Non è manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale del termine troppo breve per impugnare

Non è manifestamente infondata, con riferimento agli articoli 3, 24, 27 e 111 Cost., la questione di legittimità costituzionale dell’art. 30-bis, comma 3, in relazione all’art. 30-ter, comma 7, l. n. 354/75, nella parte in cui prevede che il termine per proporre reclamo avverso il provvedimento del Magistrato di Sorveglianza, in tema di permesso premio, è pari a 24 ore.

La Corte di Cassazione con la pronuncia in commento n. 45976/19 ha disposto la trasmissione degli atti alla Corte Costituzionale dubitando della legittimità costituzionale del termine ad horas per proporre reclamo. Questione di minuti. La pronuncia in commento nasce da una questione di minuti Un detenuto si vede infatti rigettare, con declaratoria di inammissibilità, da parte del Tribunale di Sorveglianza di Bologna il proprio reclamo, depositato alle ore 08 44 del giorno successivo alla notifica, avvenuta alle ore 08 16 del giorno precedente, avverso il provvedimento di rigetto del Magistrato di Sorveglianza di una sua richiesta di permesso premio. Il Tribunale di Sorveglianza aveva, infatti, osservato che al momento del deposito del reclamo il termine perentorio, indicato dall’art. 30- bis, comma 3, O.P., era irrimediabilmente spirato, con conseguente inammissibilità della proposta impugnazione. Avverso il provvedimento insorge il difensore del condannato che, tra gli altri motivi, eccepisce l’illegittimità costituzionale della norma che prevederebbe un termine troppo stringente per l’effettivo esercizio del diritto di difesa. Evidenzia, peraltro, il difensore come il regolamento interno di quel carcere impedisca ai detenuti di uscire, anche per accedere a servizi, prima delle ore 09 00 del mattino e, dunque, come ciò renda oltremodo difficile se non impossibile l’esercizio di un effettivo potere di impugnazione nel termine così breve previsto dalla legge. La rilevanza apre la via al Giudice delle leggi. Osservano gli Ermellini come effettivamente, nel caso in esame, il mancato rispetto, seppur di pochi minuti, del termine di 24 ore aveva determinato la declaratoria di inammissibilità del reclamo proposto, che dunque non era stato esaminato nel merito dal Tribunale di Sorveglianza. Ne consegue – prosegue la Corte – che, se la norma fosse dichiarata incostituzionale, il ricorrente ne avrebbe indubbio vantaggio, potendo per tale via contare sulla disamina della fondatezza del merito del proposto reclamo, che invece il Tribunale di Sorveglianza aveva pretermesso. Osservato poi che un ricorso per Cassazione ben può avere ad oggetto la sola censura di legittimità costituzionale di una norma, qualora dalla eventuale censura della stessa possa conseguire un risultato utile per il ricorrente, si aprono le porte alla valutazione nel merito della non manifesta infondatezza della proposta questione di legittimità costituzionale. Il superamento dei precedenti giurisprudenziali negativi. Rileva la Corte di Cassazione come la questione proposta non sia assolutamente nuova e come la Corte Costituzionale sent. N. 235/96 avesse già avuto modo di occuparsi della questione dello stretto limite temporale concesso per proporre reclamo conto i provvedimenti negativi di permessi premio e di permessi di necessità. Preliminarmente osservano gli Ermellini come, invero, solo il dato definitorio accomuni i permessi premio a quelli di necessità, avendo i primi una natura intrinsecamente premiale della buona condotta di un detenuto ed i secondi di misura eccezionale, di fronte ad una situazione straordinariamente grave e assolutamente urgente. Se, dunque, la ratio sottesa a tale ultimo istituto pare conciliarsi con una procedura di reclamo contenuta in termini temporali assai stretti, altrettanto non può dirsi per i permessi premio. Nel 1996 la Corte Costituzionale dichiarò infine inammissibile la medesima questione, in quanto non rinvenne, nel sistema all’epoca vigente, un termine indicabile in luogo di quello previsto dalla norma incriminata dell’Ordinamento Penitenziario e non potendo la stessa Corte intervenire con una pronuncia additiva che introducesse un nuovo e più ampio termine. Nel contempo, però, la Corte sottolineò la necessità di un intervento del legislatore che contemperasse l’esigenza di speditezza della procedura con l’effettivo esercizio del diritto di difesa. Osservano oggi gli Ermellini che, trascorsi 25 anni, il monito della Corte è rimasto disatteso, mentre il nuovo contesto normativo contiene una disposizione che indica in giorni 15 il termine per impugnare con reclamo i provvedimenti asseritamente lesivi di diritti adottati dalla amministrazione penitenziaria, termine che potrebbe essere esteso al reclamo avverso il diniego di permesso premio. Oltre a ciò, conclude la Corte, il sistema delle impugnazioni dell’attuale codice di rito applicabile anche al reclamo, stante la riconosciuta natura giurisdizionale e non meramente amministrativa dello stesso , che impone di presentare, di regola, contestualmente all’atto di impugnazione anche i motivi a sostegno, corredati, a pena di inammissibilità, della dovuta specificità, appare assai più punitivo rispetto al previgente codice di procedura, che prevedeva il deposito nel termine della sola dichiarazione di impugnazione con facoltà di presentare anche successivamente i motivi a sostegno. Il contrasto con il dettato costituzionale. Conclude, dunque, la Cassazione affermando come sia doveroso sottoporre ad un nuovo vaglio di legittimità costituzionale la norma che prevede un termine così stretto per impugnare, che pare difficilmente compatibile con una situazione di parità tra accusa e difesa ed il giusto processo artt. 3 e 111 Cost , con l’effettivo esercizio del diritto di difesa consacrato nell’art. 24 della Costituzione ed, infine, anche con la finalità rieducativa della pena art. 27 Cost. . Il processo viene, dunque, sospeso e gli atti vengono così trasmessi al Giudice delle leggi per una nuova disamina di compatibilità con il dettato costituzionale delle norme appena menzionate, alla luce del nuovo vigente tessuto normativo.

Corte di Cassazione, sez. I Penale, sentenza 30 ottobre – 13 novembre 2019, n. 45976 Presidente Di Tommasi – Relatore Santalucia Ritenuto in fatto 1. Il Tribunale di sorveglianza di Bologna ha dichiarato l’inammissibilità del reclamo di V.G. avverso il provvedimento con cui il Magistrato di sorveglianza ha rigettato la sua richiesta di permesso premio di un giorno, finalizzata a poter trascorrere qualche ora insieme ai suoi familiari a []. Ha infatti rilevato la tardività del reclamo, in quanto proposto oltre le ventiquattro ore, termine stabilito dall’art. 30, comma 3, ord. pen. il provvedimento di rigetto, infatti, gli è stato comunicato il 13 novembre 2018 alle ore 8,16 e il reclamo è stato depositato il giorno successivo alle ore 8,44. 2. Avverso l’ordinanza ha proposto ricorso il difensore di V.G. che ha articolato più motivi. 2.1. Con il primo motivo ha dedotto vizio di violazione di legge. È irragionevole, oltre che lesivo dei diritti di difesa, il computo del termine di minuti. Esso contrasta con la disciplina processuale in materia, e specificamente con quanto disposto dall’art. 172 c.p., secondo cui il termine ad ore inizia a decorrere dall’ora successiva a quella in cui ne è iniziata la decorrenza e non vanno computate le frazioni di ora. Peraltro, il termine di impugnazione deve tener conto dell’orario di apertura dell’ufficio presso il quale l’atto deve essere presentato, nel caso di specie l’Ufficio matricola del carcere in cui i detenuti non possono accedere autonomamente, occorrendo a tal fine una domanda e l’autorizzazione all’uscita dalla cella detentiva. Si è allora prospettata questione di legittimità costituzionale, per violazione dell’art. 111 Cost., dell’art. 30 bis, comma 3, ord. pen., nella parte in cui individua quale termine per la presentazione del reclamo avverso i provvedimenti in materia di permessi quello di ventiquattro ore, termine eccessivamente breve per predisporre la propria difesa. 2.2. Con il secondo motivo ha dedotto difetto di motivazione, dal momento che il Tribunale di sorveglianza non ha svolto alcun accertamento in ordine alla possibilità del reclamante di presentare il reclamo in orario antecedente a quello delle ore 8,44 del giorno successivo a quello di notifica. Nell’istituto penitenziario ove V.G. è ristretto, il regolamento interno prevede che le celle siano chiuse fino alle ore 9,00 del mattino, orario dal quale iniziano le varie attività socio-ricreative, rieducative e lavorative. Prima di quell’orario è impossibile uscire dalla cella e accedere a qualsivoglia altro locale dell’istituto senza apposita autorizzazione. 3. Il Procuratore generale, intervenuto con requisitoria scritta, ha chiesto l’annullamento senza rinvio dell’ordinanza impugnata. Considerato in diritto 1. Col primo motivo il ricorrente denuncia l’illegittimità costituzionale della norma che assegna un termine particolarmente breve, di ventiquattro ore, per la proposizione del reclamo contro i provvedimenti emessi in materia di permessi premio di cui all’art. 30 ter ord. pen. Viene in gioco la disposizione di cui all’art. 30 ter, comma 7, ord. pen., secondo cui il provvedimento relativo ai permessi premio è soggetto al reclamo al Tribunale di sorveglianza, secondo le procedure di cui all’art. 30 bis , ove si prevede appunto, in riferimento diretto ai cd. permessi di necessità, che il provvedimento è comunicato senza formalità al pubblico ministero e all’interessato, i quali, entro ventiquattro ore dalla comunicazione, possono proporre reclamo . In tal modo il ricorrente indica un vizio di violazione di legge del provvedimento impugnato che, facendo applicazione della norma della cui costituzionalità dubita, ha conculcato i suoi diritti di intervento difensivo. 2. La questione, oltre che, come si dirà in seguito, non manifestamente infondata, è rilevante perché, ove la norma fosse dichiarata incostituzionale, si determinerebbe una situazione di indubbio vantaggio per il ricorrente, il cui reclamo dovrebbe essere esaminato nel merito invece che essere dichiarato, come è stato, inammissibile -v., in tal senso, Sez. 1, n. 409 del 10/12/2008, dep. 2009, Sardelli, Rv. 242456, secondo cui il ricorso per cassazione può avere ad oggetto anche soltanto l’eccezione d’illegittimità costituzionale della disposizione applicata dal giudice di merito, in quanto comporta comunque una censura di violazione di legge riferita al provvedimento impugnato, sempre che sussista là rilevanza della questione, nel senso che dall’invocata dichiarazione d’illegittimità possa conseguire una pronuncia favorevole in termini di annullamento, totale o parziale, del provvedimento - nella stessa direzione Sez. 1, n. 45511 del 11/11/2009, Papandrea, Rv. 245509 e, in precedenza, Sez. 6, n. 6121 del 16/03/2000, P.M. e Santinello ed altro, Rv. 220524 -. 3. Ancora in riferimento al profilo di rilevanza della questione si osserva che, in applicazione della norma della cui costituzionalità si dubita, il reclamo è stato correttamente dichiarato inammissibile. 3.1. Il ricorrente ebbe comunicazione del provvedimento di diniego del permesso premio alle ore 8,16 del 13 novembre 2018 e presentò reclamo il giorno successivo, alle ore 8,44, pertanto oltre il termine di scadenza. Secondo quanto stabilito dall’art. 172 c.p.p., che esclude dal computo l’ora - nel caso di specie le ore 8,16 - in cui ha avuto inizio la decorrenza, il termine è andato a scadere alle ore 8,16 del giorno successivo. Il computo ad ore, sì come regolato dalla disposizione appena richiamata, non impone di considerare soltanto l’ora piena e di trascurare le sue frazioni, come invece sembra sostenere il ricorrente. Se la comunicazione del provvedimento è stata fatta alle ore 8,16, il computo del termine di ventiquattro ore non può ignorare la frazione aggiuntiva rispetto alle ore 8,00 e deve pertanto commisurare le ore successive, al fine di calcolare il decorso del termine di reclamo, muovendo da quel termine iniziale nella sua compiuta specificazione, sia dell’ora che dell’aggiuntiva frazione, ma senza tener conto, come già ricordato, dell’ora in cui ha avuto inizio la decorrenza. È quindi corretta l’affermazione contenuta nella requisitoria del Procuratore generale che, nel caso in esame, occorre effettuare il computo dalle ore 9,16 del 13 novembre 2018 ma è proprio in tal modo che si apprezza che il termine di ventiquattro ore andò a scadere alle ore 8,16 del giorno successivo, contrariamente a quanto invece sostenuto nella menzionata requisitoria, ove invece si legge che, se l’ora di decorrenza è fissata alle ore 9,16 del 13 dicembre, allora il reclamo è da ritenersi tempestivo. Per questa ragione non è errata la decisione impugnata, che ha decretato l’inammissibilità del reclamo per tardiva proposizione. 3.2. Il ricorrente, in particolare con il secondo motivo, ha lamentato che il Tribunale, ai fini del corretto computo del termine, avrebbe dovuto in concreto verificare se sarebbe stato possibile, in ragione dell’assetto organizzativo dell’Istituto di restrizione, presentarsi presso l’Ufficio matricola entro le ore 8,16 per la presentazione del reclamo. Ha poi dedotto che, nell’Istituto ove è detenuto, le celle, per regolamento interno, vengono aperte non prima delle ore 9,00, in tal modo attestando che non avrebbe potuto in ogni caso essere tempestivo nella proposizione del reclamo. Si osserva a tal proposito che, a parte l’incongruità dell’ultimo rilievo a fronte del dato che il reclamo venne effettivamente proposto alle ore 8,44 e quindi prima dell’orario di apertura delle celle - e che dunque sembra smentire l’assunto di ricorso circa l’impossibilità di uscire dalle celle prima delle ore 9,00 -, l’accertamento di cui si lamenta la mancanza non avrebbe potuto sortire un utile effetto. Il termine di ventiquattro ore, infatti, seppur computato al netto dei possibili tempi morti conseguenti alla organizzazione interna dell’Istituto di detenzione, appare in ogni caso del tutto inadeguato a consentire un pieno ed efficace esercizio del diritto al reclamo. 3.3. Per la stessa ragione la rilevanza della questione di legittimità costituzionale non viene meno sulla base della considerazione che il ricorrente avrebbe potuto richiedere, e ciò non ha fatto, la restituzione nel termine, adducendo proprio l’impossibilità di rispettare il ristretto termine di proposizione del reclamo in conseguenza di fatti e circostanze a lui non imputabili. La concessione di un nuovo termine, di pari durata e quindi spiccatamente breve, non avrebbe potuto comunque assicurare un pieno esercizio del diritto al reclamo perché l’eccessiva ristrettezza del tempo dato per il reclamo non viene meno neanche provando idealmente a sommare il termine in cui si potrebbe essere restituiti a quello iniziale. Emerge anzi, interrogandosi sui concreti effetti che la richiesta di restituzione nel termine avrebbe potuto avere nella vicenda in esame, un profilo ulteriore di irragionevolezza della disciplina. Per la proposizione della richiesta di restituzione è infatti dato un termine di dieci giorni a decorrere dalla cessazione del fatto costituente forza maggiore o caso fortuito , di gran lunga più ampio di quello per il quale la richiesta, nella vicenda ora in esame, avrebbe potuto essere avanzata. 4. La questione, come accennato, non è manifestamente infondata. 5. La Corte costituzionale, già con la sentenza n. 235 del 1996, osservò che la previsione di un identico, e particolarmente breve, termine di reclamo in tema di permessi di necessità e di permessi premio non è ragionevole. Se, per un verso, i brevissimi termini di impugnazione possono essere giustificati in relazione ai permessi di necessità, per i rigorosi presupposti cui la norma subordina la concessione degli stessi, non altrettanto può dirsi, secondo l’impostazione data dalla Corte costituzionale, per i permessi premio che sono, a differenza dei primi, parte integrante del trattamento e da cui possono discendere conseguenze dirette anche al fine dell’applicazione delle misure alternative alla detenzione . Nella giurisprudenza costituzionale, come è noto, si è più volte affermato che il permesso premio ha natura di misura premiale di incentivo alla collaborazione del detenuto con l’istituzione carceraria, e di strumento esso stesso di rieducazione, in quanto consente un iniziale inserimento del condannato nella società sentenze n. 188 del 1990, n. 227 e n. 504 del 1995, n. 235 del 1996, n. 296 del 1997, n. 450 del 1998 . Altre sono, invece, la natura e la funzione del permesso di necessità, misura eccezionale che risponde esclusivamente a finalità di umanizzazione della pena, consentendo al detenuto di stare vicino ai congiunti e di adoperarsi per loro in occasione di particolare avverse vicende della vita familiare - Sez. 1, n. 15953 del 27/11/2015, dep. 2016, Vitale, Rv. 267210-11 -. L’identità del termine per la proposizione del reclamo avverso i provvedimenti che attengono all’una e all’altra tipologia di permessi esalta esclusivamente un dato di natura meramente nominalistica, posto che il Legislatore menziona entrambe le misure come permessi, che però restano segnati da una strutturale eterogeneità - Corte Cost., n. 235 del 1996 -. L’irragionevolezza della previsione si risolve pertanto in una violazione dell’art. 3 Cost., perché la norma equipara, quanto al termine concesso per il reclamo, situazioni profondamente diverse. 5.1. Essa, peraltro, si pone in violazione dell’art. 27 Cost., specificamente del principio rieducativo della pena, perché ostacola un effettivo e serio controllo sul provvedimento adottato dal Magistrato di sorveglianza relativo ad uno strumento cruciale ai fini del trattamento , momento iniziale della progressività premiale in esplicazione di una importante funzione pedagogico-propulsiva che dà modo di saggiare, quale primo esperimento, la risocializzazione in ambito extramurario - Corte Cost., n. 188 del 1990 e Corte Cost., n. 227 del 1995 -. 6. Altri sono ancora i parametri di costituzionalità rilevanti. 6.1. È orientamento consolidato nella giurisprudenza di legittimità che il reclamo avverso i provvedimenti in materia di permessi premio costituisca un mezzo di impugnazione e quindi debba essere corredato, pena l’inammissibilità, da specifici motivi - v., in tal senso, tra le altre, Sez. 1, n. 2593 del 30/03/1999, Arrigo, Rv. 213488 Sez. 1, n. 648 del 28/01/2000 Sasso, Rv. 215388 Sez. 1, n. 16254 del 23/03/2006, Costantino, Rv. 234299 Sez. 1, n. 37332 del 26/09/2007, Esposito, Rv. 237505 Sez. 1, n. 15982 del 17/09/2013, dep. 2014, Greco, Rv. 261989 . Si è a tal proposito affermato che, compiuta la piena giurisdizionalizzazione dell’istituto - a seguito della pronuncia n. 53 del 1993 con cui la Corte costituzionale dichiarò l’illegittimità delle norme che non consentivano l’applicazione delle disposizioni di cui agli artt. 666 e 678 c.p.p. al procedimento di reclamo avverso il decreto di esclusione dal computo della detenzione del periodo trascorso in permesso premio -, l’obbligo di presentazione di motivi contestualmente al reclamo discende inevitabilmente dal carattere giurisdizionale, e non amministrativo, del procedimento in cui esso si innesta e delle decisioni che sono assunte in materia. Si è pure chiarito come non possa affermarsi l’esclusione dell’obbligo di presentazione dei motivi facendo leva sull’osservazione che il procedimento è modellato su quello relativo alle questioni di esecuzione, per la ragione che, mentre la domanda con cui si prospettano questioni relative all’esecuzione non ha natura di impugnazione, lo stesso non può essere detto per il reclamo avverso il provvedimento in materia di permesso premio, che all’evidenza ha natura di impugnazione, dando luogo ad un giudizio di controllo che non può che svolgersi sulla base di doglianze e censure specificamente prospettate. 6.2. È appena ora il caso di evidenziare che, sotto la vigenza del precedente codice di rito, la disposizione su un termine così breve per la proposizione del reclamo aveva, in ragione di quel sistema di impugnazioni, una incidenza negativa meno rilevante sulla posizione del soggetto che intendeva dolersi del provvedimento. In quel sistema, come è noto, l’impugnazione si proponeva con dichiarazione, nella quale si dovevano indicare soltanto il provvedimento impugnato, la data del medesimo, il giudice che lo aveva emesso e il procedimento al quale si riferiva - art. 197 - i termini di impugnazione, posti a pena di decadenza, erano calibrati sulla dichiarazione di impugnazione - art. 199 -, mentre i motivi di impugnazione, pur potendo essere enunciati nello stesso atto della dichiarazione, dovevano essere presentati per iscritto, a pena di decadenza, in un termine diverso e ampio di giorni venti a far data dalla comunicazione o notificazione dell’avviso di deposito del provvedimento - art. 201 -. È agevole rilevare che la previsione del termine di ventiquattro ore per la proposizione del reclamo consentiva, in misura maggiore rispetto all’attuale, un utile esercizio del diritto al reclamo, coordinandosi con un modello di impugnazione incentrato sulla diversificazione, anche e soprattutto d’ordine temporale, tra dichiarazione e motivi di impugnazione. 6.3. Il vigente codice di rito, non soltanto ha eliminato la distinzione tra dichiarazione e motivi, imponendo, a pena di inammissibilità, che entro l’unico termine di impugnazione siano proposti entrambi, ma da ultimo, in forza ella recente novella di cui alla L. n. 103 del 2017, ha aggravato gli oneri di specificità, che ora attengono oltre che all’articolazione dei motivi, alle richieste, anche istruttorie, alle indicazione delle prove delle quali si deduce l’inesistenza, l’omessa assunzione o l’omessa o erronea valutazione, all’indicazione dei capi o punti della decisione ai quali si riferisce l’impugnazione - art. 581 -. 6.4. Non può dunque essere condivisa la posizione reiteratamente espressa nella giurisprudenza di legittimità circa la manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale che ora si prospetta, in forza dell’assunto che il Tribunale adito deve comunque decidere, atteso il carattere giurisdizionale della procedura, nelle forme dell’udienza camerale nel cui ambito nulla impedisce il dispiegarsi di una difesa personale ovvero affidata ad un difensore di fiducia -Sez. 1, n. 13395 del 19/02/2013, Zanda, Rv. 255645 - e che, siccome il procedimento è regolato, per la particolarità della materia stessa, in modo da assicurare la massima speditezza con comunicazioni senza formalità e cadenze temporali ristrette , allora un termine di reclamo così ristretto è giustificabile, anche alla luce della considerazione che il carattere giurisdizionale della procedura non impone di per sé la pienezza del contraddittorio, conoscendo il sistema provvedimenti giurisdizionali emessi de plano - Sez. 1, n. 244 del 13/01/2000, Forcieri, Rv. 215202 -. Queste precedenti posizioni hanno trascurato dati di importanza centrale, e cioè che la semplificazione delle forme, per esigenze di speditezza, non può in ogni caso andare a detrimento del diritto delle parti di rappresentare compiutamente le proprie ragioni al giudice del controllo e che la possibilità di esplicarle nella fase del contraddittorio camerale è subordinata alla preliminare verifica di ammissibilità del reclamo. Se questo viene infatti dichiarato inammissibile per una affrettata articolazione dei motivi, le possibilità di recupero nel contraddittorio camerale restano del tutto vanificate. 6.5. Occorre poi considerare lo squilibrio che si realizza tra le opportunità di impugnazione riservate alla parte pubblica e al detenuto, rispetto al quale un termine di reclamo così ristretto comprime in misura irragionevolmente maggiore il diritto di difesa. Questi, per evitare il rischio di una pronuncia di inammissibilità, necessita dell’assistenza di un difensore, pur non imposta per legge, e però l’effettività dell’assistenza è fortemente compromessa dalla spiccata brevità del termine concesso per il reclamo. Da un lato il sistema consente all’interessato di richiedere l’intervento e l’assistenza della difesa tecnica, e dall’altro non pone le condizioni affinché questa facoltà possa pienamente esplicarsi. Per quanto sino ad ora argomentato il termine di ventiquattro ore per la proposizione del reclamo si rivela incapace di assicurare alla parte, che intenda dolersi della decisione, di un tempo utile per articolare i rilievi critici da sottoporre al Tribunale di sorveglianza. La norma non si sottrae così ad un fondato dubbio di incostituzionalità per violazione dell’art. 24 Cost., compromettendo le concrete ed effettive possibilità di difesa, e art. 111 Cost., per eccentricità rispetto al modello di giusto processo costituzionale, che impone tra l’altro condizioni di parità tra le parti di fronte al giudice. 7. Con la sentenza n. 235 del 1996 la Corte costituzionale dichiarò inammissibile la questione - che ora si ripropone - soprattutto perché rilevò l’impossibilità di rintracciare nell’ordinamento una conclusione costituzionalmente obbligata , tale da consentire alla stessa Corte di porre rimedio alla brevità del termine rideterminandolo essa stessa e per tale ragione auspicò un rapido intervento legislativo per la fissazione di un nuovo termine capace di contemperare la tutela del diritto di difesa con le ragioni di speditezza della procedura . Il monito della Corte costituzionale non ha avuto effetto e nel frattempo, però, il sistema di tutela si è evoluto con la piena giurisdizionalizzazione del reclamo avverso gli atti dell’Amministrazione penitenziaria asseritamente lesivi di diritti - art. 35 bis ord. pen. introdotto dal D.L. n. 146 del 2013, conv., con modif., in L. n. 10 del 2014 - e specificamente con la previsione di un termine di quindici giorni per la proposizione del reclamo contro la decisione del Magistrato di sorveglianza. La disposizione da ultimo citata può ora costituire un ben preciso punto di riferimento idoneo, nella prospettiva di una pronuncia additiva, ad evitare un vuoto di previsione colmabile soltanto attraverso un esercizio della discrezionalità legislativa - v., da ultimo, Corte Cost. n. 222 del 2018, secondo cui non è necessario che esista, nel sistema, un’unica soluzione costituzionalmente vincolata , potendo bastare che il sistema offra precisi punti di riferimento e soluzioni già esistenti per consentire alla Corte costituzionale di porre rimedio al deficit di tutela -. 8. Le considerazioni esposte impongono di dichiarare rilevante e non manifestamente infondata, con riferimento agli artt. 3, 24, 27 1 111 della Costituzione, la questione di legittimità costituzionale dell’art. 30 bis, comma 3, in relazione alla L. 26 luglio 1975, n. 354, art. 30 ter, comma 7, Ordinamento penitenziario , nella parte in cui prevede che il termine per proporre reclamo avverso il provvedimento del Magistrato di sorveglianza in tema di permesso premio è pari a 24 ore. A norma dalla L. 11 marzo 1953, n. 87, art. 23, deve essere dichiarata la sospensione del presente procedimento, con l’immediata trasmissione degli atti alla Corte costituzionale. La Cancelleria, infine, provvederà alla notifica di copia della presente ordinanza alle parti e al Presidente del Consiglio dei Ministri e alla comunicazione della stessa ai Presidenti della Camera dei Deputati e del Senato della Repubblica. P.Q.M. Visto la L. 11 marzo 1953, n. 87, art. 23, dichiara rilevante e non manifestamente infondata, con riferimento agli artt. 3, 24, 27 e 111 Cost., la questione di legittimità costituzionale dell’art. 30 bis, comma 3, in relazione alla L. 26 luglio 1975, n. 354, art. 30 ter, comma 7, Ordinamento penitenziario , nella parte in cui prevede che il termine per proporre reclamo avverso il provvedimento del Magistrato di sorveglianza in tema di permesso premio è pari a 24 ore. Sospende il presente procedimento. Manda alla cancelleria per gli adempimenti previsti dalla L. 11 marzo 1953, n. 87, art. 23, u.c