Rinnovazione della prova in dibattimento? Servono specifiche ragioni

Il principio d'immutabilità del giudice, previsto dall'articolo 525, comma 2, prima parte, c.p.p., impone che il giudice che provvede alla deliberazione della sentenza sia non solo lo stesso giudice davanti al quale la prova è assunta, ma anche quello che ha disposto l'ammissione della prova, fermo restando che i provvedimenti sull'ammissione della prova emessi dal giudice diversamente composto devono intendersi confermati, se non espressamente modificati o revocati.

Infatti, l'ordinanza ammissiva delle prove resa ex art. 495 del codice di procedura penale dal giudice nella precedente, e poi mutata, composizione non va formalmente rinnovata, se condivisa anche dal giudice nella composizione sopravvenuta, proprio perché conserva efficacia, laddove appunto non espressamente modificata o revocata. Piuttosto, l'avvenuto mutamento della composizione del giudice attribuisce alle parti il diritto di chiedere, ai sensi degli artt. 468 e 493 c.p.p., sia prove nuove sia la rinnovazione di quelle assunte dal giudice diversamente composto, in quest'ultimo caso indicando specificamente le ragioni che impongano tale rinnovazione, ferma restando la valutazione del giudice, ai sensi degli art. 190 e 495 c.p.p., anche sulla non manifesta superfluità della rinnovazione stessa. Lo ha confermato la seconda sezione penale della Suprema Corte di Cassazione, con la sentenza n. 5273, depositata il 10 febbraio 2020. Il caso. Secondo l’insegnamento delle Sezioni Unite del 2019, fatto proprio dalla sentenza in commento, il consenso delle parti alla lettura ex art. 511, comma 2, c.p.p. degli atti assunti dal collegio in diversa composizione, a seguito della rinnovazione del dibattimento, non è necessario con riguardo agli esami testimoniali la cui ripetizione non abbia avuto luogo perché non chiesta, non ammessa o non più possibile. Ed infatti, l'avvenuto mutamento della composizione del giudice attribuisce alle parti il diritto di chiedere, ai sensi degli art. 468 e 493 c.p.p. , sia prove nuove sia la rinnovazione di quelle assunte dal giudice diversamente composto, in quest'ultimo caso indicando specificamente le ragioni che impongano tale rinnovazione, ferma restando la valutazione del giudice, ai sensi degli art. 190 e 495 c.p.p. , anche sulla non manifesta superfluità della rinnovazione stessa. Nello specifico, la facoltà per le parti di richiedere, in caso di mutamento del giudice, la rinnovazione degli esami testimoniali presuppone la necessaria previa indicazione, da parte delle stesse, dei soggetti da riesaminare nella lista ritualmente depositata di cui all'art. 468 c.p.p L’immutabilità del giudice. Il principio di immutabilità di cui all' art. 525 c.p.p. richiede quindi che il giudice che provvede alla deliberazione della sentenza sia non solo lo stesso che ha assunto la prova ma anche quello che l'ha ammessa, fermo restando che i provvedimenti sull'ammissione della prova emessi dal giudice diversamente composto conservano efficacia se non espressamente modificati o revocati. Il predetto principio, con riferimento al processo di cognizione, è applicabile, in via analogica, anche al procedimento di esecuzione, per la generale esigenza che la decisione giurisdizionale sia sempre emanata dal medesimo giudice che ha provveduto alla trattazione della procedura, salva la possibilità che, questa, in caso di necessaria modifica dell'organo giudicante, venga ripresa ab initio . Per trattazione della procedura deve normalmente intendersi l'esame delle acquisizioni probatorie funzionali alla decisione, l'attività istruttoria finalizzata alla medesima, l'assunzione delle richieste e conclusioni delle parti. Non rientra invece nella nozione anzidetta il mero provvedimento di rinvio, da parte del giudice dell'esecuzione, per l'acquisizione delle sentenze necessarie ai fini della decisione. Nondimeno, tale principio esige unicamente, a pena di nullità assoluta, che la sentenza sia deliberata dagli stessi giudici che hanno partecipato al dibattimento, ma questo non implica di per sé, ne' alcuna norma lo prevede, che la mutazione della persona fisica del giudicante e la conseguente rinnovazione del dibattimento sia notificata all'imputato contumace e al suo difensore non comparso o al precedente difensore d'ufficio, nominato in sostituzione di quest'ultimo. Trattasi di disposizione che va applicata anche a quelle ipotesi in cui il giudice in camera di consiglio dopo la discussione finale si trovi nell'impossibilità di formarsi un convincimento a causa di risultanze probatorie irrimediabilmente e insuperabilmente contrastanti emergenti ex actis . Il principio di immediatezza. Resta fermo che l'inosservanza del principio sancito dall'art. 525, comma 1, c.p.p. - per il quale la sentenza deve essere deliberata subito dopo la chiusura del dibattimento - non determina alcuna nullità, posto che essa deve essere espressamente prevista in ogni caso, il breve differimento della decisione, in ragione dell'anomala prassi della camera di consiglio collettiva , peraltro svolta nello stesso contesto temporale dell'udienza in corso, relativa alla trattazione di altro od altri procedimenti, non è tale da inficiare il principio di immediatezza, stante la logica di una decisione adottata, quanto più possibile, nella diretta e contestuale percezione delle risultanze dibattimentali e della discussione.

Corte di Cassazione, sez. II Penale, sentenza 19 dicembre 2019 – 10 febbraio 2020, n. 5273 Presidente Diotallevi – Relatore De Santis Ritenuto in fatto 1. Con l’impugnata sentenza la Corte d’Appello di Roma, in riforma della decisione del Tribunale di Civitavecchia in data 18/6/2015 e in accoglimento del concordato sulla pena raggiunto dalle parti, esclusa la recidiva contestata agli imputati T. e F. , riconosciute a tutti le attenuanti generiche prevalenti sulle con testate aggravanti, rideterminava la sanzione nellamisura di anni tre,mesi sei di reclusione ed Euro tremila di multa ciascuno, dichiarando gli imputati interdetti dai PP.UU. per anni 5. Con provvedimento ex art. 130 c.p.p., del 16/2/2018 la Corte integrava il dispositivo, dichiarando l’inammissibilità dei motivi d’appello oggetto di rinunzia e confermando le statuizioni sui beni in sequestro. 2. Hanno proposto ricorso per Cassazione i difensori degli imputati, deducendo l’Avv. Fabio Menichetti nell’interesse di F.P. e T.A. , con distinti atti e comuni motivi 2.1 la violazione dell’art. 525 c.p.p., comma 2, e art. 179 c.p.p., comma 2. La difesa eccepisce che il Tribunale di Civitavecchia nel pronunziare la sentenza di condanna nei confronti degli odierni ricorrenti ha violato il principio della necessaria corrispondenza tra il giudice che assume le prove e quello che emette la decisione stabilito dall’art. 525 c.p.p., comma 2, incorrendo nella nullità assoluta ed insanabile della relativa deliberazione, rilevabile anche d’ufficio in ogni stato e grado del giudizio. Nella specie, dalla verifica dei verbali del processo di primo grado, risulta che all’udienza del 14 marzo 2013 il collegio risultava diversamente composto rispetto a quello assegnatario del procedimento, figurandovi il GOT Dott. Ma. in luogo del Dott.ssa C. . In quella sede si procedeva all’esame delle pp.oo. Ca.Br. e Ca.Ri. senza che venisse data comunicazione della diversa composizione dell’organo giudicante. Solo nella successiva udienza del 18 aprile 2013 il presidente del collegio, nella sua originaria costituzione, provvedeva a chiedere il consenso delle parti alla rinnovazione del dibattimento. Opina la difesa che, in considerazione della natura insanabile della nullità denunziata, riconducibile all’ipotesi di cui all’art. 179 c.p.p., comma 2, il vizio si è cristallizzato all’udienza del 14 marzo 2013 e non può ritenersi sanato dalla rinnovazione disposta all’udienza seguente poiché presupposto indefettibile della stessa è costituito dalla dichiarazione relativa alla diversa composizione del collegio. L’Avv. Alessandro Cacciotti nell’interesse di M.M. 3. il vizio di motivazione in relazione all’art. 129 c.p.p., avendo il giudice d’appello omesso di eseguire la dovuta verifica in ordine all’insussistenza di cause di proscioglimento nel merito. Considerato in diritto 3. I ricorsi proposti nell’interesse degli imputati T. e F. non meritano accoglimento siccome manifestamente infondati. 3.1 La questione circa la deducibilità in relazione a sentenza che ha recepito un concordato sulla pena in appello di nullità mai in precedenza eccepite, che per loro natura risultano rilevabili in ogni stato e grado del giudizio, nella pregressa vigenza dell’istituto aveva dato luogo a contrastanti opinioni con riguardo soprattutto al valore preclusivo o meno da ricondurre alla rinunzia ai motivi di merito. Pare opportuno, in considerazione dell’identità dei caratteri dell’odierno istituto rispetto a quello previgente, disciplinato dall’art. 599 c.p.p., comma 4, richiamare al riguardo la lucida analisi ermeneutica contenuta nell’ordinanza n. 40767/2001, Pugliese, Rv 220427, che, dopo aver dato conto delle differenti opzioni e delle relative ragioni, ha concluso nel senso che il disposto dell’art. 599 c.p.p., comma 4, conferisce al potere dispositivo delle parti un effetto irretrattabile sull’ambito di cognizione del giudice di legittimità , osservando che l’imputato con la sua rinuncia ha ridotto l’ambito di cognizione del giudice di appello al solo punto concernente la pena, di modo che il giudizio di appello non costituisce valutazione contenutistica del merito della causa, tanto è vero che, proprio perché non può parlarsi per il giudice di appello di una anticipazione di giudizio , è stata esclusa la possibilità di configurare nei confronti dello stesso giudice, che non ha aderito alla richiesta delle parti una incompatibilità analoga a quella che invece è stata prevista per il giudice di primo grado che abbia rigettato la richiesta di applicazione di pena concordata ex art. 444 c.p.p. . Principio questo da ultimo ribadito da Cass. Sez. 4, n. 26904 del 15/05/2019, Savioli, Rv. 276271. Inoltre, l’ordinanza in esame ha chiarito che l’imputato rinunciando ai motivi di appello e riproponendo, poi, davanti al giudice di legittimità questioni oggetto dei motivi rinunciati, ma rilevabili d’ufficio in ogni stato e grado del processo, otterrebbe il risultato di assicurarsi un beneficio in merito alla quantificazione della pena senza perdere la possibilità di reiterare le questioni rinunciate davanti al giudice di legittimità, saltando in tal modo un grado di giudizio e sottraendo alla valutazione del giudice di appello le questioni riproposte in cassazione e, ciò che è ancora più grave, sottraendo le questioni stesse al normale contraddittorio delle parti processuali, che certamente si sarebbe liberamente potuto dispiegare in appello. In altri termini, se l’imputato, potesse riproporre con il ricorso per cassazione questioni, sia pure rilevabili d’ufficio dal giudice, sollevate con i motivi di appello rinunciati, conseguirebbe l’effetto, incompatibile con l’irrevocabilità e immodificabilità del consenso prestato, di rimettere in discussione l’accordo già raggiunto, che, per di più, potrebbe essere consistito non nella semplice rinuncia ai motivi di appello da esso stesso proposti, ma anche nella contestuale rinuncia del p.m. ai propri motivi di appello, che potrebbero non essere e quasi sicuramente non sarebbero più riproponibili in sede di legittimità . 3.2 Siffatti condivisibili argomenti che concernono la portata della rinunzia a motivi regolarmente proposti appaiono vieppiù persuasivi con riferimento a questioni processuali mai in precedenza sollevate, dovendo ritenersi che l’irretrattabilità del consenso al concordato sulla pena con rinunzia al residuo gravame copra non solo il dedotto ma, altresì, il deducibile dal momento che differenti opzioni ermeneutiche in punto di rilevabilità officiosa di nullità pregresse di fatto travolgerebbero l’accordo, il cui recepimento da parte del giudice comporta la cristallizzazione nel giudicato interno delle questioni in ordine alla qualificazione giuridica dei fatti e alla responsabilità dell’imputato e ai relativi, indefettibili, presupposti circa la ritualità del giudizio che a siffatti esiti ha condotto. In piena coerenza con le soprarichiamate considerazioni si è affermato che è inammissibile il ricorso per cassazione avverso la sentenza resa all’esito del concordato sui motivi di appello ex art. 599-bis c.p.p., volto a censurare la qualificazione giuridica del fatto, in quanto l’accordo delle parti implica la rinuncia a dedurre nel successivo giudizio di legittimità ogni diversa doglianza, anche se relativa a questione rilevabile di ufficio, con l’unica eccezione dell’irrogazione di una pena illegale Sez. 6, n. 41254 del 04/07/2019, Leone, Rv. 277196 . La giurisprudenza più recente nel solco del richiamato orientamento ha ulteriormente evidenziato che, a seguito della reintroduzione del c.d. patteggiamento in appello ad opera della L. n. 103 del 2017, art. 1, comma 56, il giudice di secondo grado, nell’accogliere la richiesta formulata a norma del nuovo art. 599 bis c.p.p., non deve motivare sul mancato proscioglimento dell’imputato per una delle cause previste dall’art. 129 c.p.p., nè sull’insussistenza di cause di nullità assoluta o di inutilizzabilità delle prove, in quanto, a causa dell’effetto devolutivo proprio dell’impugnazione, una volta che l’imputato abbia rinunciato ai motivi di appello, la cognizione del giudice è limitata ai motivi non oggetto di rinuncia Sez. 5, n. 15505 del 19/03/2018, Bresciani e altro, Rv. 272853 Sez. 3, Ord 30190 del 08/03/2018, Hoxha e altro, Rv. 273755 Sez. 4, n. 52803 del 14/09/2018, Bouachra B., Rv. 274522 . 3.3 Deve, dunque, ritenersi che il concordato sulla pena, una volta ratificato dal giudice d’appello, consolidi gli effetti della preclusione processuale sulle questioni rinunciate, anche se rilevabili d’ufficio, nonché su quelle mai dedotte, giacché le regole concernenti la rilevabilità d’ufficio di alcune questioni in ogni stato e grado del procedimento debbono essere inserite e interpretate nel sistema processuale vigente che, nell’ambito di alcuni istituti, come quello in esame, riconosce al potere dispositivo delle parti un valore particolarmente pregnante. Non è fuor di luogo evidenziare in proposito che l’art. 599 bis c.p.p., rinvia quanto alle forme all’art. 589 codice di rito, ovvero alle norme sulla rinuncia all’impugnazione, accreditando ulteriormente la tesi di una equiparazione degli effetti, che per la rinuncia all’impugnazione sono pacificamente quelli di precludere al giudice ogni attività delibativa di qualsiasi questione a lui devoluta o rilevabile d’ufficio in tal senso, Sez. 4, n. 53565 del 27/09/2017, Ferro, Rv. 271258 . 4. Nella specie deve, nondimeno, rilevarsi come, anche a voler prescindere dalla rilevata preclusione,la prospettazione difensiva risulti erronea laddove postula che, per effetto del mutamento del collegio giudicante limitato all’udienza del 14 marzo 2013, cui ha partecipato un Got in luogo della Dott.ssa C. , la deliberazione della sentenza di primo grado e gli atti conseguenti siano affetti da nullità assoluta ed insanabile. Deve al riguardo rimarcarsi che alla successiva udienza del 18 Aprile 2013 il collegio nella sua ordinaria composizione chiese il consenso alla rinnovazione dell’attività istruttoria svolta dal giudice diversamente composto mediante lettura e, in esito alla sua acquisizione, dispose procedersi oltre, dichiarando, infine, l’utilizzabilità delle testimonianze mediante indicazione dei relativi verbali. Orbene, alla luce dell’interpretazione giurisprudenziale dominante all’epoca del giudizio di primo grado nel caso di mutamento della persona del giudice monocratico o della composizione del giudice collegiale, occorreva procedere, a pena di nullità, alla rinnovazione del dibattimento mediante la ripetizione dell’assunzione delle prove ovvero, ai sensi dell’art. 511 c.p.p., la lettura dei verbali o la sola specifica indicazione degli atti da intendersi rinnovati, purché, in tale secondo caso, ciò avvenisse con il consenso inequivoco anche solo implicito o per fatta concludentia dell’imputato, ravvisabile nel caso in cui il suo atteggiamento acquiescente fosse interpretabile come chiara adesione alla decisione del giudice di non procedere ad una nuova assunzione delle prove già raccolte ex multis,Sez. 3, n. 17692 del 14/12/2018 dep. 2019, T, Rv. 275172 . Al contrario, risultava affetta da nullità assoluta, insanabile e rilevabile d’ufficio in ogni stato e grado del procedimento, per violazione del principio di immutabilità del giudice ai sensi degli artt. 525 e 179 c.p.p., la sentenza emessa da giudici diversi da quelli che avevano partecipato al dibattimento in mancanza del consenso delle parti alla rinnovazione di questo mediante lettura degli atti relativi alle prove già acquisite Sez. 5, n. 6432 del 07/01/2015, Fontana, Rv. 263424 . Nella specie, i difensori, espressamente interpellati al riguardo, hanno consentito alla rinnovazione e non ha pregio l’assunto difensivo secondo cui il consenso avrebbe dovuto essere acquisito prima dell’escussione dei testi di fronte al collegio diversamente composto in quanto, a fronte dell’attività istruttoria irritualmente svolta, il Tribunale nella sua composizione ordinaria ha doverosamente instaurato il contraddittorio sulla recuperabilità della stessa. 4.1 Deve,peraltro, rilevarsi come le Sezioni Unite, recentemente chiamate a risolvere vari profili di contrasto insorti in materia, hanno chiarito che in caso di rinnovazione del dibattimento per mutamento del giudice, il consenso delle parti alla lettura degli atti già assunti dal giudice di originaria composizione non è necessario con riguardo agli esami testimoniali la cui ripetizione non abbia avuto luogo perché non richiesta, non ammessa o non più possibile Sez. U, n. 41736 del 30/05/2019, PG C/ Bairami Klevis, Rv. 276754 . La richiamata decisione ha chiarito che la riassunzione delle prove orali non è dovuta se non chiesta dalla parte legittimata, tale essendo soltanto quella che abbia inserito il nominativo del dichiarante in lista ex art. 468 c.p.p Ha aggiunto che i verbali di dichiarazioni rese dai testimoni in dibattimento dinanzi a giudice in composizione successivamente mutata, fanno legittimamente parte del fascicolo del dibattimento dove non confluiscono , bensì permangono ed evidenziato che l’art. 511 c.p.p., comma 2, ne consente la lettura e la conseguente utilizzazione ai fini della decisione anche in difetto del consenso delle parti, sul punto ininfluente se, per qualsiasi ragione, l’esame non abbia luogo , in detta previsione dovendo ritenersi comprese, oltre al caso della prova divenuta medio tempore irripetibile, le altre ipotesi in cui le stesse parti non abbiano richiesto la rinnovazione dell’esame, ovvero il giudice, valutando detta rinnovazione richiesta della parte legittimata ex art. 468 c.p.p. manifestamente superflua, abbia deciso di non ammetterla. Ne consegue che i verbali di dichiarazioni rese dai testimoni in dibattimento dinanzi a giudice in composizione successivamente mutata, che legittimamente permangono nel fascicolo del dibattimento a seguito del predetto mutamento della composizione del giudice, possono essere utilizzati ai fini della decisione previa lettura ex art. 511 c.p.p., seguendo due distinti itinera iuris, ovvero soltanto dopo il nuovo esame della persona che le ha rese, se chiesto, ammesso ed ancora possibile, ai sensi dell’art. 511, comma 2 anche senza la previa rinnovazione dell’esame, ove questo non abbia luogo perché non chiesto, non ammesso o non più possibile. Facendo applicazione dei principi fissati dalla richiamata pronunzia, i cui cardini ermeneutici erano già stati declinati dalla sentenza Iannasso, nella specie la rinnovazione è stata formalmente disposta ed operata mediante lettura dei verbali delle dichiarazioni rese, non avendo la parte che aveva addotto i testi escussi formulato richiesta di nuovo esame e, invero, la stessa difesa che ha -superfluamente consentito alla lettura. A tanto consegue l’insussistenza della nullità denunziata e la conseguente inammissibilità dei ricorsi. 5. Ad analoghi esiti di manifesta infondatezza deve pervenirsi con riguardo al ricorso proposto nell’interesse dell’imputato M. alla luce della costante e più sopra richiamata giurisprudenza di legittimità alla cui stregua il giudice di secondo grado, nell’accogliere la richiesta di pena concordata, non deve motivare sul mancato proscioglimento dell’imputato per una delle cause previste dall’art. 129 c.p.p., in quanto, in ragione dell’effetto devolutivo proprio dell’impugnazione, una volta che l’imputato abbia rinunciato ai motivi di appello, la cognizione del giudice è limitata ai motivi non oggetto di rinuncia. Sez. 4, n. 52803 del 14/09/2018, Bouchra, Rv. 274522 . 6. Alla declaratoria d’inammissibilità consegue la condanna dei proponenti al pagamento delle spese processuali e della sanzione pecuniaria precisata in dispositivo in ragione dei profili di colpa ravvisabili nella sua determinazione. P.Q.M. Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro duemila ciascuno a favore della Cassa delle Ammende.