Limiti del giudizio rescissorio di annullamento della sentenza recettizia del concordato in appello

In caso di impugnazione di sentenza recettizia di concordato in appello, la sopravvenuta illegalità della pena rilevata in sede di legittimità non può rimettere in discussione aspetti della res iudicanda ai quali il ricorrente aveva rinunciato, ex articolo 599-bis c.p.p., trasformandoli in res iudicata. Del resto, l’annullamento con rinvio della sentenza recettizia del concordato in appello consente il giudizio rescissorio solo con riguardo all’illegalità della pena.

La Corte di Cassazione, con la pronuncia numero 43641/2019, depositata il 25 ottobre u.s., si pronuncia in tema di concordato in appello, con riferimento al precipuo caso di intervenuta illegalità della pena oggetto di accordo tra le parti a seguito di mutamenti normativi derivanti dall’opera ermeneutica del Giudice delle Leggi. Il fatto. La Corte d’Appello di Bari, previo concordato dell’imputato - accusato del reato di cui all’articolo 73 D.P.R. 309/90 presuntivamente commesso nel settembre del 2017 – con il Procuratore Generale sulla rinuncia ai motivi d’appello inerenti alla qualificazione giuridica del fatto, applicava – in riforma della sentenza di primo grado - la pena di anni quattro di reclusione ed Euro 14.000,00 di multa. Con un unico motivo di ricorso l’imputato adisce la Corte di Cassazione, denunciando la sopravvenuta illegalità della pena inflittagli per effetto della sentenza numero 40 pronunciata il 23 gennaio 2019 dalla Corte Costituzionale, con la quale è stata dichiarata l’illegittimità costituzionale dell’art 73, comma 1, d.P.R. 309/90 nella parte in cui prevedeva il minimo edittale in anni otto di reclusione anziché in anni sei. Il ricorso è fondato limitatamente all’illegalità della pena. Con la pronuncia in commento gli Ermellini della Sesta Sezione, senza margini di dubbio, accolgono la richiesta difensiva relativa all’”ingiustezza” della dosimetria sanzionatoria connessa agli effetti della sopravvenuta sentenza della Corte Costituzionale. Tuttavia, il Collegio Decidente di Piazza Cavour coglie l’occasione per puntualizzare alcuni aspetti di nebulosità afferenti all’annullamento con rinvio nell’ipotesi di sentenza derivante da concordato in appello. Sulla questione – osserva la Corte – si sono già espresse le Sezioni Unite con riguardo alla sentenza di patteggiamento SS.UU. numero 35738 del 27.05.2010 , sancendo il principio secondo cui nella fase del giudizio rescissorio, volto alla rimodulazione della pena, le parti sono rimesse dinanzi al giudice nelle medesime condizioni in cui si trovavano prima dell’accordo annullato e, pertanto, non è preclusa la possibilità di riproporlo sia pure in termini diversi. Senonché, medesima conclusione non può rassegnarsi con riferimento alla sentenza recettizia del concordato in appello se da un lato vi sono elementi di sovrapponibilità dei due negozi processuali di cui all’articolo 444 c.p.p. e di cui all’articolo 599- bis c.p.p., dall’altro debbono lumeggiarsi le evidenti diversità ontologiche sussistenti tra i medesimi che, non consentono, anche alla stregua dei precedenti approdi restrittivi avutisi sul punto, di estendere l’applicabilità del principio soprarichiamato. Invero, debbono qualificarsi come irretrattabili e, dunque, insuscettibili di costituire oggetto di ricorso per Cassazione tutti i motivi rinunciati. Da ciò deriva che la sopravvenuta illegalità della pena, in caso di accordo ex articolo 599- bis c.p.p., non può rimettere in discussione aspetti della res iudicanda ai quali il ricorrente aveva rinunciato trasformandoli in res iudicata. Alla luce di tali evidenze, la Corte di Cassazione annulla la sentenza oggetto di gravame limitatamente al trattamento sanzionatorio e rinvia per nuovo giudizio alla Corte d’Appello di Bari.

Corte di Cassazione, sez. VI Penale, sentenza 11 settembre – 25 ottobre 2019, n. 43641 Presidente Capozzi – Relatore Giordano Ritenuto in fatto 1. M.F. impugna la sentenza del 18 dicembre 2018 con la quale, in esito a giudizio abbreviato, la Corte di appello di Bari, esclusa la recidiva, gli ha applicato - a seguito di rinuncia ai motivi di appello in punto di qualificazione giuridica del fatto - previo concordato con il Procuratore generale, la pena di anni quattro di reclusione ed Euro 14.000,00 di multa, in relazione al reato di cui al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73, comma 1, commesso il 13 settembre 2017. La Corte distrettuale, praticata la diminuzione per le circostanze attenuanti generiche sulla pena di anni otto di reclusione, è pervenuta alla pena di anni sei di reclusione e, con la diminuente del rito, alla rideterminazione, nella misura indicata, del trattamento punitivo, con una statuizione che ha comportato la revoca della disposta interdizione legale e la sostituzione della interdizione perpetua dai pubblici uffici con quella di anni cinque. 2.Con unico motivo di ricorso il ricorrente denuncia la illegalità sopravvenuta della pena inflittagli per effetto della sentenza della Corte Costituzionale n. 40 del 23 gennaio 2019, con la quale il Giudice delle leggi ha dichiarato la illegittimità costituzionale del D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73, comma 1, in conseguenza della quale il minimo della pena detentiva, sulla quale è stato ragguagliato il trattamento sanzionatorio inflitto al ricorrente, è ora previsto in anni sei di reclusione, anziché in anni otto di reclusione. Considerato in diritto 1. Il ricorso è fondato. 2.La Corte Costituzionale, con sentenza n. 40 del 23 gennaio 2019, depositata in data 8 marzo 2019 e pubblicata il 13 marzo 2019, ha dichiarato l’illegittimità costituzionale del D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73, comma 1, il cui reato è contestato all’odierno imputato, nella parte in cui prevede un minimo edittale di otto anziché sei anni di reclusione, limite quest’ultimo già rinvenibile nell’ordinamento e ritenuto più adeguato ai fatti di confine nel sistema punitivo dei reati connessi al traffico di sostanze stupefacenti. 3. Secondo i principi affermati dalle Sezioni Unite di questa Corte sentenza n. 33040 del 26/02/2015, Gazouli, Rv. 264207 , è illegale la pena determinata dal giudice attraverso un procedimento di commisurazione basato sui limiti edittali del citato art. 73, comma 1, in vigore al momento del fatto, ma dichiarato successivamente incostituzionale, anche nel caso in cui l’oggetto della statuizione sia costituito dal solo trattamento sanzionatorio. La radicale modifica del quadro normativo di riferimento impone, infatti, la rivalutazione delle situazioni giudicate ed oggetto di ricorso alla luce dei principi sulla successione di leggi nel tempo dettati dall’art. 2 c.p., comma 4, nonché dall’art. 7, par. 1, CEDU, secondo cui l’imputato ha diritto di beneficiare della legge penale successiva alla commissione del reato, che prevede una sanzione meno severa di quella stabilita in precedenza, fino a che non sia intervenuta sentenza passata in giudicato. Ne consegue la sopravvenuta illegalità della pena determinata nel caso in esame sulla base di parametri edittali in vigore al momento del fatto - su pena base detentiva di anni otto di reclusione - successivamente dichiarati incostituzionali con la citata sentenza del giudice delle leggi. 4.Rileva il Collegio che non può trovare accoglimento la richiesta del difensore di rideterminare il trattamento sanzionatorio inflitto al ricorrente in quanto la pena applicata ha il proprio fondamento genetico nell’accordo tra le parti che, a seguito della sopravvenuta illegalità, deve essere rinnovato. Ne consegue che la sentenza impugnata deve essere annullata limitatamente al trattamento sanzionatorio con rinvio per nuovo giudizio sul punto ad altra sezione della Corte di appello di Bari. 5. Il Collegio intende esplicitare le ragioni del disposto annullamento con rinvio in quanto nelle decisioni già assunte da questa Corte, nelle ipotesi di illegalità sopravvenuta della pena, pur con la precisazione che questa riguardava solo l’entità della pena, non è stata oggetto di esame esplicito la questione relativa agli effetti e, prima ancora alla portata, della decisione di annullamento. La questione è stata, invece, esaminata dalle Sezioni Unite in relazione alla sentenza di applicazione della pena di cui all’art. 444 c.p.p. e si è pervenuti alla decisione che, nel giudizio che segue ad annullamento senza rinvio della sentenza di patteggiamento determinato dall’illegalità della pena, le parti sono rimesse dinanzi al giudice nelle medesime condizioni in cui si trovavano prima dell’accordo annullato e pertanto non è loro preclusa la possibilità di riproporlo, sia pure in termini diversi Sez. U, n. 35738 del 27/05/2010, Calibè e altro, Rv. 247841 . Il quesito attiene, dunque, alla possibilità di ritenere, alimentando la sovrapposizione fra concordato in appello e patteggiamento ex art. 444 c.p.p., che trovi applicazione la medesima conclusione in relazione alla sentenza emessa ai sensi dell’art. 599-bis c.p.p La soluzione non è, tuttavia, univoca. La disposizione di cui all’art. 610 c.p.p., comma 5-bis, sul procedimento dinanzi alla Corte di Cassazione, accomuna ai fini delle modalità di declaratoria di inammissibilità del ricorso per cassazione, la sentenza recettizia del concordato in appello a quella di applicazione pena. Tuttavia, al di là di tale equiparazione, non è dato rinvenire altri elementi comuni che possano far convergere su un comune epilogo decisorio in caso di annullamento della decisione da parte della Corte di legittimità. In particolare, a differenza di quanto è stabilito dall’art. 448 c.p.p., comma 2-bis per la sentenza di applicazione della pena - che limita all’espressione della volontà dell’imputato, al difetto di correlazione tra la richiesta e la sentenza, all’erronea qualificazione giuridica del fatto e all’illegalità della pena e della misura di sicurezza -, non si rinviene una analoga disciplina specifica sui margini di ricorribilità della sentenza recettizia del concordato in appello, di talché il relativo regime impugnatorio e le sue conseguenze devono essere ricostruiti attraverso i principi generali, tenendo conto delle peculiarità dell’istituto previsto dall’art. 599-bis c.p.p 6. Il procedimento ai sensi dell’art. 599-bis c.p.p., introdotto con la L. 23 giugno 2017, n. 103, art. 1, comma 56, prevede un negozio giuridico complesso attraverso il quale le parti concordano sull’accoglimento, in tutto o in parte, dei motivi di appello con rinuncia agli altri eventuali motivi e, prosegue la norma citata, se i motivi dei quali viene chiesto l’accoglimento comportano una nuova determinazione della pena, il pubblico ministero, l’imputato e la persona civilmente obbligata per la pena pecuniaria indicano al giudice anche la pena sulla quale sono d’accordo. Il comma 3 dell’art. 599-bis c.p.p., per quanto qui di interesse, prevede che se il giudice ritiene di non poter accogliere la richiesta, richiesta e rinuncia perdono effetto, dandosi luogo alla citazione in dibattimento, salva la possibilità della loro riproposizione in tale sede secondo la previsione dell’art. 602 c.p.p., comma 1 bis. 7. È proprio la valenza del concordato sui motivi , attraverso il meccanismo della rinuncia, più che quella di applicazione della pena, la caratteristica dell’istituto in esame ad essere stata evidenziata nella Relazione al disegno di L. n. 2798/C - presentato dal Governo alla Camera dei deputati il 23 dicembre 2014 e base della novella -, valenza sottolineata per giustificare la reintroduzione, con modifiche, dell’istituto ribattezzato nella prassi come patteggiamento in appello , già disciplinato nell’art. 599, commi 4 e 5 e art. 602, comma 2, dell’originario codice di rito. L’istituto era stato poi abrogato per le controverse applicazioni alle quali, nella prassi giudiziaria, aveva dato adito. E va ricordato che, in via generale, la rinuncia, anche solo limitata ad alcuni dei motivi di impugnazione, secondo i principi informatori tipici del secondo grado di giudizio, è pienamente rispondente alla logica dispositiva ed alla struttura delle impugnazioni, ove sono fortemente accentuati i poteri delle parti e tale rinuncia è, per principio assolutamente pacifico, irretrattabile, formandosi, per effetto delle preclusione, il giudicato sui relativi punti della decisione. 8. La dottrina e la giurisprudenza si erano occupate della natura giuridica del cd. patteggiamento in appello per metterne in luce analogie e differenze, rispetto al patteggiamento di cui all’art. 444 c.p.p., individuando il punto di contatto dei due istituti nella matrice negoziale mentre nettamente distinte risultavano le altre caratteristiche, strutturali e funzionali degli istituti, quanto alla natura premiale, carente nel concordato in appello che rispondeva soprattutto ad una funzione deflattiva, ma anche alla controversa portata del successivo vaglio giurisdizionale del giudice a quo prima e della Corte di legittimità poi sull’accordo, vertendo la verifica, nel patteggiamento in appello, sui soli motivi patteggiati e sulle questioni rilevabili di ufficio, con netta esclusione dei motivi rinunciati. 9. La giurisprudenza di questa Corte aveva valorizzato la natura pubblicistica del cd. patteggiamento in appello affermando che, per la sua validità era necessario che le parti appellanti rinunciassero a tutti i motivi non rientranti nella categoria di quelli per i quali si è chiesto concordemente l’accoglimento, in guisa da esaurire tutto il devolutum cfr. Sez. 6, n. 6011 del 01/04/1996, Lanzalotta ed altri, Rv. 205032 , pena la nullità di un accordo parziale che, nei motivi rinunciati e nella pena concordata, non lo si esaurisse. Esaminando, in particolare, l’accordo sui motivi di appello, le Sezioni Unite avevano affermato che le parti, attraverso l’istituto di cui all’art. 599 c.p.p., comma 4, esercitano il potere dispositivo loro riconosciuto dalla legge, dando vita a un negozio processuale liberamente stipulato che, una volta consacrato nella decisione del giudice, non può essere unilateralmente modificato - salva l’ipotesi di illegalità della pena concordata - da chi lo ha promosso o vi ha aderito, mediante proposizione di apposito motivo di ricorso per cassazione Sez. U, n. 5466 del 28/01/2004, Gallo, Rv. 226715 . La consolidata giurisprudenza di legittimità aveva, altresì, precisato che, quando l’accordo implichi la rinuncia ad alcuni motivi deve ritenersi preclusa, in sede di legittimità, ogni questione ad essi relativa, al più con l’eccezione - peraltro non unanimemente condivisa delle questioni rilevabili di ufficio in ogni stato e grado del procedimento. Particolarmente chiara, in materia, una risalente sentenza secondo la quale, in virtù del disposto di cui all’art. 609 c.p.p., comma 2, il giudice di legittimità decide anche sulle questioni rilevabili d’ufficio in ogni stato e grado del procedimento, al di fuori di quelle proposte con i motivi di ricorso ma tale principio non opera nell’ipotesi di concordato in appello allorquando le dette questioni siano state oggetto di motivi rinunciati, sebbene poi riproposti, nonostante la rinuncia, in sede di legittimità, in quanto nel vigente sistema processuale, avente i caratteri del sistema accusatorio, l’art. 599 c.p.p., comma 4, conferisce al potere dispositivo delle parti un effetto irretrattabile sull’ambito di cognizione del giudice di legittimità Sez. 1, n. 16965 del 29/01/2003, Augugliaro, Rv. 224239 . Controversa, era, inoltre, la portata dell’obbligo di motivazione del giudice in relazione alla verifica della inesistenza di cause di non punibilità, a norma dell’art. 129 c.p.p. e sull’ampiezza dell’onere di motivazione del giudice sui motivi concordati. Largamente prevalente era l’indirizzo di legittimità secondo il quale il giudice, nell’accogliere la richiesta avanzata a norma dell’art. 599 c.p.p., comma 4, non è tenuto a motivare sul mancato proscioglimento dell’imputato per taluna delle cause previste dall’art. 129 c.p.p., nè sull’insussistenza di cause di nullità assoluta o di inutilizzabilità della prova, in quanto, a causa dell’effetto devolutivo, una volta che l’imputato abbia rinunciato ai motivi d’impugnazione, la cognizione del giudice deve limitarsi ai motivi non rinunciati, essendovi peraltro una radicale diversità tra l’istituto dell’applicazione della pena su richiesta delle parti e quello disciplinato dall’art. 599 c.p.p. Sez. 6, n. 40573 del 30/09/2008, Gallo Rv. 241486 e minoritaria l’opposta opinione secondo la quale il giudice deve accertare l’insussistenza delle cause di non punibilità di cui all’art. 129 c.p.p., ma a tal fine è sufficiente la motivazione consistente nella mera enunciazione di avere effettuato la relativa verifica, ove non consti nè sia stata specificamente dedotta l’esistenza di una delle condizioni che avrebbero imposto l’immediato proscioglimento Sez. 5, n. 43367 del 24/09/2008, De Simone ed altri, Rv. 242186 . 10. La giurisprudenza che finora si è occupata del nuovo istituto del concordato in appello ha condiviso tali indirizzi restrittivi. Pacifica è l’affermazione, secondo cui a seguito della reintroduzione del c.d. patteggiamento in appello ad opera della L. n. 103 del 2017, art. 1, comma 56, il giudice di secondo grado, nell’accogliere la richiesta formulata a norma del nuovo art. 599-bis c.p.p., non deve motivare sul mancato proscioglimento dell’imputato per una delle cause previste dall’art. 129 c.p.p., nè sull’insussistenza di cause di nullità assoluta o di inutilizzabilità delle prove, in quanto, a causa dell’effetto devolutivo proprio dell’impugnazione, una volta che l’imputato abbia rinunciato ai motivi di appello, la cognizione del giudice è limitata ai motivi non oggetto di rinuncia Sez. 5, n. 15505 del 19/03/2018, Bresciani ed altro, Rv. 272853, ribadita da Sez. 5, Ordinanza n. 29243 del 04/06/2018, Casero, Rv. 27319 in materia di applicazione dell’art. 129 c.p.p., e, in materia di nullità assoluta o di inutilizzabilità delle prove, Sez. 4, n. 52803 del 14/09/2018, Bouachra Brahim, Rv. 274522 . Con riferimento al contenuto dell’accordo sulla pena, in una fattispecie relativa agli aumenti di pena a titolo di continuazione, si è affermato che è inammissibile il ricorso per cassazione proposto in relazione alla misura della pena concordata, atteso che il negozio processuale liberamente stipulato dalle parti, una volta consacrato nella decisione del giudice, non può essere unilateralmente modificato, salva l’ipotesi di illegalità della pena concordata Sez. 5, n. 7333 del 13/11/2018, Alessandria Rosario Maurizio, Rv. 275234 . Rimanda, invece, in relazione alla sentenza concordata ex art. 599-bis c.p.p., all’applicazione dei limiti di ricorso di cui all’art. 448 c.p.p., comma 2-bis, una pronuncia nella quale si è affermato che in tema di concordato in appello, è ammissibile il ricorso in cassazione avverso la sentenza emessa ex art. 599-bis c.p.p. che deduca motivi relativi alla formazione della volontà della parte di accedere al concordato, al consenso del pubblico ministero sulla richiesta ed al contenuto difforme della pronuncia del giudice, mentre sono inammissibili le doglianze relative a motivi rinunciati, alla mancata valutazione delle condizioni di proscioglimento ex art. 129 c.p.p. ed, altresì, a vizi attinenti alla determinazione della pena che non si siano trasfusi nella illegalità della sanzione inflitta, in quanto non rientrante nei limiti edittali ovvero diversa dalla quella prevista dalla legge Sez. 2, n. 22002 del 10/04/2019, Mariniello Fabio, Rv. 2761029 . Tale orientamento, tuttavia, non può essere condiviso in quanto ritiene applicabili, in mancanza di espressa previsione ed in una materia caratterizzata dal sistema della tassatività, in materia di ricorso per cassazione i motivi che il legislatore ha previsto esclusivamente - ed in via derogatoria - per la sentenza di applicazione pena, enunciati dall’art. 448, comma 2-bis c.p.p 11. Ritiene il Collegio di condividere i descritti approdi ermeneutici che portano ad escludere la piena applicabilità alla sentenza in materia di concordato in appello del regime di annullamento della sentenza di applicazione della pena che porta alla conclusione dell’annullamento, tout-court dell’accordo convenuto tra le parti cfr. in questo senso, ex multis Sez. 4, n. 38644 del 6/6/2019, n. m. di guisa che le parti sono rimesse davanti al giudice di appello nella posizione in cui si trovavano prima di adire il concordato, evenienza, questa, pure possibile ove la decisione della Cassazione sia relativa all’accoglimento di motivi di impugnazione che afferiscono al difforme contenuto della sentenza rispetto all’accordo tra le parti. In questo senso si era espressa la giurisprudenza di questa Corte, in risalenti sentenze relative alla mancata applicazione del beneficio della pena sospesa, oggetto di accordo, beneficio non concesso dal giudice per mancanza dei presupposti poiché, in tal caso, secondo il prevalente indirizzo di legittimità, il giudice non aveva scelta se non quella tra conformarsi all’accordo ovvero disattenderlo, procedendo al giudizio ordinario, in virtù della previsione recata dall’art. 599 c.p.p., comma 3 cfr. per un’analisi delle pur diverse opzioni praticate in giurisprudenza Sez. 3, n. 5332 del 18/12/2007, dep. 2008, n. m. . 12.Irretrattabili, invece, e, pertanto, insuscettibili di costituire oggetto di ricorso per cassazione sono tutti i motivi rinunciati, siano essi relativi alla responsabilità, alla qualificazione giuridica del fatto, ed agli istituti che ineriscono al trattamento sanzionatorio o punitivo in generale. La irretrattabilità non trova ostacolo nella previsione di cui all’art. 599-bis c.p.p., comma 3, - o in quella correlativa di cui all’art. 602 c.p.p., comma 1-bis - la cui portata è limitata alla fase di formazione dell’accordo tra le parti e trova il suo unico limite ontologico e di sistema nella irrogazione di una pena illegale, come pacificamente si è verificato nel caso in esame per effetto della sopravvenuta pronuncia di incostituzionalità della norma incriminatrice, poiché, in tal caso, ferma restando la rinuncia ai motivi e nel perimetro dell’accordo convenuto tra le parti nella applicazione dei correlativi istituti, è solo l’accordo sulla pena che deve essere annullato, con rinvio al giudice per la ridefinizione del trattamento sanzionatorio. In altri termini, le richiamate previsioni riguardanti la formazione della fattispecie processuale in sede di appello non possono essere giustapposte all’epilogo decisorio in sede di legittimità che si limita a rilevare la illegalità della pena irrogata, rimuovendola. Nè potrebbe farsi leva - a sostegno della tesi che qui si avversa - su una inscindibilità tout court delle diverse manifestazioni di volontà che possono concorrere a definire la fattispecie processuale in parola che non tiene conto della diversità strutturale della rinuncia ai motivi di appello da parte dell’imputato che li ha proposti la quale diviene efficace senza che vi concorra alcuna manifestazione di volontà dal P.G. al riguardo, fondandosi sulla sola volontà dispositiva dello stesso imputato. Diverso è il caso dell’accordo sull’accoglimento di motivi che concorrano a definire la pena che le parti indicano al Giudice del gravame, dove le convergenti manifestazioni di volontà delle parti e la pena che ne consegue risultano inscindibilmente collegati. Non esiste ragionevole motivo per cui, in una materia retta dal principio dispositivo e in presenza della rinuncia ai motivi di impugnazione, la sopravvenuta illegalità della pena, dovrebbe rimettere in discussione aspetti della res iudicanda ai quali il ricorrente aveva rinunciato trasformandoli in res iudicata, conclusione, questa, che determina un irragionevole allungamento dei tempi di trattazione del processo in un sistema che assicura, anche in fase esecutiva, la possibilità, per il giudice dell’esecuzione, di rideterminare la pena per la sua illegalità sopravvenuta, in favore del condannato. In tal senso le Sezioni Unite in materia di patteggiamento ai sensi dell’art. 444 c.p.p. e con riferimento all’intervenuto giudicato, hanno affermato che, fermo il giudicato quanto ai profili relativi alla sussistenza del fatto, alla sua attribuibilità soggettiva e alla sua qualificazione giuridica, il giudice dell’esecuzione procede ai sensi dell’art. 188 disp. att. c.p.p. e, solo in caso di mancato accordo, ovvero di pena concordata ritenuta incongrua, provvede autonomamente ai sensi degli artt. 132- 133 c.p. Sez. U, n. 37107 del 26/02/2015, Marcon, Rv. 264858 . 13. L’annullamento della sentenza impugnata deve pertanto essere limitato alla determinazione della pena che sarà cura del giudice di merito rideterminare a seguito di nuovo accordo, alla luce della esclusione della recidiva e dell’applicazione delle circostanze attenuanti generiche, già oggetto di accordo tra le parti, sulla scorta del nuovo minino edittale previsto dalla fattispecie incriminatrice, come ritenuta e intangibile per effetto della rinuncia, irretrattabile, al motivo di impugnazione in punto di qualificazione giuridica procedendo, in caso di mancato accordo, autonomamente ai sensi degli artt. 132 e 133 c.p., fermi restando, anche in punto di determinazione del trattamento sanzionatorio, i motivi rinunciati. P.Q.M. Annulla la sentenza impugnata limitatamente al trattamento sanzionatorio e rinvia per nuovo giudizio sul punto ad altra Sezione della Corte di appello di Bari.