Quale sorte per gli atti compiuti da giudice poi ricusato ovvero che si sia astenuto?

Nel caso di dichiarazione di ricusazione, gli atti compiuti dal giudice ricusato diversi da quelli aventi natura probatoria” dispiegano ancora gli effetti propri, salva pur sempre la possibilità del nuovo giudice – nella pienezza dei poteri che senz’altro gli si deve attribuire – di assumere determinazioni diverse.

Gli Ermellini intervengono a chiarire e soprattutto a delimitare i principi, già affermati sul punto, dalle Sezioni Unite con la pronuncia n. 13626/2011 . Così con sentenza n. 44120/19 depositata il 29 ottobre. Gli effetti della ricusazione. Il comma 2 dell’art. 42 c.p.p. stabilisce che il giudice dell’astensione o della ricusazione identificato a norma degli artt. 36, comma 3, e 40 c.p.p. , nel momento in cui accoglie la relativa istanza, dichiara se e in quale parte gli atti compiuti precedentemente dal giudice astenutosi o ricusato conservano efficacia . Tuttavia, cosa accade se il presidente del Tribunale o della Corte, od il collegio investito della questione, omettano di provvedere in tale senso? Ed ancora può essere sindacabile la decisione, che il giudice della procedura incidentale di ricusazione abbia assunto senza un contraddittorio tra le parti? Le due questioni sono state rimesse alle Sezioni Unite, che con la pronuncia Digiacomantonio Cass., Sez. un., 16.12.2010 - dep. 5.4.2011 - n. 13626 hanno chiarito, sul primo quesito, che quando nessun provvedimento intervenga ad eccettuare gli atti dal regime generale di inefficacia, gli atti stessi dovranno appunto considerarsi privi di efficacia, esattamente nello stesso modo in cui dovrebbero considerarsi inefficaci se fossero dichiarati tali per esplicito. Quanto al secondo tema, le Sezioni Unite hanno affermato che la questione concernente l’inefficacia degli atti, dichiarati tali, può essere nuovamente discussa innanzi al giudice diversamente impersonato del procedimento principale. Gli Ermellini ricordano come al giudice spetti sempre, dopo la ripresa del giudizio, la valutazione, in contraddittorio con le parti, circa l’utilizzabilità degli atti dichiarati efficaci nella procedura incidentale di astensione o ricusazione soprattutto per quanto riguarda la lettura, ai sensi dell’art. 511 c.p.p., dei verbali di prove dichiarative assunte dal giudice poi sostituito siccome ricusato . Questo, nelle linee fondamentali, lo stato dell’arte su cui si inserisce la sentenza in commento. Il caso di specie. La pronuncia in esame trae origine da una vicenda piuttosto articolata. Il Tribunale di Palermo, in sede di appello de libertate , aveva confermato l’ordinanza del GUP del medesimo tribunale che aveva rigettato l’istanza di perdita di efficacia della misura cautelare depositata dai difensori di un imputato. L’istanza di perdita di efficacia della misura si fondava sul rilievo che fossero scaduti i termini massimi di custodia cautelare siccome doveva ritenersi inefficace il provvedimento con cui il GUP aveva sospeso i termini di custodia ai sensi dell’art. 304, comma 2, c.p.p L’inefficacia di detto ultimo provvedimento trovava la sua scaturigine, secondo l’assunto dei difensori dell’imputato, nel fatto che fosse stato adottato da GUP nei confronti del quale era stata presentata istanza di ricusazione, che, rigettata in primo grado, aveva trovato accoglimento in un annullamento con rinvio da parte della Cassazione, che aveva poi indotto il GUP ad astenersi da quel processo. Secondo la difesa dell’imputato, la sentenza a Sezioni Unite 13626 del 2011 afferma il principio della sanzione generalizzata della inefficacia degli atti compiuti da giudice poi oggetto di una dichiarazione di ricusazione, fatta salva la possibilità di una nuova valutazione dei soli atti a contenuto probatorio, da parte del giudice sopravvenuto, in contraddittorio con le parti. Se fosse vero il principio affermato dal ricorrente nel proprio atto di impugnazione, la proroga del termine sarebbe irrimediabilmente inefficace, con conseguente decorso, ora per allora, del termine massimo di custodia, e conseguente diritto dell’imputato a vedere dichiarata la perdita di efficacia della misura cautelare personale a suo carico. La decisione degli Ermellini. Al fine di risolvere il quesito proposto, la Cassazione risale alle motivazioni sottostante la disciplina dell’astensione e della ricusazione. Osservano sul punto come l’incompatibilità per il giudice non derivi dall’aver deciso sulla libertà di un imputato e dal dover tornare a decidere sul punto, quanto dall’aver assunto un qualsiasi atto, ad eccezione di quelli correlati all’incidente probatorio, ed essere poi chiamato a decidere sul non luogo a procedere o sul rinvio a giudizio ovvero sulla responsabilità in caso di rito alternativo dell’imputato. Vero questo presupposto – continua la Cassazione – non si vede per quale motivo un atto che non incida in alcun modo sul materiale utilizzabile ai fini della decisione debba veder preclusa la possibilità di esplicare i propri effetti solo perché adottato da giudice poi ricusato. La ratio delle norme in tema di ricusazione e astensione, infatti, altra non è se non quella di scongiurare il difetto di terzietà del giudice e garantirne l’imparzialità. Ciò premesso vero è, osservano gli Ermellini, che la sezioni Unite hanno statuito che in assenza di una espressa dichiarazione di conservazione di efficacia degli atti nel provvedimento che accoglie la dichiarazione di astensione o di ricusazione, gli atti compiuti in precedenza dal giudice astenuto o ricusato debbano considerarsi inefficaci , apparentemente senza distinzioni possibili sulla base della tipologia degli atti o della finalità o del contenuto degli stessi. Tuttavia, è altrettanto vero che detto principio di diritto – come già affermato in un recente precedente giurisprudenziale – deve ritenersi riferito ai soli atti a contenuto probatorio, anche alla luce della giurisprudenza costituzionale che osserva che la valenza dell’art. 42, comma 2, c.p.p. è quella di delimitare l’area del possibile recupero della attività istruttoria già espletata. Ne deriva la conseguenza che gli atti, compiuti dal giudice ricusato, diversi da quelli aventi natura probatoria” dispiegano ancora gli effetti propri, salva pur sempre la possibilità per il nuovo giudice – nella pienezza dei poteri che senz’altro gli si deve attribuire – di assumere determinazioni diverse. Poiché, evidentemente, la proroga dei termini massimi di custodia è atto privo di alcuna natura probatoria, detta proroga, seppur disposta da giudice poi ricusato, conserva integralmente i propri effetti, con conseguente legittimità della ordinanza del Tribunale della Libertà che aveva rigettato la richiesta di perdita di efficacia della misura cautelare per scadenza termini.

Corte di Cassazione, sez. I Penale, sentenza 9 maggio – 29 ottobre 2019, n. 44120 Presidente Zaza – Relatore Mincheli Ritenuto in fatto 1. Con l’ordinanza indicata in epigrafe, il Tribunale di Palermo rigettava un atto di appello presentato nell’interesse di D.F.G.M. avverso un precedente provvedimento del Gup dello stesso Tribunale, del 18/12/2018, in forza del quale era stata respinta una istanza di declaratoria di inefficacia della misura della custodia cautelare in carcere disposta a carico dell’appellante per addebiti ex artt. 416-bis, 629 c.p. e D.L. n. 152 del 1991, art. 7. In particolare, l’ordinanza restrittiva genetica era stata emessa dal Gip del Tribunale di Palermo in data 17/07/2017 concluse le indagini preliminari, il Procuratore della Repubblica aveva esercitato l’azione penale con richiesta di rinvio a giudizio, formulata a carico del D.F. e di numerosi altri soggetti, e ne era derivata la fissazione dell’udienza preliminare con decreto del Gup Dott. N. del 10/05/2018. Lo stesso magistrato, il 28/06/2018, aveva rigettato una richiesta di giudizio abbreviato condizionato ad integrazioni probatorie, presentata nell’interesse di alcuni imputati fra cui il D.F. , per poi ammettere - il 04/07/2018 - il rito abbreviato c.d. puro nei confronti di chi, anche all’esito del rigetto appena ricordato, ne aveva fatto istanza come, ancora una volta, il predetto D.F. . Nel successivo mese di ottobre, il Gup aveva altresì sospeso i termini massimi di custodia cautelare, con ordinanza adottata ex art. 304 c.p.p., comma 2. Nel frattempo, già il 18 luglio, la Corte di appello di Palermo si era pronunciata - rigettandola - su una dichiarazione di ricusazione avanzata nei riguardi del Dott. N. , che la difesa aveva considerato incompatibile per avere emesso precedenti provvedimenti in tema di intercettazioni, nell’esercizio delle funzioni di giudice per le indagini preliminari la Seconda Sezione penale di questa Corte, con sentenza del 28/11/2018, aveva tuttavia annullato l’ordinanza della Corte territoriale, affermando il principio di diritto secondo cui non può tenere l’udienza preliminare il giudice che, nel medesimo procedimento, in funzione di giudice per le indagini preliminari, abbia emesso alcuni decreti di proroga delle intercettazioni telefoniche in corso, rientrando detta ipotesi nei casi di incompatibilità previsti dall’art. 34 c.p.p., comma 2-bis, e non nelle fattispecie elencate ai commi 2-ter e 2-quater dello stesso articolo . Conseguentemente, il Dott. N. aveva formalizzato la propria astensione, con riassegnazione del processo - l’11/12/2018 - ad altro magistrato. La difesa del D.F. , a quel punto, instava per la scarcerazione del proprio assistito ritenendo che i termini di restrizione previsti ex lege per la fase delle indagini preliminari fossero ormai decorsi il 13 dicembre la richiesta per la declaratoria della perdita di efficacia della misura veniva avanzata il giorno seguente ciò sul presupposto che dovessero ritenersi improduttivi di effetti tutti gli atti compiuti dal giudice ricusato, ivi compresi quelli incidenti sui termini de quibus come le ordinanze emesse ai sensi dell’art. 438 c.p.p., comma 4, o art. 304 c.p.p., comma 2. Il giudice procedente, con interpretazione poi condivisa dal Tribunale, riteneva invece che la dedotta inefficacia potesse riguardare soltanto gli atti a contenuto probatorio, come chiarito dalla giurisprudenza delle Sezioni Unite di questa Corte, dovendosi nel contempo escludere che a seguito dell’annullamento senza rinvio dell’ordinanza in tema di ricusazione, ovvero della designazione del nuovo Gup, si fosse verificata una ipotesi di regressione del procedimento alla fase delle indagini. 2. Avverso l’ordinanza emessa ex art. 310 c.p.p. propongono ricorso i difensori del D.F. , che - lamentando la violazione degli artt. 42 e 303 c.p.p. - ribadiscono l’approccio esegetico cui i giudici di merito non hanno inteso aderire. Nell’interesse del ricorrente si evidenzia che, se è pacifico che il giudice non possa compiere atti di sorta dopo l’accoglimento di una dichiarazione di ricusazione, con conseguente sanzione di generalizzata inefficacia degli atti posteriori, il problema si pone con riguardo a quelli già assunti e, mentre un risalente indirizzo sposava la tesi di una presunzione di efficacia in mancanza di diverse ed espresse indicazioni, da desumere dal provvedimento che decide sulla ricusazione , la sentenza n. 13626/2011 delle Sezioni Unite esprime invece la regola opposta, con l’ulteriore precisazione che l’efficacia o meno degli atti pregressi può essere suscettibile di valutazione in contraddittorio. La stessa sentenza, inoltre, si sofferma sulla nozione di atti a contenuto probatorio, per i quali - giacché in grado di produrre effetti giuridici - si rende concretamente necessaria una verifica circa la legittima possibilità che vengano mantenuti nel fascicolo per il dibattimento ne deriva, secondo la tesi difensiva, che - è il massimo organo di nomofilachia a chiarire che il problema riguarda l’utilizzabilità di un atto nella fisiologica sede dibattimentale, senza che rilevino effetti giuridici di natura differente, come quelli da correlare ai provvedimenti de libertate od interruttivi di termini di restrizione - così inquadrata e delimitata la portata della questione, deve concludersi che, tra gli atti già compiuti da un giudice ricusato, solo per quelli a contenuto probatorio dovrà procedersi ad una valutazione nel contraddittorio delle parti, al fine di selezionare gli atti suscettibili di mantenere efficacia, mentre per tutti gli altri dovrà valere la regola della inefficacia tout court. La soluzione descritta non è posta in dubbio dal disposto del D.L. n. 553 del 1996, art. 1, comma 3, ove si dispone che il giudizio rimanga sospeso fino a quando non pervenga dinanzi al nuovo magistrato assegnatario , trattandosi di previsione espressamente riferita al dibattimento soprattutto, ove calibrata al caso oggi in esame, è coerente al dato formale che vuole un giudice dell’udienza preliminare, per cui rilevi una incompatibilità funzionale derivante dall’avere emesso atti peculiari nella veste di giudice per le indagini preliminari, non legittimato in radice a compiere attività processuale, sia o meno a contenuto probatorio. Considerato in diritto 1. Il ricorso non può trovare accoglimento. Come evidenziato illustrando i motivi di impugnazione, la tesi difensiva è che - anche all’esito della più volte citata sentenza Di Giacomantonio delle Sezioni Unite di questa Corte - il quadro di riferimento normativo impone che gli atti già compiuti da un giudice ricusato non possano mantenere efficacia, in difetto di una esplicita indicazione in senso diverso nel provvedimento che abbia accolto la dichiarazione di ricusazione. Va comunque ribadito che, come meglio si vedrà tra breve, la medesima sentenza consente anche al giudice della cognizione, subentrato al magistrato trovatosi in una situazione di incompatibilità, di incidere sulla possibilità che un atto emesso da quest’ultimo rimanga efficace ma si tratta di un intervento - da compiersi nel contraddittorio delle parti - limitato agli atti aventi contenuto probatorio. Per tutti gli altri, invece, l’interpretazione suggerita nell’interesse del ricorrente porta alla conclusione che debba valere la regola della inefficacia tout court. In vero, se ci si muove dal presupposto che un atto a contenuto probatorio può avere una connotazione decisoria solo parziale e non sempre valutativa, potrebbe sembrare del tutto logico pervenire alla conclusione che gli atti pienamente decisori - ma privi di portata concreta sul materiale da utilizzare ai fini del giudizio - già compiuti dal magistrato ricusato non producano effetti di sorta, potendo quella decisione essere sospettata di parzialità rilievo che, se appare di valenza neutra per atti squisitamente ricognitivi di presupposti formali come nel caso di un’ordinanza ammissiva di rito abbreviato non condizionato , può assumere maggiore evidenza al cospetto di provvedimenti espressivi di discrezionalità si pensi ad ordinanze che dispongano la sospensione dei termini di custodia cautelare in procedimenti di elevata complessità, o che decidano su richieste di giudizio abbreviato subordinate ad integrazioni istruttorie . D’altro canto, però, se la ratio delle norme processuali in tema di astensione o ricusazione è quella di scongiurare un difetto di terzietà del giudice, garantendone dunque l’imparzialità, sarebbe irragionevole che l’ordinamento consentisse di superare il rischio di decisioni parziali - proprio perché adottate dal giudice ricusato - solo per gli atti sulla prova, direttamente incidenti sulla valutazione della regiudicanda e dunque di portata maggiormente condizionante sull’esito del processo, e non invece per atti che - seppure potenzialmente indicativi di un pregiudizio - non incidano sul materiale probatorio. In altre parole, se la regola deve intendersi quella di una generalizzata inefficacia, perché un atto a contenuto probatorio del giudice ricusato in ipotesi, determinante nella selezione del materiale da utilizzare al momento cruciale della decisione si dovrebbe poter salvare, come le Sezioni Unite indubbiamente consentono, e dovrebbe invece essere travolto un provvedimento de libertate, che giammai vincolerebbe il nuovo giudice? Tanto premesso, e passando alla disamina della fattispecie concreta, ad avviso della Corte risulta indispensabile considerare che il presupposto dell’incompatibilità funzionale, in casi come quello oggi sub judice, si fonda sul rilievo che il Gup designato abbia precedentemente assunto atti nella veste di Gip presupposto derogabile, non essendo valido nelle ipotesi di atti compiuti in occasione di un incidente probatorio ciò indipendentemente dalla circostanza se gli atti in questione abbiano o meno inciso sulla libertà di comunicazione, o personale stricto sensu dell’imputato. Infatti, anche un provvedimento sostanzialmente interlocutorio come un decreto di proroga del termine di durata delle indagini preliminari comporta la successiva incompatibilità del magistrato a svolgere la funzione di Gup mentre, per converso, adottare una decisione de libertate non determina ex se l’impossibilità che quel magistrato presieda all’esito definitivo del giudizio, visto che una richiesta di revoca o sostituzione di misure in atto ben può essere presentata a e deve essere valutata da chi sta tenendo l’udienza preliminare e/o nel corso di un rito abbreviato già ammesso dallo stesso decidente. Ergo, l’incompatibilità di un Gup non deriva dall’aver deciso sulla libertà di un imputato e dal dover tornare a decidere sul punto, vuoi direttamente come può accadere con ordinanze ex artt. 299 o 304 c.p.p. vuoi con atti che presentino riflessi sul permanere o sul venir meno di uno stato di restrizione ad esempio, ammettendo un giudizio abbreviato deriva invece dall’avere assunto un qualsiasi atto, tranne quelli correlati ad un incidente probatorio, nell’esercizio delle funzioni di Gip, ed essere poi chiamati a decidere sul non luogo a procedere o sul rinvio a giudizio ovvero, a fortiori, sulla responsabilità dell’imputato. Ma se questo è vero, e senz’altro lo è, non si vede perché ad un atto che non incida sul materiale utilizzabile ai fini della decisione debba essere precluso di dispiegare i propri diversi effetti. L’interpretazione più rigorosa sembra suggerita da una recente pronuncia di questa Corte Cass., Sez. 6^, n. 10160 del 18/02/2015, Boschetti relativa però ad una vicenda affatto peculiare un soggetto aveva presentato opposizione avverso una richiesta di archiviazione avanzata dal P.M., ed il Gip aveva fissato l’udienza camerale per la valutazione in contraddittorio in seguito, la stessa persona offesa aveva sollecitato l’astensione del giudice, che si era determinato in conformità. A quel punto, il nuovo magistrato assegnatario del procedimento aveva deciso sulla richiesta di archiviazione con decreto de plano, reputando inammissibile l’opposizione spiegata, senza revocare il provvedimento di fissazione dell’udienza. In motivazione, la Sesta Sezione penale chiarisce che deve escludersi che, in assenza di specifico salvataggio, pronunciato dall’autorità che accoglie l’istanza di astensione, dei provvedimenti emessi in precedenza dal giudice astenuto, il nuovo giudice designato sia vincolato alle determinazioni assunte dal collega titolare del procedimento in precedenza, sviluppandosi la cognizione nella pienezza dei suoi poteri, in assenza di vincolo derivante dalle precedenti determinazioni . In vero, la pregiudiziale salvezza dei provvedimenti assunti in precedenza si pone in diretta contraddizione con l’accertamento della causa di astensione, poiché garantirebbe la persistenza di atti emessi da giudice la cui imparzialità è posta in dubbio, sicché tali provvedimenti, ove non espressamente convalidati dal giudice che valuta la richiesta di astensione, devono considerarsi inefficaci sul punto, la pronuncia richiamata cita espressamente la sentenza Di Giacomantonio delle Sezioni Unite . In vero, il principio di diritto affermato dalla sentenza Di Giacomantonio, risolvendo il contrasto che aveva determinato la rimessione ex art. 618 c.p.p., è nel senso che in assenza di una espressa dichiarazione di conservazione di efficacia degli atti nel provvedimento che accoglie la dichiarazione di astensione o di ricusazione, gli atti compiuti in precedenza dal giudice astenutosi o ricusato debbono considerarsi inefficaci . Principio che, come parrebbe aver recepito la ricordata sentenza Boschetti, sembra in effetti tranchant, senza possibilità di ricavarne distinzioni fra tipologia di atti, a seconda della finalità o del contenuto degli stessi. Tuttavia, una successiva decisione di questa stessa Sezione Cass., Sez. V, n. 34811 del 15/06/2016, Lo Giudice , posteriore alla sentenza Boschetti e puntualmente richiamata nell’ordinanza oggetto dell’odierno ricorso, ha già diffusamente illustrato perché, in realtà, quel principio di diritto non possa che intendersi riferito ai soli atti a contenuto probatorio un’illustrazione alla quale il collegio non può che rimandare, essendo stata effettuata, peraltro, riportando per ampi stralci alcuni passaggi della motivazione della pronuncia delle Sezioni Unite mentre la sentenza Boschetti, anche per l’anzidetta peculiarità di quella fattispecie, si era limitata a sintetizzarne la massima . A tale approccio esegetico, cui deve prestarsi completa adesione senza che si renda necessaria una nuova rimessione ex art. 618 c.p.p., può aggiungersi che - già la Corte Costituzionale con l’ordinanza n. 25 del 2010, a sua volta segnalata nella pronuncia delle Sezioni Unite aveva stabilito come la valenza dell’art. 42 c.p.p., comma 2, fosse quella di delimitare l’area del possibile recupero dell’attività istruttoria già espletata - lo sviluppo motivazionale della sentenza Di Giacomantonio chiarisce, contrariamente a quanto sostenuto dalla difesa del ricorrente, che l’esame del massimo organo di nomofilachia era sì limitato allo specifico tema del destino da riservare agli atti destinati a produrre effetti giuridici ai fini dell’individuazione del materiale su cui fondare la decisione, ma con il risultato di offrire una lettura complessiva della portata del capoverso del citato art. 42 c.p.p A tacer d’altro, infatti, nello spiegare perché il codice di rito riservi al giudice demandato a valutare una dichiarazione di astensione o di ricusazione il compito di selezionare gli atti che debbono conservare efficacia, la sentenza de qua sottolinea apertis verbis che è proprio quel giudice che conosce i profili di incompatibilità del giudice astenutosi, e che può quindi valutare con precisione gli effetti di tale rilevata incompatibilità sugli atti di natura probatoria assunti in precedenza - coerentemente, al principio di diritto sopra riportato le Sezioni Unite aggiungono il dictum secondo cui la dichiarazione di inefficacia degli atti può essere sindacata, nel contraddittorio tra le parti, dal giudice della cognizione, con conseguente eventuale utilizzazione degli atti medesimi . All’ufficio cui è rimessa la valutazione sui presupposti di una dichiarazione di ricusazione, in definitiva, si chiede di verificare se e quali atti di natura probatoria possano essere stati condizionati da un approccio non imparziale alla regiudicanda da parte del primo giudice ed il giudice che a questo subentri potrà anche rivedere gli esiti della verifica anzidetta, pervenendo - sentite le parti ad attribuire una possibilità di utilizzazione ad atti inizialmente espunti. E non è chi non veda come le nozioni stesse di utilizzazione od utilizzabilità di un atto processuale siano immanenti alla destinazione dell’atto medesimo a fini di prova. Se ne ricava la conferma, pertanto, che gli atti diversi da quelli evidenziati dispiegano ancora gli effetti propri, salva pur sempre la possibilità del nuovo giudice - nella pienezza dei poteri che senz’altro gli si deve attribuire - di assumere determinazioni diverse si pensi al caso di una richiesta di giudizio abbreviato subordinato ad integrazioni istruttorie, che il primo giudice abbia rigettato e che, al contrario, il nuovo assegnatario reputi rituale ed accoglibile. Un problema, quello appena segnalato, che ai fini della presente disamina non può comportare rilievi di sorta ad esempio, in punto di individuazione della nuova decorrenza dei termini di custodia cautelare , visto che l’odierno ricorrente - alla richiesta di rito abbreviato condizionato disattesa dal giudice ricusato fece poi seguire una istanza ex art. 438 c.p.p., comma 1, sulla cui ammissione, ai sensi del successivo comma 4, nè il primo giudice nè quello subentrato potevano avere margini di discrezionalità. 2. Il rigetto del ricorso comporta la condanna del D.F. al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità. Dal momento che alla presente decisione non consegue la rimessione in libertà del ricorrente, dovranno essere curati dalla Cancelleria gli adempimenti di cui al dispositivo. P.Q.M. Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali. Manda alla Cancelleria per gli adempimenti di cui all’art. 94 disp. att. c.p.p., comma 1-ter.