Atti di indagine compiuti dopo il termine in procedimenti diversi: quid iuris?

In sintonia con il principio di non dispersione dei mezzi di prova e delle misure investigative, è possibile utilizzare, anche dopo la scadenza dei termini delle indagini preliminari, atti di indagine purché ritualmente compiuti nell’ambito di un diverso procedimento penale.

Così la Cassazione con sentenza n. 43960/219, depositata il 29 ottobre. Il caso. L’indagato ha proposto ricorso avverso l’ordinanza con cui il Tribunale del riesame ha rigettato la richiesta di riesame dell’ordinanza del giudice per le indagini preliminari che aveva applicato nei suoi confronti la misura della custodia cautelare in carcere per il reato di associazione a delinquere di stampo mafioso, utilizzando atti investigativi successivi al termine delle indagini preliminari. Il registro delle notizie di reato. Le disposizioni di attuazioni del codice di rito prevedono che la segreteria della procura della Repubblica debba annotare, sugli atti che possono contenere la notizia di reato, la data e l’ora in cui sono pervenuti in ufficio, sottoponendoli immediatamente al procuratore della Repubblica per l’eventuale iscrizione nel registro delle notizie di reato. Nel registro delle notizie di reato sono iscritte immediatamente le notizie di reato che pervengono al Pubblico Ministero o che egli acquisisce di propria iniziativa è altresì annotato, contestualmente o successivamente, il nome della persona alla quale il reato è attribuito. Se ne corso delle indagini preliminari muta la qualificazione giuridica del fatto originariamente individuata, oppure il reato risulta diversamente circostanziato, il pubblico ministero cura l’aggiornamento delle iscrizioni senza procedere a nuove iscrizioni. Il legame con i termini di durata delle indagini preliminari. Il termine di durata delle indagini è collegato strettamente all’iscrizione nel registro delle notizie di reato infatti, è previsto che il termine decorre dalla data in cui il nome della persona alla quale è attribuito il reato è iscritto nel registro suddetto. Tale termine, come noto, è prorogabile in presenza di determinate condizioni e secondo una specifica procedura. Gli obblighi del Pubblico Ministero Le Sezioni Unite della corte di Cassazione hanno chiarito che sul Pubblico Ministero incombe l’obbligo di iscrivere la notizia di reato nel registro, senza spazi di discrezionalità, nel momento in cui riscontri la corrispondenza di un fatto di cui abbia avuto notizia ad una fattispecie criminosa. Parimenti, deve annotare con tempestività il nome del soggetto a cui è ascritto il reato, quando vi siano elementi obiettivi di identificazione del medesimo. tra fatti nuovi e aggiornamenti. Nel caso di iscrizione di nuovi fatti di reato, il termine per le indagini preliminari decorre in modo autonomo per ciascuna iscrizione quando invece si tratta di un aggiornamento” della notizia originaria, in relazione al nomen iuris e agli elementi circostanziali, il termine decorre dalla prima annotazione. Uno stesso fatto non può dunque essere iscritto sul registro delle notizie di reato se vi è già un’iscrizione al riguardo e, quindi, ne è interdetta la nuova iscrizione. Il pubblico ministero, infatti, può procedere ad una nuova iscrizione nel caso in cui, proseguendo le indagini, emerga un fatto storico-naturalistico diverso, anche se non necessariamente ulteriore rispetto a quello già iscritto, come nel caso in cui risulti così trasfigurato nei suoi elementi costitutivi rispetto a quello oggetto dell’iscrizione originaria, da non poter non essere ritenuto altro”. Proroga delle indagini e non nuova iscrizione. La Corte ha cura di chiarire che non è operando una nuova iscrizione che si può dilatare il termine per le indagini, bensì solo utilizzando la disposizione che ne consente, a determinate condizioni e secondo determinati limiti, la proroga. Una nuova iscrizione in tali circostanze, infatti, costituisce una via per eludere le norme in tema di termini delle indagini preliminari, termini in cui le indagini non sono comunicate all’interessato e non vi è alcun filtro giurisdizionale a tutela delle garanzie difensive. Inutilizzabilità delle indagini. Ne consegue che le indagini effettuate successivamente alla scadenza del termine di cui all’iscrizione originaria sono inutilizzabili se effettuate avvalendosi di una nuova iscrizione elusiva di quanto sopra chiarito. Nel caso concreto, il tribunale del riesame ha ritenuto che gli atti di indagini erano relativi ad altri procedimenti penali, concludendo che la diversità del procedimento nel quale erano stati compiuti ne determinasse la piena utilizzabilità. La Corte in proposito chiarisce che gli elementi acquisiti dopo la scadenza dei termini possono essere utilizzati a fini cautelari solo se acquisiti nel corso di indagini estranee ai fatti oggetto del procedimento i cui termini siano scaduti, oppure se provenienti da altri procedimenti relativi a fatti di reato oggettivamente e soggettivamente diversi nondimeno, ai fini di tale utilizzabilità è necessario che tali risultanze non siano il risultato di indagini finalizzate alla verifica e all’approfondimento degli elementi emersi nel corso del procedimento penale i cui termini sono scaduti. È invece necessario che i fatti di reato che costituiscono il contenuto dei diversi procedimenti debbano anche essere oggettivamente e soggettivamente diversi e che le risultanze acquisite non siano il risultato di indagini finalizzate alla verifica e all’approfondimento degli elementi emersi nel corso del procedimento i cui termini sono scaduti. Nel caso in esame, secondo la Corte, la motivazione del provvedimento è contraddittoria perché, da un lato, constata stralci effettuati senza giustificazione, con conseguente indebita duplicazione dell’iscrizione della notizia di reato uguale a quella originaria, dall’altro, deduce l’utilizzabilità degli atti compiuti successivamente alla scadenza sulla base del dato formale della provenienza da fascicoli solo formalmente differenti. Per tali motivi, l’ordinanza è stata annullata con rinvio.

Corte di Cassazione, sez. I Penale, sentenza 27 settembre – 29 ottobre 2019, n. 43960 Presidente Casa – Relatore Minchella Ritenuto in fatto 1. Con ordinanza in data 19/04/2019 il Tribunale del Riesame di Palermo rigettava la richiesta di riesame avanzata da M.B. avverso l’ordinanza 20/03/2019 del GIP del Tribunale di Palermo che aveva applicato nei suoi confronti la custodia cautelare in carcere per l’incolpazione di avere fatto parte di omissis famiglia di omissis , ma a disposizione anche della famiglia di e di omissis dal 2013 al 2015. Si legge in ordinanza che gli atti di indagine a carico del M. successivi al 21/11/2015 erano utilizzabili in effetti, il procedimento odierno era stato iscritto per l’art. 416 bis c.p. nel 2013 e le successive proroghe del GIP giungevano appunto al 21/11/2015, ma il procedimento era poi confluito in altri procedimenti iscritti per differenti reati estorsione ed altro , per cui, a prescindere da uno stralcio operato dal P.M. senza necessità che si mostrava però irrilevante, gli atti di indagine a carico del M. successivi alla data predetta provenivano da altri procedimenti penali iscritti per altri reati o a carico di altri soggetti e, in questi casi, il principio di non dispersione dei mezzi di prova era stato più volte affermato in giurisprudenza del resto, il compendio indiziario era costituito da intercettazioni comunque anteriori al 21/11/2015 e da dichiarazioni collaborative rese in altri procedimenti e quindi utilizzabili. Nel merito, le indagini avevano dimostrato la vitalità di omissis , la sua articolazione territoriale in mandamenti e famiglie, il ricorso sistematico all’intimidazione, le infiltrazioni economiche e la conseguente omertà diversi collaboranti M.S. , G.S. e P.A. lo avevano indicato come un imprenditore originario del quartiere di omissis e vicino anche al capo del Mandamento di omissis , B.G. , al quale faceva pervenire del denaro in definitiva, ne usciva il quadro di un uomo d’onore , sia pure con qualche discrasia sulla famiglia di appartenenza. Così, in sede di diversi interrogatori, il collaboratore di giustizia G.S. già reggente della famiglia di omissis , inserita nel mandamento retto da B.G. aveva indicato il M. come soggetto vicino al B. ed inserito nel settore delle estorsioni nel senso che egli individuava le ditte da sottoporre a pretese estorsive in e in omissis nonché con molti rapporti con la famiglia di , e quindi personaggio influente e ben addentro alle dinamiche mafiose anzi, era stato proprio lui ad organizzare un incontro tra il G. , C.T. reggente di omissis e D.M.A. , esponente della famiglia di , al fine di dirimere una questione territoriale relativa all’apertura di un distributore di benzina il M. veniva descritto come il titolare di una ditta di movimento terra che si era posto a disposizione di omissis e che ne riceveva commesse lavorative, dando poi in cambio parte dei proventi al B. . Così, anche il collaborante M.S. reggente sino al 2017 del mandamento di omissis riferiva di avere conosciuto il M. nel corso di una riunione tra capi-mandamento, cui partecipavano il M. appunto, il B. per omissis - omissis e C.P. per omissis il M. sottolineava che già l’essere presente alla riunione sanciva l’influenza del M. , il quale si occupava di curare alcune estorsioni a imprese edili e di tenere i rapporti con la famiglia di facendo da intermediario per la risoluzione di controversie nonché coadiuvava lo stesso B. . Inoltre il collaboratore di giustizia B.F. aveva confermato che il M. gli era stato presentato come uomo d’onore della famiglia mafiosa di Uditore, proprio in una riunione tra esponenti di rilievo di varie famiglie. Anche il collaborante P.A. rammentava che il M. gli era stato presentato come uomo d’onore della famiglia di Uditore e che la presentazione era avvenuta nel carcere di Palermo-Pagliarelli alla presenza di altri esponenti mafiosi e che gli era stato spiegato che S.M. , durante la sua reggenza, lo aveva fatto uomo d’onore egli aveva spiegato che Uditore era una famiglia che componeva la zona di omissis . L’ordinanza osservava che la documentazione relativa alle detenzioni dei soggetti mafiosi menzionati dal P. trovava riscontro nelle risultanze sulle detenzioni comuni che, in una intercettazione tra A.S. e V.G. , il M. veniva definito come il soggetto che comandava sulla via omissis che conduceva al quartiere OMISSIS che, in una conversazione tra M.S. e M.D. , il M. era definito come il referente dei S. che alcuni servizi di osservazione ne avevano attestato la frequentazione con soggetti di interesse investigativo nei periodi indicati dai collaboranti e l’intenso contatto telefonico con esponenti della famiglia di . Alla stregua di questi atti, il Tribunale concludeva che le dichiarazioni collaborative si riscontravano, erano attendibili intrinsecamente ed avevano riportato molti particolari del resto, era stato indicato concordemente come uomo d’onore e, seppure non era stata esattamente precisata la sua appartenenza, ciò poteva dipendere dalla molteplicità dei suoi rapporti con esponenti mafiosi di più territori in ogni caso era risultato come formalmente affiliato e come tale riconosciuto anche in carcere erano parimenti emersi il suo coinvolgimento in attività estorsive ed un ruolo di collegamento tra più clan inoltre, questa sua versatilità di rapporti poteva anche derivare dall’essere un uomo d’onore della famiglia di , che tradizionalmente era autonoma rispetto ad altre famiglie. Osservava il Tribunale che le contraddizioni dedotte dalla difesa del M. erano state tutte risolte nel corso di vari interrogatori e che, con riferimento al collaborante G. , il fatto che egli non avesse ottenuto la circostanza attenuante della collaborazione nel processo Apocalisse non significava la sua inattendibilità per i fatti del presente procedimento, anche perché le diverse propalazioni avevano trovato conferme in atti di indagine che attestavano frequentazioni con soggetti mafiosi che non avevano trovato altra spiegazione così, l’investitura della qualifica di uomo d’onore , la commissione di atti estorsivi e l’affiliazione rituale disegnavano un ruolo dinamico e funzionale che sostanziava la partecipazione ad una associazione mafiosa del resto, non era spiegabile in modo diverso la sua partecipazione a riunioni mafiose di vertice, la sua conoscenza della dinamiche mafiose, la sua disponibilità verso la cosca, il suo ruolo di raccordo. La presunzione di legge circa le esigenze cautelari non era superata da nessun elemento del resto, l’indagato appariva stabilmente inserito in una consorteria e ciò rendeva concreto il pericolo di intimidazione su chi poteva riferire e di nuove azioni illecite. 2. Avverso detta ordinanza propone ricorso l’interessato a mezzo del difensore, Avv. Tommaso De Lisi. 2.1. Con il primo motivo deduce, ex art. 606 c.p.p., comma 1 lett. c ed e , inosservanza di norme e manifesta illogicità di motivazione sostiene che lo stesso Tribunale del Riesame aveva attestato che la scadenza delle indagini preliminari era quella del di 21/11/2015, che segnava anche il limite di utilizzabilità degli atti investigativi relativi al delitto di cui all’iscrizione nel registro degli indagati nonostante ciò, il Tribunale aveva ritenuto l’utilizzabilità di dichiarazioni collaborative che, sebbene compiute nell’ambito di altri procedimenti, erano state assunte circa tre anni dopo la scadenza delle indagini, mentre esse avrebbero dovuto essere state effettuate comunque prima della scadenza del termine delle indagini, anche se assunte in altri procedimenti peraltro, i diversi procedimenti avevano sostanzialmente analogo oggetto e cioè il delitto di cui all’art. 416 bis c.p. e quelle dichiarazioni collaborative erano finalizzate alla verifica e all’approfondimento di elementi emersi nel procedimento a quel punto ormai scaduto, all’esito del quale il P.M. non aveva assunto nessuna iniziativa ed ancora, le dichiarazioni del collaborante G. erano comunque successive alla scadenza delle indagini e rese nell’ambito dell’originario procedimento, ma su ciò il Tribunale del Riesame aveva sostenuto che anche senza di esse il compendio indiziario sarebbe stato sufficiente, senza però indicarlo e richiamando in modo generico l’ordinanza genetica. 2.2. Con il secondo motivo deduce, ex art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b ed e , erronea applicazione di legge e manifesta illogicità della motivazione lamenta che l’ordinanza impugnata aveva ammesso la sussistenza di imprecisioni, superandole con mere congetture sulla versatile appartenenza del ricorrente ad un determinato clan o con una valutazione frazionata delle dichiarazioni che però risultava apodittica e priva di maggiore approfondimento, tanto che la concreta condotta del ricorrente risultava priva di elementi individualizzanti infatti, almeno tre collaboranti indicavano il ricorrente come affiliato a tre differenti clan e non era affatto chiaro se aveva ricevuto una determinata qualifica o meno, anche perché erano mancate congrue considerazioni sulla inesistenza di veri riscontri e sulla impossibilità di incontri in un carcere di alta sicurezza. 3. In udienza le parti hanno concluso come indicato in epigrafe. Considerato in diritto 1. Il primo motivo di ricorso è fondato, nei termini di seguito precisati. Dall’esame degli atti - esaminati da questa Corte che, con riguardo alle questioni procedurali di nullità, è giudice anche del fatto - risulta che, senza dubbio, la prima iscrizione del procedimento a carico del ricorrente era il N 10652/13 avvenuta in data 21/11/2013 per l’art. 416 bis c.p. indicato come commesso in epoca anteriore e prossima al 19/11/2013 e tuttora in corso Parimenti non vi è dubbio e lo afferma anche il Tribunale del Riesame che la scadenza delle indagini preliminari era la data del di 21/11/2015. In seguito, in data 30/11/2017 è stata eseguita l’iscrizione del ricorrente al N 4825/15 per il reato di cui all’art. 629 c.p Ancora in seguito, in data 04/12/2017 è stato disposto lo stralcio della iscrizione per l’art. 416 bis c.p. dal N 10652/13 al N 4825/15 In data 12/12/2017 è stato poi disposto un ulteriore stralcio dal N 4825/15, sempre per il reato di cui all’art. 416 bis c.p. commesso prima del 19/11/2013 e tuttora in corso il nuovo fascicolo era il N 19457/17 e l’imputazione associativa era riportata come commessa fino alla data odierna . Il Tribunale Riesame ha superato le censure difensive relative alla utilizzabilità degli atti istruttori successivi al 21/11/2015 affermando che si trattava di atti provenienti da altri procedimenti, diversi da quello originariamente iscritto nei confronti del ricorrente. La conclusione non è però correttamente sostenuta da una congrua motivazione sul punto. 2. Secondo la regula iuris codificata all’art. 335 c.p.p., comma 1, Il pubblico ministero iscrive immediatamente, nell’apposito registro custodito presso l’ufficio, ogni notizia di reato che gli perviene o che ha acquisito di propria iniziativa nonché, contestualmente o dal momento in cui risulta, il nome della persona alla quale il reato stesso è attribuito . A mente del comma 2 della medesima disposizione, Se nel corso delle indagini preliminari muta la qualificazione giuridica del fatto ovvero questo risulta diversamente circostanziato, il pubblico ministero cura l’aggiornamento delle iscrizioni previste dal comma 1 senza procedere a nuove iscrizioni . Allo scopo di rendere possibile l’immediata iscrizione della notizia di reato, l’art. 109 disp. att. c.p.p. dispone che La segreteria della procura della Repubblica annota sugli atti che possono contenere notizia di reato la data e l’ora in cui sono pervenuti in ufficio e li sottopone immediatamente al procuratore della Repubblica per l’eventuale iscrizione nel registro delle notizie di reato . Alla previsione dell’art. 335 c.p.p. si correla strettamente la disciplina dei termini di durata delle indagini prevista negli artt. 405 e segg. c.p.p., là dove il termine ordinario di sei mesi come quello di un anno per i reati di cui all’art. 407 c.p.p., comma 2 lett. a decorre appunto - giusta l’espressa previsione dell’art. 405, comma 2 - dalla data in cui il nome della persona alla quale è attribuito il reato è iscritto nel registro delle notizie di reato . Giova rammentare come detto termine delle indagini sia prorogabile in presenza delle condizioni e con la procedura di cui all’art. 406 c.p.p., entro i limiti di cui all’art. 407 c.p.p Le Sezioni Unite di questa Corte hanno chiarito che il pubblico ministero, non appena riscontrata la corrispondenza di un fatto di cui abbia avuto notizia ad una fattispecie di reato, è tenuto a provvedere alla iscrizione della notitia criminis nel registro di cui all’art. 335 c.p.p., senza che possa configurarsi un suo potere discrezionale al riguardo ugualmente, una volta riscontrati, contestualmente o successivamente, elementi obiettivi di identificazione del soggetto cui il reato è attribuito, il pubblico ministero è tenuto a iscriverne il nome con altrettanta tempestività Sez. U, n. 40538 del 24/09/2009, Lattanzi, Rv. 244378 . Da tale impostazione consegue che, mentre nel caso di iscrizione di nuovi fatti di reato, è pacifico che il termine per le indagini preliminari, previsto dall’art. 405 c.p.p., decorra in modo autonomo per ciascuna iscrizione Sez. 6, n. 11472 del 02/12/2009, cit. Sez. 3, n. 32998 del 18/03/2015, cit. , nel caso in cui si tratti di aggiornamento della notitia criminis originaria in relazione al nomen iuris ed agli elementi circostanziali il termine delle indagini decorre dalla prima e, dunque, unica iscrizione per detto fatto. Dalla disciplina appena tratteggiata si evince che il nostro codice di rito non prevede e, soprattutto, non consente l’iscrizione sul registro ex art. 335 c.p.p. di uno stesso fatto di reato già oggetto di una precedente iscrizione. Ed invero, il P.M. può certamente procedere ad una nuova iscrizione ex art. 335 c.p.p. nel caso in cui, nel prosieguo delle indagini, emerga un fatto storico-naturalistico diverso richiamati in punto di identità del fatto i principi già espressi da questa Corte, nelle sentenze Sez. U, n. 34655 del 28/06/2005, Rv. 231799 , anche se non necessariamente ulteriore rispetto a quello già iscritto come nel caso in cui esso risulti - nei suoi elementi costitutivi - così trasfigurato rispetto a quello oggetto dell’originaria iscrizione da non poter non essere ritenuto altro fatto . Di contro, una nuova iscrizione deve, pertanto, ritenersi interdetta allorquando si tratti di un medesimo fatto già oggetto di una precedente iscrizione. Il nostro ordinamento processuale conosce una sola via per ampliare l’intervallo temporale deputato alle investigazioni previsto dall’art. 405 c.p.p., e cioè la proroga ai sensi dell’art. 407 c.p.p., mentre, al contrario, il percorso processuale non può essere surrogato da una nuova iscrizione di una stessa notizia di reato già iscritta. Tale opzione, oltre a non essere contemplata dall’art. 335 c.p.p., potrebbe risolversi in una facile via per eludere le regulae iuris dettate in tema di termini delle indagini preliminari, ottenendo il medesimo risultato di dilatarne l’ambito senza comunicazione all’interessato e, soprattutto,- senza alcun filtro giurisdizionale, con elusione delle garanzie difensive connesse alla disciplina della proroga. Se ne inferisce che, ai fini della determinazione del termine delle indagini, la nuova iscrizione di uno stesso fatto già iscritto cioè la pura e semplice replica dell’iscrizione deve considerarsi tamquam non esset, con la conseguente inutilizzabilità ai sensi del combinato disposto dell’art. 407 c.p.p., comma 3, e art. 191 c.p.p., comma 1 eventualmente derivante dall’assunzione di atti oltre la scadenza del termine delle indagini come decorrente, quale dies a quo, dall’originaria iscrizione. 3. Tanto affermato in linea di principio, va rilevato che, nella fattispecie, il Tribunale del Riesame non ha respinto l’eccezione di inutilizzabilità degli atti di indagine successivi alla scadenza del termine delle indagini preliminari richiamando le nuove iscrizioni nei confronti del ricorrente, ma ha ritenuto che tali atti di indagine erano relativi ad altri procedimenti penali e da questi ultimi provenivano, concludendo in tal modo La diversità del procedimento nel quale sono stati compiuti tali atti di indagine ne determina la piena utilizzabilità nel presente procedimento pag. 4 dell’ordinanza impugnata . Tuttavia è pur vero che questa Corte ha precisato che gli elementi di prova acquisiti dal pubblico ministero dopo la scadenza dei termini delle indagini preliminari possono essere utilizzati ai fini cautelari soltanto se acquisiti aliunde nel corso di indagini estranee ai fatti oggetto del procedimento i cui termini siano scaduti, ovvero se provenienti da altri procedimenti relativi a fatti di reato oggettivamente e soggettivamente diversi, ma è altrettanto vero che è stato precisato che, ai fini di tale utilizzabilità, è comunque necessario che tali risultanze non siano il risultato di indagini finalizzate alla verifica e all’approfondimento degli elementi emersi nel corso del procedimento penale i cui termini sono scaduti Sez. U, n. 8 del 23/02/2000, Rv. 215412 Sez. 5, n. 44147 del 13/06/2018, Rv. 274118 Sez. 2, n. 7055 del 28/01/2014, Rv. 259067 . Può quindi affermarsi come la giurisprudenza di questa Corte abbia individuato, nell’ambito dell’art. 238 c.p.p. - al di là, quindi, della collocazione sistematica della norma nel libro terzo del codice di rito, intitolato alle prove, ed, in particolare, nel capo settimo del titolo secondo, relativo ai mezzi di prova - l’operatività di un principio più generale, valido, quindi, anche per la fase delle indagini preliminari e per il sub-procedimento cautelare, concernente l’utilizzabilità, anche dopo la scadenza dei termini di indagini preliminari, di atti di indagine, purché ritualmente compiuti nell’ambito di diverso procedimento penale. Trattasi, all’evidenza, di una modulazione concreta del più generale principio di non dispersione dei mezzi di prova e, quindi, delle attività investigative, che trova, ad esempio, ulteriore applicazione nella disciplina delle intercettazioni di cui all’art. 270 c.p.p Tuttavia, non va trascurata la condizione che viene posta a questa utilizzabilità, per come sopra già rammentata, e cioè che i fatti di reato che costituiscono il contenuto dei differenti procedimenti devono essere anche oggettivamente e soggettivamente diversi e la risultanze acquisite non devono essere il risultato di indagini finalizzate alla verifica e all’approfondimento degli elementi emersi nel corso del procedimento penale i cui termini sono scaduti. 4. Nella fattispecie, la motivazione dell’ordinanza impugnata mostra una evidente contraddittorietà proprio su questo punto. Infatti, essa - a pag. 4 - afferma testualmente Invero, gli stralci del procedimento penale effettuati dal P.M. in ordine alla posizione del M. non sembrano allo stato giustificati da effettive necessità di indagine in relazione a fatti nuovi, cioè diversi ed ulteriori rispetto a quelli già iscritti che avrebbero effettivamente potuto legittimare una nuova iscrizione a carico del predetto nel registro ex art. 335 c.p.p. - non avendo al riguardo dedotto alcunché neanche il P.M., che non è comparso all’udienza, limitandosi a trasmettere gli atti relativi alle varie iscrizioni della notitia criminis a carico dell’indagato . Ed ancora Tali stralci, pertanto, sembrerebbero avere determinato una duplicazione non giustificata dell’iscrizione della medesima notitia criminis, in violazione dei termini massimi di durata delle indagini preliminari, con conseguente inutilizzabilità degli atti di indagine successivi al termine del 21 novembre 2015, quale termine finale delle indagini ricollegabile alla prima iscrizione del M. nel registro degli indagati per il reato di cui all’art. 416 bis c.p. . Ne risulta, almeno alla stregua della motivazione così come espressa, una contraddittorietà tra la constatazione di stralci effettuati senza giustificazione con indebita duplicazione dell’iscrizione della notizia di reato sempre eguale a se stessa e la dedotta utilizzabilità di atti di indagine compiuti successivamente alla data sopra indicata, sulla base del solo dato formale della provenienza da fascicoli formalmente differenti. Ed allora è necessario dedurre che delle indicate coordinate ermeneutiche non ha tenuto conto il Tribunale del riesame oppure che, comunque, non è riuscito ad esplicitare l’avvenuto esame della concreta e reale diversità dei fatti oggetto dei successivi stralci, che, stando alla lettera della motivazione, sembrava prima facie esclusa la questione concernente la ritualità delle iscrizioni ha un successivo diretto riverbero sulla validità e dunque sull’utilizzabilità degli atti posti a base del giudizio di gravità indiziaria. Questo dovrà dunque essere l’ambito del nuovo esame sul punto da parte del Tribunale. Il secondo motivo di ricorso va invece ritenuto assorbito dalle precedenti considerazioni effettuate le verifiche di cui supra, rimarrà impregiudicata ogni valutazione per il Tribunale. Di conseguenza, l’ordinanza impugnata deve essere annullata, con rinvio per nuovo esame al Tribunale del Riesame di Palermo. La cancelleria curerà gli adempimenti di cui all’art. 94 disp. att. c.p.p., comma 1 ter. P.Q.M. Annulla l’ordinanza impugnata e rinvia per nuovo esame al Tribunale del Riesame di Palermo. Manda la cancelleria per gli adempimenti di cui all’art. 94 disp. att. c.p.p., comma 1 ter.