Non è onere dell’imputato informare il giudice che la latitanza è cessata

La cessazione dello stato di latitanza implica la illegittimità delle successive notifiche eseguite ai sensi dell'art. 165 c.p.p. anche qualora non sia stata portata a conoscenza del giudice procedente, gravando su quest'ultimo il compito di verificare che la latitanza non sia cessata e non essendo previsto un onere di comunicazione a carico dell'imputato.

Lo ha ribadito la Sesta Sezione della Suprema Corte di Cassazione, con la sentenza n. 1824, depositata il 17 gennaio 2020. Il rapporto fiduciario fra imputato e difensore La pronuncia de qua pone implicitamente l’accento sull’indispensabile carattere di stabilità del rapporto fra l’imputato ed il proprio difensore di fiducia, necessario al fine di garantire l’assunzione di adeguate iniziative a tutela della posizione dell’accusato. Fra gli aspetti più rilevanti della difesa tecnica fiduciaria rientra sicuramente la conoscenza di atti del procedimento da parte dell’imputato. Tale conoscenza può essere dedotta - da un lato - dall’obbligo deontologico del difensore di portare a conoscenza degli atti il proprio assistito cfr. art. 40 del Codice Deontologico Forense dall’altro, dall’obbligo speculare dell’imputato di mantenere i contatti con il proprio difensore cfr., nella giurisprudenza di legittimità, Cass. pen., Sez. I, 16 gennaio 2008, Cierlantini . Peraltro, anche nel caso in cui la notifica dell’atto all’imputato sia effettuata presso il domicilio eletto nello studio del difensore d’ufficio, essa deve ritenersi idonea a determinare la conoscenza effettiva al destinatario. Ciò in quanto il difensore di ufficio originariamente nominato, ancorché sostituito da altro difensore per la mancata comparizione all’udienza, resta titolare della difesa ed è pertanto l’unico legittimato a ricevere la notifica di atti destinati al difensore dell’imputato nella fattispecie estratto contumaciale di sentenza soggetta ad impugnazione ” Cass. pen., sez. I, 6 ottobre 2004, n. 49244 . A ciò va aggiunto che l’elezione di domicilio è una dichiarazione di volontà dell’indagato/imputato, consistente nella scelta di una persona nell’esempio fatto prima, del difensore di ufficio investita del potere di ricevere la notificazione degli atti del procedimento, in un luogo diverso dalla casa di abitazione o dal luogo in cui l’imputato esercita abitualmente l’attività lavorativa cioè lo studio del difensore cfr. Cass. pen., sez. I, 21 febbraio 2006, n. 10297 Cass. pen., sez. II, 9 maggio 2006, n. 15903 . La sentenza in commento consente altresì di ricordare che il difensore di fiducia può essere nominato in numero non superiore a due per l’indagato/imputato, ad uno per le altre parti private la nomina deve necessariamente provenire dal soggetto processuale, fatta salva l’ipotesi di persona in stato di fermo, arresto o custodia cautelare, caso in cui essa può essere fatta da un prossimo congiunto art. 96 comma 3 c.p.p. . Diversa è la disciplina nel caso di nomina del difensore d’ufficio. Questi è infatti nominato dall’Autorità Giudiziaria procedente nel caso in cui l’imputato sia rimasto privo di difesa tecnica, o non abbia nominato un difensore di fiducia in occasione del primo atto per il quale sia prevista la presenza del difensore. Il difensore d’ufficio è designato dal sistema centralizzato che lo individua, secondo turnazione, in un elenco ad hoc art. 97 comma 2, c.p.p. . Egli ha l’obbligo di prestare il patrocinio, ed il corrispondente diritto ad essere retribuito dal difeso salvo che venga ammesso al patrocinio a spese dello Stato, ove ricorrano i requisiti di cui agli artt. 76 e seguenti del d.P.R. n. 115/2002 e successive modifiche ed integrazioni . le vicende dell’incarico difensivo La nomina del difensore di fiducia può avvenire con dichiarazione alternativamente resa dall’interessato all’autorità che procede, oppure consegnata alla stessa dal difensore, o ancora trasmessa con raccomandata. Per contro, la cessazione dell’incarico difensivo segue una diversa disciplina a seconda che si tratti di difesa fiduciaria o di difesa d’ufficio. Nel primo caso, può esservi revoca del mandato, o rinuncia al medesimo, o ancora una situazione di incompatibilità ex art. 106 c.p.p Nell’ipotesi di difesa d’ufficio, la revoca/sostituzione del difensore può avvenire per giustificato motivo art. 97 comma 5 c.p.p. , o più semplicemente a seguito di nomina di difensore di fiducia art. 97 comma 6 c.p.p. . e la cessazione della latitanza. Risultano precedenti contrastanti rispetto alla sentenza in commento. In particolare, la Suprema Corte ha ritenuto che l'arresto dell'imputato all'estero per fini estradizionali comporti la cessazione del suo stato di latitanza, ma non implichi la nullità delle successive notifiche eseguite nelle forme dell'art. 165, comma 1, c.p.p. fino al momento in cui il giudice non abbia avuto notizia dell'arresto con modalità tali da far ritenere il fatto processualmente accertato. In altre parole, secondo l’orientamento contrario, le notifiche all'imputato latitante, una volta dichiarato lo stato di latitanza debbono essere effettuate nelle forme prescritte dall'art. 165 c.p.p., mediante consegna di copia al difensore e ciò in ogni fase e grado del processo in cui è stata dichiarata la latitanza, fino a quando non ne sia processualmente accertata la cessazione, senza che a tal fine abbia rilievo la distinzione tra procedimento incidentale e giudizio di merito. Ne consegue che ad ogni passaggio di fase o grado del giudizio non debbono essere svolte nuove ricerche del latitante.

Corte di Cassazione, sez. VI Penale, sentenza 18 dicembre 2019 – 17 gennaio 2020, n. 1824 Presidente Tronci – Relatore Bassi Ritenuto in fatto 1. Con il provvedimento in epigrafe la Corte d’appello di Milano avendo riguardo alla posizione del solo ricorrente , ha confermato la sentenza del 22 luglio 2010, con la quale il Tribunale di Milano ha condannato I.C. alla pena di anni nove e mesi quattro di reclusione ed Euro 32.000,00 di multa, per i reati di cui all’art. 110 c.p. e D.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309, art. 73, di cui ai capi 5 , 21 e 26 della rubrica, perché - in concorso con altri soggetti inseriti in un ampio contesto di narcotraffico tra l’estero e l’Italia avente ad oggetto sostanza stupefacente del tipo cocaina - illecitamente deteneva a fini di spaccio ingenti quantità della suddetta sostanza. 1.1. Nel motivare la decisione, la Corte distrettuale ha evidenziato, da un lato, come l’impugnazione risulti generica e, pertanto, ai limiti dell’inammissibilità dall’altro lato, come la responsabilità penale del ricorrente risulti, ad ogni modo, provata alla luce delle complessive risultanze processuali. 2. Nel ricorso a firma del difensore di fiducia, I.C. chiede l’annullamento del provvedimento per i motivi di seguito sintetizzati ai sensi dell’art. 173 disp. att. c.p.p 2.1. Inosservanza di norme processuali in relazione agli artt. 161, 159 c.p.p., art. 169 c.p.p., n. 4 e art. 179 c.p.p Al riguardo, la difesa evidenzia che, diversamente da quanto dato atto nell’ordinanza del 25 febbraio 2019 con cui la Corte d’appello ha restituito il ricorrente nel termine per proporre impugnazione a l’estratto contumaciale della sentenza di primo grado è stato notificato il difensore in data 13 ottobre 2010 b il 14 aprile 2014 - dunque nelle more tra il giudizio di primo e di secondo grado, conclusisi rispettivamente il 22 luglio 2010 ed il 22 novembre 2016 - l’imputato è stato tratto in arresto in relazione ad altro procedimento e, in relazione ad esso, ristretto presso la Casa Circondariale di c la sentenza d’appello è stata pronunciata dopo che, all’atto della scarcerazione in data 10 febbraio 2015, l’imputato aveva eletto domicilio presso l’avvocato Labate Lorenzo del foro di Torino , sicché in detto luogo avrebbero dovuto essere compiute tutte le notificazioni indirizzate all’I. . 2.2. Con il secondo motivo, la difesa denuncia l’illegalità della pena inflitta, per avere il Collegio del gravame determinato la pena senza tenere conto della declaratoria d’incostituzionalità del minimo edittale del D.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309, art. 73, comma 1, con sentenza della Corte Cost. del 26 gennaio 2019, n. 40. Considerato in diritto 1. Il ricorso è fondato in relazione al primo, ed assorbente, motivo. 2. In via del tutto preliminare deve essere rammentato che, secondo la consolidata lezione ermeneutica di questa Corte, allorché, col ricorso per cassazione, sia dedotto un error in procedendo ai sensi dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. c , la Corte di cassazione è giudice anche del fatto e, per risolvere la relativa questione, può accedere all’esame diretto degli atti processuali Sez. U, n. 42792 del 31/10/2001, Policastro e altri, Rv. 220092 Sez. 1, n. 8521 del 09/01/2013, Chahid, Rv. 255304 . 3. Orbene, come si evince dalla lettura dell’incartamento processuale, nell’ambito del presente procedimento, I.C. si sottraeva all’esecuzione del provvedimento coercitivo emesso nei suoi confronti e veniva, pertanto, dichiarato latitante in data 30 ottobre 2008 le successive notifiche a lui indirizzate venivano, di conseguenza, eseguite ai sensi dell’art. 165 c.p.p. il 14 aprile 2014 - successivamente alla pronuncia della sentenza di primo grado in data 22 luglio 2010, ma prima della notifica del decreto di citazione dinanzi alla Corte d’appello emesso il 30 novembre 2015 -, l’imputato veniva tratto in arresto nell’ambito di un diverso procedimento penale, sottoposto a custodia cautelare e, poi, scarcerato in data 10 febbraio 2015, eleggendo domicilio presso l’avvocato Labate Lorenzo del foro di Torino in data 23 maggio 2017, la Procura generale presso la Corte d’appello di Milano emetteva l’ordine di esecuzione della sentenza pronunciata dalla Corte d’appello lombarda il 22 novembre 2016 il 13 settembre 2018, l’imputato veniva arrestato in forza di detto ordine di esecuzione nel proposto incidente di esecuzione, la difesa di I. chiedeva la revoca dell’ordine di esecuzione ovvero, in via subordinata, la restituzione nel termine ai sensi dell’art. 175 c.p.p., comma 2, per proporre impugnazione avverso la sentenza del 22 novembre 2016 con ordinanza del 25 febbraio 2019, la Corte d’appello rigettava la richiesta principale, disponendo la mera sospensione dell’ordine di esecuzione, e rimetteva il condannato nel termine per proporre impugnazione, legittimandolo a presentare il presente ricorso per cassazione. 4. Ricostruita la vicenda processuale di I. , ritiene il Collegio fondata la prima doglianza mossa col ricorso. Dalla scansione dei fatti processuali testè delineata, si evince chiaramente che il decreto di citazione dinanzi alla Corte d’appello del 30 novembre 2015 è stato emesso successivamente all’arresto dell’imputato - seppure per altra causa - ed alla sua scarcerazione in data 10 febbraio 2015 con contestuale elezione di domicilio , in una situazione nella quale la latitanza risultava ormai cessata e nella quale le notificazioni avrebbero, pertanto, dovuto essere eseguite secondo le regole ordinarie. 4.1. Ed invero, una volta che il soggetto dichiarato latitante sia stato assoggettato ad un provvedimento limitativo della libertà personale e ristretto nelle carceri nazionali, non può non ritenersi venuta meno, de facto e de iure, la situazione di sottrazione all’esecuzione del provvedimento cautelare che sostanzia la condizione di latitanza. Ciò sebbene la restrizione trovi fondamento in un titolo coercitivo emesso nell’ambito di un distinto procedimento. Non è difatti revocabile in dubbio che l’arresto faccia venir meno ogni margine di volontarietà della condotta del latitante in riferimento al provvedimento restrittivo, di tal che l’oggettiva sottrazione allo stesso non può più ritenersi imputabile ad una sua libera scelta determinativa. In breve, con la sottoposizione al titolo coercitivo, viene meno il presupposto delineato dall’art. 296 c.p.p. secondo il quale è latitante chi volontariamente si sottrae alla custodia cautelare. 4.2. Inequivocabile in tale senso è, d’altronde, l’insegnamento delle Sezioni Unite nella sentenza del 26 marzo 2003 ric. Caridi, Rv. 224134 là dove, pronunciandosi sulla questione concernente l’idoneità a far cessare lo stato di latitanza dell’avvenuto arresto all’estero, ha incidentalmente affrontato anche il tema concernente l’arresto del latitante in Italia. A tale proposito, il più ampio consesso di questa Corte ha rilevato che non può dubitarsi nè si è mai dubitato in dottrina e giurisprudenza che, al di fuori di tali ipotesi espressamente disciplinate, lo stato di latitanza cessi con l’arresto del ricercato o la costituzione dello stesso, giacché in tal caso viene evidentemente meno ogni ipotizzabile persistente sottrazione al provvedimento imposto. La successiva questione - se l’arresto o la costituzione del ricercato, idonei a far cessare lo stato di latitanza, debbano specificamente riguardare i fatti pei quali il provvedimento venne emesso, o possano afferire anche ad altre e diverse ipotesi di reato in questo non contemplate - attiene, a ben vedere, solo ai casi in cui l’arresto avvenga in territorio non nazionale, ché altrimenti l’autorità giudiziaria italiana è ben in grado di esercitare appieno i suoi poteri giurisdizionali e la concreta ottenuta disponibilità del ricercato vanifica ogni proponibile effetto di una sua iniziale volontaria sottrazione ai provvedimenti imposti e solo in riferimento a tali casi, difatti, si è sviluppata la dialettica giurisprudenziale al riguardo . Nella medesima pronuncia, la Corte ha inoltre osservato che il diritto dell’imputato alla autodifesa afferisce ad un diritto fondamentale, la cui possibilità di esercizio connota, indefettibilmente, il giusto processo, con la conseguenza che le norme che lo riguardano devono essere di stretta interpretazione. Le Sezioni Unite hanno aggiunto che in tale senso depone il nuovo testo dell’art. 111 Cost., il quale, nello stabilire il principio del contraddittorio nella formazione della prova, ne avrebbe elevato a rango costituzionale la sua premessa logico-giuridica, ovvero il diritto dell’imputato ad essere presente al suo processo conclusione, questa, verso la quale convergono anche le fonti internazionali ed in particolare la Convenzione Europea dei diritti dell’uomo per come interpretata dalla Corte di Strasburgo, la cui giurisprudenza ha puntualizzato che la presenza dell’imputato al suo processo, anche se non espressamente prevista dall’art. 6 della Convenzione tra i diritti minimi dell’imputato, assume essenziale rilievo quale aspetto fondamentale del giusto processo con la conseguenza che la normativa dei singoli Stati deve giungere ad un ragionevole equilibrio tra il diritto di partecipare personalmente all’udienza e gli interessi pubblici, ed in particolare quelli della giustizia, scoraggiando le assenze ingiustificate, senza tuttavia giungere all’uso della minaccia della privazione dei diritti dell’uomo per costringere l’imputato ad essere presente . 4.3. Successivamente, la Prima Sezione penale di questa Corte ha espressamente affermato che lo stato di detenzione determina la cessazione della condizione di latitanza anche ove la stessa, pur non risultando dagli atti, fosse agevolmente riscontrabile da parte del giudice procedente, in una fattispecie - consimile a quella sub iudice -, nella quale il latitante era stato sottoposto a provvedimento limitativo della libertà personale in Italia per altra causa, aggiungendo che la cessazione dello stato di latitanza implica la illegittimità delle successive notifiche eseguite ai sensi dell’art. 165 c.p.p. anche qualora non sia stata portata a conoscenza del giudice procedente, gravando su quest’ultimo il compito di verificare che la latitanza non sia cessata e non essendo previsto un onere di comunicazione a carico dell’imputato Sez. 1, n. 22076 del 19/05/2009, Scollo, Rv. 244135 . Nel motivare tale affermazione di principio, la Prima Sezione ha infatti osservato che, una volta avvenuta la cattura dell’imputato, la questione sulla esigibilità e sull’onere di comunicare al giudice la cessazione della latitanza va raccordata al principio per il quale la notificazione degli atti rappresenta lo strumento indispensabile per consentire all’imputato di esercitare il proprio diritto di difesa. E questa esigenza non può ritenersi soddisfatta se, pur essendo possibile adottare con un minimo di diligenza una forma di notificazione idonea a portare il contenuto dell’atto nella effettiva sfera di conoscibilità del destinatario, si faccia ricorso ad altra forma di notifica, dalla quale deriva una semplice presunzione legale di conoscenza . 4.4. Nel 2014, tale impostazione ha ricevuto un nuovo avallo da parte delle Sezioni Unite. Nell’argomentare il principio secondo cui la cessazione dello stato di latitanza, a seguito di arresto avvenuto all’estero in relazione ad altro procedimento penale, non implica l’illegittimità delle successive notificazioni, eseguite nelle forme previste per l’imputato latitante, fino a quando il giudice procedente non abbia avuto notizia dell’arresto Sez. U, n. 18822 del 27/03/2014, Avram, Rv. 258793 , le Sezioni Unite hanno ricordato come la Corte nella medesima composizione avesse in passato affermato che la detenzione dell’imputato per altra causa, sopravvenuta nel corso del processo e comunicata solo in udienza, integra un’ipotesi di legittimo impedimento a comparire e preclude la celebrazione del giudizio in contumacia, anche quando risulti che l’imputato medesimo avrebbe potuto informare il giudice del sopravvenuto stato di detenzione in tempo utile per la traduzione, in quanto non è configurabile a suo carico, a differenza di quanto accade per il difensore, alcun onere di tempestiva comunicazione dell’impedimento Sez. U, n. 37483 del 26/09/2006, Arena, Rv. 234600 . Muovendo da tale assunto, le Sezioni Unite hanno però tracciato il discrimen fra la situazione in cui il latitante sia tratto in arresto in relazione ad altro procedimento in Italia da quella in cui egli sia arrestato, sempre in relazione ad altro procedimento, ma all’estero, rimarcando appunto come in questo secondo caso - ferma la cessazione dello stato di latitanza in ossequio a quanto sancito dalle Sezioni Unite nella sentenza Caridi sopra rammentata -, ai fini dell’individuazione del regime delle notificazioni e, quindi, del controllo circa la relativa regolarità , occorra verificare se il giudice procedente avesse o meno contezza della condizione di detenuto all’estero dell’imputato. Puntualizzazione e discriminazione da cui si trae un’implicita riaffermazione della differente regula iuris applicabile in caso di sopravvenuta detenzione del latitante per altra causa in Italia. 4.5. Non può d’altronde sottacersi come la sottoposizione a restrizione sul territorio italiano - benché in relazione ad un procedimento penale diverso -, oltre a far decadere de facto e de iure la condizione di volontaria sottrazione alla custodia, renda automaticamente conosciuta o comunque conoscibile tale circostanza da parte dell’autorità giudiziaria nazionale giusta il sistema di registrazione - anche informatizzato - dei provvedimenti limitativi della libertà personale e, dunque, dei nominativi dei soggetti assoggettativi, esonerando l’interessato da qualunque onere di comunicazione nei confronti dell’A.G. circa la cessazione della propria latitanza ai fini delle successive notificazioni degli atti ai lui indirizzati. 4.6. Deve dunque essere affermato il principio di diritto secondo il quale l’arresto in Italia del soggetto già dichiarato latitante e la successiva restrizione nelle carceri nazionali, seppure in relazione ad un procedimento penale diverso da quello sub iudice, determina l’automatica cessazione della condizione di latitante, esonerando l’interessato da qualunque onere di comunicazione nei confronti dell’A.G. circa il venir meno di tale stato anche ai fini delle successive notificazioni degli atti ai lui indirizzati. 5. In applicazione della regula iuris testè delineata, venuta meno la condizione di latitanza dell’I. all’atto del suo arresto, la vocatio in iudicium dinanzi al Giudice del gravame avrebbe dovuto essergli notificata, non con il rito del latitante ex art. 165 c.p.p. al difensore d’ufficio Avv. Calciago Michela nominato dal giudice all’atto della declaratoria di latitanza, bensì con le forme ordinarie. 5.1. Nè avrebbe potuto ritenersi valida l’elezione di domicilio presso il difensore nominato all’atto della scarcerazione in relazione al diverso procedimento penale. Al riguardo giova difatti rammentare che, in tema di notificazioni all’imputato, l’elezione o dichiarazione di domicilio sono valide ed efficaci unicamente nell’ambito del procedimento nel quale sono state effettuate Sez. 5, n. 28691 del 13/06/2013 - dep. 03/07/2013, Tognetti e altro, Rv. 256533 Sez. 6, n. 49498 del 15/10/2009 Santise, Rv. 245650 . Una volta cessata la latitanza dell’I. per effetto dell’intervenuta cattura seppure per altra causa , era pertanto necessario provvedere alle notifiche secondo le norme processuali generali e, dunque, disponendo nuove ricerche. 5.2. Conclusivamente, il giudizio d’appello risulta essere stato celebrato in assenza di una rituale vocatio in iudicium dell’imputato, vizio che riverbera in una nullità di ordine generale di carattere assoluto sub specie dell’ omessa citazione dell’imputato , pertanto insanabile e rilevabile anche d’ufficio in ogni stato e grado del procedimento, a norma del combinato disposto degli artt. 178 e 179 c.p.p La sentenza d’appello va pertanto annullata senza rinvio, giusta la radicale mancata instaurazione di un rituale contraddittorio, disponendo la trasmissione degli atti alla Corte d’appello di Milano affinché incardini ritualmente e celebri nuovamente il giudizio di gravame. 6. Come preannunciato, il secondo motivo risulta assorbito. 6.1. Giova nondimeno incidentalmente rilevare come la sentenza di primo grado, confermata dalla Corte d’appello, sia stata resa nel 2010, dunque in epoca precedente alla sentenza della Corte costituzionale n. 32 del 2014 e, pertanto, tenendo conto del minimo edittale comminato all’epoca dal D.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309, art. 73, di sei anni di reclusione, id est il medesimo risultante all’esito della declaratoria d’incostituzionalità n. 40 del 2019 ed attualmente vigente. P.Q.M. annulla senza rinvio la sentenza impugnata e dispone trasmettersi gli atti alla Corte d’Appello di Milano per il giudizio.