Ripetuti atti di autolesionismo da parte del detenuto: scarso controllo nella struttura, ma il carcere va confermato

Respinta definitivamente la richiesta avanzata dal legale dell’uomo e finalizzata ad ottenere il trasferimento in una struttura sanitaria. Per i Giudici i tentati suicidi per abuso di psicofarmaci sono strumentali e addebitabili alle carenze del singolo carcere sul fronte della sorveglianza.

I ripetuti tentati suicidi del detenuto – che deve scontare una pena di venti anni – non sono sufficienti per ritenere che la costrizione in carcere sia disumana, e che quindi sia necessario il trasferimento in una struttura sanitaria Cassazione, sentenza n. 1024/20, sez. VI Penale, depositata oggi . Autolesionismo. A chiusura di un lungo processo per droga un uomo si ritrova condannato a venti anni di reclusione. La collocazione in carcere viene però da lui accolta malissimo, come testimoniano diversi atti autolesionistici compiuti in cella. E consequenziale è la richiesta del suo legale finalizzata ad ottenerne il trasferimento presso una struttura sanitaria o, in subordine, almeno un accertamento delle sue condizioni cliniche . Domanda respinta prima dal GIP del Tribunale e poi dal Tribunale del riesame, nonostante gli episodi di autolesionismo di cui si è reso protagonista il detenuto. Controllo. Stessa linea di pensiero anche per la Cassazione, che respinge l’ipotesi difensiva di una incompatibilità delle condizioni dell’uomo col regime carcerario . A depotenziare le considerazioni del legale è la relazione da cui emerge che la patologia dell’uomo è qualificabile come disturbo dell’umore depresso, con pregressa dipendenza da sostanza ed è curabile adeguatamente in carcere . In particolare, gli esami psichiatrici non hanno fatto emergere un’intenzionalità a scopo anticonservativo, ma una intolleranza allo stato detentivo con evidente manipolatività riguardo al gesto autolesivo . E allo stesso tempo è stata rilevata, osservano i giudici, non tanto l’incompatibilità con il regime carcerario, quanto piuttosto l’incapacità della specifica struttura carceraria di impedire e di tenere sotto controllo le spinte autolesionistiche del detenuto che, non a caso, in occasione degli esiti negativi della procedura poneva reiteratamente in essere tali condotte attraverso un indebito accumulo di psicofarmaci . Una volta esclusa l’incompatibilità del regime carcerario con le condizioni psico-fisiche del detenuto, non possono avere rilevanza le carenze meramente organizzative in concreto manifestate in alcune strutture del circuito penitenziario, potendosi in tal caso supportare le necessità di salute e di cura del detenuto grazie ad una adeguata sua ricollocazione in altra struttura comunque facente parte del sistema carcerario ovvero provvedendo a sollecitare dette strutture a una maggiore attenzione onde evitare che abbiano a ripetersi le carenze che, in ordine alla doverosa attività di controllo e sorveglianza, si erano palesate in occasione degli atti di autolesionismo compiuti dal detenuto.

Corte di Cassazione, sez. VI Penale, sentenza 24 ottobre 2019 – 13 gennaio 2020, n. 1024 Presidente Tronci – Relatore Costantini Ritenuto in fatto 1. Po. Vi. ricorre avverso l'ordinanza del Tribunale di Roma, competente ex art. 310 cod. proc. pen., che aveva confermato il provvedimento del G.i.p. del Tribunale di Roma del 31 maggio 2019 con cui - all'esito del processo che aveva portato alla condanna del ricorrente alla pena di venti anni di reclusione in ordine ai delitti di cui agli artt. 73 e 74 D.P.R. 309/90 - è stata rigettata l'istanza di trasferimento presso struttura sanitaria e, in subordine, di accertamento delle condizioni cliniche. 2. Il ricorrente, dopo un'ampia premessa volta a rappresentare i plurimi tentativi di suicidio da parte del ricorrente e le differenti conclusioni raggiunte dal consulente di parte rispetto al perito nominato dal G.i.p. nonché l'aggravamento di tale situazione nelle more del giudizio ex art. 310 cod. proc. pen. in cui sono stati posti in essere due ulteriori episodi autolesionistico del Po. di cui è stata acquisita documentazione , deduce - per mezzo di un unico articolato motivo - vizi di motivazione e violazione di legge ex art. 606, comma 1, lett. b ed e , cod. proc. pen. con riferimento all'art. 3 CEDU, 32 Cost. in relazione agli artt. 275, comma 4-bis e 4-ter, 299, comma 4-ter, cod proc. pen. La difesa del Po. censura la motivazione della decisione del Tribunale di Roma, nella parte in cui ha escluso la gravità e la rilevanza della psicopatologia lamentata dal Po. Vi., ricondotta non già ad una depressione primaria ma ad un disturbo dell'adattamento con umore depresso, anche evidenziando la concomitanza tra i fatti di autolesionismo del ricorrente e le vicende processuali avverse. Il Tribunale si sarebbe soffermato a valutare il nomen della patologia senza in concreto apprezzare la gravità delle condizioni di salute non sarebbe invero rilevante la differenza intercorrente tra la diagnosi emersa dalla consulenza di parte rispetto alla perizia disposta dal G.i.p., assumendo importanza l'incapacità del ricorrente di frenare gli istinti autolesionistici concretizzatisi con reiterati ed allarmanti tentativi di suicidio. Né a tale proposito risulta conferente l'evidenziato intento manipolativo del Po., quale forma esasperata per pervenire alla fuoriuscita dal circuito carcerario, in considerazione del resoconto contenuto nella relazione sanitaria del 13 luglio 2019 che, in ordine al gravissimo gesto che lo aveva portato al ricovero nel reparto di rianimazione presso l'Ospedale Sandro Pertini, aveva messo in rilievo il serio rischio di morte, circostanza, quest'ultima, solo oggetto di citazione ma non valutata dal Tribunale. Illogica e in violazione dell'art. 299, commi 4-bis e 4-ter, cod. proc. pen. sarebbe, inoltre, la decisione del Tribunale nella parte in cui, invece di valutare la compatibilità del ricorrente con il regime carcerario, ha preso atto della richiesta già effettuata dal Giudice in ordine al trasferimento in altro nosocomio, evidenziando la mera incompatibilità con il carcere in cui è attualmente in stato cautelare. Il ricorrente evidenzia, altresì, la mancata valutazione da parte del Tribunale della riconosciuta supremazia della tutela del diritto alla salute sia a mente di quanto disposto dall'art. 32 Cost. che dell'art. 3 CEDU, norme che concordemente richiamano il carattere di extrema ratio della detenzione carceraria ciò che avrebbe dovuto portare il Tribunale ad applicare l'art. 275, comma 4-ter, cod. proc. pen. ovvero a far luogo ad una nuova perizia psichiatrica al fine di apprezzare la gravità della condizione del Po., a maggior ragione alla luce dell'ambiguo e contraddittorio risultato cui era pervenuta la perizia disposta dal G.i.p., nella parte in cui aveva svilito i gesti di autolesionismo ritenendoli non strutturati e programmati. Considerato in diritto 1. Il ricorso, in quanto infondato, deve essere rigettato. 2. Il ricorrente deduce violazioni di legge ed illogicità della motivazione nella parte in cui il Tribunale, alla luce della perizia disposta dal G.i.p. e che aveva escluso l'incompatibilità con il regime carcerario del Po., avrebbe, da un canto trascurato l'illogicità delle conclusioni del perito confluite nella motivazione dei giudici della cautela e, dall'altro, non adeguatamente apprezzato la gravità delle condizioni di salute che avevano portato il ricorrente a compiere numerosi gesti di autolesionismo, sintomatici della incompatibilità con il regime carcerario evenienza che avrebbe dovuto quantomeno indurre il Tribunale a disporre una nuova perizia. 3. Il Collegio della cautela ha, invero, rettamente evidenziato che dalla relazione del perito, a cui era stato assegnato dal G.i.p. l'incarico di valutare la compatibilità con il regime carcerario ex art. 299, comma 4-ter cod. proc. pen., emergeva che la patologia del ricorrente fosse qualificabile quale disturbo dell'umore depresso, con pregressa dipendenza da sostanza , situazione clinica che poteva essere adeguatamente curata in carcere. Il Tribunale della libertà ha adeguatamente valutato che successivamente al deposito dell'ordinanza di rigetto il 3 giugno 2019, il Po. aveva tentato nuovamente il suicidio nonostante fossero state predisposte misure di controllo a vista e pernottamento con videosorveglianza evento che in occasione di altra istanza difensiva proposta a quel giudice il 14 giugno 2019 aveva portato ad una verifica delle cure praticate e del livello di sorveglianza necessario affinché la vita del detenuto fosse salvaguardata all'interno della struttura penitenziaria. È stata, inoltre, acquisita la documentazione attestante un ulteriore ricovero avvenuto in data 4 luglio 2019, sempre a cagione della ingestione di neurolettici, nonché la conferma, da parte dei sanitari che hanno in cura il Po., del giudizio di compatibilità con il regime carcerario come già esplicitato nella perizia ex art. 299, comma 4-ter, cod. proc. pen. La decisione, quindi, ripercorrendo gli esiti della relazione redatta in tali occasioni, ha evidenziato come gli esami psichiatrici non avessero fatto emergere un'intenzionalità a scopo anticonservativo/ ma una intolleranza allo stato detentivo con evidente manipolatività riguardo al gesto autolesivo, altresì segnalando l'assenza di acuzie psicopatologiche in atto, tanto da non ritenere necessario un ricovero in SPDC Servizio Psichiatrico di Diagnosi e Cura . In particolare è stata rilevata, non tanto l'incompatibilità con il regime carcerario del ricorrente quanto, piuttosto, l'incapacità della specifica struttura carceraria di impedire e di tenere sotto controllo le spinte autolesionistiche del Po. che, in occasione degli esiti negativi della procedura, poneva reiteratamente in essere tali condotte attraverso un indebito accumulo di psicofarmaci, così escludendo l'incompatibilità con il regime carcerario alla luce della diagnosi non smentita del perito nominato dal giudice delle indagini preliminari. 4. Logica e coerente allora si palesa la motivazione dell'ordinanza impugnata in punto di compatibilità con il regime carcerario il Tribunale, non solo ha richiamato l'analisi condotta dal primo giudice della cautela, confermandone la correttezza di giudizio, ma ha anche adeguatamente valutato le successive risultanze, comunque acquisite al procedimento, descrittive degli eventi che hanno interessato il ricorrente durante l'espletamento della procedura, così confermando il giudizio di inadeguatezza della sola struttura carceraria in cui il ricorrente era ristretto circa la capacità di far fronte alle esigenze di controllo e sorveglianza tese ad impedire una incongrua assunzione di psicofarmaci. Sotto questo profilo, infatti, deve essere ribadito il principio di diritto secondo cui la valutazione della gravità delle condizioni di salute del detenuto e della conseguente incompatibilità con il regime carcerario deve essere effettuata sia in astratto, con riferimento ai parametri stabiliti dalla legge, sia in concreto, con riferimento alla possibilità di effettiva somministrazione nel circuito penitenziario delle terapie di cui egli necessita Sez. 6, n. 25706 del 15/06/2011, Esposito, Rv. 250509 , in tal senso essendo significativa la decisione con cui questa Corte ha avuto modo di affermare la legittimità dell'ordinanza del Tribunale del riesame nella quale, sebbene si rilevi la incompatibilità assoluta delle condizioni di salute dell'indagato con il regime carcerario, si escluda poi la medesima incompatibilità nell'ipotesi del ricovero in centro specializzato della amministrazione carceraria e pertanto si rigetti l'appello cautelare, sollecitando il ricovero in una di tali strutture Sez. 5, n. 4386 del 03/10/2006, dep. 2007, Randazzo, Rv. 235967 . Correttamente, quindi, deve essere escluso che possano avere rilevanza le carenze meramente organizzative in concreto manifestate in talune strutture del circuito penitenziario, potendosi in tal caso supportare le necessità di salute e di cura del detenuto grazie ad una adeguata ricollocazione del medesimo in altra struttura comunque facente parte del sistema carcerario, ovvero provvedendo a sollecitare dette strutture ad una maggiore attenzione onde evitare che abbiano a ripetersi le carenze che, in ordine alla doverosa attività di controllo e sorveglianza, si erano palesate. Evenienza, quindi, che non attiene alla problematica collegata alla verifica della possibilità di fare fronte alle problematiche di salute del soggetto attraverso l'effettiva somministrazione nel circuito penitenziario delle necessarie terapie, ma - in generale - alla doverosa attività di salvaguardia del detenuto da atti di violenza a chiunque riconducibili, non esclusi quelli provenienti dal medesimo, allorché, come in ipotesi del genere, si profilino ripetuti e volontari gesti di autolesionismo, essendo invero indifferente quali possano essere le motivazioni alla base di tali gesti. 5. Una volta esclusa, sulla base di quanto concluso dal perito e datile ulteriori emergenze acquisite, una patologia che risulti incompatibile con il regime carcerario, la circostanza che il detenuto, approfittando delle inadeguatezza della struttura, riproponga gesti autolesionistici in corrispondenza degli esiti processuali sfavorevoli, per mezzo di un non consentito accumulo di psicofarmaci che invece dovrebbe essere impedito dalla struttura carceraria, non assume rilevanza alcuna sul giudizio di accertata compatibilità. Né si rilevano da parte del Tribunale violazioni di legge ex art. 299, comma 4-ter, cod. proc. pen. a cagione della decisione di non effettuare altra perizia, alla luce dell'acquisizione della documentazione redatta dal servizio di psichiatria nel luglio del 2019 epoca coeva alla stessa richiesta ed al provvedimento per un verso, infatti, il ricorrente si è limitato a contrapporre i diversi esiti della consulenza di parte rispetto a quelli della perizia, effettuando critiche meramente lessicali al contenuto di quest'ultima che si presenta coerente nella parte in cui esclude la sussistenza della più grave patologia prospettata dall'atto di parte per altro verso, in conformità alle indicazioni fornite dal competente servizio di psichiatria, è stato ritenuto che gli episodi più recenti non fossero indice di un aggravamento delle condizioni di salute del ricorrente rispetto alla approfondita valutazione già compiuta, così escludendosi la sussistenza di un apprezzabile fumus di una mutata situazione, tale da imporre un nuovo accertamento peritale Sez. 2, n. 25248 del 14/05/2019, Ramondo, Rv. 276969 Sez. 3, n. 5934 del 17/12/2014, dep. 2015, Lula, Rv. 262160 . In definitiva, si è al cospetto di una motivazione niente affatto illogica, in quanto direttamente tesa alla valutazione della compatibilità di una determinata struttura quanto alla possibilità di affrontare e risolvere le problematiche del ricorrente. D'altra parte, la premura e l'attenzione dimostrata dai giudici della cautela nei confronti del ricorrente, a cagione del timore per la reiterazione dei gesti di autolesionismo da costui volontariamente posti in essere, tanto da indurli doverosamente ad individuare ben più adeguata struttura carceraria, non contraddicono in alcun modo la complessiva valutazione in ordine al giudizio di ritenuta compatibilità delle condizioni di salute del ricorrente con il regime carcerario, in verità genericamente confutato sulla base del reiterato autolesionismo dovuto alla non patologica intolleranza per lo stato detentivo, ad intenti manipolativi ed alla pedissequa loro ricorrenza in occasione di momenti processuali sfavorevole. 6. Al rigetto del ricorso consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali, secondo quanto previsto dall'art. 616, comma 1, cod. proc. pen. 7. L'attuale stato cautelare cui è sottoposto il ricorrente impone, ai sensi dell'art. 94, comma 1-ter, disp. att. cod. proc. pen., la trasmissione del presente provvedimento a cura della cancelleria al Direttore dell'istituto penitenziario per gli adempimenti di cui al comma 1-bis dell'art, cit. P.Q.M. Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali. Manda alla cancelleria per le comunicazioni di cui all'art. 94 co. 1 ter disp. att. cod. proc. pen.