Ebbrezza alla guida: l’iter procedimentale per lo svolgimento dei lavori di pubblica utilità

Spetta all’autorità giudiziaria sollecitare il soggetto condannato a prendere contatto con la struttura di riferimento, attraverso una specifica comunicazione inviatagli, così da poter configurare a suo carico un obbligo che, ove rimasto inadempiuto, consenta di attivare la procedura per la revoca della pena sostitutiva e per il ripristino della pena sostituita.

Così la Cassazione con sentenza n. 1066/20, depositata il 14 gennaio. Il caso. Il Tribunale condannava l’imputato per il reato di guida in stato di ebbrezza alla pena di 40 giorni di arresto e di 1770 euro di ammenda, che poi sostituiva con la pena del lavoro di pubblica utilità, ai sensi dell’art. 186, comma 9- bis , c.d.s Successivamente, in qualità di giudice dell’esecuzione, lo stesso Tribunale revocava tale pena sostitutiva, sostenendo che il soggetto non si fosse presentato presso l’ufficio in cui doveva svolgere il lavoro. L’imputato, avverso tale decisione, propone ricorso per cassazione. Lavori di pubblica utilità oneri dell’autorità giudiziaria. Il giudice della cognizione può sostituire la pena inflitta con il lavoro di pubblica utilità senza che l’imputato sia tenuto ad attivarsi per indicare l’ente o la struttura presso la quale svolgere la prestazione, spettando sempre al giudice e non all’imputato stabilire le concrete modalità esecutive della prestazione stessa e l’ente o la struttura convenzionati presso il quale deve essere svolta. Ma per comprendere meglio l’iter procedimentale occorre ricordare che, spetta innanzitutto all’ente formulare uno specifico calendario recante i giorni e gli orari di svolgimento del lavoro. Ciò presuppone che spetti all’autorità giudiziaria sollecitare il soggetto a prendere contatto con la struttura di riferimento, attraverso una specifica comunicazione inviatagli, così da poter configurare a suo carico un obbligo che, ove rimasto inadempiuto, consenta di attivare la procedura per la revoca della pena sostitutiva e per il ripristino della pena sostituita. Alla luce di ciò, l’atto di impulso della procedura esecutiva è di competenza del PM. Applicando tali principi al caso di specie, si nota come la Procura delle Repubblica presso il Tribunale avrebbe dovuto mettere in esecuzione la sentenza di condanna a carico dell’imputato comunicando l’avvio della relativa procedura sia a questi, sia al Comune, ente designato per lo svolgimento dell’attività di pubblica utilità, invitando quest’ultimo a predisporre tutti gli adempimenti necessari all’avvio della prestazione lavorativa, così da consentire al soggetto di poter svolgere i lavori di pubblica utilità. Tra tali adempimenti vi era anche quello della comunicazione del termine entro il quale il soggetto avrebbe dovuto presentarsi presso gli uffici comunali. Per tali motivi il ricorso è accolto con annullamento della sentenza impugnata e rinvio al Tribunale.

Corte di Cassazione, sez. I Penale, sentenza 15 ottobre 2019 – 14 gennaio 2020, n. 1066 Presidente Casa – Relatore Renoldi Ritenuto in fatto 1. Con sentenza del Tribunale di Oristano in data 21/10/2016, B.S. era stato riconosciuto colpevole del reato di cui al D.Lgs. 30 aprile 1992, n. 285, art. 186, comma 2, lett. b , di seguito Codice della Strada e, per l’effetto, era stato condannato alla pena di 40 giorni di arresto e di 1.770 Euro di ammenda, sostituita con quella del lavoro di pubblica utilità ai sensi dell’art. 186 C.d.S., comma 9 bis. 2. Con ordinanza in data 5/4/2019, lo stesso Tribunale di Oristano, stavolta in qualità di giudice dell’esecuzione, ha disposto la revoca della pena sostitutiva, rilevando come il condannato, secondo quanto attestato dal competente Ufficio di esecuzione penale esterna, non si fosse presentato presso l’ente individuato in sentenza per la prestazione di pubblica utilità e come lo stesso B. si fosse limitato a giustificare tale inadempienza, in maniera ritenuta pretestuosa , con il fatto di avere inutilmente atteso di essere chiamato dall’ente in questione. 3. Avverso il predetto provvedimento ha proposto ricorso per cassazione lo stesso B. per mezzo del difensore di fiducia, avv. Rosella Oppo, deducendo due distinti motivi di impugnazione, di seguito enunciati nei limiti strettamente necessari per la motivazione ex art. 173 disp. att. c.p.p 3.1. Con il primo motivo, il ricorso deduce, ai sensi dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b , la inosservanza o erronea applicazione dell’art. 186 C.d.S., comma 9 bis, D.Lgs. n. 274 del 2000, art. 54, con riferimento agli artt. 655 e 661 c.p.p., e D.M. 26 marzo 2001, art. 3. Nel dettaglio, la Difesa richiama, in premessa, l’indirizzo giurisprudenziale di legittimità secondo cui spetterebbe al pubblico ministero, organo che cura l’esecuzione, dare l’abbrivio alla relativa procedura, non essendo al riguardo configurabile alcun onere in capo alla parte privata, la quale non sarebbe stata, dunque, tenuta a prendere contatto con l’ente, nè tantomeno a iniziare la prestazione lavorativa. In seconda battuta, il ricorso sottolinea come la sentenza di condanna non avesse indicato alcun termine per la prestazione dell’attività, limitandosi soltanto a individuare l’ente presso il quale doveva svolgersi il lavoro di pubblica utilità il comune di omissis , senza però imporre al condannato di prendere contatto con esso e come anche l’ordine di esecuzione n. 6/2016 in data 15/1/2016, emesso dalla Procura della Repubblica presso il Tribunale di Oristano, non avesse specificato nè il termine entro cui doveva essere svolto il lavoro di pubblica utilità, nè le modalità di svolgimento dello stesso. 3.2. Con il secondo motivo, il ricorso censura, ex art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e , la carenza di motivazione in relazione all’art. 125 c.p.p., e all’art. 173 c.p L’ordinanza impugnata non avrebbe adempiuto all’obbligo di motivazione posto dalla prima delle citate disposizioni processuali, non avendo il Giudice dell’esecuzione verificato l’esigibilità della prestazione esclusa dalla mancanza di indicazioni, nella sentenza di condanna, in relazione al termine entro cui avrebbe dovuto essere iniziato il lavoro di pubblica utilità , nè il grado di collaborazione prestato dal condannato per soddisfare l’obbligo inerente alla prestazione del lavoro di pubblica utilità. Inoltre, non essendo stato stabilito un termine entro cui avrebbe dovuto essere espletato il lavoro di pubblica utilità, il Tribunale non avrebbe considerato che lo stesso avrebbe dovuto essere svolto entro i termini prescrizionali previsti dall’art. 173 c.p 4. In data 28/8/2019, è pervenuta in Cancelleria la requisitoria scritta del Procuratore generale presso questa Corte, con la quale è stato chiesto l’annullamento con rinvio dell’ordinanza impugnata. Considerato in diritto 1. Il ricorso è fondato nei termini di seguito indicati. 2. L’art. 186 C.d.S., comma 9 bis, stabilisce che al di fuori dei casi previsti dal comma 2 bis, del presente articolo, la pena detentiva e pecuniaria può essere sostituita, anche con il decreto penale di condanna, se non vi è opposizione da parte dell’imputato, con quella del lavoro di pubblica utilità di cui al D.Lgs. 28 agosto 2000, n. 274, art. 54, secondo le modalità ivi previste e consistente nella prestazione di un’attività non retribuita a favore della collettività da svolgere, in via prioritaria, nel campo della sicurezza e dell’educazione stradale presso lo Stato, le regioni, le province, i comuni o presso enti o organizzazioni di assistenza sociale e di volontariato, o presso i centri specializzati di lotta alle dipendenze . Dunque, quando procede per talune delle fattispecie previste dall’art. 186 C.d.S., il giudice della cognizione può sostituire la pena inflitta con il lavoro di pubblica utilità, senza che l’imputato, il quale può sollecitare il giudice in tal senso o anche dichiarare soltanto di non opporsi Sez. 4, n. 4927 del 2/2/2012, Ambrosi, Rv. 251956 Sez. 4, n. 37997 del 19/7/2012, Dossetto, Rv. 254370 , sia tenuto ad attivarsi per indicare l’ente o la struttura presso la quale svolgere la relativa prestazione Sez. 4, n. 12926 del 11/10/2012, dep. 2013, Di Benedetto, Rv. 255523 Sez. 4, n. 53327 del 15/11/2016, Panerai, Rv. 268693 , spettando al giudice, e non all’imputato, stabilire le concrete modalità esecutive della prestazione di pubblica utilità Sez. 1, n. 53684 del 4/5/2016, Moscariello, Rv. 268551 Sez. 4, n. 20043 del 5/3/2015, Torregrossa, Rv. 263890 Sez. 4, n. 35278 del 16/7/2014, De Nardi, Rv. 261569 Sez. 4, n. 15563 del 15/3/2013, Mannetta, Rv. 255524 Sez. 4, n. 27987 del 3/7/2012, Cirina, Rv. 253589 . A quest’ultimo riguardo, va osservato che le modalità esecutive del lavoro di pubblica utilità sono disciplinate, stante il menzionato rinvio compiuto dall’art. 186 C.d.S., comma 9 bis, dal D.Lgs. 28 agosto 2000, n. 274, art. 54, recante Disposizioni sulla competenza penale del giudice di pace , che al comma 6 stabilisce che le modalità di svolgimento del lavoro di pubblica utilità sono determinate dal Ministro della giustizia con decreto d’intesa con la Conferenza unificata di cui al D.Lgs. 28 agosto 1997, n. 281, art. 8 . In attuazione di tale disposizione è stato, quindi, emanato il decreto del Ministro della giustizia del 26 marzo 2001 intitolato Norme per la determinazione delle modalità di svolgimento del lavoro di pubblica utilità applicato in base al D.Lgs. 28 agosto 2000, n. 274, art. 54, comma 6 , il quale, dopo aver individuato il tipo di prestazioni dovute e avere richiamato le convenzioni da stipulare con il Ministro della giustizia o, su delega di quest’ultimo, con il presidente del tribunale, all’art. 3, dispone che con la sentenza di condanna con la quale viene applicata la pena del lavoro di pubblica utilità, il giudice individua il tipo di attività, nonché l’amministrazione, l’ente o l’organizzazione convenzionati presso il quale questa deve essere svolta. A tal fine il giudice si avvale dell’elenco degli enti convenzionati . Ne consegue che nemmeno le disposizioni fin qui citate disciplinano la sequenza procedimentale che muove dalla sentenza di condanna e giunge all’inizio della prestazione dell’attività lavorativa. Sequenza che, dal punto di vista logico, deve prevedere la formulazione, da parte dell’ente presso cui l’attività debba essere prestata, di uno specifico calendario recante l’indicazione dei giorni e degli orari in cui il lavoro debba essere svolto e che, ovviamente, deve presupporre una specifica sollecitazione, da parte dell’autorità giudiziaria, rivolta al condannato, affinché prenda contatto con l’ente di riferimento e si uniformi alle indicazioni del cennato calendario. E ovviamente, entrambi i menzionati passaggi procedimentali presuppongono che il condannato riceva specifica comunicazione di essi, onde potersi configurare a suo carico un obbligo che, ove rimasto inadempiuto, consenta di attivare, legittimamente, la procedura per la revoca della pena sostitutiva e per il ripristino della pena sostituita. 3. Alla luce di quanto osservato, il primo passaggio procedimentale deve ravvisarsi nell’atto di impulso alla procedura esecutiva, il quale, nel vigente sistema processuale, è di competenza del pubblico ministero. Tale organo, invero, è titolare della competenza sia, in termini generali, in materia di esecuzione di tutti i provvedimenti di condanna cfr. l’art. 655 c.p.p. , sia in materia di esecuzione delle sanzioni sostitutive della semidetenzione e della liberà controllata cfr. art. 661 c.p.p., che onera il pubblico ministero a trasmettere l’estratto della sentenza di condanna al magistrato di sorveglianza territorialmente competente , sia, infine, in materia di esecuzione della pena sostitutiva del lavoro di pubblica utilità cfr. D.M. 26 marzo 2001, art. 5 , spettando al pubblico ministero anche di formulare al giudice, ai sensi del D.Lgs. n. 274 del 2000, art. 44, le richieste di modifica delle modalità di esecuzione in caso in cui l’amministrazione, l’organizzazione o l’ente presso il quale si debba svolgere l’attività non sia più convenzionato o abbia cessato operatività, nonché di incaricare l’autorità di polizia giudiziaria o di pubblica sicurezza di verificare la regolare prestazione del lavoro. Una prospettiva ricostruttiva, quella fin qui seguita, che appare pienamente conforme all’indirizzo giurisprudenziale di legittimità secondo cui, in caso di mancata comunicazione di un termine entro il quale procedervi, il condannato non è tenuto ad avviare il procedimento per lo svolgimento in fase esecutiva dell’attività individuata Sez. 1, n. 35855 del 18/6/2015, Rosiello, Rv. 264546 in termini Sez. 1, n. 7172 del 13/1/2016, Silocchi, Rv. 266618 . 4. Applicando, al caso di specie, i principi più sopra enunciati, deve, quindi, ritenersi che la Procura della Repubblica presso il Tribunale di Oristano avrebbe dovuto mettere in esecuzione la sentenza di condanna a carico di B. comunicando formalmente l’avvio della relativa procedura sia al condannato, sia, anche con il coinvolgimento dell’Ufficio d’esecuzione penale esterna, al comune di OMISSIS , ente designato per lo svolgimento dell’attività di pubblica utilità, invitando quest’ultimo a predisporre o nel caso qui in esame di confermare tutti gli adempimenti necessari all’avvio della prestazione quali, come detto, la formazione del calendario con l’indicazione dei giorni e delle ore e l’individuazione specifica delle mansioni , onde consentire al condannato di poter svolgere effettivamente i lavori di pubblica utilità adempimenti tra i quali andava certamente ricompreso anche quello relativo alla comunicazione, eventualmente attraverso il coinvolgimento dell’Ufficio d’esecuzione penale esterna, del termine entro il quale B. avrebbe dovuto presentarsi presso gli uffici comunali o, comunque, presso la sede di lavoro individuata al fine di dare inizio all’esecuzione della pena sostitutiva. 4.1. Nel caso di specie, tuttavia, non risulta che tali comunicazioni siano state effettuate. In base agli atti del fascicolo accessibili al Collegio, infatti, parrebbe esservi stata una interlocuzione tra B. e l’Ente designato soltanto prima della pronuncia della sentenza, con la quale il comune di omissis , nel ribadire la disponibilità, già manifesta in precedenza, a consentire al condannato rectius, all’epoca, all’imputato di prestare l’attività lavorativa presso i propri uffici, aveva indicato anche i giorni e gli orari di apertura del Comune, durante i quali essa avrebbe potuto essere svolta. Una comunicazione che, sulla base di quanto in precedenza illustrato, non sarebbe stata in grado, tuttavia, di rendere esigibile la prestazione . Nè potrebbe soccorrere, in proposito, l’affermazione, contenuta nel dispositivo della sentenza di condanna, con cui il Giudice dell’esecuzione fa riferimento alla prestazione del lavoro di pubblica utilità presso il comune di omissis secondo il programma acquisito agli atti datato 19/10/2015 , atteso che, anche in questo caso, il riferimento sembra essere alla già citata nota del 19/10/2015 Prot. n. 4432 dello stesso comune, con cui era stata comunicata la disponibilità dell’Ente allo svolgimento del lavoro di pubblica utilità. Ciò in quanto, in ogni caso, mancherebbe qualunque dimostrazione dell’avvenuta comunicazione all’interessato della data entro la quale l’attività avrebbe dovuto essere iniziatct la cui infruttuosa scadenza avrebbe potuto consentire di attivare la procedura di revoca per violazione degli obblighi connessi allo svolgimento del lavoro di pubblica utilità così art. 186 C.d.S., comma 9 bis . 5. Alla luce delle considerazioni che precedono, il ricorso deve essere accolto, sicché l’ordinanza impugnata deve essere annullata, con rinvio, per nuovo esame, al Tribunale di Oristano. P.Q.M. annulla l’ordinanza impugnata e rinvia per nuovo esame al Tribunale di Oristano.