Gli attacchi di panico della madre non bastano per concedere i domiciliari al padre di prole inferiore ai 6 anni

In tema di misure cautelari personali, ai fini dell’integrazione dell’assoluta impossibilità per la madre di dare assistenza al minore, prevista dall’art. 275, comma 4, c.p.p. quale condizione per escludere l’applicazione o il mantenimento della custodia in carcere nei confronti del padre di prole di età inferiore a sei anni, deve sussistere una situazione nella quale vi sia un difetto assistenziale non altrimenti colmabile, tale da compromettere il processo evolutivo-educativo del figlio.

Lo ha ribadito la Cassazione con sentenza n. 49121/19 depositata il 3 dicembre. Il caso. Il Tribunale di Milano confermava il provvedimento con cui il GIP aveva rigettato la richiesta dell’imputato finalizzata alla sostituzione della misura della custodia cautelare in carcere con quella degli arresti domiciliari. In particolare, secondo il Tribunale, il fatto che l’imputato fosse padre di una bambina di età inferiore ai 6 anni e che la madre soffrisse di uno stato d’ansia di tipo reattivo, non era sufficiente a dimostrare l’assoluta impossibilità della stessa ad assistere la minore. L’imputato ricorre per cassazione. Quando ricorre la situazione impeditiva all’applicazione della custodia carceraria? Sulla questione, il Collegio di legittimità ribadisce che in tema di misure cautelari personali, ai fini dell’integrazione dell’assoluta impossibilità per la madre di dare assistenza al minore, prevista dall’art. 275, comma 4, c.p.p. quale condizione per escludere l’applicazione o il mantenimento della custodia in carcere nei confronti del padre di prole di età inferiore a sei anni, deve essere ravvisabile una situazione nella quale si palesi un difetto assistenziale non altrimenti colmabile, tale da compromettere il processo evolutivo-educativo del figlio . Tale situazione impeditiva all’applicazione della custodia cautelare in carcere del padre di prole inferiore a 6 anni non ricorre se l’impedimento non è assoluto e ad esso possa porsi rimedio con il ricorso alle strutture di sostegno e di assistenza sociale, che rendono efficacie e concreta la possibilità per la madre di occuparsi della prole . Nella fattispecie, secondo la Cassazione, il Tribunale ha fatto corretta applicazione di tali principi, anche sulla scorta dei rilievi che hanno condotto a ritenere gli attacchi di panico della madre non gravi, ma solo legati ad una situazione di difficoltà superabile con l’ausilio delle strutture sanitarie e assistenziali. Per tali motivi, la Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Corte di Cassazione, sez. VI Penale, sentenza 29 novembre – 3 dicembre 2019, n. 49121 Presidente Di Stefano – Relatore Aprile Ritenuto in fatto e considerato in diritto 1. Con l’ordinanza sopra indicata il Tribunale di Milano, adito ai sensi dell’art. 310 c.p.p., confermava il provvedimento del 10/04/2019 con il quale il Giudice per le indagini preliminari del Tribunale della stessa città aveva rigettato una richiesta difensiva finalizzata alla sostituzione della misura della custodia cautelare in carcere, alla quale è sottoposto S.N. , con quella degli arresti domiciliari ai sensi dell’art. 275 c.p.p., comma 4. Rilevava il Tribunale come il S. , imputato per avere trasportato in almeno tre occasioni rilevanti partite di cocaina dalla Calabria in Lombardia, non potesse beneficiare della chiesta sostituzione della misura coercitiva, in quanto, pur essendo egli padre di una bambina di età inferiore a sei anni, non aveva dimostrato che la madre fosse assolutamente impossibilitata ad assistere la minore, tanto da giustificare la liberazione” del genitore detenuto in carcere non potendo essere considerata causa di assoluto impedimento la patologia della donna, affetta da uno stato d’ansia di tipo reattivo , in quanto situazione non traducibile nel senso di una radicale impossibilità di accudire la prole. 2. Avverso tale ordinanza ha presentato ricorso il S. , con atto sottoscritto dai suoi due difensori, il quale ha dedotto la violazione di legge, in relazione agli artt. 125 e 275 c.p.p., e il vizio di motivazione, per mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità, per avere il Tribunale dell’appello ingiustificatamente disatteso le doglianze difensive, facendo impropriamente riferimento alla gravità dei reati commessi e alla entità della pena inflitta nel giudizio di primo grado nonché per non avere tenuto in debita considerazione le precarie condizioni di salute psichica della moglie, i problemi di salute della figlia e la dimostrata assenza di altri familiari idonei ad accudire la bambina, dunque il rischio corso dalla minore il cui interesse deve prevalere su ogni altro parametro derivante dal deficit assistenziale, per la irrimediabile compromissione del processo evolutivo e educativo dovuta alla mancata, efficace presenza dei genitori. 3. Ritiene la Corte che il ricorso vada rigettato. Come noto, l’art. 275 c.p.p., comma 4, stabilisce che quando imputati siano donna incinta o madre di prole di età non superiore a sei anni con lei convivente, ovvero padre, qualora la madre sia deceduta o assolutamente impossibilitata a dare assistenza alla prole, non può essere disposta nè mantenuta la custodia cautelare in carcere, salvo che sussistano esigenze cautelari di eccezionale rilevanza . Si tratta, all’evidenza, di norma di stretta interpretazione, nel senso che, ferma restando la necessità di tutelare l’interesse del minore a crescere con l’assistenza di almeno uno dei genitori, una deroga al regime cautelare personale connesso alla instaurazione di un procedimento penale sia consentita, allo scopo di salvaguardare quell’interesse, nei soli limiti fissati dalla disposizione in esame la quale, per un verso, evidenzia, rispetto alla posizione e alla protezione del figlio minore di sei anni, il ruolo prioritario della madre e quello solo supplente” del padre eventualmente interessato all’applicazione della misura coercitiva per altro verso, sottolinea come il compito assistenziale vicario del genitore possa essere valorizzato esclusivamente in caso di totale assenza della genitrice libera, ovvero in caso di un suo decesso o in una ipotesi di parificata impossibilità assoluta di prestare assistenza al minore. In questa ottica vanno lette le pronunce di questa Corte che, nel cercare di definire l’ambito di operatività della norma in argomento, ha ritenuto di sostenere che, in tema di misure cautelari personali ai fini dell’integrazione dell’ assoluta impossibilità per la madre di dare assistenza al minore, prevista dall’art. 275 c.p.p., comma 4, quale condizione per escludere l’applicazione o il mantenimento della custodia in carcere nei confronti del padre di prole di età inferiore a sei anni, deve essere ravvisabile una situazione nella quale si palesi un difetto assistenziale non altrimenti colmabile, tale da compromettere il processo evolutivo-educativo del figlio così, tra le altre, Sez. 4, n. 23268 del 19/04/2019, Rao, Rv. 276366 . In tale ambito, si è significativamente puntualizzato che non ricorre la situazione impeditiva all’applicazione della custodia cautelare in carcere, dell’essere padre di prole di età inferiore a sei anni qualora la madre sia impossibilitata a dare assistenza alla prole, ove l’impedimento non sia assoluto e ad esso possa porsi rimedio con il ricorso alle strutture di sostegno e di assistenza sociale, che rendono efficace e concreta la possibilità per la madre di occuparsi della prole in questo senso, ex multis, Sez. 2, n. 20233 del 23/05/2006, Roncea, Rv. 234659 . Di tali criteri ermeneutici il Tribunale di Milano ha fatto corretta applicazione perché, indipendentemente dall’iniziale e ininfluente riferimento alla commissione di reati da parte del S. proprio nel periodo immediatamente successivo alla nascita della bambina, i giudici di merito hanno rilevato, con motivazione congrua, nella quale non è riconoscibile alcun vizio di manifesta illogicità censurabile in questa sede, come non potesse definirsi assolutamente impedita ad assistere la figlia minore di sei anni la moglie dell’imputato che, affetta da uno stato di ansia di tipo reattivo , aveva avuto degli attacchi di panico , rivolgendosi in alcune occasioni al locale pronto soccorso, non trattandosi di una forma di grave inabilità indipendente dalla sua volontà, ma solo una situazione di difficoltà altrimenti superabile con l’ausilio dei strutture sanitarie e assistenziali. 4. Al rigetto del ricorso consegue, a norma dell’art. 616 c.p.p., la condanna del ricorrente al pagamento in favore dell’erario delle spese del presente procedimento. Alla cancelleria vanno demandati gli adempimenti comunicativi previsto dalla legge. P.Q.M. Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali. Manda alla cancelleria per gli adempimenti di cui all’art. 94 disp. att. c.p.p., comma 1 ter.