stato detentivo Sez. 5, n. 34150 del 22/09/2006, Commisso, Rv. 235203 Sez. 2, n. 39057 del 3/06/2014, Gambino, Rv. 260781 . Tali accertamenti, di per sé doverosi, impongono un onere motivazionale ulteriore nei casi in cui, oltre allo stato detentivo, sussistano anche altri elementi successivi alla detenzione che depongano in senso favorevole al proposto. 5. In tale articolato quadro di riferimento la Corte di appello di Torino risulta aver fatto corretta applicazione dei principi indicati, avendo chiaramente evidenziato come, nonostante la detenzione subita e l’esemplare condotta tenuta dal proposto durante la detenzione, la pericolosità sociale dello stesso fosse ancora pienamente attuale, in quanto - il proposto era ancora privo di una stabile occupazione lavorativa, essendosi evidenziato come il D. , pur potendo richiedere di essere autorizzato a svolgere attività lavorativa durante il periodo nel quale è stato sottoposto al regime di detenzione domiciliare, non risulta aver mai presentato alcuna istanza - era da ritenersi irrilevante la recente iscrizione 29/05/2019 del proposto alla Camera di Commercio Industria Artigianato ed Agricoltura di Asti con qualifica di piccolo imprenditore, trattandosi di impresa ad oggi pacificamente inattiva -era da ritenersi irrilevante l’accoglimento da parte del magistrato di sorveglianza di Torino in data 08/03/2019 dell’istanza di liberazione anticipata, costituendo quest’ultimo un provvedimento fondato sulla sola riscontrata regolarità della condotta tenuta dall’interessato durante il periodo di detenzione e non sull’esame della pericolosità sociale dello stesso. 6. Alla pronuncia consegue, per il disposto dell’art. 616 c.p.p., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali nonché al versamento, in favore della Cassa delle ammende, di una somma che, considerati i profili di colpa emergenti dal ricorso, si determina equitativamente in Euro duemila. P.Q.M. Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro duemila in favore della Cassa delle ammende.