Spacciatore incastrato dalle conversazioni di WhatsApp: la riproduzione fotografica è pienamente utilizzabile

I messaggi WhatsApp e gli sms conservati nella memoria di un cellulare hanno natura di documenti ai sensi dell’art. 234 c.p.p La relativa attività acquisitiva non soggiace quindi alle regole stabilite per la corrispondenza, né tantomeno alla disciplina delle intercettazioni telefoniche. I relativi testi possono infatti essere ritenuti legittimamente acquisiti ed utilizzabili ai fini della decisione se ottenuti mediante riproduzione fotografica a cura degli inquirenti.

Così la Corte di legittimità con la sentenza n. 1822/20, depositata il 17 gennaio. Il caso. Ferma la condanna, resa all’esito di giudizio abbreviato per il reato di concorso in illecita detenzione di cocaina e marijuana, la Corte d’Appello di Roma riconosceva all’appellante i benefici della sospensione condizionale della pena e della non menzione della condanna nel casellario giudiziale. In particolare, la Corte territoriale riteneva che, secondo la riqualificazione operata dal primo giudice, la detenzione a fini di spaccio della cocaina fosse assorbente rispetto alla medesima condotta relativa alla marijuana. La responsabilità penale risultava comunque accertata sulla base dei diversi elementi acquisiti tra cui le modalità di rinvenimento delle sostanze nella disponibilità dell’imputato, la disponibilità di somme di denaro di piccolo taglio, il rinvenimento di strumenti per il confezionamento delle dosi e i messaggi contenuti nei cellulari dei due imputati. La pronuncia viene impugnata con ricorso per cassazione dolendosi, tra gli altri motivi, della nullità ed inutilizzabilità delle comunicazioni telematiche rinvenute sulla memoria del cellulare acquisita durante un’illegittima ispezione della PG con riproduzione fotografica della schermata con le conversazioni con un possibile acquirente dello stupefacente. Viene sottolineata anche la contraddittorietà della motivazione circa la qualità indiziaria di tali messaggi, non idonei a provare il fatto-reato. Prove. Secondo il consolidato orientamento di legittimità, i dati informatici sms, messaggi WhatsApp, messaggi di posta elettronica scaricati e/o conservati acquisiti dalla memoria del telefono in uso all’indagata hanno natura di documenti ai sensi dell’art. 234 c.p.p L’acquisizione di tali dati non soggiace quindi alle regole dettate per la corrispondenza né tantomeno a quelle in tema di intercettazioni telefoniche in quanto tali testi non rientrano nel concetto di corrispondenza”, né tantomeno può configurarsi un’attività di intercettazione che postula la captazione di un flusso di comunicazioni in corso. In conclusione, tali testi devono ritenersi legittimamente acquisiti e utilizzabili ai fini della decisione ove ottenuti mediante la riproduzione fotografica da parte degli inquirenti. I messaggi rinvenuti nella memoria del telefono cellulare dell’imputato risultano quini legittimamente acquisiti e sul punto la sentenza impugnata si sottrae alle censure prospettate dal ricorrente. In conclusione, la Corte annulla senza rinvio la sentenza impugnata limitatamente alla condotta di detenzione di marijuana per carenza motivazionale circa la destinazione della sostanza allo spaccio. Riconoscendo l’uso personale della sostanza, la Corte ridetermina la pena per la residua imputazione.

Corte di Cassazione, sez. VI Penale, sentenza 12 novembre 2019 – 17 gennaio 2020, n. 1822 Presidente Petruzzellis – Relatore Bassi Ritenuto in fatto 1. Con il provvedimento in epigrafe, la Corte d’appello di Roma, in parziale riforma della sentenza del 14 novembre 2016 del Tribunale di Roma, ha riconosciuto all’appellante T.A. i benefici della sospensione condizionale della pena e della non menzione della condanna nel casellario giudiziale, confermando la sua condanna, resa all’esito del giudizio abbreviato, alla pena di mesi sei e giorni venti di reclusione ed Euro 2.800 di multa, in relazione al reato di cui al D.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309, art. 73, comma 5, per avere, in concorso con C.J. , illecitamente detenuto per la cessione a terzi grammi 4,2 lordi di sostanza stupefacente del tipo cocaina e gr. 0,8 lordi di sostanza stupefacente del tipo marijuana, rispettivamente sub capi A e B della rubrica . 1.1. A sostegno della decisione, la Corte romana ha evidenziato come, stante la riqualificazione operata dal primo Giudice ai sensi del citato art. 73, comma 5, del reato di cui al capo A concernente la detenzione a fini di spaccio della cocaina , detta imputazione risulta assorbente rispetto a quella di cui al capo B , relativa alla detenzione a fini di spaccio della marijuana. 1.2. Posta tale premessa, la Corte distrettuale ha rilevato che la responsabilità penale del T. risulta provata alla luce dei plurimi elementi acquisiti a suo carico, segnatamente a dalle modalità di rinvenimento delle sostanze nella disponibilità dell’imputato e del coimputato nel mentre si trovavano all’interno di un abitacolo e, in particolare, dalla suddivisione della cocaina in tredici dosi complessive e dal quantitativo della marijuana da cui erano ricavabili una o due dosi b dalla disponibilità da parte dei due imputati di somme di denaro di piccolo taglio c dal rinvenimento di una busta di cellophane parzialmente tagliata usata per il confezionamento della cocaina d dai messaggi contenuti nei telefoni cellulari degli imputati e dalle dichiarazioni spontanee da essi rese nell’immediatezza dei fatti e, in particolare, dall’ammissione fatta dal T. circa la finalizzazione della sostanza alla cessione a terzi. Sotto diverso aspetto, il Giudice del gravame ha evidenziato come gli imputati nulla abbiano dichiarato in sede di interrogatorio di convalida quanto alla destinazione all’uso personale della sostanza, come manchi qualunque certificazione dell’asserito stato di tossicodipendenza e come la distrofia muscolare cui è affetto il T. non necessiti, quale cura, dell’assunzione delle sostanze oggetto del presente procedimento. 1.3. Il Collegio capitolino ha infine confermato la congruità del trattamento sanzionatorio inflitto dal Tribunale e l’insussistenza dei presupposti per le invocate circostanze attenuanti generiche, stante l’assenza di segni di ravvedimento del prevenuto, la mancanza di alcun comportamento collaborativo nonché l’intensità del dolo, desumibile dalle circostanze che l’imputato agiva di notte ed utilizzava l’applicativo telegram, strumento funzionale a contattare i clienti ed a cancellare immediatamente i messaggi inviati senza lasciare traccia. 2. Nel ricorso a firma del difensore di fiducia, T.A. chiede l’annullamento del provvedimento per i motivi di seguito sintetizzati ai sensi dell’art. 173 disp. att. c.p.p 2.1. Violazione di legge processuale in relazione agli artt. 191 e 266 bis c.p.p., stante la nullità e l’inutilizzabilità delle comunicazioni telematiche registrate sulla memoria del telefono cellulare acquisito all’esito dell’illegittima ispezione compiuta dalla P.G., comunicazioni acquisite mediante la riproduzione fotografica della schermata delle conversazioni tra l’imputato e un tale S.R. , possibile acquirente. Evidenzia la difesa come si versi un un’ipotesi di inutilizzabilità c.d. patologica, in quanto concernente atti probatori acquisiti contra legem - mediante violenza sulle cose ed in violazione del diritto alla segretezza della corrispondenza di cui all’art. 15 Cost. -, là dove gli agenti operanti avrebbero dovuto procedere con le modalità previste per il sequestro ai sensi dell’art. 354 c.p.p., comma 2. 2.2. Contraddittorietà della motivazione in relazione all’art. 192 c.p.p. con riferimento alla qualità indiziaria dei messaggi contenuti nelle conversazioni intercettate. La difesa rileva come dai messaggi acquisiti sul telefono del T. siano ricavabili solo degli indizi, non idonei a provare il fatto-reato, in quanto relativi a conversazioni finalizzate ad accordarsi su cosa fare nel corso della serata, senza alcun riferimento ad alcuna attività illecita, avendo il potenziale acquirente, fra l’altro, affermato di non disporre di denaro. 2.3. Contraddittorietà della motivazione per travisamento della prova con riferimento alla ricostruzione della dinamica dei fatti così come riportata dall’agente di P.G. e come risulta dagli altri elementi di prova. Il difensore si duole del fatto che la Corte d’appello abbia ritenuto provata la finalità di spaccio ed il dolo del reato nonostante i molteplici elementi a favore dell’imputato emersi nel corso del giudizio, in particolare a l’esito negativo della disposta perquisizione domiciliare b l’assenza di strumenti atti al taglio della sostanza c la circostanza che lo stupefacente non fosse contenuto in bustine termosaldate d le dichiarazioni rese dall’imputato in sede di interrogatorio e quanto dichiarato dall’agente di P.G. Cr. . D’altra parte, censura la mancata confutazione da parte del Giudice del gravame dell’ipotesi alternativa sostenuta dalla difesa, id est l’acquisto della sostanza da parte del T. per uso personale, in considerazione del suo stato di tossicodipendenza e della necessità di contrastare, con la marijuana, gli effetti della distrofia muscolare e, con la cocaina, la depressione. Aggiunge che i giudici di merito non hanno proceduto alle dovute contestazioni ex art. 503 c.p.p., comma 3, delle dichiarazioni spontanee dell’imputato alla P.G. a fronte della diversa versione dei fatti resa durante l’interrogatorio al Giudice. Infine, evidenzia l’erroneità della massima d’esperienza utilizzata dal Giudice di secondo grado, allorché ha osservato come la disponibilità del telegram sul telefonino sia indice di un’attività illecita. 2.4. Erronea applicazione del D.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309, art. 73, nella parte in cui, pur sussistendone i presupposti di fatto, la Corte ha escluso la riconducibilità della condotta al c.d. uso di gruppo, nonostante le dichiarazioni dell’agente di P.G. Cr. in merito all’acquisto da parte dell’imputato e del correo di un quantitativo di droga compatibile con siffatta situazione. 2.5. Erronea applicazione del D.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309, art. 73, nonché mancanza e contraddittorietà della motivazione nella parte in cui, pur sussistendone i presupposti di fatto, il Collegio di merito ha escluso la finalità della roga di cui al capo B all’esclusivo consumo personale, trattandosi di mezza dose di marijuana detenuta dal solo T. . 2.6. Contraddittorietà della motivazione per travisamento della prova con riferimento alla mancata concessione delle circostanze attenuanti generiche. Al riguardo la difesa evidenzia come la Corte abbia omesso di tenere conto del comportamento collaborativo tenuto dal T. sin dall’inizio del procedimento allorché ha riferito da chi e dove si era procurato la sostanza e precisato la finalità dell’azione ed abbia erroneamente misurato l’intensità del dolo sulla scorta della mera disponibilità dell’applicativo telegram. Considerato in diritto 1. Il ricorso è fondato con limitato riguardo alla violazione del D.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309, art. 73, quanto alla detenzione di marijuana - con conseguente annullamento senza rinvio della sentenza sul punto ed eliminazione della relativa pena -, mentre va rigettato nel resto. 2. Non coglie nel segno il primo motivo di natura processuale con il quale il ricorrente ha eccepito la nullità e l’inutilizzabilità degli esiti delle comunicazioni telematiche registrate sulla memoria del telefono cellulare acquisite all’esito dell’illegittima ispezione compiuta dalla P.G. mediante la riproduzione fotografica della schermata delle comunicazioni intercorse tra l’imputato e tale S.R. , possibile acquirente. 2.1. Nel rigettare la medesima eccezione dedotta in appello, il Collegio territoriale ha fatto ineccepibile applicazione della consolidata giurisprudenza di questa Corte regolatrice secondo cui i dati informatici acquisiti dalla memoria del telefono in uso all’indagata sms, messaggi whatsApp, messaggi di posta elettronica scaricati e/o conservati nella memoria dell’apparecchio cellulare hanno natura di documenti ai sensi dell’art. 234 c.p.p., di tal che la relativa attività acquisitiva non soggiace nè alle regole stabilite per la corrispondenza, nè tantomeno alla disciplina delle intercettazioni telefoniche. Si è condivisibilmente evidenziato come ai messaggi WhatsApp e SMS rinvenuti in un telefono cellulare sottoposto a sequestro non sia applicabile la disciplina dettata dall’art. 254 c.p.p., in quanto tali testi non rientrano nel concetto di corrispondenza , la cui nozione implica un’attività di spedizione in corso o comunque avviata dal mittente mediante consegna a terzi per il recapito Sez. 3, n. 928 del 25/11/2015, dep. 2016, Giorgi, Rv. 265991 . Nè, d’altra parte, può ritenersi trattarsi degli esiti di un’attività di intercettazione, la quale postula, per sua natura, la captazione di un flusso di comunicazioni in corso, là dove i dati presenti sulla memoria del telefono acquisiti ex post costituiscono mera documentazione di detti flussi. 2.2. Si deve pertanto affermare il principio di diritto secondo il quale i messaggi whatsApp così come gli sms conservati nella memoria di un apparecchio cellulare hanno natura di documenti ai sensi dell’art. 234 c.p.p., di tal che la relativa attività acquisitiva non soggiace alle regole stabilite per la corrispondenza, nè tantomeno alla disciplina delle intercettazioni telefoniche, con l’ulteriore conseguenza che detti testi devono ritenersi legittimamente acquisiti ed utilizzabili ai fini della decisione ove ottenuti mediante riproduzione fotografica a cura degli inquirenti. 2.3. In applicazione di tale principio di diritto, nella specie, i messaggi rinvenuti nella memoria del telefono cellulare dell’imputato risultano, pertanto, essere stati del tutto legittimamente acquisiti al processo ed utilizzati ai fini della decisione, giusta la loro natura documentale ex art. 234 c.p.p. e la conseguente acquisibilità con una qualunque modalità atta alla raccolta del dato, inclusa la riproduzione fotografica. 3. Il secondo, il terzo ed il quarto motivo di ricorso sono inammissibili. 3.1. Ed invero, nel contestare la ricostruzione storico fattuale della vicenda, l’interpretazione dei messaggi data dai decidenti e la valutazione delle dichiarazioni dei testi operanti nonché degli ulteriori elementi a carico, il ricorrente, per un verso, ripropone rilievi già dedotti in appello e non si confronta con la compiuta e lineare motivazione svolta dai Giudici della cognizione e, dunque, omette di assolvere la tipica funzione di una critica argomentata avverso la sentenza oggetto di ricorso Sez. 6, n. 20377 del 11/03/2009, Arnone e altri, Rv. 243838 . Per altro verso, sollecita una rilettura delle emergenze processuali, non consentita in questa Sede, dovendo la Corte di legittimità limitarsi a ripercorrere l’iter argomentativo svolto dal giudice di merito per verificare la completezza e l’insussistenza di vizi logici ictu oculi percepibili, senza possibilità di valutare la rispondenza della motivazione alle acquisizioni processuali ex plurimis Sez. U, n. 47289 del 24/09/2003, Petrella, Rv. 226074 . 3.2. D’altronde, il discorso giustificativo svolto a sostegno della conferma del giudizio di penale responsabilità si appalesa scevro dai vizi denunciati col ricorso, là dove i decidenti di merito hanno attentamente ricostruito i fatti sulla scorta di una scrupolosa analisi delle emergenze delle indagini in particolare, del contenuto dei messaggi con gli acquirenti e delle modalità di confezionamento della sostanza nonché sviluppando un ragionamento immune da vizi logici evidenti. Non può inoltre sottacersi come il difensore abbia omesso di confrontarsi con il principale elemento a carico rappresentato dalle ammissioni fatte dallo stesso T. circa la destinazione della cocaina alla rivendita a terzi , con le dichiarazioni spontanee rese ai sensi dell’art. 350 c.p.p., comma 7. Dichiarazioni pienamente utilizzabili nel giudizio abbreviato, atteso che l’art. 350 c.p.p., comma 7, limita l’inutilizzabilità delle dichiarazioni spontanee esclusivamente al dibattimento Sez. 5, n. 32015 del 15/03/2018, Carlucci, Rv. 273642 . 4. È inammissibile l’ultimo motivo di ricorso, col quale la difesa eccepisce il vizio di motivazione per travisamento della prova con riferimento alla denegata applicazione delle circostanze attenuanti generiche. 4.1. Come questa Corte ha più volte affermato, le circostanze attenuanti generiche hanno lo scopo di estendere le possibilità di adeguamento della pena in senso favorevole all’imputato in considerazione di situazioni e circostanze che effettivamente incidano sull’apprezzamento dell’entità del reato e della capacità a delinquere dello stesso, sicché il riconoscimento di esse richiede la dimostrazione di elementi di segno positivo Sez. 3, n. 19639 del 27/01/2012, Gallo e altri, Rv. 252900 . Elementi di segno positivo che, nella specie, i giudici di merito hanno correttamente ritenuto insussistenti, con argomentazioni adeguate e prive di vizi logici - dunque, insindacabili in questa Sede -, là dove hanno evidenziato la gravità del fatto ed i precedenti penali dell’imputato. 5. È invece fondato il quinto motivo con cui il ricorrente si duole della condanna in relazione alla contestata violazione del D.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309, art. 73 quanto alla detenzione della marijuana. 5.1. Il Collegio di merito ha argomentato la ritenuta destinazione della sostanza di cui al capo B ad un uso non esclusivamente personale sulla scorta di considerazioni del tutto laconiche ed assertive. Soprattutto ha omesso di confrontarsi con il dato obbiettivo rappresentato dalla circostanza che T. veniva colto nella flagrante detenzione - oltre al quantitativo di sostanza stupefacente del tipo cocaina suddivisa in più dosi - di 0,8 grammi di marijuana, pari a mezza dose giornaliera, in assenza di qualunque evidenza della finalizzazione di tale sostanza ad un uso diverso da quello assertitamente personale nonché con il fatto, anch’esso obbiettivo, che gli scambi verbali monitorati concernessero la droga c.d. pesante. 5.2. Considerate le esigenze d’economia processuale sottese alla previsione di cui all’art. 620 c.p.p., comma 1, lett. l , il provvedimento impugnato va annullato senza rinvio perché il fatto non è previsto dalla legge come reato. Tenuto conto del quadro di elementi probatori acquisiti ed acquisibili al processo - così come attentamente illustrati nella sentenza impugnata -, giudica il Collegio che non sia possibile pervenire, da parte del giudice di rinvio, ad un giudizio di certezza - al di là di ogni ragionevole dubbio - circa la finalizzazione di tale sostanza ad una finalità vietata. Come il più ampio consesso di questo Giudice di legittimità ha già avuto modo di chiarire, nel giudizio di cassazione l’annullamento della sentenza di condanna va invero disposto senza rinvio allorché un eventuale giudizio di rinvio, per la natura indiziaria del processo e per la puntuale e completa disamina del materiale acquisito e utilizzato nei pregressi giudizi di merito, non potrebbe in alcun modo colmare la situazione di vuoto probatorio storicamente accertata Sez. U, n. 45276 del 30/10/2003, P.G., Andreotti e altro, Rv. 226100 Sez. 6, n. 37098 del 19/07/2012, Conti, Rv. 253380 . Il che assorbe l’ulteriore rilievo - fondato - con il quale il ricorrente ha denunciato l’erronea applicazione dell’aumento per la continuazione all’esito della riqualificazione ai sensi del D.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309, art. 73, comma 5, della condotta di cui al capo A , con conseguente assorbimento in un unico reato della condotta di cui al capo B . 5.3. Stante il disposto annullamento senza rinvio occorre procedere alla rideterminazione della pena, cui può provvedere direttamente questa Corte ai sensi dell’art. 620 c.p.p., lett. l . Applicati gli indici di calcolo già definiti in sede di merito, senza procedere ad accertamenti di fatto o ad operazioni di discrezionalità valutativa ex plurimis Sez. 6, n. 15157 del 20/03/2014, La Rosa Rv. 259253 , la pena-base per il reato di cui al capo A deve essere rideterminata in mesi 9 di reclusione e 3900 Euro di multa, ridotta per il rito sino a mesi sei di reclusione e 2600 Euro di multa. P.Q.M. Annulla senza rinvio la sentenza impugnata, limitatamente alla detenzione di marijuana, perché il fatto non è previsto dalla legge come reato e ridetermina la pena per la residua imputazione in mesi sei di reclusione ed Euro 2.600,00 di multa. Rigetta nel resto il ricorso.