La modifica del domicilio eletto spetta personalmente all’imputato

Il difensore dell’imputato può esercitare le facoltà e i diritti che sarebbero spettati all’imputato laddove essi non siano riservati personalmente a quest’ultimo fra questi, ossia fra i diritti che devono essere esercitati personalmente dall’imputato, rientra quello di modificare il domicilio dichiarato.

Sul tema la Corte di Cassazione con sentenza n. 2285/20, depositata il 22 gennaio. Il caso. La Corte d’Appello, confermando la decisione di primo grado, dichiarava la penale responsabilità dell’imputato per aver realizzato un manufatto edilizio senza permesso di costruire. Avverso tale sentenza l’imputato propone ricorso per cassazione, denunciando nullità dell’intero giudizio d’appello, vista la nullità della notificazione dell’avviso di udienza non eseguita presso la residenza del ricorrente, ma essendo stata effettuata nell’originario domicilio dichiarato, nelle mani della moglie, dalla quale questi era separato. Cambio del domicilio dichiarato. In caso di cambio di residenza nel corso del giudizio, spetta all’imputato comunicare tale cambio all’autorità competente. Invece, nel caso in esame, il ricorrente non ha mai comunicato all’autorità procedente il mutamento del domicilio dichiarato, essendo stata fatta tale comunicazione non dall’imputato ma dal suo difensore, in termini quindi irrituali e inefficaci a superare la originaria dichiarazione. Infatti, il difensore dell’imputato può esercitare i diritti che sarebbero spettati all’imputato laddove essi non sia riservati personalmente a quest’ultimo e fra questi, ossia fra i diritti che devono essere esercitati personalmente dall’imputato, rientra quello di modificare il domicilio dichiarato. Il difensore di fiducia, nominato dal ricorrente, era investito di procura speciale solo per richiedere la celebrazione del processo nelle forme dei riti alternativi e non anche per modificare la dichiarazione di domicilio, spettante appunto all’imputato. Sulla base di queste indicate ragioni, la S.C. dichiara il ricorso inammissibile.

Corte di Cassazione, sez. III Penale, sentenza 6 dicembre 2019 – 22 gennaio 2020, n. 2285 Presidente Sarno – Relatore Gentili Ritenuto in fatto La Corte di appello di Napoli, con sentenza emessa in data 6 maggio 2019, ha integralmente confermato la decisione con la quale, il precedente 20 dicembre 2017, il Tribunale di Napoli, in composizione monocratica, aveva dichiarato la penale responsabilità di C.A. in ordine ai reati di cui al D.P.R. n. 380 del 2001, art. 44, lett. b , artt. 93 e 95, per avere realizzato, in Comune di Napoli, in qualità di proprietario committente, un manufatto edilizio - comportante la creazione non ancora completata, su di un terrazzo di copertura, di uno spazio intercluso avente la superficie di circa 150 mq, suddiviso al suo interno in diversi vani - in assenza del necessario permesso a costruire e senza adempiere alle necessarie formalità, preliminari alla costruzione, prescritte dalla legislazione in materia antisismica, e lo aveva pertanto, condannato, unificati i reati sotto il vincolo della continuazione alla pena ritenuta di giustizia. Avverso la predetta sentenza ha interposto ricorso per cassazione il C. , assistito dal suo legale fiduciario, affidandolo a due motivi di doglianza. Con il primo il prevenuto ha dedotto la nullità dell’intero giudizio di appello, attesa la nullità della notificazione dell’avviso di udienza di fronte alla Corte territoriale, non essendo stata questa eseguito presso la residenza che il ricorrente aveva indicato con nota del 24 aprile 2018, ed essendo stato il predetto avviso materialmente consegnato, in occasione della sua notificazione, a mani della moglie del ricorrente, dalla quale questi era tuttavia separato. Con il secondo motivo di ricorso il prevenuto si è doluto del fatto che la Corte di appello abbia escluso che lo stesso potesse essere meritevole delle circostanze attenuanti generiche, non essendo emerso, secondo l’avviso della Corte partenopea, alcun motivo che le avrebbe potuto giustificare, quando, invece, la sua buona fede - dimostrata dal fatto che lo stesso aveva presentato per le opere realizzate una CILA - avrebbe potuto costituire fondamento di tale beneficio. Considerato in diritto Il ricorso è inammissibile. Osserva, infatti, il Collegio che il primo motivo è manifestamente infondato. Il ricorrente, infatti, si duole del fatto che la citazione per la celebrazione del giudizio di appello gli sia stata notificata presso la sua originaria residenza, tramite consegna a mani della moglie, dalla quale egli si era frattanto separato, e non presso la sua nuova sede, della cui ubicazione egli aveva reso edotto la Autorità giudiziaria, tramite il suo difensore, con atto depositato in data 24 aprile 2018. Da tanto egli fa discendere il vizio della sua vocatio in ius e, conseguentemente, dell’intero giudizio di appello, celebrato in sua assenza. La doglianza è destituita di ogni fondamento. Deve premettersi, in punto di fatto, che la censura era stata dedotta già di fronte alla Corte di appello di Napoli ed essa era stata ivi rigettata con ordinanza dibattimentale emessa in data 6 maggio 2019, oggetto di impugnazione unitamente alla sentenza di secondo grado. Tanto rilevato, ritiene il Collegio che correttamente in detta occasione la Corte territoriale partenopea abbia ritenuto legittimamente avvisato il C. della prossima celebrazione del giudizio in grado di appello a suo carico. Infatti dall’esame degli atti contenuti nel fascicolo, cui la Corte ha nella presente occasione pieno accesso data la natura processuale della eccezione dedotta con il motivo di impugnazione tale da rendere questo Giudice competente anche a decidere del fatto processuale, si rileva che il C. in data 13 agosto 2014, allorché egli fu identificato dalla Polizia giudiziaria siccome persona sottoposta ad indagini preliminari nell’ambito del procedimento relativo alle imputazioni tuttora in discussione, ebbe a dichiarare quale domicilio ai fini delle notificazioni degli atti a lui indirizzati la propria residenza anagrafica in OMISSIS . Ai sensi di quanto previsto dall’art. 162 c.p.p., comma 1, sia la dichiarazione di domicilio che il suo mutamento è atto che deve essere compiuto dall’imputato con dichiarazione indirizzata alla autorità che procede. Nel caso che interessa il C. , che come detto non si era limitato ad indicare la propria residenza ma aveva dichiarato che questa era il luogo ove le comunicazioni relative al procedimento ora in questione gli dovevano essere fatte, non ha mai comunicato all’autorità procedente il mutamento del domicilio dichiarato, essendo stata una siffatta dichiarazione formulata, in data 24 aprile 2018, non dall’imputato ma dal suo difensore, quindi in termini irrituali e, pertanto, inefficaci a superare la precedente dichiarazione. Al riguardo osserva il Collegio che, sebbene si debba escludere che una dichiarazione di tale genere sia un atto personalissimo che, pertanto, non sia delegabile dall’interessato ad altro soggetto in particolare, trattandosi di atto processuale, al difensore di costui tuttavia, stante la espressa lettera normativa, la quale richiama espressamente il solo imputato, deve ritenersi che essa possa essere bensì formulata dal difensore del soggetto alla medesima interessato, ma solo in quanto questi sia portatore di una procura speciale a tal fine. Infatti, in linea generale, il codice di rito riserva al difensore dell’imputato la possibilità di esercitare le facoltà ed i diritti che sarebbero spettanti all’imputato laddove essi non siano riservati personalmente a quest’ultimo cfr. art. 99 c.p.p. fra questi ultimi, cioè fra quelli che devono essere esercitati personalmente dall’imputato, ritiene il Collegio che vi sia quello di modificare il domicilio dichiarato. Ciò sia in ragione dell’evidente parallelismo rilevabile con l’atto di elezione o dichiarazione di domicilio, indubbiamente di esclusiva competenza personale dell’imputato o di persona espressamente a ciò da questo incaricata parallelismo che induce con certezza a ritenere che, essendo la revoca o la modifica della dichiarazione o elezione di domicilio un contrarius actus rispetto appunto a tali atti, essa debba avere, sia oggettivamente che soggettivamente, le medesime caratteristiche dell’atto modificato e revocato , sia in relazione alla precipua funzione dell’atto in questione che, avendo l’effetto di modificare il luogo ove debbono essere fatte le comunicazioni del processo indirizzate all’imputato, deve, necessariamente, essere di diretta appartenenza, o in via immediata ovvero a seguito di espressa delega speciale, del soggetto nei cui confronti gli effetti dell’atto, chiaramente incidenti sulla possibilità di esercitare il diritto di difesa, si verificano. Nel caso che interessa, come emerge chiaramente dall’esame dell’atto con il quale il C. ha nominato il proprio difensore fiduciario, cioè il soggetto che ha materialmente fatto la dichiarazione di mutamento del domicilio, questo era stato investito di procura speciale esclusivamente al fine di richiedere la celebrazione del processo nelle forme dei riti alternativi e non anche per modificare la dichiarazione di domicilio o comunque per compiere altri atti spettanti, di regola, all’imputato. Considerata, perciò, la inefficacia della dichiarazione di domicilio del 24 aprile 2018, correttamente la notificazione al C. dell’avviso di udienza di fronte alla Corte di appello è stata eseguita presso il domicilio da questo originariamente dichiarato e mai dal medesimo efficacemente modificato. Nè può ritenersi che la notificazione non sia stata validamente eseguita in quanto l’atto da notificare è stato materialmente consegnato alla moglie del C. , sebbene questa fosse oramai con lui non più convivente, stante l’intervenuta separazione personale fra i coniugi. Posto, infatti, che la notificazione è stata, comunque, eseguita presso il domicilio eletto, un vizio derivante dall’avvenuta notificazione a mani di persona diversa dal destinatario, poteva essere ravvisabile solamente laddove l’operazione fosse stata compiuta attraverso la consegna del documento da notificare a persona che rivestiva la qualità di soggetto passivo del reato o comunque di persona offesa da esso nel procedimento cui l’atto in questione accedeva arg. ex Corte di cassazione, Sezione V penale, 17 luglio 1992, n. 8075 , circostanza questa non sussistente quanto al caso di specie. Passando al secondo motivo di impugnazione, riguardante il mancato riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche, ne rileva questa Corte la inammissibilità. Va, infatti, rilevato che la Corte di Napoli ha escluso il predetto beneficio in favore del C. stante la ritenuta assenza di elementi che ne avrebbero giustificato il riconoscimento. A fronte di siffatta, in astratto pienamente legittima motivazione, il ricorrente ha allegato la mancata considerazione da parte della Corte di merito della sua ritenuta buona fede, quale sarebbe dimostrata per avere egli preannunziato alla autorità comunale, tramite la presentazione di Cila, la effettuazione dei lavori per cui è causa. Deve osservarsi che siffatta circostanza, oltre ad essere meramente allegata dal ricorrente in assenza di qualsivoglia riscontro, risulta, altresì, essere stata dedotta solo in questa sede di legittimità non essendo stata affatto segnalata in occasione della presentazione dei motivi di impugnazione da parte dell’attuale ricorrente pertanto della medesima non avrebbe certamente potuto tenere conto il giudice del gravame e di tale mancata valutazione non è ora consentito al ricorrente di dolersi. Il ricorso, in conclusione, deve essere dichiarato inammissibile ed il ricorrente, visto l’art. 616 c.p.p., va condannato al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 2000,00 in favore della Cassa delle ammende. P.Q.M. Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 2000.00 in favore della Cassa delle ammende. Motivazione semplificata.