Le quasi 40 dosi da vendere ad un evento musicale non sono sufficienti per escludere la “lieve entità”

Riprende vigore la richiesta avanzata dal legale dello spacciatore, cioè vedere riconosciuta l’ipotesi che ci si trovi di fronte a fatti di lieve entità”. Necessario un nuovo processo in appello, dove bisognerà fare riferimento non solo al numero delle dosi e al contesto scelto dallo spacciatore, ma anche alle caratteristiche della sostanza.

Quasi quaranta dosi di droga – tra ketamina, cocaina ed ecstasy – a disposizione e la presenza dello spacciatore in una situazione – un evento musicale – ricca di potenziali clienti – non sono elementi sufficienti per parlare di fatto grave”. Necessario un ulteriore approfondimento, con un secondo processo in Appello, su ulteriori decisivi dettagli, come grado di purezza e capacità drogante dello stupefacente”. Cassazione, sentenza n. 49897/19, sez. IV Penale, depositata oggi . Quantum. Ricostruita nei dettagli la vicenda, l’uomo sotto processo viene condannato prima in Tribunale e poi in Appello per avere detenuto circa 33 grammi di ketamina, oltre mezzo grammo di cocaina e neanche mezzo grammo di ecstasy e per avere portato quelle sostanze stupefacenti in un luogo aperto al pubblico in occasione di un evento musicale . Nessun dubbio, quindi, sulla condotta tenuta dall’uomo, e catalogata come evidente violazione del ‘Testo unico sugli stupefacenti’ per avere egli messo in vendita tre tipologie di sostanza stupefacente. Il ricorso in Cassazione, proposto dal difensore dello spacciatore, non mira a mettere in discussione l’intera vicenda, bensì solo a ridimensionarne la gravità. Obiettivo del legale è vedere riconosciuto, in favore del proprio cliente, che ci si trova di fronte a fatti di lieve entità”. Ebbene, questa obiezione – centrata soprattutto sul fatto che in secondo grado il dato quantitativo è stato ritenuto indice dei contatti con il mondo criminale – viene accolta dai giudici della Cassazione, che ritengono necessario un approfondimento sulla questione con un nuovo processo in Appello. Per i magistrati del ‘Palazzaccio’, difatti, per escludere l’ipotesi dei fatti di lieve entità” non ci si può limitare a richiamare il numero delle dosi neppure quaranta e il luogo ove l’uomo si è recato per spacciare , senza accennare al grado di purezza e di capacità dopante dello stupefacente, non indicando il principio attivo della sostanza ma facendo riferimento solo al dato della sostanza lorda .

Corte di Cassazione, sez. IV Penale, sentenza n. 8 novembre – 10 dicembre 2019, n. 49897 Presidente Di Salvo – Relatore Nardin Ritenuto in fatto 1. Con sentenza del 15 novembre 2018, la Corte di appello di Genova ha confermato la sentenza del Tribunale di Genova con cui Hu. Qu. Ar. Ef. è stato ritenuto responsabile del reato di cui all'art. 73, comma 1 D.P.R. 309/1990 e condannato alla pena ritenuta di giustizia per avere detenuto gr. 33,98 di ketamina, involta in involucri di carta, gr. 0,68 di cocaina e gr. 0,38 di ecstasy, che portava in luogo aperto al pubblico, in occasione di un evento musicale. 2. Avverso la sentenza della Corte d'appello propone ricorso l'imputato, a mezzo del suo difensore, formulando un unico motivo di impugnazione. 3. Con la censura, lamenta la violazione della legge penale in ordine all'art. 73 D.P.R. 309/1990 ed il vizio di motivazione, per avere la Corte territoriale escluso la sussunzione del fatto nell'ipotesi cd. lieve di cui al comma 5 della disposizione, limitandosi a richiamare la motivazione del primo giudice, senza compiere il doveroso esame degli argomenti introdotti con il gravame sulla complessità della valutazione richiesta ai fini dell'inquadramento della fattispecie. Contesta la parzialità dell'operazione interpretativa che ritiene, in modo del tutto ingiustificato, che il dato quantitativo delle sostanze sequestrate sia indice dei radicati contatti di Hu. Qu. Ar. con il mondo criminale. Deduce il mancato approfondimento, da parte dei giudici di merito, degli orientamenti giurisprudenziali che concentrano la valutazione dell'offensività della condotta sulla pluralità dei parametri indicati dal reato previsto dall'art. 73, comma 5 D.P.R. cit., tenendo in considerazione anche il dato organizzativo e non escludendo, pertanto, dal novero della fattispecie neppure l'ipotesi di un'attività continuativa, laddove accompagnata da un'organizzazione rudimentale. Assume che una più analitica valutazione dei parametri normativi, stante comunque la modestia del quantitativo complessivo, avrebbe dovuto condurre alla derubricazione del reato. Considerato in diritto 1. Il ricorso va accolto. 2. La questione sottoposta con la doglianza, che contesta la parzialità della valutazione della Corte territoriale circa l'offensività concreta del fatto oggetto del giudizio, alla luce dei parametri indicati dalla disposizione contenuta nell'art. 73 comma 5 D.P.R. 309/1990, va risolta facendo riferimento al percorso interpretativo recentemente tracciato dalle Sezioni Unite Sez. U, n. 51063 del 27/09/2018, Murolo Ciro che hanno chiarito la necessità di procedere ad una valutazione complessiva degli indici di lieve entità elencati dalla disposizione, sicché occorre abbandonare l'idea che gli stessi possano essere utilizzati dal giudice alternativamente, riconoscendo od escludendo, cioè, la lieve entità del fatto anche in presenza di un solo indicatore di segno positivo o negativo, a prescindere dalla considerazione degli altri. Ma allo stesso tempo anche che tali indici non debbano tutti indistintamente avere segno positivo o negativo . Ed invero, va riconosciuta la possibilità che tra gli stessi si instaurino rapporti di compensazione e neutralizzazione in grado di consentire un giudizio unitario sulla concreta offensività del fatto anche quando le circostanze che lo caratterizzano risultano prima facie contraddittorie in tal senso . Solo all'esito della valutazione globale di tutti gli indici che determinano il profilo tipico del fatto di lieve entità, è poi possibile che uno di essi assuma in concreto valore assorbente e cioè che la sua intrinseca espressività sia tale da non poter essere compensata da quella di segno eventualmente opposto di uno o più degli altri . Ma, è per l'appunto necessario che una tale statuizione costituisca l'approdo della valutazione complessiva di tutte le circostanze del fatto rilevanti per stabilire la sua entità alla luce dei criteri normativizzati e non già il suo presupposto. Ed è parimenti necessario che il percorso valutativo così ricostruito si rifletta nella motivazione della decisione, dovendo il giudice, nell'affermare o negare la tipicità del fatto ai sensi dell'art. 73, comma 5, T.U. stup., dimostrare di avere vagliato tutti gli aspetti normativamente rilevanti e spiegare le ragioni della ritenuta prevalenza eventualmente riservata a solo alcuni di essi. Il che significa che il discorso giustificativo deve dar conto non solo dei motivi che logicamente impongono nel caso concreto di valutare un singolo dato ostativo al riconoscimento del più contenuto disvalore del fatto, ma altresì di quelli per cui la sua carica negativa non può ritenersi bilanciata da altri elementi eventualmente indicativi, se singolarmente considerati, della sua ridotta offensività. In tale ottica è opportuno sottolineare come anche l'elemento ponderale - quello che più spesso assume un ruolo centrale nell'apprezzamento giudiziale - non è escluso dal percorso valutativo implicito nella formulazione dell'art. 73, comma 5, come rivela ancora una volta proprio il raffronto dello stesso con la già evocata disposizione di cui all'art. 80, comma 2, T.U. stup In altri termini, anche la maggiore o minore espressività del dato quantitativo deve essere anch'essa determinata in concreto nel confronto con le altre circostanze del fatto rilevanti secondo i parametri normativi di riferimento. Ferma la possibilità che, nel rispetto delle condizioni illustrate, tale dato possa assumere comunque valore negativo assorbente, ciò significa che anche la detenzione di quantitativi non minimali potrà essere ritenuta non ostativa alla qualificazione del fatto ai sensi dell'art. 73, comma 5, e, per converso, che quella di pochi grammi di stupefacente, all'esito della valutazione complessiva delle altre circostanze rilevanti, risulti non decisiva per ritenere integrata la fattispecie in questione . 3. Ora, la motivazione con cui la Corte di appello rigetta il motivo relativo alla derubricazione del reato nella fattispecie di cui all'art. 73, comma 5 D.P.R. 309/1990, non assolve l'onere dell'articolata valutazione indicata dalle Sezioni Unite di questa Corte, al fine di provvedere alla corretta qualificazione del reato nel caso concreto. Invero, la sentenza impugnata limita il proprio giudizio al numero delle dosi neppure 40 ed al luogo ove l'imputato si è recato per spacciare, senza neppure accennare al grado di purezza e di capacità drogante dello stupefacente, non indicando il principio attivo della sostanza, non desumibile neppure dalla contestazione, che fa riferimento solo al dato della sostanza lorda. Da siffatti elementi ricava, senza ulteriori approfondimenti, la collocazione dell'imputato in un ambiente criminale, seguendo un percorso motivazionale che si rivela monco laddove confrontato con quello tratteggiato dal Supremo Collegio. 4. La sentenza deve, dunque, essere annullata, con rinvio ad altra sezione della Corte di appello di Genova per nuovo giudizio. P.Q.M. Annulla la sentenza impugnata limitatamente alla qualificazione giuridica del fatto ex art. 73, comma 1, anziché comma 5 D.P.R. 309/1990 e rinvia, per nuovo giudizio, ad altra sezione della Corte di appello di Genova.