Anziani maltrattati: nessuna condanna per l’operatore sanitario se manca il carattere abituale

Per la configurabilità del reato di cui all’art. 572 c.p., il carattere personale della responsabilità penale impedisce che il singolo nel caso di specie un operatore socio-sanitario all’interno di una casa di cura per anziani , in mancanza di personali e abituali addebiti che lo riguardano, possa essere chiamato a rispondere del reato suddetto.

Sul tema la sentenza della Corte i Cassazione n. 43649/19, depositata il 25 ottobre. Il Tribunale, adito in secondo grado, confermava il provvedimento con cui il GIP dello stesso Tribunale aveva disposto nei confronti dell’imputato l’applicazione della misura cautelare del divieto di dimora in un Comune nel quale questi, come operatore socio-sanitario presso una casa di cura per anziani, maltrattava quest’ultimi lì ricoverati. Tale condotta era stata registrata dalle videocamere presenti sul loco. Avverso tale decisione, l’imputato ricorre per cassazione denunciando infondatezza della motivazione non essendo stata fornita alcuna prova adeguata in ordine agli episodi di violenza contestati all’uomo. Gli aspetti fondamentali del reato di maltrattamenti. Per la Suprema Corte tale motivo di ricorso risulta essere fondato poiché la motivazione del provvedimento gravato appare carente con riferimento alla corretta qualificazione giuridica dei fatti contestati. Sulla base, infatti, del consolidato principio giurisprudenziale, ai fini della configurabilità del delitto di cui all’art. 572 c.p., l’esistenza in una casa di ricovero per anziani di un generalizzato clima di violenza nei confronti degli stessi non esime dalla individuazione dei distinti autori delle varie condotte, poiché il carattere personale della responsabilità penale impedisce che il singolo addetto, in mancanza di personali addebiti che lo riguardano, possa essere chiamato a rispondere del contesto considerato, anche se da tale contesto egli tragga vantaggio. Alla stregua di tale regola, nel caso in esame i giudici di merito hanno omesso di chiarire da quali dati informativi potesse essere desunto il carattere abituale dei comportamenti dell’imputato. L’ordinanza impugnata va dunque annullata con rinvio per nuovo esame al Tribunale.

Corte di Cassazione, sez. VI Penale, sentenza 11 settembre – 25 ottobre 2019, n. 43649 Presidente Capozzi – Relatore Aprile Ritenuto in fatto e considerato in diritto 1. Con l’ordinanza sopra indicata il Tribunale di Catanzaro, adito ai sensi dell’art. 309 c.p.p., confermava il provvedimento del 27/03/2019 con il quale il Giudice per le indagini preliminari dello stesso Tribunale aveva disposto nei confronti di P.L. l’applicazione della misura cautelare del divieto di dimora nel comune di Settingano in relazione al reato di cui all’art. 572 c.p., per avere, quale operatore socio sanitario della casa di cura omissis , unitamente ad altri dipendenti, maltrattato gli anziani ivi ricoverati ed a loro affidati per ragioni di assistenza e di cura, attraverso gratuite umiliazioni e assumendo un atteggiamento di deliberata indifferenza verso i più elementari bisogni di assistenza dei degenti, nonché tenendo nei confronti di questi una condotta inutilmente severa e mortificante. Rilevava il Tribunale come le emergenze procedimentali, in specie quelle desumibili dalle immagini videoregistrate dal personale della polizia giudiziaria che aveva collocato una telecamera all’interno della casa di cura, avessero integrato gli estremi dei gravi indizi di colpevolezza, senza che la loro valenza fosse stata inficiata dalla versione dell’indagato, nè dalle dichiarazioni rese dalla teste Trapasso, che non aveva avuto una specifica percezione degli accadimenti in esame. E come il riconosciuto rischio concreto ed attuale di recidiva potesse essere fronteggiato con l’applicazione della considerata misura, idonea ad impedire al P. di entrare nuovamente in contatto con la struttura nella quale lavorava e con i pazienti ivi ricoverati. 2. Avverso tale ordinanza ha presentato ricorso l’indagato, con atto sottoscritto dal suo difensore, il quale ha dedotto i seguenti due motivi. 2.1. Violazione di legge in relazione agli artt. 273, 309 e 125 c.p.p., e art. 572 c.p., e vizio di motivazione, per mancanza, manifesta illogicità e contraddittorietà, per avere il Tribunale erroneamente confermato il provvedimento genetico della misura benché le carte del procedimento non avessero dimostrato l’esistenza del requisito della abitualità dei presunti comportamenti di maltrattamento e non fosse stata fornita una prova adeguata in ordine all’esistenza dei tre episodi di violenza contestati al prevenuto, essendo state ingiustificatamente valutate come espressione di maltrattamenti condotte che, come anche confermato dagli esiti delle investigazioni difensive, erano state ispirate a meri sentimenti di gioco affettuoso verso i pazienti. 2.2. Violazione di legge, in relazione agli artt. 274, 309 e 125 c.p.p., e vizio di motivazione, per mancanza, manifesta illogicità e contraddittorietà, per avere il Collegio del riesame reputato sussistente il pericolo afferente alla tutela della collettività, nonostante i fatti contestati risalgano ad oltre un anno e mezzo prima dell’applicazione della misura cautelare, dunque difetti un rischio di recidiva attuale, non essendo stato ravvisato alcun altro episodio in epoca successiva al novembre del 2017. 3. Ritiene la Corte che il primo motivo del ricorso sia fondato. Se le doglianze formulate dalla difesa del P. appaiono inammissibili nella parte in cui è stata posta in discussione la valenza indiziaria degli elementi acquisiti durante le indagini, specificamente ai fini della dimostrazione della materialità delle condotte oggetto di contestazione - tenuto conto che il ricorrente non ha indicato alcuna reale forma di travisamento della prova, ma solo una lettura delle emergenze procedimentali alternativa rispetto a quella fatta propria, con un sufficientemente convincente apparato argomentativo, dai giudici di merito - la motivazione del provvedimento gravato appare, invece, carente con riferimento alla corretta qualificazione giuridica dei fatti accertati. Costituisce ius receptum nella giurisprudenza di questa Corte il principio secondo il quale, ai fini della configurabilità del delitto di cui all’art. 572 c.p., l’esistenza, in una casa di cura e ricovero per anziani, di un generalizzato clima di sopraffazione e violenza nei confronti degli assistiti non esime dalla rigorosa individuazione dei distinti autori delle varie condotte, in quanto il carattere personale della responsabilità penale impedisce che il singolo addetto, in mancanza di addebiti puntuali che lo riguardano, possa essere chiamato a rispondere, sia pure in forma concorsuale, del contesto in sé considerato, anche nel caso in cui da tale contesto egli tragga vantaggio così, tra le tante, Sez. 6, n. 7760 del 10/12/2015, dep. 2016, B., Rv. 266684 . Alla stregua di tale regula iuris bisogna constatare come siano incerti ed inconcludenti gli argomenti impiegati dal Tribunale di Catanzaro per sostenere la sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza a carico del P. in ordine al delitto addebitatogli, considerato che a fronte di tre specifici episodi di gratuita violenza posti in essere dal prevenuto nella sua veste di operatore socio sanitario all’interno della menzionata casa di cura ai danni di altrettanti anziani ricoverati in quella struttura, ai quali l’agente aveva sferrato degli schiaffi comportamenti, questi, che ben potrebbero integrare gli estremi di singoli reati diversamente qualificati - i giudici di merito, da un lato, hanno omesso di chiarire da quali dati informativi potesse essere desunto il carattere abituale di quelle iniziative del P. dall’altro hanno, in maniera alquanto generica, inscritto le condotte dell’indagato in un contesto di continuinità dei maltrattamenti posti in essere ai danni degli ospiti di quella struttura, riferendo di comportamenti tenuti da altri operatori dell’ospizio, senza tuttavia precisare in quale maniera ed in quale forma tali ulteriori episodi avessero visto coinvolto il P. , ovvero se questi avesse altrimenti concorso, se del caso anche con condotte omissive, nella realizzazione di quei maltrattamenti. Nè conduce a differenti conclusioni l’altrettanto generico richiamo al concorso che altro indagato, tal B. , avrebbero posto in essere nella consumazione di uno di quei tre specifici episodi illeciti da parte del P. , non essendo stato puntualizzato in che maniera l’azione dell’odierno ricorrente fosse in via indiziaria collegabile alle condotte, asseritamente copiose , soggettivamente riferibili al B. oppure a tal R. , delle cui azioni delittuose non vi è stata descrizione alcuna. L’ordinanza impugnata va, dunque, annullata con rinvio al Tribunale dei Catanzaro che nel nuovo giudizio colmerà le indicate lacune e aporie motivazionali, attenendosi al principio di diritto innanzi enunciato. Nell’accoglimento del primo motivo dell’impugnazione resta così assorbito l’esame del consequenziale secondo motivo afferente le esigenze di cautela. P.Q.M. Annulla l’ordinanza impugnata e rinvia per nuovo esame al Tribunale del riesame di Catanzaro.