L’occultamento o distruzione di documenti contabili può riguardare anche quelli presso terzi

In tema di reati tributari, l'impossibilità di ricostruire il reddito o il volume d'affari derivante dalla distruzione o dall'occultamento di documenti contabili non deve essere intesa in senso assoluto, sussistendo anche quando è necessario procedere all'acquisizione presso terzi della documentazione mancante.

Lo ha ribadito la terza sezione penale della Suprema Corte di Cassazione, con la sentenza n. 50350, depositata il 12 dicembre 2019. L’esclusione del concorso fra reati dichiarativi e truffa aggravata La sentenza in commento consente di richiamare l’annosa questione relativa al concorso tra la frode fiscale e la truffa aggravata in danno dello Stato, già oggetto di decisione delle Sezioni unite penali della Cassazione Cass. pen., SS.UU., 19 gennaio 2011, n. 1235 . I supremi giudici hanno ribadito l’orientamento giurisprudenziale maggioritario, affermando la specialità tanto del delitto di dichiarazione fraudolenta mediante false fatturazioni, quanto dello speculare delitto di emissione di fatture false, rispetto a quello di truffa aggravata in danno dello Stato art. 640, comma 2, n. 1, c.p. . Oltre allo specifico artificio costituito dalle fatture false, secondo le Sezioni Unite la specialità del reato di frode fiscale come nella truffa sussisterebbe per la presenza dell’induzione in errore diretta conseguenza del versamento di un tributo inferiore a quello dovuto e del danno in termini di ritardo nella percezione del tributo stesso . Ad avviso di chi scrive, l’argomento più convincente offerto dalla Cassazione, al fine di ribadire il rapporto di specialità fra i due delitti, fa leva su precise necessità di ordine teleologico, sottese alla ratio dell’intera disciplina dei reati tributari. Ed infatti, in un sistema quale quello penale tributario vigente fondato sulla centralità della dichiarazione fraudolenta e non più, come in passato, sulle violazioni prodromiche alla presentazione di quest’ultima , non avrebbe senso prevedere la possibilità di punire il contribuente anche in ragione di un reato comune, come l’ipotesi aggravata di truffa, così stravolgendo le originarie intenzioni del legislatore. Con la riforma del 2000, infatti, si è voluto creare un autonomo microcosmo” punitivo, per le condotte lesive del bene giuridico costituito dall’interesse dell’Amministrazione finanziaria alla puntuale e corretta percezione delle entrate. A fronte di una siffatta scelta di politica legislativa, risulterebbe incoerente contestare, a fronte di condotte di frode fiscale ex art. 2, l’ulteriore reato di truffa aggravata in danno dello Stato, il quale concerne più in generale qualsiasi frode perpetrata in danno di enti facenti parte dell’Amministrazione pubblica, ma non specificamente di quella finanziaria. non si estende all’occultamento o distruzione della contabilità. L’interesse tutelato dall’art. 10 d. lgs. n. 74/2000, nell’attuale come nella previgente disciplina l. n. 516/1982 , è il corretto esercizio della funzione di accertamento fiscale. Orbene, già in passato la giurisprudenza di legittimità si era pronunciata sulla controversa questione della possibilità di concorso fra il delitto de quo e quello di emissione di fatture false art. 8 d. lgs. n. 74/2000 . Sul punto, la Cassazione si è espressa in senso affermativo, sottolineando come, anche in caso di falsità delle fatture, non venga meno l’obbligo di conservazione delle stesse, né quello di effettuare il versamento dell’IVA dovuta in relazione alle medesime fatture cfr. Cass. pen., sez. III, 24 settembre 2009, n. 41540 . Ed infatti, mentre la norma di cui all’art. 10 è orientata alla conservazione delle scritture contabili e, dunque, tutela l’interesse dell’Amministrazione finanziaria alla cosiddetta trasparenza fiscale, l’art. 8 dello stesso decreto ha la funzione di repressione del fenomeno della emissione di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti, a prescindere dalla loro utilizzazione in dichiarazione. Diverse sono, dunque, le condotte e diversi i beni giuridici tutelati dalle due fattispecie penali tributarie, e possibile è dunque il concorso fra di loro. Con la decisione in commento, la terza sezione della Suprema Corte tratteggia definitivamente la differenza fra i reati di cui agli artt. 2 e 8 d. lgs. n. 74/2000 e quello di cui all’art. 10 del medesimo decreto, sottolineando come non vi sia alcuna ragione per ritenere che i principi fissati nella richiamata sentenza delle Sezioni Unite operino anche per il reato previsto dall’art. 10 d. lgs. n. 74/2000. Ne consegue che il delitto di truffa aggravata in danno dello Stato ben può concorrere con quello di occultamento o distruzione della contabilità, ed erra il giudice di merito ove escluda la rilevanza penale della truffa aggravata pur in assenza di concorso del delitto di frode fiscale, previsto dai citati artt. 2 e 8 del decreto.

Corte di Cassazione, sez. III Penale, sentenza 29 ottobre – 12 dicembre 2019, n. 50350 Presidente Sarno – Relatore Scarcella Ritenuto in fatto 1. Con sentenza 26.04.2018, la Corte d’appello di Ancona confermava la sentenza del tribunale di Ancona 14.04.2016, che aveva condannato il B. alla pena condizionalmente sospesa di 9 mesi di reclusione, oltre alle pene accessorie di legge, perché ritenuto colpevole dei reati, unificati sotto il vincolo della continuazione, di distruzione ed occultamento di scritture contabili D.Lgs. n. 74 del 2000, ex art. 10, e di violazione del D.L. n. 201 del 2011, art. 11, comma 1, in relazione a fatti contestati come accertati in data omissis . 2. Contro la sentenza ha proposto ricorso per cassazione l’imputato, a mezzo del difensore di fiducia, iscritto all’Albo speciale previsto dall’art. 613 c.p.p., articolando otto motivi di ricorso, di seguito enunciati nei limiti strettamente necessari per la motivazione ex art. 173 disp. att. c.p.p 2.1. Deduce, con il primo motivo, violazione di legge e vizio di motivazione sotto il profilo dell’illegittimità ed errata valutazione della prova. In sintesi, la difesa lamenta il fatto che, nonostante gli indizi di reato fossero emersi in data 22 novembre 2011, gli accertatori non avevano proceduto secondo le modalità previste dall’art. 220 disp. att. c.p.p. e, pertanto, la parte del PVC su cui i giudici di merito avevano fondato la loro decisione redatta successivamente non potrebbe entrare nel processo penale. Infatti, i verificatori hanno fatto coincidere l’emersione degli indizi di reato con l’ultimo giorno del controllo, momento in cui veniva redatto il PVC e tutta l’attività di controllo era terminata, non osservando le garanzie previste dal codice di procedura penale, con conseguente inutilizzabilità di tutti gli atti successivi all’accesso del 22 novembre 2011. Del resto, per la difesa, la prova del fatto non era emersa nel corso del giudizio e la sola testimonianza dell’agente accertatore non era idonea a fondare l’accusa. Per tali ragioni il PM ha obbligato gli agenti accertatori a depositare il verbale di PVC e, a tale acquisizione, la difesa in primo luogo si era opposta e, in secondo luogo, aveva eccepito e richiesto l’inutilizzabilità già in sede di appello. 2.2. Deduce, con il secondo motivo, violazione di legge sotto il profilo dell’illegittimità nella valutazione della prova testimoniale dell’agente. In sintesi, la difesa ricorda che è onere dell’accusa presentare elementi di prova utilizzabili ex art. 195 c.p.p. Sottolinea che gli agenti non possono deporre sul contenuto delle dichiarazioni acquisite da testimoni con le modalità di cui all’art. 351 c.p.p., art. 357 c.p.p., comma 2, lett. a e b . Data quindi tale inutilizzabilità, la difesa sottolinea che l’unico riscontro esistente è il verbale di PVC prodotto illegittimamente nel fascicolo dibattimentale. 2.3. Deduce, con il terzo motivo, violazione di legge sotto il profilo della genericità del capo di imputazione e della sentenza. In sintesi, la difesa lamenta la genericità del capo di imputazione che non ha permesso di esercitare correttamente il diritto di difesa infatti l’arco temporale della violazione non è definito e la contestazione è generica così da non riuscire a comprendere quali fatture sono state occultate e distrutte, circostanza non chiarita neppure in dibattimento in cui l’unico teste escusso non è stato in grado di riferire quali fossero tali fatture. La difesa ritiene quindi necessaria la dichiarazione di nullità o illegittimità della sentenza. 2.4. Deduce, con il quarto motivo, violazione di legge per intervenuta prescrizione del reato. In sintesi, la difesa lamenta il fatto che l’istruttoria dibattimentale non ha fatto chiarezza sul periodo in cui sono state commesse le violazioni contestate, e ritiene che per il principio del favor rei, il riferimento non può essere che riferibile al 2007 con conseguente prescrizione dei reati. 2.5. Deduce, con il quinto motivo, violazione di legge sotto il profilo del principio nullum crimen, nulla poena sine praevia lege poenali e conseguente nullità della sentenza. In sintesi, la difesa sottolinea che i documenti contabili sono registrati su formato cartaceo e oggi su quello digitale. L’imputato consegnava le fatture registrate in data 21 novembre 2011 e in data 12 dicembre 2011 eseguiva una seconda consegna osserva pertanto che non può essere incorso nel reato di cui al D.L. 6 dicembre 2011, n. 201, art. 11, comma 1, perché l’emissione o la consegna di fatture già emesse in anni precedenti in cui il fatto non era previsto come reato non può fondare la responsabilità stante il principio di irretroattività. Per la difesa l’illecito non poteva quindi essere stato commesso, dato che la consegna era un atto successivo alla commissione. 2.6. Deduce, con il sesto motivo, violazione di legge sotto il profilo dell’errata valutazione del fatto e dell’illegittimità della sanzione penale per mancanza di un numero limitato di fatture, donde non sarebbe configurabile il reato di distruzione o occultamento di documenti contabili D.Lgs. n. 74 del 2000, ex art. 10. In sintesi, la difesa ritiene non integrato il reato perché le omissioni hanno riguardato importi limitati e non hanno impedito di ricostruire i redditi e il volume degli affari. Invero, sottolinea che tale reato non è configurabile nel caso in cui il risultato economico delle operazioni non documentate possa comunque essere accertato sulla base di altra documentazione conservata dall’imprenditore, mancando in tal caso l’offensività della condotta. Inoltre, per la difesa manca, considerando anche il limitato volume di affari, una corretta valutazione dell’elemento soggettivo del reato che è caratterizzato dal dolo specifico di evasione. 2.7. Deduce, con il settimo motivo, violazione di legge e correlato vizio di motivazione sotto il profilo della mancata applicazione delle circostanze attenuanti generiche. In sintesi, la difesa sottolinea il fatto che il giudicante deve tener conto della pena, della natura, della specie dell’azione, della mancanza di gravità del danno e delle condizioni di vita sociali e familiari del reo. Sottolinea inoltre che il ricorrente ha ammesso le sue responsabilità in data 21 novembre 2011 e si è attivato per la ricostruzione del reddito omesso, ha collaborato con gli accertatori. Data la particolare tenuità del fatto la difesa sostiene la necessaria applicazione di tali circostanze. Inoltre, sottolinea che, per quanto concerne il precedente penale, sarà promosso un giudizio di revisione, poiché esso è frutto di una norma che comportava l’interdizione dall’esercizio della professione che è stata dichiarata incostituzionale. 2.8. Deduce, con l’ottavo motivo, violazione di legge e correlato vizio di motivazione sotto il profilo della mancata declaratoria di non punibilità ex art. 131 bis c.p. per particolare tenuità del fatto. In sintesi, la difesa ritiene applicabile tale disciplina data la condizione del ricorrente, un uomo di 68 anni che ha subito un fallimento con gravi ripercussioni economiche, che oggi ha una certa stabilità economica. Pertanto sottolinea che, per l’uomo, subire una sanzione accessoria come la pubblicazione della sentenza su quotidiani potrebbe essere un duro colpo. Del resto, la precedente condanna per esercizio abusivo della professione, conseguente alla dichiarazione di fallimento che conduceva a non poter esercitare la professione, sarà oggetto di richiesta di revisione e non è ostativa all’applicazione dell’art. 131 bis c.p La difesa, inoltre, sottolinea che la causa di non punibilità è stata applicata anche ad un reato di omesso versamento di Iva che prevede la soglia di punibilità di 250.000 Euro e che, nel caso in esame, si tratta di un’omissione di Iva di modesto importo. Inoltre, la difesa chiede di valutare la possibilità di sollevare questione di legittimità costituzionale del D.Lgs. n. 74 del 2000, art. 12 per quanto attiene alle omissioni di Iva di modesto importo, data la depenalizzazione di omissioni contributive IVA per importi annui pari ad Euro 250.000. Considerato in diritto 3. Il ricorso è inammissibile. 4. Il primo motivo è inammissibile. 4.1. Ed invero, in sede di appello il giudice di merito ha ritenuto aspecifico il motivo con cui non venivano spiegati quali fossero gli atti e le acquisizioni viziati da nullità per violazione del diritto di difesa, ed ha inoltre sottolineato che i profili di rilevanza penale sono stati valutati solamente all’esito degli accertamenti amministrativi compiuti e documentati. Pertanto, nel momento della emersione degli indizi di colpevolezza sono stati rispettati i principi di cui al codice di procedura penale e non risulta essere stato leso il diritto di difesa dell’imputato. Il processo verbale di constatazione redatto dalla Guardia di finanza, in quanto atto amministrativo extraprocessuale, costituisce prova documentale utilizzabile nel processo penale. È ben vero, tuttavia, che, qualora emergano indizi di reato, occorre procedere secondo le modalità previste dall’art. 220 disp. att. c.p.p., perché, altrimenti, la parte del documento redatta successivamente a detta emersione non può assumere efficacia probatoria in questo senso Cass. Sez. 3, sentenza n. 54379 del 23/10/2018 . È tuttavia altrettanto vero che, secondo la giurisprudenza di questa Corte, la violazione dell’art. 220 disp. att. c.p.p. non determina automaticamente l’inutilizzabilità dei risultati probatori acquisiti nell’ambito di attività ispettive o di vigilanza, ma è necessario che l’inutilizzabilità o la nullità dell’atto sia autonomamente prevista dalle norme del codice di rito a cui l’art. 220 disp. att. rimanda Sez. 3, n. 54379 del 23/10/2018 - dep. 05/12/2018, G, Rv. 274131 Sez. 3, n. 6594 del 26/10/2016 - dep. 13/02/2017, Pelini e altro, Rv. 269299 in tale ultima decisione, in particolare, questa Corte ha dichiarato inammissibile il ricorso poiché i ricorrenti non avevano indicato nè dedotto le violazioni codicistiche che avrebbero determinato l’inutilizzabilità del processo verbale di constatazione redatto dalla Guardia di Finanza . 5. Anche il secondo motivo è inammissibile. 5.1. Come ricordato dalla difesa del ricorrente, in base al disposto dell’art. 195 c.p.p., che detta la disciplina la testimonianza indiretta, gli ufficiali e gli agenti di polizia giudiziaria non possono deporre sul contenuto delle dichiarazioni acquisite da testimoni con le modalità di cui all’art. 351 e art. 357, comma 2, lett. a e b . Una specifica disciplina è prevista quindi per la testimonianza degli agenti e degli ufficiali di polizia giudiziaria, i quali non possono deporre sul contenuto di dichiarazioni rese da testimoni, ma limitatamente alle dichiarazioni acquisite con le modalità di cui all’art. 351 e art. 357, comma 2, lett. a e b . Negli altri casi, possono invece essere chiamati a deporre. L’ordinaria disciplina dei primi tre commi si applicherà dunque sia in relazione a qualsiasi dichiarazione proveniente da soggetti terzi ed appresa al di fuori di un rapporto dialettico formale ad es. interrogatorio , sia con riferimento a dichiarazioni rese da tali soggetti, se correttamente documentate secondo modalità diverse da quelle richiamate dal comma 4. 5.2. Tanto premesso, il motivo è inammissibile. Ed invero, come sottolineato dalla Corte di appello, la deposizione del teste P.G. è utilizzabile, con i limiti di cui si dirà infra, come fonte di informazione sull’attività svolta e sui suoi esiti. Invero come si evince dalla sentenza di primo grado, il teste ha riferito che nel corso di un accesso ispettivo presso lo studio dell’imputato che svolgeva la professione di geometra era stato rinvenuto sul computer un file contenente fatture che avevano lo stesso numero, data e prestazioni di quelle registrate in contabilità ed esibite, ma con un importo superiore a queste ultime. Tuttavia, il teste riferisce che era stato eseguito un accertamento presso i clienti del geometra per confermare la veridicità delle prestazioni, come risultanti dalle fatture rinvenute sul computer, e che da tale accertamento erano anche emerse fatture non registrate in contabilità. Orbene, dal verbale di udienza redatto con fonoregistrazione in data 29 gennaio 2015 risulta che il teste, nel riferirsi anche a quanto confermato dai clienti del professionista, oltre a quanto da loro dichiarato, si è riferito direttamente a quanto rinvenuto nei loro uffici. Il quadro probatorio, risulta dunque confortato non solo dalla presenza delle fatture rinvenute sul pc dell’indagato, dal PVC in atti, ma anche dal dato oggettivo costituito dalle risultanze dell’accertamento eseguito presso i clienti del geometra, che aveva consentito l’emersione di fatture non registrate in contabilità. 6. Palese l’inammissibilità del terzo motivo. 6.1. Il motivo è infatti inammissibile, consistendo in una mera riproposizione delle censure già sollevate con l’atto di appello. Inoltre, la Corte di appello ha sottolineato che si trattava di un motivo nuovo e infondato date le precise contestazioni rivolte all’imputato anche alla luce degli atti depositati. 7. Il quarto motivo è parimenti inammissibile. 7.1. Le censure prospettate dal ricorrente sono infatti prive di pregio in quanto puramente contestative e generiche. È infatti evidente come la doglianza secondo cui l’istruttoria dibattimentale non avrebbe fatto chiarezza sul periodo in cui sono state commesse le violazioni contestate con la conseguenza che il dies a quo avrebbe dovuto essere individuato nel 2007 , non hanno pregio, non soltanto perché, in relazione al reato di cui al D.L. n. 201 del 2011, art. 11, il reato si è consumato al momento della consegna delle fatture ideologicamente false in data 12.12.2011 e, quanto al delitto di occultamento di documenti contabili, la condotta - consistente nella temporanea o definitiva indisponibilità della documentazione da parte degli organi verificatori - costituisce un reato permanente, che si protrae sino al momento dell’accertamento fiscale, dal quale soltanto inizia a decorre il termine di prescrizione da ultimo Sez. 3, n. 14461 del 25/05/2016 - dep. 24/03/2017, Quaglia, Rv. 269898 , dunque il dies a quo decorre dal OMISSIS . 7.2. Non rileva, peraltro, la circostanza che, limitatamente alla contestazione relativa al D.L. n. 201 del 2011, art. 11, comma 1, - in assenza di eventi interruttivi del termine di prescrizione - la stessa si è estinta per intervenuta prescrizione alla data del 12.06.2019. Ed invero, l’inammissibilità del ricorso per cassazione dovuta alla manifesta infondatezza dei motivi non consente il formarsi di un valido rapporto di impugnazione e preclude, pertanto, la possibilità di rilevare e dichiarare le cause di non punibilità a norma dell’art. 129 c.p.p. Nella specie la prescrizione del reato maturata successivamente alla sentenza impugnata con il ricorso Sez. U, n. 32 del 22/11/2000 - dep. 21/12/2000, D. L, Rv. 217266 . 7.3. Analogamente, ritiene il Collegio infondato il rilievo quanto alla residua imputazione di cui al D.Lgs. n. 74 del 2000, art. 10, il cui termine di prescrizione maturerà in data 30.01.2022. Ed invero, in base a quanto sopra specificato, il dies a quo del termine di prescrizione decorre dal momento dell’accertamento OMISSIS . Il termine di prescrizione, tenuto conto del disposto del D.Lgs. n. 74 del 2000, art. 17, comma 1-bis, secondo cui I termini di prescrizione per i delitti previsti dagli articoli da 2 a 10 del presente decreto sono elevati di un terzo , non è infatti ancora decorso. Detta disposizione, introdotta dal D.L. 13 agosto 2011, n. 138, art. 2, comma 36-vicies semel, lett. l , convertito, con modificazioni, dalla L. 14 settembre 2011, n. 148 che trova applicazione, per espressa previsione del comma 36-vicies bis del predetto art. 2 ai fatti successivi alla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto , e, dunque, a far data dal 17.09.2011, data di entrata in vigore della predetta legge , comporta pertanto l’individuazione del termine di prescrizione per il delitto di cui all’art. 10 in anni dieci. Dunque, anche ove si ritenesse di individuare tale dies a quo in quello più favorevole al reo, la prescrizione maturerebbe alla data del 30.01.2022. 8. Il quinto motivo è inammissibile. 8.1. La norma punisce Chiunque, a seguito delle richieste effettuate nell’esercizio dei poteri di cui al D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, artt. 32 e 33, e al D.P.R. 29 settembre 1972, n. 633, artt. 51 e 52, esibisce o trasmette atti o documenti falsi in tutto o in parte ovvero fornisce dati e notizie non rispondenti al vero è punito ai sensi del D.P.R. 28 dicembre 2000, n. 445, art. 76”. La ratio della incriminazione è quella di assicurare un efficace presidio penale alle attività di controllo della posizione dei contribuenti ad evitare che siano frustrate da comportamenti idonei a sviarne il corretto svolgimento. L’obiettivo è, dunque, ottenere una leale collaborazione del cittadino confidando nella forza persuasiva e deterrente dello strumento penale. La fattispecie in esame sanziona la condotta di chi esibisce o trasmette atti o documenti falsi in tutto o in parte , non rilevando invece la circostanza che gli stessi - nella specie le fatture ideologicamente false - sia intervenuta precedentemente all’entrata in vigore della disciplina normativa. Il disvalore penale è infatti integrato dalla condotta consistente nell’esibire o trasmettere gli atti o i documenti falsi. 8.2. Ne discende, quindi, che, essendo stata posta in essere la predetta condotta illecita in data posteriore all’entrata in vigore della disciplina quantomeno con riferimento alla seconda consegna, intervenuta in data 12.12.2011 , non risulta in alcun modo violato il principio di irretroattività della legge penale. 9. Anche il sesto motivo è inammissibile. 9.1. Ed invero, per quanto concerne il reato in esame, l’occultamento e la distruzione della contabilità integrano il delitto non ex se, ma solo in quanto abbiano determinato la impossibilità di procedere alla ricostruzione dei redditi o del volume degli affari. Tale elemento non costituisce una modalità della condotta o una condizione obiettiva di punibilità, ma l’evento del reato, il comportamento illecito del contribuente. In altre parole, per la configurazione del reato è necessaria una impossibilità di procedere alla ricostruzione dei redditi da intendersi come l’ammontare complessivo netto delle entrate, determinato ai sensi del D.P.R. n. 917 del 1986, art. 8 e del volume degli affari. Quest’ultimo viene definito dal D.P.R. n. 633 del 1972, art. 20, comma 1, ed è costituito dall’ammontare complessivo delle cessioni di beni e di prestazioni di servizi effettuate dal contribuente, registrate o soggette a registrazione con riferimento ad un anno solare. Tale formula normativa tuttavia non è esente da problemi interpretativi in relazione all’individuazione dell’impedimento della ricostruzione. Ed invero la dottrina si interroga se occorra un impedimento assoluto ed insuperabile, o sia sufficiente una seria difficoltà di ricostruzione, comunque superabile ottenendo in altro modo i dati contabili necessari e se il requisito debba essere valutato sulla base di un giudizio di idoneità ex ante ovvero debba essere riscontrato in concreto. In passato la dottrina e la giurisprudenza si contrapponevano sul punto infatti, la prima richiedeva un’effettiva lesività del comportamento e, quindi, un’impossibilità assoluta, mentre, la seconda, con un orientamento valido ancora oggi, riteneva che fosse sufficiente, data la natura di reato di pericolo del delitto in esame, una lesione all’interesse alla trasparenza fiscale del contribuente. A tal proposito, la giurisprudenza è costante nell’affermare che, in tema di reati tributari, l’impossibilità di ricostruire il reddito od il volume d’affari derivante dalla distruzione o dall’occultamento di documenti contabili non deve essere intesa in senso assoluto, sussistendo anche quando è necessario procedere all’acquisizione presso terzi della documentazione mancante in questo senso Cass., Sez. 3, sentenza n. 7051 del 15/01/2019 Cass., Sez. 3, sentenza n. 39711 del 04/06/2009 . Certamente il reato di distruzione od occultamento di documenti contabili non è configurabile quando il risultato economico delle operazioni prive della documentazione obbligatoria può essere ugualmente accertato in base ad altra documentazione conservata dall’imprenditore interessato, in quanto in tal caso manca la necessaria offensività della condotta. 9.2. Nel caso in esame, tuttavia, la ricostruzione del reddito e del volume degli affari è stata possibile solo attraverso una ricostruzione della Guardia di finanza effettuata attraverso accertamenti presso i clienti dell’imputato e sul computer del B. , nonché mediante verifiche sulle movimentazioni per bonifici eseguiti dai clienti con riferimento alle operazioni bancarie al numero di fattura esistente nella versione file rivenuta presso l’ufficio del geometra. Da qui, dunque, quella ricostruibilità aliunde che integra compiutamente l’illecito penale in esame, essendo stato a più riprese ribadito da questa stessa Sezione che l’impossibilità di ricostruire il reddito od il volume d’affari derivante dalla distruzione o dall’occultamento di documenti contabili, elemento costitutivo del reato di cui al D.Lgs. 10 marzo 2000, n. 74, art. 10 non deve essere intesa in senso assoluto, sussistendo anche quando è necessario procedere all’acquisizione della documentazione mancante presso terzi o aliunde In motivazione la Corte ha precisato che il reato deve essere escluso, per mancanza di offensività, solo nel caso in cui il risultato economico delle operazioni possa essere accertato in base ad altra documentazione conservata dallo stesso imprenditore Sez. 3, n. 41683 del 02/03/2018 - dep. 26/09/2018, Vitali, Rv. 274862-02 . 10. Il settimo motivo è inammissibile. 10.1. Ed invero, la Corte di appello ha motivato congruamente la mancata concessione delle circostanze attenuanti generiche, sottolineando l’intensità del dolo, la presenza di un precedente penale specifico e la mancanza di fattori suscettibili di apprezzamento per la concessione. Del resto, la concessione delle circostanze attenuanti generiche non impone che siano esaminati tutti i parametri di cui all’art. 133 c.p., essendo sufficiente che si specifichi a quale di essi si sia inteso fare riferimento. sul tema, Cass. sez. I 33506/2010 . 10.2. Nel caso di specie il giudice valorizza il profilo soggettivo del dolo e pertanto sussiste una motivazione logica e coerente. Inoltre è opportuno sottolineare che in materia di attenuanti generiche, il giudice del merito esprime un giudizio di fatto e la sua motivazione è insindacabile in sede di legittimità, purché sia non contraddittoria e dia conto, anche richiamandoli, degli elementi, tra quelli indicati nell’art. 133 c.p., considerati preponderanti ai fini della concessione o dell’esclusione così Cass., Sez. 5, sentenza n. 43952 del 13/04/2017 . Non rileva, allo stato, il rilievo in fatto secondo cui per il precedente penale è stata annunciata la promozione di un giudizio di revisione, atteso che, in ogni caso, il diniego risulta motivato non solo per l’esistenza di precedenti penali ma anche, e soprattutto, valorizzando in chiave negativa il profilo soggettivo del dolo e la mancanza di fattori suscettibili di apprezzamento per la concessione. 11. Anche l’ottavo ed ultimo motivo non si sottrae al giudizio di inammissibilità. 11.1. Ed invero, come è noto, con la L. 16 marzo 2015, n. 28, art. 1 è stato introdotto l’istituto della particolare tenuità del fatto con lo scopo di ampliare l’ambito di esclusione della rilevanza penale del fatto e della non sanzionabilità di alcune condotte astrattamente integranti gli estremi del reato. L’art. 131-bis c.p. è applicabile ai soli reati puniti con la pena pecuniaria o con pene detentive non superiori nel massimo a cinque anni ed è configurabile laddove il giudice possa affermare, sulla base dei parametri affermati dall’art. 133 c.p., la particolare tenuità dell’offesa e la non abitualità del comportamento. La disposizione in esame specifica che l’offesa non possa essere definita lieve nel caso in cui la condotta incida in modo definitivo e irreparabile sul bene vita o sulla sua incolumità ovvero quando ricorrono alcune delle circostanze aggravanti di cui all’art. 63 c.p Inoltre, la norma prevede delle presunzioni di abitualità che sussistono in tutti quei casi in cui l’imputato sia stato dichiarato delinquente abituale, professionale o per tendenza ovvero abbia commesso altri reati della medesima indole anche se ciascun fatto, in sé considerato, sarebbe di lieve entità. 11.2. Orbene, nel caso di specie, la Corte di appello correttamente ritiene insussistenti i requisiti di applicabilità della speciale causa di non punibilità, data la pluralità delle condotte, il tempo prolungato di commissione e l’esistenza di un precedente penale specifico, donde la motivazione non appare censurabile. Del resto, la causa di esclusione della punibilità per particolare tenuità del fatto non può essere applicata, ai sensi del comma 3 del predetto articolo, qualora l’imputato, anche se non gravato da precedenti penali specifici, abbia commesso più reati della stessa indole ovvero plurime violazioni della stessa o di diverse disposizioni penali sorrette dalla medesima ratio punendi , anche nell’ipotesi in cui ciascun fatto, isolatamente considerato, sia di particolare tenuità in questo senso Cass., Sez. 3, sentenza n. 776 del 04/04/2017 . Inoltre, è opportuno sottolineare che, nel caso in esame, sussiste il vincolo di continuazione ciò che costituisce un comportamento abituale ostativo al riconoscimento del beneficio in tal senso Cass., Sez. III, n. 29897/2015 e, da ultimo, Cass., Sez. 6, sentenza n. 18192 del 20/03/2019 che afferma che la causa di esclusione della punibilità per particolare tenuità del fatto prevista dall’art. 131-bis c.p. non può essere dichiarata in presenza di più reati legati dal vincolo della continuazione, specie se consumati in un significativo arco temporale, in quanto anche il reato continuato configura un’ipotesi di comportamento abituale , ostativo al riconoscimento del beneficio . 11.3. Le ragioni sulla cui base la difesa del ricorrente ne sollecita l’applicazione, del resto, sono articolate su argomenti meramente fattuali e paiono ispirarsi a ragioni di opportunità età del reo ingiustizia nel dover subire la sanzione accessoria come la pubblicazione della sentenza su quotidiani, senza peraltro tener conto che ex art. 166 c.p. l’intervenuta sospensione condizionale della pena principale si estende ex lege a quelle accessorie la revisionabilità della precedente condanna per esercizio abusivo della professione . 11.4. Privo di pregio è poi il raffronto con altre fattispecie penali tributarie in relazione alle quali è stata riconosciuta in giurisprudenza l’applicabilità dell’art. 131-bis, c.p., non solo perché la valutazione della particolare tenuità del fatto deve essere operata tenuto conto delle singole circostanze concrete essendo stato affermato infatti che ai fini della configurabilità della causa di esclusione della punibilità per particolare tenuità del fatto, prevista dall’art. 131 bis c.p., il giudizio sulla tenuità richiede una valutazione complessa e congiunta di tutte le peculiarità della fattispecie concreta, che tenga conto, ai sensi dell’art. 133 c.p., comma 1, delle modalità della condotta, del grado di colpevolezza da esse desumibile e dell’entità del danno o del pericolo Sez. U, n. 13681 del 25/02/2016 - dep. 06/04/2016, Tushaj, Rv. 266590 , ma anche perché, a differenza di altre fattispecie penali tributarie, quella in esame, prescinde dalla esistenza o meno di soglie di punibilità, essendo incentrato il disvalore penale sul comportamento illecito del contribuente attuatosi attraverso l’occultamento o la distruzione della contabilità, finalizzato ad evadere le imposte sui redditi o sul valore aggiunto, ovvero di consentire l’evasione a terzi. 12. Alla dichiarazione di inammissibilità del ricorso segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali, nonché, in mancanza di elementi atti ad escludere la colpa nella determinazione della causa di inammissibilità, al versamento della somma, ritenuta adeguata, di Euro 2.000,00 in favore della Cassa delle ammende. P.Q.M. La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e al versamento della somma di duemila Euro in favore della Cassa delle ammende.