I carabinieri gli chiedono un documento d’identità: lui nicchia e si dà alla fuga. Nessun reato

Cade definitivamente l’accusa nei confronti di un uomo. Impossibile, secondo i Giudici, parlare di rifiuto di indicazioni sulla propria identità personale , che egli avrebbe potuto fornire ai militari anche senza disporre del documento.

Fermato in strada dai carabinieri per un controllo, opta per la fuga quando gli viene chiesto un documento d’identità. Inevitabile il processo, anche perché l’uomo viene riconosciuto da uno dei militari dell’Arma. Impossibile, però, ritenere legittima una condanna per i giudici, difatti, ricostruita la vicenda, non vi sono i presupposti per parlare di rifiuto di indicazioni sulla propria identità personale” Cassazione, sentenza n. 2021/20, sez. I Penale, depositata il 20 gennaio . Controllo. Scenario dell’episodio è la provincia calabrese. Lì un uomo viene fermato in strada da due carabinieri, e alla loro richiesta di un documento d’identità decide di darsi alla fuga. Scelta inutile, anche perché uno dei militari dell’Arma lo ha facilmente riconosciuto, essendo in servizio da diversi anni in quel territorio. Consequenziale lo strascico giudiziario, con l’uomo sotto processo che viene ritenuto colpevole in Tribunale per il reato di rifiuto di indicazioni sulla propria identità personale” e viene punito con 200 euro di ammenda”, a cui si aggiunge anche il pagamento delle spese processuali”. Rifiuto. I dettagli emersi in Tribunale, e in particolare il racconto fatto dal militare che aveva riconosciuto l’uomo, paiono sufficienti. Ma in Cassazione viene proposta una lettura diversa in particolare, i magistrati osservano che l’uomo venne sollecitato ad esibire un documento identificativo, e non anche a declinare le proprie generalità, cosa che egli avrebbe potuto fare anche senza disporre del documento”. Di conseguenza, egli non ha posto in essere la condotta indicata dal Codice Penale come rifiuto di indicazioni sulla propria identità personale”. Cade perciò in modo definitivo l’accusa nei confronti dell’uomo, non punibile per non aver mostrato il documento d’identità ai carabinieri e per essersi poi dato alla fuga.

Corte di Cassazione, sez. I Penale, sentenza 15 novembre 2019 – 20 gennaio 2020, n. 2021 Presidente Mazzei – Relatore Cappuccio Ritenuto in fatto 1. Con sentenza del 10 maggio 2018 il Tribunale di Paola ha dichiarato An. Ch. colpevole del reato di rifiuto d'indicazioni sulla propria identità personale e, riconosciute le circostanze attenuanti generiche, lo ha condannato alla pena di 200 Euro di ammenda, oltre al pagamento delle spese processuali. 2. An. Ch. è stato tratto a giudizio e condannato perché, fermato per un controllo, in orario notturno, dai Carabinieri di Paola, si è dileguato, insieme alla persona con la quale si accompagnava, così sottraendosi alla consegna dei documenti ed all'identificazione. La responsabilità di Ch. è stata ritenuta sulla scorta della deposizione del teste Fr. Sp., che ha detto di averlo riconosciuto, perché da molti anni in servizio presso la Stazione di Carabinieri di Paola, ed ha escluso di avere confuso l'odierno imputato con il gemello Al. il quale, peraltro, in quel periodo ed a quell'orario, non avrebbe potuto trovarsi fuori dalla propria abitazione, in quanto sottoposto a misura cautelare , dal quale lo distinguono il diverso taglio di capelli ed un tatuaggio. 3. An. Ch. propone, con il ministero dell'avv. Gi. Br., ricorso per cassazione affidato a due motivi, con il primo dei quali deduce violazione di legge e vizio di motivazione per avere il Tribunale fondato la decisione sul solo apporto del teste Sp., il quale ben difficilmente avrebbe potuto scorgere, nel buio della notte, i tratti che distinguono l'imputato dal fratello, la cui presenza in casa non è stata, peraltro, positivamente verificata. Aggiunge, in diritto, che la pregressa conoscenza dell'identità del soggetto datosi alla fuga rende, in concreto, la condotta inoffensiva, e che l'omessa esibizione di documento d'identità, contestata a Ch., è contegno che non integra, di per sé, la contravvenzione ex art. 651 cod. pen., che presuppone il più generale rifiuto di indicazioni sulla propria identità personale. Con il secondo ed ultimo motivo, eccepisce violazione di legge e vizio di motivazione per avere il Tribunale di Paola preso le mosse, nella determinazione della sanzione, da una pena base superiore al massimo edittale. Considerato in diritto 1. Il primo motivo di ricorso poggia su argomentazioni che, infondate nella parte in cui invocano una rilettura del quadro probatorio inammissibile nella sede di legittimità ed adombrano la carenza di offensività della condotta contestata, si palesano, invece, condivisibili laddove contestano la correttezza della relativa qualificazione giuridica. 2. La sentenza impugnata appare, invero, aderente al dato probatorio e scevra da vizi logici nel riconoscere piena attitudine probatoria al contributo del teste Sp. in ordine all'identificazione nell'odierno ricorrente, anziché nel gemello Al., di uno dei due giovani che, alla richiesta di esibizione dei documenti di identità, si allontanarono velocemente, senza rispondere, e fecero perdere le loro tracce. 3. D'altro canto, pertinente è, in diritto, il richiamo - a fronte dell'obiezione vertente sull'avere i militari, di fatto, identificato Ch. grazie alla pregressa conoscenza - all'indirizzo ermeneutico secondo cui, posto che l'elemento materiale del reato previsto dall'art. 651 cod. pen. consiste nel rifiuto di fornire indicazioni sulla propria identità, deve ritenersi irrilevante, in considerazione della sua natura di reato istantaneo, che le indicazioni sull'identità personale vengano fornite successivamente o che l'identità del soggetto sia facilmente accertata per la conoscenza personale da parte del pubblico ufficiale o per altra ragione Sez. 1, Sez. 1, n. 9957 del 14/11/2014, dep. 2015, De Michele, Rv. 262644 Sez. 6, n. 34689 del 3/7/2007, Tedesco, Rv. 237606 Sez. 6, n. 9337 del 28/6/1995, Masiero, Rv. 202978 . 4. Per quanto concerne la sussunzione della condotta nell'ambito applicativo dell'art. 651 cod. pen., va detto che la sentenza impugnata chiarisce come l'attività dell'imputato si sia sostanziata esclusivamente nell'omessa esibizione del documento di identità, richiesto dagli agenti ai fini della identificazione formale, comportamento che integra, per giurisprudenza constante Sez. 6, Sentenza n. 14211 del 12/03/2009, Trovato, Rv. 243317 sul punto, cfr. anche Sez. 6, n. 34 del 18/10/1995, dep. 1996, Cozzella, Rv. 203852 Sez. 6, n. 6864 del 03/05/1993, Scaduto, Rv. 195412 , - ove ne ricorrano le altre condizioni legali - gli estremi del reato di cui al R.D. 18 giugno 1931, n. 773, art. 4, ed all'art. 294 del relativo regolamento, non già il reato previsto dall'art. 651 cod. pen., che sanziona invece il rifiuto di fornire indicazioni sulla propria identità personale. Atteso, allora, che Ch. venne sollecitato ad esibire un documento identificativo, e non anche a declinare le proprie generalità, ciò che egli avrebbe potuto fare anche senza disporre del documento, deve ritenersi, sulla base degli elementi di fatto richiamati, che egli non pose in essere la condotta tipica della fattispecie incriminatrice contestatagli. 5 La circostanza da ultimo dedotta impone, in accoglimento del ricorso proposto, l'annullamento senza rinvio della sentenza impugnata perché il fatto non sussiste. P.Q.M. Annulla senza rinvio la sentenza impugnata, perché il fatto non sussiste.