Delitto di favoreggiamento personale: è punibile il convivente more uxorio?

La sesta sezione della Corte di Cassazione con la sentenza n. 1825/20 in commento, ritenuto sussistente un contrasto di giurisprudenza, ha rimesso alle Sezioni unite la questione se l’ipotesi di cui all’art. 384, comma 1, c.p. sia applicabile anche al convivente more uxorio .

Il caso. La Corte d’Appello confermava la sentenza di primo grado con la quale l’imputata era stata condannata per il delitto di cui all’art. 378 c.p., per avere aiutato il convivente a eludere le investigazioni dell’autorità per il delitto di guida senza patente e omissione di soccorso. La donna, invero, aveva dichiarato di essere lei stessa alla guida dell’autoveicolo. Nondimeno, la Corte di merito, rilevando un contrasto di giurisprudenza in ordine all’applicabilità, ai casi analoghi, della causa di non punibilità prevista dall’art. 384 comma 1 c.p., nei confronti del convivente more uxorio e dimostrando di non condividere l’orientamento favorevole alla estensione della stessa a tali soggetti, nel caso specifico, ha comunque dichiarato la responsabilità della imputata attesa la mancata prova di tale rapporto. Normativa di riferimento. Nell’analisi della sentenza di che trattasi è bene focalizzare la normativa cui attinge la Corte prima di rimettere la questione all’esame delle Sezioni Unite. In particolare, infatti, l’art. 384 c.p. prevede, tra gli altri, che nel caso previsto dall’art. 378, non è punibile chi ha commesso il fatto per esservi stato costretto dalla necessità di salvare sé medesimo o un prossimo congiunto da un grave e inevitabile nocumento nella libertà o nell'onore”. In altri termini, il legislatore ritiene non esigibile una condotta diversa da quella scusata tramite la presente disposizione. Come è noto, la nozione di prossimo congiunto è ricavabile dall’art. 307 c.p. ed, in particolare, Agli effetti della legge penale, s'intendono per i prossimi congiunti gli ascendenti, i discendenti, il coniuge, la parte di un'unione civile tra persone dello stesso sesso, i fratelli, le sorelle, gli affini nello stesso grado, gli zii e i nipoti nondimeno, nella denominazione di prossimi congiunti, non si comprendono gli affini, allorché sia morto il coniuge e non vi sia prole”. Non vi rientra, come può facilmente ricavarsi da una prima interpretazione letterale della norma, il convivente more uxorio. rendendo spunto dalla vicenda concreta, gli ermellini decidono di affrontare la questione circa l’applicabilità, per l’appunto, dell’esimente al caso del convivente more uxorio. Attualmente, sussistono due opposti orientamenti. Primo orientamento. Secondo una parte di giurisprudenza, peraltro prevalente, è inapplicabile la causa di non punibilità al convivente more uxorio, stante l’assenza, nel dettato normativo, di tale soggetto tra quelli ivi indicati. Ciò non sarebbe in contrasto con la previsione costituzionale di cui all’art. 3, anche in considerazione di quanto affermato dal giudice delle leggi con le ultime pronunce tra cui ordinanza n. 121/2004 . Secondo tale orientamento, il differente trattamento normativo è giustificato da ragioni costituzionali, considerato che, mentre il rapporto coniugale trova tutela diretta nell’art. 29 Cost., il rapporto di fatto, invece, fruisce della più ampia tutela di cui all’art. 2 Cost Sulla scorta di tali principi, più recentemente, la Corte Costituzionale, con sentenza n. 140/2009, ha altresì affermato che la convivenza more uxorio è diversa dal vincolo coniugale in ragione delle diversità delle norme di copertura e tale diversità giustifica che la legge possa riservare trattamenti giuridici non omogenei”. Secondo orientamento. Più recentemente si è sviluppato un altro opposto orientamento sentenza n. 34147/2915 che, in tema di favoreggiamento personale, ammette l’applicabilità anche in favore del convivente, e ciò stante l’inattualità della concezione di famiglia così come espressa nelle precedenti sentenze della Corte Costituzionale, e richiamando la recente giurisprudenza della Corte europea, ha una visione della famiglia in senso dinamico”, ove è irrilevante che il rapporto sia confermato in maniera formale. Ancora, i giudici di legittimità hanno affermato che la causa di non punibilità è applicabile anche nei confronti di una famiglia di fatto e dei loro prossimi congiunti, dovendosi recepire una interpretazione in bonam partem dell’art. 384 c.p. che possa parificare la convivenza more uxorio alla famiglia fondata sul matrimonio, giacché l’equiparazione ad essa delle unioni civili prevista dal d.lgs. 6/2017 non esclude l’estensione anche alle coppie di fatto e si allinea a quanto previsto a livello sovranazionale dall’art. 8 della Cedu. Parere della dottrina. Tale ultimo orientamento, tuttavia, è stato ed è fortemente criticato dalla dottrina che afferma che la riscrittura interpretativa dell’esimente in parola può spettare solo ed esclusivamente alla Corte Costituzionale. Atteso che la norma in parola tende a tutelare determinati soggetti dai quali non può esigersi una condotta diversa da quella posta in essere, deve comunque tenersi conto che le condizioni e i limiti di applicazione delle norme penali sono posti dalle norme stesse senza che sia consentito al giudice di ricercare cause ultralegali di esclusione della punibilità attraverso l’analogia iuris” Cass. Sez. 3, n. 38593/2018 . La dichiarata non illegittimità dell’esclusione dei conviventi more uxorio. La non illegittimità dell’esclusione, dunque, secondo la Corte dovrebbe ravvisarsi, da un lato, in base ai ripetuti interventi della Corte Costituzionale che ha ritenuto giustificabile il diverso trattamento del convivente more uxorio, attesa la diversità delle situazioni, e, dall’altro, in base a quanto stabilito anche dalla Corte di Strasburgo caso Van der Heijden v. Netherlands del 3 aprile 2012 che ha escluso la violazione dell’art. 8 CEDU ove la legislazione interna costringa un soggetto a testimoniare nell’ambito di procedimenti penali a carico del convivente. In tal senso, anche la Corte di Strasburgo ha fornito elementi tali per poter ritenere non irragionevoli trattamenti differenti tra coniugi e conviventi. Infine, ultimo elemento da valutare, secondo i giudici è l’intervento effettuato dalla Legge Cirinnà D. Lgs. 6/2017 che ha effettivamente ampliato l’ambito dei prossimi congiunti” ai soggetti uniti civilmente, non inserendo finanche i conviventi more uxorio.

Corte di Cassazione, sez. VI Penale, sentenza 19 dicembre 2019 – 17 gennaio 2020, n. 1825 Presidente Costanzo – Relatore Capozzi Ritenuto in fatto 1. Con la sentenza del 14.5.2019 in epigrafe la Corte di appello di Cagliari, a seguito di gravame interposto - per quanto in questa sede di interesse - dall’imputata F.L. avverso la sentenza emessa in data 10.10.2017 dal locale Tribunale, ha confermato la decisione con la quale la predetta è stata riconosciuta colpevole e condannata a pena di giustizia in ordine al reato di cui all’art. 378 c.p. perché, dopo che T.N. aveva commesso la contravvenzione e il delitto di cui al D.Lgs. n. 285, art. 116, comma 13, e art. 189, commi 1 e 7, guidava un autoveicolo senza patente di guida e, dopo la collisione tra autoveicoli con feriti, non prestava la prescritta assistenza, in omissis aiutava T. a eludere le investigazioni dell’autorità e ciò in quanto falsamente dichiarava ai Carabinieri intervenuti sul luogo dell’incidente che era lei stessa, e non T. , alla guida dell’autoveicolo Ford Fiesta tg. , coinvolto nella succitata collisione. In omissis . 2. La sentenza di appello, rilevando contrasto nella giurisprudenza di legittimità in ordine alla applicabilità dell’art. 384 c.p., comma 1, al convivente more uxorio e mostrando di non condividere l’orientamento che estende a tale soggetto la scusante o scriminante in parola, purtuttavia ha confermato la responsabilità della imputata ricorrente ritenendo non raggiunta la prova dell’esistenza del rapporto more uxorio tra i due imputati. Ha osservato, inoltre, che non risulta rispettato l’onere probatorio a carico di colui che intende avvalersi della causa di non punibilità, rilevando che la difesa non aveva neanche sollecitato una rinnovazione istruttoria in appello, ancorché dalla stessa sentenza risulti che con l’appello era stata chiesta la rinnovazione istruttoria per sentire T.L. , padre del coimputato, sul rapporto intercorrente tra la ricorrente e lo stesso coimputato 3. Avverso la sentenza propone ricorso per cassazione l’imputata che con atto del difensore deduce 3.1. Vizio cumulativo della motivazione e violazione dell’art. 603 c.p.p. in relazione alla omessa rinnovazione della istruttoria dibattimentale volta ad accertare l’esistenza di un rapporto di convivenza more uxorio della ricorrente con il coimputato T. , essendo contraddittoriamente affermato - rispetto alla stessa esposizione dei motivi - che tale rinnovazione non era stata chiesta dalla difesa della imputata. 3.2. Vizio cumulativo della motivazione e inosservanza dell’art. 384 c.p. in relazione alla ritenuta mancata prova della esistenza di un rapporto more uxorio tra i predetti coimputati, tenuto conto delle allegazioni che documentavano la loro coabitazione certificato anagrafico, documento di identità, notifiche relative al procedimento penale , svolgendosi da parte del Giudice di appello una serie di considerazioni sulle dichiarazioni di T.L. in contraddizione con l’omessa rinnovazione istruttoria. Considerato in diritto 1. Osserva la Corte che la questione sottesa ad entrambi i motivi di ricorso, pregiudiziale rispetto al loro vaglio, è la applicabilità della causa scriminante o scusante di cui all’art. 384 c.p., comma 1, al convivente more uxorio. 2. In ordine alla questione sono stati espressi due opposti orientamenti. 2.1. Secondo un primo orientamento prevalente, non può essere applicata al convivente more uxorio , resosi responsabile di favoreggiamento personale nei confronti dell’altro convivente, la causa di non punibilità operante per il coniuge, ai sensi del combinato disposto dell’art. 384 c.p., comma 1, e art. 307 c.p., comma 4, i quali non includono nella nozione di prossimi congiunti il convivente more uxorio cfr. Corte Cost. 121 del 2004 e 140 del 2009 Sez. 5, n. 41139 del 22/10/2010, Migliaccio, Rv. 248903 . La decisione, nel solco di Sez. 6 n. 35967 del 28/09/2006, Cantale, Rv. 234862, ha osservato che l’esclusione del convivente more uxorio manifestamente non si pone in contrasto con i principi di cui all’art. 3 Cost., avuto anche riguardo a quanto già affermato dalla stessa Corte costituzionale con pronunce nn. 124 del 1980, 39 del 1981, 352 del 19 89, 8 del 1996, 121 del 2004. In particolare, come ribadito dalla Corte costituzionale con ordinanza n. 121 del 2004 ud. 10/12/2003 gli artt. 307 e 384 c.p. non includono nella nozione di prossimi congiunti anche il convivente more uxorio , oltre il coniuge, finanche separato di fatto o legalmente. Tale assetto normativo non è neppure contrario alla Carta costituzionale in special modo, con riferimento all’art. 3 Cost. in quanto esistono, nell’ordinamento, ragioni costituzionali che giustificano un differente trattamento normativo tra i due casi, trovando il rapporto coniugale tutela diretta nell’art. 29 Cost., mentre il rapporto di fatto fruisce della tutela apprestata dall’art. 2 Cost. ai diritti inviolabili dell’uomo nelle formazioni sociali, con la conseguenza che ogni intervento diretto a rendere una identità di disciplina rientra nella sfera di discrezionalità del legislatore. Ancora più di recente, con sentenza n. 140 del 2009, del resto, il giudice delle leggi ha affermato, riprendendo i principi già espressi, che la convivenza more uxorio è diversa dal vincolo coniugale in ragione della diversità delle norme di copertura e tale diversità giustifica che la legge possa riservare trattamenti giuridici non omogenei. Infatti, se è vero che, in relazione ad ipotesi particolari, si possono riscontrare tra i due istituti caratteristiche tanto comuni da rendere necessaria un’identità di disciplina, che la Corte può garantire con il controllo di ragionevolezza, nella specie, l’estensione di cause di non punibilità comporta un giudizio di ponderazione a soluzione aperta tra ragioni diverse e confliggenti che appartiene primariamente al legislatore. Si tratterebbe, insomma, di mettere a confronto l’esigenza della repressione di delitti contro l’amministrazione della giustizia, da un lato, e la tutela di beni afferenti la vita familiare, dall’altro, ma non è detto che i beni di quest’ultima natura debbano avere necessariamente lo stesso peso, a seconda che si tratti della famiglia di fatto o della famiglia legittima, per la quale sola esiste un’esigenza di tutela non solo delle relazioni affettive, ma anche dell’istituzione familiare come tale, di cui elemento essenziale e caratterizzante è la stabilità. Ciò legittima nel settore dell’ordinamento penale soluzioni legislative differenziate. Per tale essenziale ragione, il contrario orientamento espresso in materia dalla sent. n. 22398 del 22/01/2004, Rv. 229676, citata nel ricorso e rimasta isolata nel panorama giurisprudenziale, appare non condivisibile. 2.2. Due più recenti decisioni hanno espresso un opposto orientamento. Secondo Sez. 2, n. 34147 del 30/04/2015, Agostino e altri, Rv. 264630, in tema di favoreggiamento personale, la causa di non punibilità prevista dall’art. 384 c.p., comma 1, in favore del coniuge opera anche in favore del convivente more uxorio confutando l’attualità dell’opinione espressa dal Giudice delle leggi in ordine alla concezione di famiglia cui fare riferimento e richiamando la giurisprudenza della Corte Europea dei diritti dell’uomo, la quale considera la famiglia in senso dinamico, come una formazione sociale in perenne divenire, e non come un istituto statico ed immutabile, essendo irrilevante che il rapporto familiare sia sanzionato dall’accordo matrimoniale nello stesso solco si è posta Sez. 6 n. 11476 del 19/09/2018, Cavassa Samuel, Rv. 275206 che ha affermato che la causa di non punibilità prevista dall’art. 384 c.p.p. è applicabile anche nei confronti dei componenti di una famiglia di fatto e dei loro prossimi congiunti, dovendosi recepire un’interpretazione in bonam partem che consenta la parificazione, sul piano penale, della convivenza more uxorio alla famiglia fondata sul matrimonio, argomentandosi che l’equiparazione ai coniugi dei soli componenti di un’unione civile, prevista dal D.Lgs. n. 19 gennaio 2017, n. 6, non esclude l’estensione della causa di non punibilità ai conviventi more uxorio , trattandosi di soluzione già consentita dal preesistente quadro normativo, oltre che dalla nozione di famiglia desumibile dall’art. 8 CEDU, ricomprendente anche i rapporti di fatto. 3. Le due decisioni innovative sono state criticate dalla dottrina secondo la quale il discostamento dal precedente consolidato orientamento, innanzitutto, si pone in tensione con le regole generali dell’interpretazione estendendo oltre il dato letterale una norma eccezionale e tassativa quanto ai soggetti che la possono invocare, tanto da far prospettare - all’epoca della prima delle due decisioni - un necessario interpello della Giudice delle leggi o un più auspicabile intervento del legislatore. Con riferimento alla ultima decisione del 2019 è stato osservato che la riscrittura giurisprudenziale dell’esimente in parola involge poteri dei quali è istituzionalmente affidataria la Corte Costituzionale per superare i limiti che il giudice comune incontra nella correzione delle norme. 4. Le critiche della dottrina, peraltro, appaiono in linea con lo specifico orientamento di legittimità - riguardante il tema della c.d. inesigibilità della condotta, ambito nel quale la prevalente dottrina situa la disposizione in parola - secondo il quale il principio della non esigibilità di una condotta diversa - sia che lo si voglia ricollegare alla ratio della colpevolezza riferendolo ai casi in cui l’agente operi in condizioni soggettive tali da non potersi da lui umanamente pretendere un comportamento diverso, sia che lo si voglia ricollegare alla ratio dell’antigiuridicità riferendolo a situazioni in cui non sembri coerente ravvisare un dovere giuridico dell’agente di uniformare la condotta al precetto penale - non può trovare collocazione e spazio al di fuori delle cause di giustificazione e delle cause di esclusione della colpevolezza espressamente codificate, in quanto le condizioni e i limiti di applicazione delle norme penali sono posti dalle norme stesse senza che sia consentito al giudice di ricercare cause ultralegali di esclusione della punibilità attraverso l’ analogia juris Sez. 3, n. 38593 del 23/01/2018, Del Stabile, Rv. 273833 . 5. Ove si dovessero, in qualche modo, ritenere superabili il limite letterale e la natura eccezionale della norma in parola, la interpretazione costituzionalmente e convenzionalmente orientata dichiaratamente posta a base dell’orientamento innovativo e l’obiettivo dell’ermeneusi, vanno confrontati - da un lato, come ricordato dalla sentenza Migliaccio - con i ripetuti interventi della Corte Costituzionale che ha ritenuto costituzionalmente non illegittima l’esclusione dal novero dei soggetti indicati dall’art. 384 c.p., comma 1, con riferimento all’art. 307 c.p., comma 4, del convivente di fatto giustificando il diverso trattamento delle diverse situazioni e non costituendo l’estensione una soluzione costituzionalmente necessaria dall’altro, con la decisione espressa dalla Grande Camera della Corte di Strasburgo nel caso Van der Heijden v. Netherlands del 3 aprile 2012 che ha escluso la violazione dell’art. 8 CEDU laddove la legislazione interna costringa una persona a testimoniare nell’ambito di procedimenti penali a carico del convivente senza conferirle la facoltà di astensione riconosciuta invece al coniuge e al convivente registrato. Con tale ultima decisione, si è annotato, la Corte di Strasburgo, seguendo la dottrina del margine di apprezzamento riservato agli Stati, ha in qualche misura fornito argomenti per sostenere la non irragionevolezza di trattamenti differenziati fra coniugi e conviventi, quantomeno nel settore processuale. 6. La dichiarata interpretazione valoriale a sostegno della innovazione deve, inoltre, confrontarsi con quanto emerge dal più recente intervento legislativo del D.Lgs. n. 6 del 2017, conseguente alla c.d. legge Cirinnà del 2016 Regolamentazione delle unioni civili tra persone dello stesso sesso e disciplina delle convivenze , con il quale si è ampliata la cerchia dei prossimi congiunti per ricomprendervi i soggetti uniti civilmente e non anche i conviventi di fatto. A tal proposito, la dottrina ha osservato che quella compiuta dal legislatore delegato del 2017 nell’ammodernare il concetto di prossimità con il riferimento alla sola parte dell’unione civile, è stata una scelta ben precisa - e non una svista involontaria - derivante dal limitato oggetto della delega legislativa, che non lasciava all’esecutivo alcun margine per includere anche i conviventi more uxorio nell’art. 307 c.p., comma 4. 7. Ritiene, pertanto, il Collegio che il rilevato contrasto giurisprudenziale - che esplicita l’emersione di questioni che coinvolgono lo stesso esercizio della funzione nomofilattica in rapporto ai suoi presupposti, contenuti e limiti - impone di sottoporre alle Sezioni unite la seguente questione di diritto se l’ipotesi di cui all’art. 384 c.p., comma 1, sia applicabile al convivente more uxorio . 8. Il ricorso deve, pertanto essere rimesso - ai sensi dell’art. 618 c.p.p., comma 1, - alle Sezioni Unite. P.Q.M. Rimette il ricorso alle Sezioni Unite.