Badge timbrato e poi via dall’ufficio: condannato per truffa

Nessun dubbio sulla colpevolezza del dipendente di un’azienda ospedaliera. I Giudici però respingono anche la possibilità di catalogare la sua condotta come non grave. Impossibile, difatti, parlare di danno lieve” per la datrice di lavoro.

Prima la timbratura del ‘badge’ all’ingresso, poi, però, subito la fuga per dedicarsi ad altre attività, pur risultando regolarmente presente sul luogo di lavoro. Evidente la gravità della condotta tenuta per diverso tempo da un dipendente di un’azienda ospedaliera. Consequenziale perciò la sua condanna per il reato di truffa. E impossibile, sanciscono i Giudici, parlare di fatto non grave”, demolendo così la linea difensiva Cassazione, sentenza n. 4063/20, sez. II Penale, depositata oggi . Errore. Riflettori puntati sulla pessima abitudine di un dipendente di un’azienda ospedaliera in Campania, ossia timbrare il badge all’inizio del proprio turno per poi abbandonare il luogo di lavoro. I ripetuti abusi compiuti dall’uomo vengono alla luce e lo portano sotto processo, grazie anche alla segnalazione fatta dai vertici dell’azienda ospedaliera. E il quadro probatorio emerso viene ritenuto sufficiente, prima in Tribunale e poi in Appello, per arrivare a una condanna per truffa. Nessun dubbio sul fatto che egli abbia indotto in errore l’azienda ospedaliera, facendo credere, attraverso la marcatura del badge, di essere in servizio quando invece era ben lontano dalla struttura in cui avrebbe dovuto essere operativo. Danno. Inutile si rivela il ricorso proposto in Cassazione dal legale dell’uomo. In particolare, viene respinta l’ipotesi che l’abuso compiuto dal lavoratore nei confronti dell’azienda ospedaliera possa essere qualificato come un fatto non grave. In questa ottica i Giudici tengono a sottolineare che a pesare è non solo il valore economico del danno arrecato alla datrice di lavoro ma anche l’ulteriore effetto pregiudizievole a essa cagionato attraverso la condotta delittuosa messa in pratica dal dipendente, cioè la rottura del vincolo fiduciario che è alla base del rapporto di lavoro. Così, passando dal principio generale ai dettagli della vicenda in esame, emerge sì l’entità ‘secca’ del danno arrecato, in relazione alla violazione più grave, all’azienda ospedaliera , cioè 110 euro, ma, allo stesso tempo, salta all’occhio la lesione del rapporto fiduciario tra l’azienda ospedaliera il dipendente .

Corte di Cassazione, sez. II Penale, sentenza 5 dicembre 2019 – 30 gennaio 2020, n. 4063 Presidente Cammino – Relatore Sgadari Ritenuto in fatto 1. Con la sentenza in epigrafe, la Corte di appello di Napoli, in esito a giudizio abbreviato, confermava la sentenza del Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Napoli del 6 aprile del 2011 che aveva condannato il ricorrente alla pena di giustizia in relazione al reato di truffa, per avere indotto in errore l'azienda ospedaliera presso la quale lavorava con artifici consistiti nel far credere, attraverso la marcatura del badge e non conformemente al vero, di essere in servizio. 2. Ricorre per cassazione Sa. Am., deducendo 1 violazione di legge per non avere la Corte rilevato l'intervenuta prescrizione del termine ordinario di prescrizione, maturato tra la sentenza di primo grado e quella di appello, non potendosi ritenere atto interruttivo l'avviso di fissazione del giudizio di appello 2 violazione di legge per la mancata concessione della circostanza attenuante del danno di particolare tenuità, il quale, in tema di reato continuato, avrebbe dovuto essere rapportata alle singole violazioni. Considerato in diritto Il ricorso è manifestamente infondato. 1. Quanto al primo motivo, la sentenza impugnata ha richiamato il pacifico insegnamento di legittimità, condiviso dal Collegio ed ignorato in ricorso, secondo cui, il riferimento, sia pure generico, al decreto di citazione a giudizio, contenuto nell'art. 160, comma secondo, cod. pen., consente di ricomprendere tra gli atti interruttivi del corso della prescrizione anche il decreto di citazione per il giudizio d'appello Sez. 6, Sentenza n. 27324 del 20/05/2008, Borrelli, Rv. 240525 Massime precedenti Conformi N. 1779 del 1982, N. 11418 del 2003 Rv. 224264, N. 3420 del 2008 Rv. 238236 . Nel caso in esame, come ha correttamente sottolineato la Corte di appello, il decreto di citazione per il giudizio di appello reca la data del 26 gennaio del 2017 ed è stato notificato al ricorrente, a mani proprie, l'11 febbraio del 2017, data antecedente alla maturazione del termine di prescrizione ordinario, pari a sei anni, decorrente dalla sentenza di primo grado del 6.4.2011. 2. Anche il secondo motivo è manifestamente infondato. La Corte di appello ha richiamato la pacifica regola giurisprudenziale, anche in questo caso ignorata in ricorso, secondo cui, ai fini della configurabilità della circostanza attenuante del danno patrimoniale di speciale tenuità, rilevano, oltre al valore economico del danno, anche gli ulteriori effetti pregiudizievoli cagionati alla persona offesa dalla condotta delittuosa complessivamente valutata Fattispecie relativa ad una truffa commessa in danno di Poste Italiane S.p.A. attraverso l'utilizzo abusivo dei cartellini di ingresso e la conseguente alterazione dei dati sulle presenze in ufficio, in cui la S.C. ha escluso l'attenuante, richiamando la grave lesione del rapporto fiduciario determinata dalla condotta delittuosa Sez. 6, n. 30177 del 04/06/2013, Chielli, Rv. 256643 Massime precedenti Conformi N. 21014 del 2010 Rv. 247122. Il caso sottoposto all'attenzione della Suprema Corte nella sentenza citata, è sovrapponibile a quello in esame, laddove non è stato ritenuto di speciale tenuità il danno cagionato dal ricorrente all'azienda ospedaliera, non solo in rapporto all'entità secca di esso in relazione alla violazione più grave Euro 109,69 , ma anche il danno all'azienda per la lesione del rapporto fiduciario intercorrente con il dipendente, tanto dovendosi ritenere dalla motivazione della sentenza impugnata per il fatto di avere richiamato la massima prima indicata. Tanto assorbe ogni altra considerazione difensiva. Alla declaratoria di inammissibilità consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro duemila alla Cassa delle Ammende, commisurata all'effettivo grado di colpa dello stesso ricorrente nella determinazione della causa di inammissibilità. P.Q.M. Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro duemila alla Cassa delle Ammende.